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Nella prospettiva di ‘Sostenere il futuro’… la realtà ha superato la fantasia
Il testo della (mia) lettera che sostituisce i previsti “interventi semi-seri e ludopatetici” in programma al vernissage della rassegna di opere e performance artistiche SOSTENERE IL FUTURO – SOSTENIBILITÀ DIGITALE: UNA SFIDA TRA OMBRE E POSSIBILITÀ . Quiz che l’IA… non capisce con Pressenza a ‘Sostenere il futuro’ Mi scuso con curatori e pubblico della mostra, ma per cause di forza maggiore non sono riuscita ad arrivare, perché nemmeno partire… e il titolo del (mio) intervento a distanza è modificato. Non più INTERVENTI… al plurale, perché interattivi e corali, bensì un breve MONOLOGO SEMISERIO e non LUDO-PATETICO ma DAVVERO PARADOSSALE, perché la mia assenza dimostra proprio che  – come proverbialmente la fantasia, o fantascienza – nel presente l’IA [ INTELLIGENZA ARTIFICIALE ] supera oltre che l’immaginazione anche la razionalità umana. Quando sono stata invitata al vernissage prima di confermare la presenza ho controllato  – ovviamente online, sul sito delle FFSS  – gli orari dei treni in andata e ritorno per e da Vigevano in data odierna e così, in base alle indicazioni, ero certa che oggi potessi aggregarmi agli artisti che espongono opere e presentano performance sul tema SOSTENERE IL FUTURO … UNA SFIDA… Se invece non sono qui adesso con voi è perché oggi la stazione di partenza oggi era chiusa (foto in alto) e invece che raggiungere la destinazione sono tornata a casa… con le proverbiali ‘pive nel sacco’. C’era uno sciopero indetto dal sindacato ORSA di cui condivido gli obiettivi: far sapere alla gente che Trenord non è collaborativa con i dipendenti per “affrontare e risolvere le criticità presenti in tutti i settori aziendali, sia sotto il profilo normativo che economico”. Non lo sapevo… e qualcuno mi dirà: “Ma dai, in che mondo vivi?”. Eh, vivo nel ‘mondo’ in cui chi, non avendo soldi per permettersi un’automobile o essendo – come me, non integerrima e integralista, però coerente – ambientalista non la possiede e dell’attivazione della linea ferroviaria nella città in cui abita ha appreso dalle notizie annunciate con tanta enfasi dai politici ‘di turno’, quando deve prendere un treno per andare al lavoro, a scuola, o all’ospedale oppure per diletto trova le informazioni online sul sito delle FFSS… … in cui di questo sciopero oggi non era riferito niente, ovviamente. Vivo in ‘questo mondo’ devastato da guerre che a parole nessuno vuole e invece vengono incessantemente combattute, un mondo i cui governanti sono tanto premurosi e lungimiranti che investono i soldi pubblici in armamenti, e così ne distolgono dal finanziamento delle aziende pubbliche – cioè da sanità, istruzione,… trasporti – e dove gli strateghi sono così intelligenti da mandare le truppe al macello e a fare strage di soldati e civili con armi ipertecnologiche,… … intanto cercando di convincerci che per avere la pace tutti noi si debba fare qualche ‘sacrificio’, ovvero rinunciare al condizionatore – un bene di lusso il cui uso fa aumentare i gradi del clima ambientale arroventato dal surriscaldamento globale… – ma ben sapendo che invece il prezzo delle guerre tanto profittevoli per i produttori di armi sono le carneficine, le devastazioni ambientali e gli aumenti del riscaldamento d’inverno, del pane quotidiano e del costo della vita, quindi l’incremento della povertà. Vivo in un mondo i cui cittadini non vengono ascoltati da una classe dirigente di leader e manager che parlano dei prodigi dell’Intelligenza Artificiale con tanto entusiasmo… … e avrei voluto venire a Vigevano e insieme a voi immaginare il futuro sostenibile riflettendo sulla realtà attuale in modo non polemico, affrontando difficoltà, problemi e sfide in modo ludico proprio perché sono convinta che l’umanità possa superare gli ancora laceranti drammi del passato e le angosciose tragedie del presente solo grazie alla propria capacità, umana e solo umana, di scherzare su paradossi e assurdità. Vi avrei fatto ascoltare come la IA ha risposto a tre mie domande ‘demenziali’: * un dilemma esistenziale, Dio esiste ? * un enigma proverbialmente insolubile, È nato prima l’uovo o la gallina ? * una questione apparentemente surreale, La gallina è un animale intelligente ? Cosa mi ha impedito di farlo dimostra proprio di quanto siano necessarie, oltre che l’intelligenza umana con cui, ai calcoli ‘astronomici’ che l’IA produce in un battibaleno, anteporre le persone e i loro bisogni, anche l’arte, la cultura, l’immaginazione e la fantasia con cui aver fiducia in noi stessi e confidare che sia possibile vivere in un futuro sostenibile, cioè in mondo migliore di quello attuale. Maddalena Pronta a partire, con il mio ombrello preferito e ‘agghindata’ per l’occasione… PS – oggi, contemporaneamente, a Torino, alla stazione di Porta Susa…         Maddalena Brunasti
Bastioni di Orione a Belem, in Africa Occidentale e nel Saharawi
Questa settimana ci siamo dedicati dapprima alle proteste degli abitanti dell’Africa occidentale esasperati dalla perpetuazione di regimi autoritari, rintuzzate da un potere ancora postcoloniale che fa da perno al residuo controllo francese sui paesi della Françafrique, scatenate dalla rielezione truffaldina di dinosauri ultranovantenni in Africa occidentale, ponendole a confronto insieme a Roberto Valussi con la contrapposizione della unione dei paesi del Sahel, anch’essi messi in crisi dall’avanzata del jihadismo. Ci siamo poi spostati di poco verso nord, raggiungendo il Maghreb, in particolare la situazione nella regione dei Saharawi, da più di mezzo secolo alle prese di un’altra forma di colonialismo: la monarchia assoluta marocchina si è sostituita ai francesi, permettendo ancora lo sfruttamento dei fosfati e della pesca nel territorio del Sahara occidentale, dopo aver colonizzato la regione da cui ha cacciato il popolo saharawi. Ora all’Onu si è consumato un nuovo passaggio verso l’annessione marocchina della zona al confine mauritano, ne abbiamo parlato con il nostro consueto interlocutore in materia, Karim Metref. Abbiamo infine iniziato a occuparci della Cop30 in corso a Belem con Alfredo Somoza, che ha tracciato con chiarezza le modalità, gli intenti e i parziali risultati di una conferenza delel parti svolta per una volta su un campo che avrebbe dovuto essere sensibile alle istanze della difesa dell’ambiente e che la diplomazia internazionale costringe a barcamenarsi cercando di conseguire il risultato condiviso richiesto; parallelamente si è quindi svolto un Controvertice e le popolazioni native si sono prese il palcoscenico a più riprese. Elezioni africane, presidenti dinosauri e retaggio della Françafrique Partendo dalle elezioni in Costa d’Avorio che hanno riconfermato il modello autocratico del terzo mandato con l’elezione di Ouattara, legato mani e piedi agli interessi economici e strategici di una Francia in ritirata dallo scenario saheliano, proviamo con Roberto Valussi che scrive per la rivista Nigrizia a decrittare il risultato dei queste elezioni allargando lo sguardo ad altre aree del continente africano. La serie di colpi di stato che ha cambiato gli equilibri in Mali, Burkina Faso e Niger e la creazione dell’ Alleanza del Sahel (AES) ha spostato il baricentro degli interessi francesi verso la Costa D’Avorio che si consolida come pivot del residuo sistema di potere della Francia in Africa, pur aprendosi anche ad altri interlocutori come gli Stati Uniti e la Cina. Ouattara dopo aver impedito ai potenziali contendenti, Thiam e Gbabo, di presentarsi alle elezioni con artifici legali poco attendibili, ha vinto nonostante le proteste contro il suo ennesimo mandato sulla falsariga di un altro dinosauro africano, Paul Biya, che in Camerun alla tenera età di 92 anni continua a governare dal 1982 . Si definiscono in questa fase di mutamenti e fratture sociali tre modelli, quello dei colpi di stato militari che con tutti i loro limiti, interpretano il sentimento antifrancese che alberga nella maggioranza demografica dei giovani insofferenti, la continuità delle finte democrazie autocratiche che con la repressione e i brogli danno continuità ad un sistema di potere in agonia e la soluzione elettorale alla senegalese forse non esportabile per le caratteristiche proprie della storia senegalese che incanala il dissenso e la protesta verso un progetto di cambiamento. L’Onu ha scippato l’indipendenza saharawi Dopo anni di stallo alle Nazioni Unite, la Risoluzione 2797 del Consiglio di Sicurezza ha ridisegnato il panorama della questione del Sahara Occidentale. Adottata il 31 ottobre senza veto, segna un importante cambiamento strategico: il piano di autonomia marocchino è diventato la base del processo ONU, il Consiglio di sicurezza ha chiaramente sancito l’iniziativa marocchina dell’autonomia come base esclusiva per i negoziati per l’arrivo di una soluzione definitiva al conflitto regionale che ha afflitto la regione per mezzo secolo . Per l’Algeria, la battuta d’arresto diplomatica è tanto più grave in quanto questa risoluzione è stata adottata mentre il paese era già membro del Consiglio di Sicurezza. Per il Marocco, la sfida è cambiata: non si tratta più di convincere gli altri della credibilità del suo piano, ma di dettagliarlo e attuarlo . Il termine “referendum” non compare più nella nuova risoluzione. l mandato della MINURSO, la missione ONU sul campo, sarà rivisto alla luce dei progressi politici, ponendo così fine al ciclo di proroghe tecniche automatiche. Le Nazioni Unite continuano a menzionare il principio di autodeterminazione, ma non lo collegano più a un referendum . l Polisario ha reagito timidamente alla risoluzione, semplicemente prendendo nota di alcuni elementi del testo, che costituiscono una deviazione molto pericolosa e senza precedenti dalla base su cui il Consiglio di Sicurezza affronta la questione “come questione di decolonizzazione”. Tuttavia, quattro giorni prima dell’adozione della risoluzione, il Polisario aveva “categoricamente respinto qualsiasi iniziativa come la bozza di risoluzione promossa dagli Stati Uniti “mirava a imporre il piano di autonomia marocchino o a limitare il diritto inalienabile del popolo saharawi di decidere liberamente il proprio futuro”. La soluzione proposta dall’ONU sulla spinta degli Stati Uniti e la Francia elimina qualsisiai riferimento all’autodeterminazione del popolo saharawi prospettando un’autonomia sotto il controllo del Marocco. Di questo e della denuncia dell’accordo franco algerino del 1968 ,passata all’Assemblea nazionale su proposta dei lepenisti parliamo con Karim Metref  giornalista algerino Cop30. Mitigare il clima, almeno nel suo cambiamento In un mondo sempre più attraversato da conflitti, dove le nazioni sono sempre più  bellicose, sembra reggere a parole l’impegno di ciascuno sulle grandi linee della tutela dell’ambiente. Anche perché dietro al carrozzone mediatico si nascondono anche molte occasioni di business (riconversione, sostenibilità…). Nel commento di Alfredo Somoza si riscontrano note di parziale ottimismo per l’impostazione della Cop30 e per i primi risultati che Lula può dichiarare conseguiti come i 5 miliardi versati per la creazione di un fondo mondiale per la tutela delle foreste tropicali e dunque Alfredo, che ha partecipato ad alcune edizioni precedenti, ritiene si possa considerare non fallimentare questa edizione improntata al pragmatismo fin dal discorso inaugurale del presidente brasiliano, per quanto sia possibile in simili consessi istituzionali che devono regolare con il bilancino diplomatico i rapporti e le risoluzioni finali, sempre sottoposte a veti contrapposti delle molteplici lobbies presenti, pronte a mettere in stallo obiettivi e finanziamenti – in particolare per il superamento del fossile e l’abbattimento del CO2.  Infatti il fulcro di questa edizione, a dieci anni dalle promesse disattese della Cop20 parigina, della conferenza climatica è il capitolo dell’istituzione di uno stanziamento di 1300 miliardi per l’incremento dei flussi finanziari verso i paesi vulnerabili (metà della spesa bellica annuale) per mettere sotto controllo gli aspetti più drammatici del cambiamento climatico. Un terreno che vede la Cina protagonista – non presente con i vertici politici ma con i tecnici – è quello inerente all’aspetto tecnologico che prevederebbe secondo precedenti accordi internazionali la neutralità climatica per il 2050, mentre Pechino ci può arrivare già nel 2047; mentre invece l’India non ha né capacità tecnologica, né l’intenzione di rispettare i termini, spostando il traguardo al 2070.  L’Unfcc che organizza l’evento ha fatto uscire proprio in questi giorni il rapporto sull’impatto economico e climatico della climatizzazione domestica  Intanto si è svolto parallelamente il “Controvertice” Cúpula dos Povos, che ha dato luogo nell’assemblea conclusiva al Movimento delle Comunità Colpite dalle Dighe, dalla Crisi Climatica e dai Sistemi Energetici, polemico con un vertice ufficiale contaminato dalla presenza di molte imprese responsabili di crimini ambientali e persino emissari di crimini petroliferi. Molti nativi sono giunti da ogni paese amazzonico e non solo per rivendicare i diritti delle popolazioni indigene, che peraltro si trovano a casa loro e un migliaio sono anche accreditate all’ingresso, nonostante la Conferenza delle Parti sia riservata dall’Onu a discussioni di carattere tecnico (i leader politici partecipano al vertice preliminare che dovrebbe demarcare i limiti entro i quali negoziare gli accordi finali) ed è il momento in cui gli stati devono essere inchiodati alle loro responsabilità. E stanno facendo sentire la voce e il fiato di chi vive più vicino alla Natura. --------------------------------------------------------------------------------
Sostenere il futuro – Sostenibilità digitale: una sfida tra ombre e possibilità
La rassegna di opere artistiche sia analogiche che digitali e di performance delinea un percorso euristico esplorativo delle senzazioni percepite nelle dimensioni materiali e immateriali, ovvero fisiche e concettuali, concrete e astratte, reali e artificiali nell’avvenersitico ‘mondo virtuale’, cioè iper-tecnologizzato, del futuro. Inclusa nel programma della IX edizione del Festival delle Trasformazioni, il cui tema è “Una società equa e sostenibile: trasformazioni in corso”, è allestita nelle sale della Seconda Scuderia edificata nel 1473 a un lato del Castello di Vigevano, un complesso monumentale al cui ingresso principale preceduto dalla scenografica scalinata in pietra affacciata sulla meravigliosa piazza Ducale vigevanese, un gioiello di architettura urbana rinascimentale, svetta la Torre del Bramante. Il contrasto con l’ambientazione mette in risalto il nesso tra gli aspetti estici ed estetici della mostra collettiva ideata e realizzata da due associazioni lombarde, la vigevanese Evuz Art e la milanese NOIBRERA, che recentemente insieme al Presidio per la Pace di Sesto San Giovanni ha presentato la mostra Le linee continue della pace. Della rassegna che, su invito di Rete Cultura Vigevano, le due associazioni – entrambe dedite a “sostenere la creatività come esperienza accessibile, comunitaria e profondamente connessa con il presente” – spiegano: > Con questo progetto si vuole offrire uno spazio di riflessione condivisa sul > rapporto tra sostenibilità e digitalizzazione, affrontando il tema non > soltanto dal punto di vista ambientale o tecnico, ma piuttosto come questione > culturale, sociale e profondamente umana. > La mostra nasce dalla necessità di non guardare più il digitale solo come > innovazione, ma come ambiente in cui siamo immersi ogni giorno – un ambiente > che modifica profondamente il modo in cui viviamo, pensiamo, ricordiamo e > percepiamo. In questo senso, parlare di sostenibilità digitale significa > affrontare non solo un problema tecnico o ambientale, ma anche una questione > culturale, etica e umana.Viviamo in un’epoca in cui il digitale appare > immateriale, rapido, trasparente. Scorriamo immagini, archiviamo dati, ci > connettiamo senza sosta. Eppure ogni gesto digitale consuma energia, produce > scarti invisibili, lascia tracce fisiche. Le infrastrutture che lo rendono > possibile – cavi, server, miniere di terre rare – restano nascoste, così come > restano spesso invisibili le trasformazioni profonde che queste tecnologie > operano nei nostri comportamenti, nelle relazioni, nell’identità.In questo > contesto, gli artisti coinvolti non usano necessariamente strumenti digitali, > ma si confrontano con le sue conseguenze simboliche e percettive. Attraverso > pittura, disegno, scultura, fotografia, tecnica mista, linguaggi digitali o > performance ci invitano a riflettere su ciò che si sta smaterializzando: il > corpo, la memoria, la profondità dell’esperienza. SOSTENERE IL FUTURO – SOSTENIBILITÀ DIGITALE: UNA SFIDA TRA OMBRE E POSSIBILITÀ La rassegna presenta in esposizione opere di : Alessandro Abruscato, Massimo Bandi, Maurizio Bondesan, Emma Bozzella, Giò Cacciatore, Giuliana Consilvio, Renzo Dell’Ungaro, Aleksandra Erdeljan, Marina Falco, Annamaria Gagliardi, Renato Galbusera, Silvana Giannelli, Antonio Giarrusso, Giuse Iannello, Lorenzo Lucatelli, Giò Marchesi, Giuseppe Matrascia, Veronica Menchise, Nik Palermo, Nadia Pelà, Günter Pusch, Marco Raimondo, Pierangelo Russo, Alex Sala, Fabio Sironi, Rossella Taffa e Laura Trazzi. All’inaugurazione sono state proposte le performance : “Non sono ancora diventato migliore” di Alex Sala e “Teatro Fracking” con Fabio Sironi e Gianni Mimmo. Presto verrà comunicato il programma del finissage. INFORMAZIONI : RETE CULTURA VIGEVANO – c/o APC corso Cavour, 82 – Vigevano, PV 27029 NOIBRERA – info@noibrera.it   in esposizione nella Seconda Scuderia del Castello / Vigevano, PV – piazza Ducale nelle giornate di sabato e domenica, dalle 11 alle 18, fino al 16 novembre 2025 CODICE 404 – Un’opera che mette in dialogo primordiale e digitale, fallimento e ricerca, presenza e assenza. Le figure stilizzate richiamano i graffiti rupestri: tracce essenziali dell’umano. Al centro domina un grande QR code, simbolo della nostra connessione continua a un altrove tecnologico. Ma cosa accade quando il collegamento si interrompe? Il titolo CODICE 404 cita l’errore di rete che indica una risorsa non trovata: come quando l’informazione scompare, come quando l’identità si frantuma nell’iper-connessione. Il video collegato – 59 secondi tra bianco e nero, rosso e suono pulsante – estende l’opera oltre la tela, in uno spazio digitale ulteriormente effimero. È un cerchio che non si chiude: cercare, fallire, riprovare. Restare umani. Un invito a riflettere sui limiti del progresso e su ciò che rimane di profondamente umano nel caos tecnologico. L’autore, Renzo Dell’Ungaro è art director e grafico con una lunga esperienza nella progettazione editoriale. Ha ideato e realizzato riviste di grande diffusione e prestigio, curando identità visive, impaginazione e comunicazione integrata. Parallelamente porta avanti una ricerca artistica che esplora il rapporto tra essere umano e linguaggi digitali, mettendo in dialogo segni primordiali e codici contemporanei. Oggi il suo lavoro unisce professionalità tecnica e visione creativa, dando forma a progetti che interrogano passato e futuro dell’immagine. Maddalena Brunasti
Moda etica e inclusione: a Brescia un progetto che cuce futuro e sostenibilità
In una delle province più produttive d’Italia, dove le fabbriche hanno fatto la storia del lavoro ma la disoccupazione femminile resta ancora una ferita aperta, un piccolo laboratorio sartoriale prova a cambiare il destino di molte donne. Si chiama Atelier Bebrél, e dietro a un semplice ago e filo si cela una rivoluzione silenziosa: un modello di inclusione sociale e sostenibilità che intreccia storie, competenze e nuove opportunità professionali. Dalla fragilità alla rinascita: la forza di un progetto Nato a Rodengo Saiano, nel cuore del bresciano, Atelier Bebrél è più di un laboratorio di sartoria creativa. È un luogo dove le donne in situazioni di fragilità – vittime di violenza, migranti, disoccupate di lunga durata – trovano una seconda possibilità attraverso la formazione e il lavoro. Il progetto prende forma grazie alla sinergia tra Fondazione Punto Missione e Associazione Casa Betel 2000 Onlus, due realtà impegnate nell’accoglienza di donne sole e madri con figli. Qui la sartoria diventa strumento di autonomia, ma anche terapia, riscatto e comunità. «La consapevolezza che il lavoro è la chiave per costruire una nuova identità e un’integrazione sociale reale – spiega Silvia Daminelli, coordinatrice dell’Atelier – ci ha spinto a creare percorsi formativi aperti non solo alle nostre ospiti, ma anche alle donne del territorio, spesso escluse dal mercato del lavoro perché prive di competenze spendibili». Un modello formativo a cascata Oggi Atelier Bebrél ha compiuto un passo in più. Con il sostegno della Fondazione Marcegaglia (Fondo Robi) e la consulenza di Mending for Good, ha avviato un innovativo percorso di formazione in moda sostenibile e upcycling. Il progetto è partito da un workshop intensivo rivolto a cinque professioniste dell’Atelier – una stilista e quattro sarte – che hanno acquisito competenze avanzate in riuso creativo e design circolare. Sono poi loro, in un modello “a cascata”, a formare oggi 15 donne in situazioni di vulnerabilità, moltiplicando così conoscenze, opportunità e autonomia. Non si tratta solo di corsi, ma di un percorso completo che include tirocini retribuiti e mentoring individuale, con l’obiettivo di un inserimento concreto nel settore della moda etica. «Vogliamo costruire un sistema di valore – spiega Alberto Fascetto, responsabile partnership per la Fondazione Marcegaglia – dove la formazione diventa un trampolino per l’indipendenza economica e la dignità personale». (Fotografia di Simona Duci)   Cucire per ricucire: il valore dell’upcycling Accanto al valore sociale, c’è una visione ambientale forte. Grazie alla collaborazione con Mending for Good, società specializzata in upcycling e design circolare, Atelier Bebrél impara a trasformare scarti tessili e materiali dimenticati in nuovi capi unici, di alta qualità e dal forte impatto etico. «Parliamo di rammendo nel senso più ampio del termine – spiegano Alessandra Favalli e Barbara Guarducci, fondatrici di Mending for Good –. Riparare un sistema significa considerare la responsabilità ambientale e sociale, rispettare le persone e il pianeta, creando circoli virtuosi tra artigianato e moda». Storie che diventano tessuti Dietro ogni cucitura, ci sono storie di vita. Come quella di Olga, arrivata a Brescia da Kiev nel marzo 2022, in fuga dalla guerra insieme alla nonna novantaduenne. A casa sua gestiva una sartoria, qui, grazie ad Atelier Bebrél, ha potuto ricominciare. Oggi coordina la linea creativa del laboratorio e guida altre donne nella produzione. «A Brescia ho trovato una nuova stabilità – racconta –. Lavorare di nuovo con ago e filo mi ha permesso di ricostruire la mia vita». O quella di Isabella, che dopo un lutto devastante ha ritrovato nel cucito una forma di rinascita: «Mi ha salvata. Lavorare in gruppo, creare qualcosa di bello insieme ad altre donne, mi ha ridato fiducia e voglia di vivere». (Fotografia di Simona Duci)   Un futuro che si cuce insieme A fine novembre, Atelier Bebrél inaugurerà la sua nuova sartoria nel centro di Rodengo Saiano: un punto d’incontro per la comunità dove portare abiti da riparare o richiedere creazioni su misura. Un luogo dove la moda si fa strumento di solidarietà e rete con le realtà tessili locali. In un territorio industriale che oggi cerca nuove forme di sviluppo, questo progetto dimostra che la sostenibilità non è solo ambientale, ma anche sociale. E che si può davvero “ricucire” il tessuto dell’economia con fili di dignità, competenza e speranza. Perché, a volte, un abito non è solo un abito: è una storia che riprende forma, una vita che ricomincia. Simona Duci
Coltivare futuro nei Quartieri Spagnoli di Napoli: l’idroponica come atto di rinascita
A volte basta un seme, o anche solo un’idea, per far nascere un modo diverso di guardare al mondo. Per tre giorni, la corte di FOQUS – Fondazione Quartieri Spagnoli si è trasformata in un vero laboratorio di idee e incontri. Esperti, studenti e cittadini si sono confrontati su come educazione, ambiente e comunità possono intrecciarsi per immaginare città più vivibili, sostenibili e inclusive. All’interno delle GEA 2025 – Giornate Educazione Ambiente , il dialogo si è esteso dai temi della rigenerazione urbana all’innovazione agricola, dalla scuola come motore del cambiamento alla ricerca di nuove economie del rispetto. Ho potuto seguire direttamente uno degli incontri, “Coltivare senza suolo e produrre comunità” , dedicato alle nuove forme di agricoltura idroponica e acquaponica. Un dibattito denso di spunti, che ha messo in luce quanto le pratiche di coltivazione fuori suolo possano essere non solo una soluzione tecnica, ma anche una visione culturale e sociale per le città di domani. Dalla terra ferita al cemento che fiorisce Fra le testimonianze più significative, quella di Francesco Pio Fiorillo , fondatore di Lympha , un’azienda agricola di Licola che ha fatto dell’idroponica la propria missione principale. Attraverso questa tecnica, Fiorillo coltiva in fuori suolo , puntando su un modello di agricoltura ecologica e rigenerativa , capace di ridurre drasticamente il consumo d’acqua, eliminando l’uso di pesticidi e riducendo l’impatto ambientale dei trasporti e del suolo agricolo tradizionale. L’obiettivo è costruire un nuovo equilibrio tra innovazione e natura, dimostrando che la tecnologia può essere una via concreta per la sostenibilità ambientale , non un suo contrario. > «Da noi stiamo cercando di creare un sistema di agricoltura rigenerativa», ha > raccontato. > «Abbiamo tanto terreno e vogliamo coltivarlo per riprenderlo, con colture che > rigenerano il suolo stesso. È importante accompagnare la natura con i nostri > processi, non sostituirla.» La rigenerazione del terreno circostante rappresenta così un’estensione naturale del progetto idroponico , un modo per ripristinare equilibrio e biodiversità anche agli spazi adiacenti. Poi ha aggiunto un’immagine che nasce proprio da Napoli: > «Prima di iniziare questa avventura abitavo in centro e, dal mio palazzo, > guardavo il golfo di Napoli ei Quartieri Spagnoli pensando a quanto cemento mi > circondasse. Da lì è nata l’idea: quanto verde potrebbe produrre, iniziando > dai tetti, creando anche una copertura termica naturale. Il nostro obiettivo è > rendere questo cemento sempre più verde.» Quell’idea oggi si è trasformata in un piccolo impianto al quartiere Arenella , con duecento piante che crescono in mezzo a quattro palazzi. Non è una grande serra, ma un inizio, un segno: la prova che anche nel cuore del cemento può nascere vita. UN PROGETTO ALLA PORTATA DI TUTTI Fiorillo ha raccontato con semplicità che solo pochi anni fa non avrebbe saputo piantare nemmeno una piantina di basilico. Oggi guida un’esperienza che mostra come l’idroponica possa essere alla portata di tutti, anche di chi non ha un giardino, ma solo un balcone o un terrazzo. Coltivare senza terra, ha spiegato, è un modo per riavvicinarsi alla natura , anche in città, e per comprenderne i processi con occhi nuovi. Nell’azienda Lympha , oltre alla produzione, si svolgono visite didattiche e attività formative dedicate a bambini e ragazzi delle scuole, che vengono accolti per scoprire da vicino come funziona la coltivazione fuori suolo. Sono esperienze che uniscono curiosità, stupore e consapevolezza: piccoli passi per formare le coscienze di domani. COLTIVARE CONOSCENZA, COLTIVARE FUTURO Le coltivazioni idroponiche e acquaponiche usano fino al 90% di acqua in meno rispetto a quelle tradizionali e permettono di produrre prodotti di alta qualità anche dove il terreno è inutilizzabile. Ma il loro valore non è solo tecnico: è simbolico. È la prova che si può cambiare, che l’innovazione può nascere dal rispetto. I PRINCIPALI VANTAGGI DELL’IDROPONICA I principali vantaggi della coltivazione idroponica includono un risparmio idrico e significativo energetico , un controllo completo sulla nutrizione delle piante , un uso efficiente dello spazio e la possibilità di coltivare in qualsiasi periodo dell’anno . Inoltre, elimina o riduce drasticamente la necessità di diserbanti e pesticidi , consente una produzione più rapida e produce raccolti più uniformi e puliti , privi di residui di terreno. Le ricerche confermano che i prodotti coltivati fuori suolo mantenendo gli stessi valori nutrizionali e organolettici di quelli cresciuti in piena terra, e in molti casi risultano più controllati e sicuri , perché privi di contaminazioni e seguiti in ogni fase di crescita. La pianta riceve esattamente ciò di cui ha bisogno, senza sprechi, e restituisce cibo sano e di qualità. UN MOVIMENTO CHE CRESCE NEL MONDO Quello che a Napoli è stato raccontato come esempio locale fa parte di un movimento internazionale in piena espansione. In Olanda , le serre idroponiche producono oltre il 40% delle verdure esportate in Europa. In Svezia e Finlandia stanno nascendo le farm verticali urbane, coltivazioni su più livelli illuminati da luci LED a basso consumo. A Singapore , l’idroponica è una strategia nazionale per la sicurezza alimentare, mentre in Giappone oltre duecento fabbriche di verdura integrano scuola, scienza e agricoltura. Persino nel deserto degli Emirati e in Arabia Saudita , l’acquaponica è diventata un modo per combattere la scarsità d’acqua e creare lavoro. Tutto questo mostra che il fuori suolo non è una moda, ma una possibile risposta ai cambiamenti climatici e alla perdita di terreno fertile . E soprattutto è un modo per educare, per mettere in rete persone, saperi e sogni. LA SFIDA: CREARE UNA RETE Chi coltiva in idroponica o acquaponica, però, si muove ancora in un quadro normativo incerto: mancano riconoscimenti ufficiali e certificazioni specifiche . Eppure, come è emerso anche dal confronto a FOQUS, la sfida più grande non è solo tecnica, ma umana : fare rete, costruire un progetto comune che unisca innovazione, ricerca e impegno educativo. Solo così queste esperienze potranno diventare un modello stabile, riconosciuto e condiviso, capace di generare un cambiamento reale nel modo in cui produciamo e conteniamo il cibo. DAL CEMENTO AL VERDE Il modello sperimentato da Lympha, insieme a tante realtà in Italia e nel mondo, dimostra che la speranza si può coltivare. È un approccio che unisce conoscenza e tecnologia, ma anche rispetto, visione e fiducia. Un modello che sta già dando i suoi frutti e che offre un incentivo in più per guardare al futuro con più coraggio, più fiducia e più desiderio di partecipare. Perché coltivare senza terra, in fondo, significa coltivare futuro .          FOQUS – Fondazione Quartieri Spagnoli         GEA – Giornate Educazione Ambiente         Linfa – Agricoltura idropica e rigenerativa * Cos’è la coltivazione idroponica – Wikipedia Lucia Montanaro
La “sostenibilità” delle famiglie, il ceto medio impoverito e il “mito” della fuga all’estero dei giovani
Si è concluso ed è stato presentato di recente il percorso di ricerca “Abitare un mondo sostenibile”, promosso dalle ACLI per indagare il rapporto tra famiglia e stili di vita sostenibili. L’iniziativa ha restituito uno spaccato prezioso e articolato di come le famiglie italiane vivano e interpretino la sostenibilità nelle proprie scelte quotidiane. Condotta nella primavera del 2024 su un campione rappresentativo di 1.052 famiglie italiane, l’indagine – di natura quantitativa – ha esplorato abitudini, comportamenti, motivazioni e ostacoli legati alla sostenibilità ambientale, economica e sociale nel contesto familiare. I risultati sono stati raccolti in un volume edito da Rubbettino. Dall’analisi emerge una diffusa sensibilità alla sostenibilità: per oltre il 70% del campione, gli stili di vita sostenibili rappresentano una scelta necessaria e quotidiana. Le pratiche indagate – dalla raccolta differenziata al consumo responsabile, dalla mobilità alternativa alla produzione di energia domestica – sono ormai parte integrante della quotidianità familiare, seppur con intensità differenti. La ricerca identifica tre profili familiari rispetto all’approccio alla sostenibilità: le famiglie eco-minimali (14,7%), che si attengono alle pratiche obbligatorie; le famiglie eco-realiste (50%), che conciliano sostenibilità e praticità; le famiglie eco-radicali (35,3%), che adottano uno stile di vita integralmente sostenibile. Particolare attenzione è stata riservata alle motivazioni psicologiche e culturali che guidano l’adozione di pratiche sostenibili, nonché alla relazione tra condizione economica e comportamenti ambientali. Contro ogni aspettativa, la sostenibilità si è rivelata più diffusa tra le famiglie economicamente vulnerabili, che sembrano riconoscervi una strategia di autodifesa e riscatto sociale. Al contrario, i ceti più abbienti appaiono più riluttanti verso cambiamenti strutturali dello stile di vita. Un dato importante che emerge riguarda l’eco-ansia e l’emotività associata alla crisi ambientale: è il mix di preoccupazione e fiducia a spingere le famiglie italiane ad agire con maggiore consapevolezza verso un futuro più sostenibile (https://www.acliroma.it/presentazione-volume-e-ricerca-acli-iref-abitare-un-mondo-sostenibile/).  Tra le conclusioni della ricerca vi è, tra l’altro, un riferimento all’impoverimento del ceto medio, che l’IREF, l’istituto di ricerca delle ACLI,  aveva già indagato con un report presentato a maggio scorso dal titolo “Sempre meno ceto medio”, dal quale emergeva uno scivolamento del ceto medio, ben il 10%, e quindi di coloro che hanno anche un lavoro, verso la povertà. “Tra il 2020 e il 2024, si sottolineava nella ricerca, la percentuale di famiglie appartenenti al ceto medio (reddito tra il 70% e il 200% del reddito mediano) è scesa dal 59,6% al 54,9%. In particolare, oltre 55.000 famiglie sono passate dal ceto medio al ceto inferiore. In sostanza il 10% delle famiglie del panel è passata dal ceto medio al ceto inferiore mentre solo lo 0,8% è riuscito a salire al ceto superiore” (https://www.acli.it/giornata-internazionale-della-famiglia-acli-iref-sempre-meno-ceto-medio-il-10-scivola-verso-il-basso/). E al ceto medio è dedicato anche un recente Rapporto Censis-Cid dal titolo “Rilanciare l’Italia dal ceto medio. Riconoscere competenze e merito, ripensare fisco e welfare”. “Non è più maggioranza, si legge nel Report, la quota di famiglie del ceto medio che si sente con le spalle coperte ed è significativa la quota che dichiara di avere reti di tutela molto o abbastanza fragili, alla mercé della moltiplicazione dei rischi e delle nuove incertezze. E questa instabilità economica, proiettata in avanti nel tempo, contribuisce a spiegare il nuovo mito nazionale dei genitori di ceto medio per i propri figli: che si trasferiscano all’estero per trovare un’attività professionale all’altezza del proprio livello culturale, su cui le famiglie investono con impegno sin dalle scuole dell’obbligo”. In estrema sintesi, il mito italiano tipico delle famiglie di ceto medio del nostro tempo è quello di  investire nella formazione dei figli per poi sperare in una loro buona collocazione in un paese diverso dall’Italia. E la voglia di fuga riguarda anche giovani di ceto medio senza alta qualificazione o elevato titolo di studio, per i quali i genitori sono convinti troverebbero più facilmente all’estero un lavoro qualsiasi e che, pertanto, sperano decidano di giocare il proprio progetto di vita in paesi più ospitali dell’Italia. In particolare, il 51,3% dei genitori di ceto medio è convinto che i propri figli e in generale i giovani farebbero meglio a cercare all’estero il lavoro per cui hanno studiato e/o che gli piace. Il 27,8% dei genitori che si autodefiniscono di ceto medio pensa anche che sarebbe opportuno per i figli, e in generale per i giovani italiani, trasferirsi all’estero per cercare un lavoro qualsiasi. Inoltre, il 35,1% dei genitori di ceto medio pensa che ai propri figli e ai giovani italiani converrebbe provare a realizzare all’estero il proprio progetto di vita perché l’Italia non è un Paese per giovani. Il 24,5% dei genitori di ceto medio apprezzerebbe poi che i propri figli frequentassero le scuole superiori all’estero, il 52,8% che i figli frequentassero l’università all’estero e il 71,6% ritiene positivo per i giovani laureandi un periodo in Erasmus, cioè un periodo di studio in una università di altri Paesi membri dell’UE. Qui per scaricare il Rapporto: https://www.censis.it/economia/rapporto-cida-censis.  Giovanni Caprio