Tag - Lettonia

Lettonia. La repressione colpisce chi non si allinea al pensiero unico guerrafondaio
In un periodo storico in cui la guerra è diventata parte della realtà quotidiana, gli spazi per il dissenso vengono sempre meno e chiunque porti una prospettiva anche solo anti guerrafondaia diventa bersaglio della repressione. Se questo è vero in Italia, lo è ancor di più per i Paesi Baltici, […] L'articolo Lettonia. La repressione colpisce chi non si allinea al pensiero unico guerrafondaio su Contropiano.
Solidarietà al Partito Comunista di Boemia e Moravia contro le persecuzioni anticomuniste in Europa per la libertà politica e la libertà di espressione
In perfetta linea con il vento d’estrema destra che tira in Europa, il governo di Praga si sta portando avanti una svolta antidemocratica gravissima in barba alle libertà politiche e alla libertà d’espressione, proponendo di mettere al bando l’opposizione politica comunista. Nel provvedimento si parla esplicitamente di carcere fino a dieci anni per chi milita in un partito legalmente costituito, in crescita, radicato nei territori e nei bisogni popolari. In Repubblica Ceca, la messa al bando del Partito Comunista di Boemia e Moravia (KSČM) – che viene criminalizzato con la scusa di essere “antisistema” – è il massimo exemplum dell’autoritarismo che si cela dietro quelle che continuano ad essere chiamate democrazia liberali che – con un atto di criminalizzazione del dissenso – stanno facendo di tutto per escludere dalla vita politica un partito proprio alla vigilia delle elezioni. È la reazione isterica di un sistema in piena crisi di legittimità che teme chi ne denuncia la natura profondamente ingiusta, classista e guerrafondaia. È la conferma che le istituzioni del dominio capitalistico, quando si sentono minacciate, gettano via la maschera democratica e passano alla repressione. Come accadeva durante il fascismo, anche oggi il comunismo viene trattato come un crimine, non per quello che fa, ma per quello che rappresenta: il mezzo di riscatto per i lavoratori, per i giovani, per chi non ha voce. Se si pensasse che tutto ciò non ci riguarda sarebbe un gravissimo errore. Questo non è solo un fatto che si sta verificando in Repubblica Ceca: è un campanello d’allarme per tutti i popoli europei. La storia ci ha insegnato che dove si mettono al bando i comunisti, presto si metteranno al bando i diritti e la libertà di parola. Chi vieta i comunisti prepara il terreno per portare popoli alla guerra. Un esempio, in Europa, è proprio l’Ucraina in cui, dopo il colpo di Stato di Euromaidan del 2014 e l’inizio delle rappresaglie dell’esercito ucraino in Donbass, le sue autorità avevano già cercato di vietare il Partito Comunista, accusandolo di finanziare i “separatisti filo-russi in Ucraina orientale”, ovvero le Repubbliche Popolari di Lugansk e Donetsch. Il servizio di sicurezza dell’Ucraina aveva sostenuto di aver fornito la prova di questo al Ministero della Giustizia, che poi ha presentato una mozione per bandire il partito nel luglio 2014. Il procedimento non ha mai avuto luogo perché il giudice designato ha tirato fuori il caso, all’inizio di quest’anno, citando pressioni da parte delle autorità che avevano perquisito il suo ufficio e confiscato i file relativi al caso. Il 16 dicembre 2015  – con una sentenza Tribunale amministrativo distrettuale di Kiev su richiesta del Ministero della Giustizia d’Ucraina – il governo di Poroschenko ha messo al bando il Partito Comunista d’Ucraina. Una delle prime conseguenze di questa decisione era stato impedire il suo funzionamento ufficiale, ma anche la sua partecipazione alle elezioni, il diritto di manifestare, di distribuire volantini etc. Tale divieto era derivato dai primi segni di attacco alla libertà di espressione, che sono stati registrati nel maggio 2015, quando il Presidente nazionalista d’estrema destra Petro Poroshenko aveva promulgato una serie di leggi adottate dalla Rada, il parlamento ucraino, che vietavano l’utilizzo di simboli comunisti, con azioni penali che potrebbe arrivare fino a 10 anni di carcere. Ai sensi di quattro nuove leggi adottate nel maggio 2015, conosciute collettivamente come “leggi di decomunistizzazione”, esporre i simboli comunisti o nazisti può portare a un procedimento penale e fino a dieci anni di reclusione. Sebbene l’uso del termine “comunista” è esplicitamente vietato da questa legislazione, il Partito Comunista d’Ucraina ha rifiutato di apportare modifiche al suo nome, logo o al suo statuto. https://contropiano.org/news/internazionale-news/2022/06/09/solidarieta-al-partito-comunista-dellucraina-messo-al-bando-dal-regime-di-kiev-0150069 https://www.marx21.it/comunisti-oggi/in-europa/ucraina-il-regime-nazional-fascista-prepara-la-messa-al-bando-di-uno-storico-giornale-dei-lavoratori/ https://www.peacelink.it/conflitti/a/49114.html Anche Amnesty International attraverso John Dalhuisen, responsabile all’epoca per Europa e Asia Centrale, aveva condannato la politica del regime di Kiev sostenuto da USA e governi dell’Unione Europea, affermando: “Il divieto del Partito comunista in Ucraina è una flagrante violazione della libertà di espressione e di associazione e devono essere immediatamente revocato, ha dichiarato Amnesty International. L’Unione europea (UE) dovrebbe reagire a questo grave attacco alla libertà di espressione, di affiliazione e di associazione nei confronti di un partito democratico che ha sempre agito per il rispetto dell’integrità e della sovranità dell’Ucraina.(…) La messa al bando del partito comunista in Ucraina stabilisce un precedente molto pericoloso. Questa mossa sta spingendo l’Ucraina avanti non indietro nel suo percorso di riforme e maggiore rispetto dei diritti umani. (…) Le mosse da parte delle autorità ucraine per vietare il Partito comunista solo a causa del suo nome e dell’uso dei simboli dell’era sovietica viola i diritti alla libertà di espressione e di associazione e stabilisce un pericoloso precedente nella vita politica ucraina. “ Questa persecuzione neo-maccarthista in Ucraina ha portato ad un acuirsi della repressione non solo verso i comunisti, ma anche verso sindacalisti, militanti antifascisti, pacifisti (come Yuri Sheliazenko, del Movimento pacifista ucraino) e giornalisti ucraini ed europei (tra cui Marc Innaro, Andy Rocchelli, Giulietto Chiesa, Sara Reginella, Franco Fracassi) ed attivisti internazionali come Roger Waters, finiti nella lista di proscrizione governativa ucraina chiamata Myrotvoretz. Nel 2015 un’ondata di omicidi a sfondo politico rimangono irrisolti e giornalisti e media noti per aver criticato il governo sono stati oggetto di vessazioni. In Ucraina, Mikhail Kononovich, segretario dei Giovani Comunisti Ucraini, e suo fratello Aleksander Kononovich sono da anni accusati di essere spie russe e bielorusse, oltre ad essere stati imprigionati e seriamente minacciati di morte. Nel marzo 2022 il Presidente ucraino Zelensky ha messo fuori legge altri 11 partiti di sinistra. Stesse situazioni di persecuzione politiche degli attivisti di sinistra e di giornalisti, in questi ultimi vent’anni, si stanno verificando anche nei Paesi Baltici, specialmente in Lituania, Estonia e Lettonia, il cui Parlamento il 16 giugno 2022 ha approvato, con 61 voti a favore e 19 contrari, la legge “Sul divieto di esposizione e sullo smantellamento di oggetti che celebrano i regimi sovietico e nazista nel territorio della Repubblica di Lettonia”, fornendo così una base giuridica alla distruzione dei monumenti dell’epoca socialista, in particolare dei memoriali dedicati all’Armata Rossa che liberò il paese dall’invasore nazifascista. Sono gli stessi Paesi Baltici in cui – negli ultimi decenni – sono stati eretti monumenti agli “eroi” nazisti; in cui si sta diffondendo un grave clima di intolleranza, repressione e fascismo istituzionalizzati, oltre che ad un grave clima di elevata russofobia, fino a prendere in considerazione di definire la lingua russa come una “lingua straniera”. Non è nemmeno un caso che siano gli stessi Paesi che hanno dichiarato di voler lasciare la Convenzione di Ottawa sulle mine antiuomo in nome della “deterrenza”, in vista di una guerra tra NATO e Russia. L’Unione Europea (UE) dovrebbe reagire a questi gravi attacchi alla libertà di espressione, di affiliazione e di associazione nei confronti di partito democratici che hanno sempre agito per il rispetto dell’integrità e della sovranità dei loro Paesi. Il Partito della Sinistra Europea (EL) ha chiesto più volte che l’Unione Europea, che mantiene le relazioni con questi governi, condanni queste messe in discussione delle libertà. E’ intollerabile che l’Unione Europea rimanga silente di fronte a questa deriva antidemocratica.   Lorenzo Poli
Russofobia e discriminazione in Lettonia, Alexei Roslikov: “Siamo in molti e la lingua russa è la nostra lingua!”
In Lettonia, un deputato della Saeima (Parlamento) lettone è stato rimosso da una sessione parlamentare per dichiarazioni in lingua russa e “comportamento non etico”, riporta LSM. Il 5 giugno, parlando dall’aula della Saeima, il leader del partito Stabilità! Alexei Roslikov ha criticato una bozza di dichiarazione sulla “riparazione dell’eredità della russificazione”. Il provvedimento avrebbe stabilito il dovere dello Stato lettone di porre rimedio agli “effetti delle politiche di russificazione”, che secondo i sostenitori “continuano a erodere il prestigio della lingua lettone”. La dichiarazione includeva anche proposte per limitare l’uso del russo negli spazi pubblici. Roslikov ha protestato contro la proposta di legge razzista che prevedeva l’inclusione della “Dichiarazione sulla russificazione criminale della Lettonia da parte del regime di occupazione sovietico e sulla prevenzione delle sue conseguenze linguistiche” nell’ordine del giorno della riunione. Opponendosi a questa dichiarazione, Roslikov ha sostenuto che “i russofoni erano sulle barricate insieme ai lettoni”. Prima di concludere il suo intervento, Roslikov è passato dal lettone al russo, dichiarando: “Siamo in molti e il russo è la nostra lingua!” facendo un gesto di protesta mentre lasciava il podio. È stato successivamente espulso dall’aula. Ecco di seguito la dichiarazione del deputato Alexei Roslikov: “Forse farete una legge che mi impedisca di chiamare mio figlio con un certo nome perché è russo? Ci sarà qualcosa di semplicemente obbligatorio: John, Peter, Christoph. Alexey, Victor e Natalya non esisteranno più, perché sarà proibito. Perché qui siete odiati se avete chiamato vostro figlio Victor. Non è vero? Dovete chiamare vostro figlio John. E ora, colleghi? Attaccherete le nostre famiglie ogni giorno con qualche vostra decisione? Siete coinvolti in atti terroristici, solo all’interno del vostro Paese. E questo è un fatto assoluto, cari colleghi. Ora volete qualcosa di più serio, vero? Proibirmi di parlare in un luogo pubblico, per strada, in un negozio, in riva al fiume, vicino a casa mia, proibire di parlare russo, perché ai vostri occhi questo è un reato. Ai vostri occhi, è un reato che mi chiamo Alexey e so che la mia lingua è il russo. Probabilmente dormite molto male per questo. Metà della popolazione della Lettonia parla russo. Metà della Lettonia parla russo non solo a casa. Ogni giorno! Senza di noi, senza i Russi, non avrete nulla, perché noi siamo metà del Paese. Siamo metà del Paese! Ogni giorno vi siamo accanto, ogni giorno aiutiamo lo sviluppo del nostro Paese, ogni giorno contribuiamo affinché il nostro Paese si sviluppi e progredisca. Ma voi cercate con tutte le vostre forze di portarci via qualcosa! Senza esitazione, ci mostrate il nostro posto! In chi dovremmo credere, cos’è Dio, cos’è il Natale, cos’è il Capodanno! Con chi possiamo parlare, con chi non possiamo parlare!  “Anche i russofoni sono saliti sulle barricate insieme ai lettoni. Cos’altro verrà inventato per i russofoni? Zone chiuse separate, una legge in base alla quale i russofoni non potranno chiamare i propri figli con un certo nome solo perché è russo?” – ha dichiarato Roslikov – “Ricordate una cosa: siamo in tanti! E la lingua russa è la nostra lingua!”. Per queste parole il Servizio di Sicurezza dello Stato lettone ha avviato un’indagine sul parlamentare Alexey Roslikov con l’accusa di incitamento alle tensioni etniche e di “assistenza” alla Russia in azioni contro la Lettonia. L’agenzia ha informato i media locali che i suoi funzionari hanno avuto diversi “colloqui cautelativi” con Roslikov in merito alle sue dichiarazioni pubbliche e lo hanno avvertito di potenziali ripercussioni legali.  Roslikov rischia oggi il divieto di presenziare a sei sessioni parlamentari. Alexey Roslikov è a capo del partito lettone “Stabilità!”, che ha ottenuto circa il 7% dei voti alle elezioni parlamentari del 2022. Il partito ha ottenuto una quota simile alle elezioni del Consiglio comunale di Riga del 7 giugno 2025. “Stabilità!” è un partito di sinistra – considerato “populista” dalle forze di destra – noto per essere espressione della minoranza russofona insieme al partito Unione Russa di Lettonia. Questo è il clima di macchartismo, di russofobia e di discriminazione che si respira in Lettonia, Estonia e Lituania e che le forze neoliberali e le destre etnonazionaliste baltiche continuano a fomentare. Poco tempo fa anche l’Estonia ha dichiarato che riconoscerò il russo come una lingua “straniera” entro il 2030, pur avendo più di 400mila cittadini estoni di lingua russa. > RUSSOFOBIA E DISCRIMINAZIONE IN LETTONIA https://meduza.io/en/news/2025/06/09/latvian-state-security-service-investigates-parliament-member-for-inciting-ethnic-hatred-after-heated-defense-of-russian-speakers  Lorenzo Poli