Il sumud è femmina…Il cognome Tamimi in Palestina si potrebbe paragonare al Rossi italiano, nel
senso che è diffusissimo, probabilmente originario della zona di Hebron. Ma in
un villaggio di 600 persone, icona della resistenza locale, Nabi Saleh, visitato
e raccontato da tutto il mondo degli attivisti, Tamimi è “il” cognome. Si
chiamano tutti così, come fossero un’unica famiglia.
Nel mazzo dei Tamimi, chi si distingue maggiormente nel sumud (resistenza/
resilienza, una parola ormai patrimonio di ogni corteo e protesta
internazionale, sdoganato anche dalla Global Sumud Flotilla) sono figure
femminili.
Anni fa era diventata un simbolo di coraggio la ragazzina bionda Ahed Tamimi,
una specie di Greta Thunberg ante litteram, che a 15 anni, a fronte
dell’ennesima invasione di casa sua e del ferimento a fuoco del fratello, diede
uno schiaffo al soldato israeliano invasore di turno. Che nemmeno reagi,
sorpreso non solo dal gesto inaspettato ma soprattutto dal fatto che fosse una
ragazzina bionda e bianca a compierlo, quasi fosse israeliana…
Negli ambienti della solidarietà milanese ma non solo (anche nazionale ed in
Slovenia, dove risiede, non a Nabi Saleh in questo caso) è nota Widad Tamimi,
giornalista, scrittrice, attivista, alla guida di un’associazione che tenta di
fare uscire da Gaza quante più persone possibile attraverso canali formali. Sul
Manifesto giorni fa è stato pubblicato un suo appello al ministro degli esteri
affinché si aprano vie diplomatiche per l’uscita di più persone possibili da
Gaza.
Merita soprattutto raccontare Manal Tamimi, colei che sta coordinando anche
quest’anno la campagna denominata in arabo Faz’a (cooperazione), che vede da
oltre un mese molte decine di volontari internazionali impegnati insieme alle
comunità agricole della regione di Ramallah, Tulkarem, Nablus, nella raccolta
delle olive. Mai come quest’anno scarsa ed oggetto quotidiano di violenze,
invasioni dei terreni, distruzione degli olivi da parte di coloni ed esercito
(cfr. articoli precedenti).
Manal Tamimi dal 2009 partecipa come molti dei 600 abitanti di Nabi Saleh a
manifestazioni di protesta ogni venerdì, in risposta al furto delle tradizionali
sorgenti d’acqua da parte della colonia israeliana più vicina. Sono le donne a
coordinare queste azioni, delle specie di “madres de plaza de Mayo” dell’epoca
della dittatura militare argentina (ora “abuelas, nonne, ancora attive ogni
giovedì nella marcia davanti alla Casa Rosada di Buenos Aires).
Manal fa parte dei Comitati Popolari (PSCC) e lavora in un’ente governativo
(Commissione per la Resistenza alla colonizzazione ed alla guerra), ma è alla
guida delle attività di supporto agli agricoltori.
La sua storia è un romanzo: arrestata e picchiata quattro volte (l’ultima pochi
giorni fa, in un messaggio whatsapp si scusava con me per aver tardato a
rispondere non sentendosi bene…).
La violenza di coloni e soldati si accanisce come sempre avviene in modo mafioso
anche contro la famiglia. Due dei quattro figli di Manal sono spesso in carcere,
torturati fisicamente e psicologicamente, provocando in Manal grandi incertezze
sul fatto di continuare, quando vengono colpiti anche i figli…
Come tutti qui constata come quest’anno la raccolta delle olive sia forse la
peggiore della storia, tra cause naturali di stagionalità alternate e violenze
esponenziali.
Si è voluto effettuarla ugualmente, come forma di resistenza delle terre
palestinesi e per rispetto verso una pianta simbolica nella cultura locale che
più di tutte incarna e simbolizza il sumud.
Manal racconta che tra le decine di forme di violenze ed invasioni da parte dei
coloni, oltre ad incendiare, inquinare, tagliare, sradicare gli uliveti, si è
aggiunta la pratica di invadere massicciamente con il bestiame i terreni,
impedendo agli agricoltori di accedervi, nonostante titoli di proprietà a volte
vecchi di secoli.
Nel caso di Nabi Saleh oltre due terzi del villaggio, che vive di agricoltura,
sono stati espropriati, con l’uccisione negli anni di oltre 30 persone (in rete
ci sono miriadi di filmati che raccontano queste violenze dal 2007 in avanti).
Nabi Saleh è così microscopico che qualunque episodio di violenza è visto e
vissuto da tutti. Ad esempio sua mamma anziana picchiata da un soldato e in
passato tanti familiari diretti uccisi, incarcerati, o deportati. Ciò fin dalla
prima Intifada nel 1987, quando Manal andava e veniva dalla Giordania per
portare informazioni, una specie di partigiana (altri dettagli si trovano
nell’ottima intervista concessa alla testata Pressdinamo).
Il tasto più doloroso per Manal, come sopra accennato, è il coinvolgimento dei
figli, espresso nel racconto sofferente di madre. Nonostante anni fa, dopo
l’ennesimo arresto, fu vittima di omicidio simulato, quando un cecchino le sparò
pure contro, Manal ritiene che nessuna sofferenza si possa paragonare alle
violenze dirette contro i figli. Due di loro sono stati più volte torturati in
carcere, al punto di subire abusi psicologici tali da perdere la memoria e non
riconoscere più all’uscita la madre (ndr. quanti video di questo tenore stanno
girando in rete sui prigionieri appena liberati da Israele da Gaza e
Cisgiordania?).
Manal racconta dei sensi di colpa provati a lungo per aver messo i figli a
rischio, se non perfino per aver dato alla luce bambini in un contesto cosi
terribile. Nell’intervista citata racconta di aver dormito a lungo nei loro
letti per far sentire affetto e calore. E durante la loro prigionia, di aver
comunque apparecchiato la tavola, cucinato i loro cibi preferiti, aver lavato i
loro vestiti.
Ribadisce quanto la figura delle donne sia stata centrale in questi decenni in
Palestina. Nella prima Intifada erano in prima linea in ogni modalità di
resistenza, negli anni novanta dopo gli accordi di Oslo nacquero molte Ong e
tante donne confluirono nella società civile perdendo forse mordente, con la
seconda Intifada persero ulteriormente spazio per l’aumento della resistenza
armata, patrimonio degli uomini.
Ma dopo il 2005, con la nascita dei movimenti di resistenza nonviolenta, le
donne ripresero un ruolo centrale nella società.
Al punto che un’emittente israeliana portavoce dei coloni, Canale 14, ha più
volte caldeggiato l’eliminazione fisica delle donne, iniziando da Nabi Saleh, in
modo da colpirne alcune per “educare” le altre.
Secondo Manal mai si potrà parlare di pace o diritti umani finché esisterà
l’occupazione, che in una terra dove ormai i palestinesi controllano solo il 4%
della Palestina storica, dove centinaia di migliaia di ulivi sono stati
distrutti, dove esistono checkpoint, spesso fatti di cancelli gialli comandati
elettronicamente a distanza (circa 1.200 ormai, uno ogni 5 km in media
geografica), che vengono aperti e chiusi in modo totalmente discrezionale a
seconda degli umori del momento, rendendo infernale spostarsi in Cisgiordania da
una città all’altra. Dove esiste tutto ciò e molto altro in un territorio
totalmente frammentato in isole separate, non ha alcun senso parlare di
soluzione a due stati, ad uno stato, a qualunque cosa…
Non c’è un porto, un’aeroporto, un passaporto di un paese che non esiste, pur
riconosciuto ormai da quasi 160 nazioni all’Onu. Non c’è accesso al mare, che
pure si può vedere a pochi km di distanza da molte colline della Cisgiordania.
E che dire del diritto internazionale che, come affermava uno dei padri della
patria israeliana, Ben Gurion, “non si applica a Israele”, o rimanendo
all’attualità, alla dichiarazione recente del ministro degli esteri Tajani, che
“il diritto internazionale vale fino ad un certo punto”…
Ciò nonostante Manal Tamimi da Nabi Saleh si dice confortata, commossa, per i
mille rivoli della solidarietà internazionale, per i due milioni di persone
nelle strade e piazze italiane il mese scorso a manifestare per la Palestina,
per la nostra pur precaria presenza come volontari internazionali, che ormai non
fungono più da deterrente per ragazzini pischelli coloni armati, con l’ esercito
a copertura.
Come molti attivisti locali, crede che molte volte sono loro a dover sostenere
noi… È che anche noi occidentali siamo “sotto occupazione”, di tipo diverso
dalla loro, solo che nemmeno ce ne rendiamo conto…
Non si capacita del fatto di come ad esempio in Italia milioni di persone
scendano in piazza, non certo tutti militanti, e poi alle elezioni diano il voto
a governi pro-Israele, asserviti agli Usa, che riportano gli orologi dei diritti
civili indietro di decenni, quando non esprimano senza celarlo ideologie
fasciste.
“Gli altri siamo noi”, cantava F. De Gregori…
Luigi Eusebi