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Genocidio palestinese: il solco fra società e governi
Il forte e crescente sostegno popolare nei confronti dei palestinesi, vittime del genocidio in atto, attraversa le città e i villaggi di gran parte del mondo. Al contempo cresce lo sdegno ed il distanziamento internazionale verso lo Stato d’Israele ed il suo governo razzista, assieme al boicottaggio economico, attraverso la campagna e la piattaforma BDS, che fornisce strumenti pratici per evitare di acquistare prodotti da ditte israeliane connesse o conniventi con lo Stato. Questa grande mobilitazione dal basso non trova però specchio, se non in minima parte, nell’impegno reale da parte delle istituzioni su ciò che sta accadendo a Gaza. Certo, ci sono stati numerosi municipi e regioni che hanno deliberato contro il genocidio e per il riconoscimento dello stato palestinese, hanno appeso la bandiera palestinese alle loro finestre, alcune università hanno interrotto collaborazioni con quelle israeliane, numerosissimi paesi stanno riconoscendo il diritto ad uno stato palestinese indipendente. Passi importanti, ma non di sostanza, di un’importanza tuttalpiù simbolica. Mentre si consuma il massacro genocida a Gaza, si evidenzia sempre di più il distacco fra società e governi, soprattutto in molti paesi europei, dove alla tracimante protesta popolare fa da contraltare l’immobilismo delle istituzioni pubbliche. Quel che accade attorno alla Global Sumud Flotilla è la cartina di tornasole di questo solco che si va approfondendo. Basti pensare che si il governo italiano ha inviato due navi militari nella zona di mare in cui sta viaggiando la flotta civile disarmata, ma ha badato a dichiarare che non hanno fini di scorta, ma esclusivamente di salvataggio in mare di eventuali feriti e naufraghi.  I governi europei appaiono sempre meno rappresentativi della reale posizione dei loro popoli. Comunque andranno poi le cose, la Flotilla ha già vinto la prima tappa: quella dell’uscire dall’anonimato e diventare un’entità civile internazionale degna di notizia e d’interesse politico. Sta coprendo, con la giusta audacia, lo spazio lasciato vuoto dai partiti, dando risalto alla forza disarmata della società che fa, agisce, senza aspettare l’inerzia degli Stati, o quella dell’ONU, paralizzato dalle grandi potenze.   La Sardegna sembra essere in prima fila nella mobilitazione a favore dei palestinesi e in sostegno alla Flotilla. Allo sciopero generale indetto con questi obiettivi il 22 settembre dall’Unione Sindacale di Base si è registrata una partecipazione senza precedenti, ma tutto il mese di settembre ha visto cortei per Gaza affollatissimi e chiassosi, letteralmente straripanti, in particolare a Cagliari, ma anche a Sassari e Nuoro, oltre che in numerosi comuni medio-piccoli. I sardi si sentono vicini ai palestinesi, non solo a causa di una nutrita presenza nell’isola di rifugiati palestinesi, ma anche per un’atavica solidarietà verso gli altri popoli vittime del colonialismo e dell’oppressione. Perché la Sardegna del colonialismo ha esperienza millenaria e, ancor oggi lo subisce come territorio stracolmo di basi militari, con continue esercitazioni, con poche industrie ma molto inquinanti, con le speculazioni turistiche e poi eoliche e fotovoltaiche, con il peso ambientale del gasdotto Therna, senza scordare quell’avamposto di morte fra Domusnovas e Iglesias, targato RWM. Giusto per dare un’idea. Quale popolo potrebbe comprendere meglio quello palestinese, dalla sponda nord del Mediterraneo, se non quello sardo? Vedremo come lo scollamento tra società civile e istituzioni dello Stato verrà gestita nel prossimo futuro dagli attori in causa. Ma l’urgenza su quanto accade ogni giorno in Palestina, ma anche in Sudan e in Ucraina, pone la politica di riarmo dell’Unione Europea in un cono d’ombra, fuori dal quale la sola luce a risplendere è quella delle azioni dal basso. Carlo Bellisai
Eirenefest Napoli: una tavola rotonda sul disarmo nucleare
Tavola Rotonda a IoCiSto È gremita la Sala intitolata a Giancarlo Siani nella Libreria IoCiSto che ha ospitato l’Eirenefest, il Festival del libro per la pace e la nonviolenza, per la prima volta a Napoli. Incontri, dibattiti, laboratori, presentazioni di libri, la parola condivisa, l’impegno che cercano di spezzare le sbarre dell’indifferenza. Giorni pieni, intensi, ricchi di emozioni, di confronto e consapevolezza. La partecipazione è altissima anche per la Tavola Rotonda sul disarmo nucleare nel Medioriente, sul punto delle campagne che chiedono l’abolizione delle armi nucleari e sull’impegno profuso in questa direzione negli anni. Ci sono i grandi protagonisti di queste campagne, Emanuela Bavazzano, padre Alex Zanotelli e Giorgio Ferrari che hanno presentato la Petizione “Medioriente senza armi nucleari” e hanno dato vita a un incontro che ha coinvolto i presenti con la narrazione attraverso gli anni delle battaglie condotte per la denuclearizzazione del Medioriente. Il racconto ha attraversato tanti passaggi storici e politici fornendo una visione ampia e chiarificatrice che giunge fino all’attuale situazione drammatica, all’azione genocidaria che Israele sta compiendo sotto gli occhi atterriti e sgomenti del mondo intero, o almeno della società civile del mondo intero. Un’analisi lucida e corredata da riferimenti e documenti ha svelato tanti aspetti sconosciuti alla gente comune, inquietanti per la portata del rischio che implicano ma giustificati e legittimati dal potere, dal profitto e dalle lobby industriali e militari. Emanuela Bavazzano, psicologa, psicoterapeuta, vicepresidente di Medicina Democratica, collaboratrice in progetti per il welfare, attivista nei movimenti per la pace e co-promotrice insieme con Giorgio Ferrari della campagna “Medioriente senza armi nucleari” , apre la Tavola Rotonda ricordando l’impegno di Angelo Baracca, fisico, attivista, impegnato nelle campagne contro le guerre e per il disarmo nucleare, che ha tracciato con i suoi numerosi scritti le linee guida dell’impegno antinucleare. L’informazione deve essere collettiva, portare all’azione, deve diventare Movimento” afferma la dottoressa Bavazzano, “per chiedere che l’Italia aderisca al Trattato per l’abrogazione del nucleare (TPNW). Pensando alla situazione in Palestina, alla sistematica violazione dei diritti più elementari, Angelo Baracca aveva lanciato negli ultimi suoi anni un appello oggi più che mai attuale e urgente: “Fermare la guerra e imporre la pace. Si sta correndo verso l’Apocalisse, solo l’eliminazione delle armi nucleari può evitarla.” Ma cos’è la Petizione? È un appello promosso da 26 associazioni italiane affinché l’Italia sia attiva nel processo di definizione di un Trattato ONU che istituisca nel Medioriente un’area libera da armi nucleari e da armi di distruzione di massa chimiche e biologiche. La Petizione è stata rivolta nel novembre 2024 alle massime istituzioni italiane: al Presidente della Repubblica, ai Presidenti del Senato e della Camera, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro degli Affari Esteri e ai gruppi parlamentari di Camera e Senato. Hanno aderito realtà associative, Ong, gruppi per la pace, movimenti civici. Lo spiega Giorgio Ferrari, esperto nucleare e sostenitore attivo di questo progetto, tra i primi firmatari degli appelli che chiedono all’Italia di non astenersi nelle votazioni ONU su questi temi. È l’anima promotrice della campagna per la Conferenza Permanente ONU per istituire una zona franca da armi nucleari nel Medioriente e che si terrà a novembre prossimo nella sesta sessione: “Bisogna chiedere che il Governo appoggi la Conferenza.” Ma cosa chiede la petizione? Creare urgentemente una zona libera da armi nucleari nel Medioriente, che tutti gli Stati della regione firmino e ratifichino il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW). Chiede che Israele dichiari e smantelli il suo arsenale nucleare mai dichiarato. “È il segreto di Pulcinella, lo conosciamo tutti” ha detto Ferrari. “Israele ha circa 80 testate nucleari, ma non lo ha mai riconosciuto ufficiale e non ha mai firmato il TPNW. Come ha potuto costruire l’arsenale che possiede? – si chiede il dott. Ferrari – sicuramente ci sono colpe gravissime dell’Occidente. Israele non fa parte del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari e dunque non si sente obbligato a un controllo internazionale, facendo riferimento al fatto che non c’è in Medioriente un contesto in cui la sua sicurezza sia garantita. Dunque, posizione ambigua ma inattaccabile.” Ferrari poi la posizione dell’Italia che analizza, pur dichiarandosi d’accordo con il TPNW, non lo ha firmato né ratificato, probabilmente a causa degli impegni nei confronti della NATO. Nel prossimo novembre 2025 a New York ci sarà la sesta sessione della Conferenza permanente per il disarmo nucleare, che dovrà, come da mandato ONU, dare seguito a quello che è un impegno ormai vecchio della diplomazia internazionale. Cosa ci si aspetta realisticamente da questa ennesima sessione? Un avanzamento, un documento più vincolante che impone impegni legali per gli Stati, incluso Israele, e che introduce misure concrete di trasparenza affinché l’impegno dichiarato presso l’ONU non resti solo dichiarativo. L’obiettivo della creazione di una zona libera da armi nucleari e di armi chimiche e biologiche di distruzione di massa in Medioriente risale alla risoluzione ONU del 2018 che ha dato vita alla Conferenza permanente, che in un contesto geopolitico altamente instabile assume una visione coraggiosa volta a coinvolgere tutti gli Stati della regione in un processo di disarmo multilaterale e trasparente. Lo spiega in modo chiaro Giorgio Ferrari che, anche per le sue specifiche conoscenze e competenze in campo nucleare, conosce i rischi ad esso collegati. Non ha mai smesso di spendersi per la campagna di denuclearizzazione e si batte in ogni contesto in un’opera di sensibilizzazione civile per focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica sul fatto che bisogna chiedere al Governo italiano che appoggi la Conferenza di novembre e non si astenga nelle votazioni ONU. “Il disarmo non è solo una questione di politica internazionale, ma un imperativo etico” – non ha dubbi Ferrari – “una Conferenza permanente per il Medioriente che lavori verso un trattato vincolante per rendere tutta l’area libera da armi nucleari, ma anche da quelle chimiche e biologiche di distruzione di massa, è senza dubbio da considerarsi esempio di diplomazia preventiva.” Nel 2018 l’ONU convocò per l’anno successivo la conferenza per l’istituzione di questa zona libera da armi nucleari e da altre armi di distruzione di massa , ma il processo di disarmo si è arenato e addirittura si è invertito perché tutti i Paesi hanno intrapreso programmi plurimiliardari di modernizzazione del sistema e degli armamenti nucleari. E così la Conferenza non ha trovato ancora attuazione anche per la mancanza di trasparenza di alcuni Stati e per i rifiuti di ispezioni. Ferrari denuncia la distanza tra le dichiarazioni e le attuazioni delle numerose risoluzioni ONU, che fanno fatica a tradursi in trattati vincolanti. La Petizione chiede fermamente un mutamento di questo atteggiamento, che il Governo italiano voti a favore del trattato e non si limiti ad astenersi. Tra i promotori della Petizione c’è, ancora una volta, padre Alex Zanotelli, voce storica del pacifismo italiano, simbolo instancabile di un impegno che non conosce tregua. E mentre il mondo torna a parlare di arsenali lui rilancia con forza la sua battaglia per abolire tutte le armi nucleari. Missionario delle periferie globali, attraversa i confini della politica e della fede e da anni chiede all’Italia e al mondo di voltare pagina: “Basta con le minacce atomiche.” Sembra un gigante la cui voce si staglia solitaria e spesso scomoda, oggi in particolare in un mondo segnato dai conflitti. Coerente con il suo pensiero antinucleare e radicato in una visione profondamente etica, testimone del Vangelo, ha denunciato la follia della deterrenza nucleare e l’ipocrisia delle potenze mondiali: “La deterrenza non può giustificare il possesso del nucleare”. È una denuncia che si sostiene di spiritualità e di impegno civile. “Il nucleare è l’espressione di un potere che mette a rischio la vita umana e la Terra stessa.” Ha spiegato infatti come sia falsa la narrazione del nucleare positivo per l’uso energetico, per i grandi rischi ambientali impliciti, per l’impatto sociale delle centrali che richiedono forti investimenti e sottraggono risorse alle energie rinnovabili, le uniche sostenibili. “Il complesso militare-industriale è il vero potere che comanda il mondo e la politica.” E con il pensiero rivolto alla Palestina e al dolore per la sorte dei palestinesi, si è dichiarato “scioccato” e non ha nascosto il dispiacere per la latitanza, il silenzio delle comunità cristiane che non reagiscono con fermezza di fronte all’orrore del genocidio, al fatto che la negazione della vita a Gaza è in netto contrasto con l’insegnamento e lo spirito del Vangelo, che è religione della Vita e della continua rinascita alla Vita. Ha voluto ricordare le parole di papa Francesco sulla questione della presunta “giustificazione” di una guerra e quando questa possa ritenersi giusta e legittima. E non si può scomodore Sant’Agostino stravolgendone il pensiero, contestualizzato in altra epoca, per trovarne un riferimento che legittima la guerra come male a volte necessario anche sul piano della fede. Padre Zanotelli rigetta questa tesi e ribadisce che mai la guerra può essere legittimata. “Bisogna capire bene il problema del nucleare: Israele possiede 70 bombe atomiche, la fine, il suicidio di Israele sarebbe il suicidio di tutto l’Occidente. Oggi davvero siamo sull’orlo dell’abisso, dominati dal paradigma: più armi, più guerre, più surriscaldamento globale del pianeta. Eppure, paradossalmente, l’Umanità ha un potere immenso su se stessa, sulla sua stessa possibilità di sopravvivenza, ma sta camminando verso il baratro. Se si continua sulla strada scelta si rischia di finire in un inverno nucleare o in un’estate infuocata.” E concludo, in piena sintonia con il pensiero di papa Francesco, che “non solo l’uso, ma perfino il possesso del nucleare è immorale”. Il dibattito che ne è seguito è stato partecipazione molto sia perché molte domande erano sconosciute a gran parte dei partecipanti, sia perché la conoscenza genera la consapevolezza che molti aspetti delle nostre vite non sono nelle nostre mani, ma in mani altrui che decidono per il nostro futuro senza che se ne abbia la percezione. “Diamoci da fare perché vinca la Vita” – ha esortato padre Zanotelli. La Tavola Rotonda ha aperto una prospettiva di conoscenza che non si esaurisce con la fine dell’incontro, ma si protrae con l’impegno: altri momenti ci saranno, ed è anche questo l’obiettivo dei relatori e del loro impegno civico, favorendo l’emergere di una coscienza civile che diventi sempre più consapevole e si riappropri dei diritti. Redazione Napoli
“E tu risplendi, invece”: riflessioni sulla pace da Ponticelli, Napoli
Brevi riflessioni sulla pace. È il 22 settembre 2025. Siamo a Napoli, presso Nureco Cooperativa Sociale (Ponticelli, Centro Polifunzionale Ciro Colonna). Un gruppo di operatori – psicologi, educatori e insegnanti – attivi in istituti scolastici diversi, si ritrova riunito durante lo sciopero nazionale per la pace. Nel mentre di una protesta collettiva contro guerre e deprivazioni nel mondo, si confrontano e dialogano per promuovere una prospettiva di nonviolenza civile e democratica: aspetti sensibili che sembrano ormai andare in caduta libera. Nella periferia orientale di Napoli, come in molte periferie del mondo, ci si sente sempre un po’ sotto assedio, sull’orlo della paura di un agguato possibile. La sensazione è quella di essere costantemente a rischio di un’imboscata. L’essere colti alla sprovvista, senza preavviso, da eventi inaspettati e imprevedibili, si realizza quasi quotidianamente. Lì, dietro l’angolo, si incontra il rischio di una minaccia di morte: la crudeltà, da parte di un altro essere umano, appare all’orizzonte molte volte sicura come l’alba. Il gruppo riflette quindi sul vissuto precario di chi vive ai margini della società e conosce l’esperienza del terrore: una potenziale e imminente catastrofe umana fatta di armi che distruggono e di sguardi morenti prima ancora che la morte concreta sopraggiunga. È la guerra attuale, che sembra una lunga e infinita agonia. È il nostro silenzio, rimasto tale per troppo tempo, che ha lasciato in solitudine i popoli oggi in guerra. È il nostro buonismo che ha creduto si potesse convivere con una pace momentanea e illusoria e che, invece, ha soffocato dolore e rabbia. Probabilmente l’indifferenza e il disinteresse verso conflitti armati protratti da tempo immemore, in forma latente, sono stati da sempre ingredienti velenosi di una violenza insidiosa, sotterranea, invisibile. Una violenza dalla quale ci crediamo immuni e lontani, pensando che riguardi gli altri e non noi. Forse per questo abbiamo rivolto attenzione e sgomento soltanto negli ultimi mesi, nei giorni più tragici di guerre e morti nel mondo, quando l’uomo sembra aver davvero smarrito la strada dell’umanità. Ma prima, noi dove eravamo? Una parte del gruppo ricorda che l’odio è un sentimento umano e, come tale, può incontrare la ragione e il senso di giustizia. Diverso è invece il vuoto che attraversa gli individui delle guerre contemporanee: l’essere inebetito di chi dice di combattere e che, nel suo lottare, distrugge e svilisce se stesso. Un vivere che svuota l’essenza dell’uomo e la sua esistenza nel mondo. In questo non c’è nulla di eroico. Le guerre a cui oggi assistiamo come eruzioni esplosive causate da un tempo lungo di incuria, con radici in un antico passato di cecità. Questo vissuto si presenta come un pericoloso automatismo dell’individuo, che va avanti nel mondo come fosse copia di qualcun altro, un replicante. Assistiamo a conflitti tra esseri senza corpo e senza anima, persone quasi irreali, la cui mente appare spesa. Una non-vita che aspira a cancellare se stessa e l’altro senza pietà. Chi distrugge sente di essere già stato distrutto: lo è il suo mondo interno, ridotto ad avanzo, a niente, a un non-desiderato. “Se io non posso esistere e vivere, nessun altro può.” Lo sterminio si ripete: l’altro è il sintomo da annientare. Le “nuove guerre” non hanno più soldati né civili: sono anticipo di guerre robotiche, se già non lo sono. La discussione alza un grido di allarme e resistenza contro la tentazione del potere attrattivo della distruttività, imponendo uno sguardo rivolto alla vita per sostenerla e celebrarla. Circolano parole poetiche che mettono in contatto l’animo umano con speranza e gioia come forme di resistenza. La precarietà, l’inafferrabile, l’impotenza diventano risorse necessarie da cui far partire una reale trasformabilità dell’essere. Il titolo, attraverso il prefisso ri- , vuole manifestare e reclamare il bisogno infantile di tornare al “prima”, dimenticando angosce e tormenti delle ingiustizie. Per noi diventa invece richiamo al senso di responsabilità e alla funzione del ricordo come contenitore di un dolore traumatico. Un contenitore inteso come nido e non come rifugio, da cui poter ripartire e vivere, finalmente. Ci chiediamo come mai siamo spesi e assuefatti alle barbarie, addormentati e anestetizzati da un antropocentrismo che non lascia spazio alla vita e non sa stare con l’altro; come mai, da sempre spaventati, non siamo mai davvero indignati e arrabbiati. Intanto, qui e adesso, abbiamo scoperto che è possibile la lotta nonviolenta: una lotta con criteri radicalmente diversi da quella armata, che non lascia feriti in fin di vita, e che risveglia – con uno sguardo “vigile e selvatico” – la cultura della libertà e della giustizia, dell’essere giusti al di là del buono e del cattivo. > “Adesso mi trovo faccia a faccia con la morte, ma non ho ancora concluso con > la vita.” > —Oliver Sacks Antonella Musella
Humanity 2, una nuova barca a vela per la ricerca e soccorso nel Mediterraneo
Con la barca a vela Humanity 2, l’organizzazione di ricerca e soccorso SOS Humanity, attiva da dieci anni, sta portando una seconda nave di soccorso nel Mediterraneo centrale. La barca a vela, lunga circa 24 metri, è attualmente in fase di acquisto da parte di SOS Humanity e sarà poi convertita. A partire dalla metà del 2026, la Humanity 2 colmerà un gap letale al largo delle coste tunisine come nave di soccorso e di monitoraggio. “Le rotte migratorie nel Mediterraneo stanno diventando sempre più pericolose perché l’UE paga i Paesi terzi per intercettare i rifugiati. Invece di salvare vite umane, l’Europa si sta isolando a tutti i costi e rendendo il Mediterraneo ancora più letale”, afferma Till Rummenhohl, amministratore delegato di SOS Humanity. “Nella zona marittima al largo della Tunisia si è creato un vuoto di operazioni di soccorso che mette a rischio la vita delle persone ed è caratterizzato da violazioni sistematiche dei diritti umani da parte della Guardia Costiera tunisina. Le imbarcazioni scompaiono senza lasciare traccia perché la Tunisia impedisce la ricognizione aerea e il Centro di coordinamento dei soccorsi tunisino non coordina adeguatamente i soccorsi. Le persone fuggono su imbarcazioni metalliche altamente pericolose che affondano rapidamente. Questa drammatica realtà ci spinge ad agire. Con la barca a vela Humanity 2 salveremo vite umane e documenteremo le violazioni dei diritti umani al largo della Tunisia, dove l’Europa sta fallendo. La nostra barca a vela è perfettamente complementare alla Humanity 1, che opera al largo della Libia. In questo modo saremo in grado di soccorrere più persone in pericolo in mare e aumentare la pressione sui responsabili”. Il veliero è attualmente ancora ormeggiato in un porto sulla costa francese, ma sarà trasferito in Sicilia nel mese di novembre e dovrebbe essere sottoposto a lavori di conversione presso il cantiere navale a partire da dicembre. SOS Humanity sta ora raccogliendo donazioni per finanziare il progetto. “Soprattutto ora che il nuovo governo federale tedesco ha tagliato tutti i finanziamenti statali, abbiamo più che mai bisogno del sostegno della società civile”, sottolinea Till Rummenhohl. “Siamo fermamente convinti che la maggioranza dei cittadini europei non voglia semplicemente lasciare annegare chi cerca protezione nel Mediterraneo. La società civile ci ha permesso di salvare oltre 39.000 persone in dieci anni e continuerà a sostenere il nostro lavoro di soccorso”. Questa solidarietà e umanità in azione dovrebbero servire da esempio ai politici. Dal 2015, l’UE e i suoi Stati membri non sono riusciti a istituire un programma europeo di ricerca e soccorso per porre fine alle morti nel Mediterraneo. Al contrario, sono complici di violazioni dei diritti umani e ostacolano deliberatamente il lavoro delle organizzazioni di soccorso in mare. Ma non ci faremo intimidire; continueremo con una seconda nave!”. Redazione Italia
Il parlamentare israeliano Ofer Cassif a Varese: “Bisogna resistere e continuare a sperare”
Nella serata di martedì 9 settembre, presso la sede dell’Associazione Varesina Un’altra storia, Anna Camposanpiero, responsabile esteri della segreteria nazionale del Partito della Rifondazione Comunista, ha presentato il Professor Ofer Cassif, deputato (attualmente sospeso) della Knesset (il Parlamento israeliano). Per la traduzione simultanea ha collaborato la professoressa Elisa Vergazzini. Ofer Cassif è l’unico ebreo tra i cinque parlamentari del gruppo di opposizione di Hadash (fronte democratico per la pace e l’uguaglianza) e membro del Partito Comunista di Israele. È professore di scienze politiche all’Università di Tel Aviv e da sempre si batte perché termini il genocidio dei palestinesi e l’occupazione israeliana delle terre di Palestina. La sala al numero 34 di via Cairo era piena: molte persone hanno partecipato e l’interesse dimostrato, anche con le domande nel dibattito finale, era evidente e fortemente sentito. La parole di testimonianza pronunciate da Ofer Cassis sono state importanti per comprendere meglio la situazione attuale dei palestinesi e per spronare la comunità internazionale alla manifestazione del dissenso verso il governo di estrema destra di Netanyahu. Ofer Cassif ha espresso gratitudine per la possibilità di far sentire la voce della sua gente, persone che urlano in un mondo che assiste silenzioso. Il genocidio che viene perpetrato da due anni sotto gli occhi di tutti riguarda tutta la popolazione palestinese, bambini che sono ormai solo “ombre con gli occhi”, medici, insegnanti, giornalisti colpiti volutamente, civili che non sanno più cosa fare e dove andare, che muoiono di fame.  Tutto questo scempio avviene sotto il cielo della storia e le giustificazioni da parte di Israele, che sostiene che tutto questo sia necessario per la propria difesa e sicurezza, sono solo un cumulo di bugie e di inganni. La distruzione di Gaza era già prevista dal 2017 nel piano Smotrich che poneva le basi teoriche della violenta pulizia etnica in corso, e l’attacco di Hamas del 7 ottobre 23 ha fornito la scusa per l’offensiva di Israele. L’obiettivo vero è l’occupazione totale delle terre palestinesi e l’annientamento degli abitanti, con il sacrificio anche degli ostaggi e dei soldati israeliani. Il messaggio di speranza di Ofer Cassif parla di un’opposizione che cresce; in questi due anni, nonostante la repressione della polizia, i licenziamenti mirati di chi si ribella, la retorica razzista dei media e le sospensioni e le accuse di impeachment dei parlamentari di opposizione, la società civile sta provando con tutte le sue forze a ribellarsi. Sono diverse le manifestazioni di dissenso interne al Paese: cortei silenziosi di persone che si riuniscono nelle piazze tenendo in mano le foto dei bambini uccisi a Gaza, giornalisti che iniziano a parlare più liberamente e a opporsi al massacro, nonostante le minacce. I sindacati e anche gli ex generali chiedono a Netanyahu di fermarsi. Ci sono sempre più obiettori di coscienza tra i giovani soldati e anche tra i riservisti chiamati a combattere. Anche se non si tratta ancora di grandi numeri, il discorso pubblico sta cambiando e il supporto cresce. Oltre al dissenso interno però occorre anche il supporto internazionale. La prima cosa da fare, secondo Ofer Cassif, è il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dai governi secondo il Diritto Internazionale. Ma oltre a questo occorrono azioni reali e concrete: sanzioni economiche e diplomatiche a Israele, embargo delle armi, mandati di arresto per crimini di guerra per i responsabili: Netanyahu , i suoi ministri e gli alti ufficiali. È indispensabile anche l’aiuto della gente civile organizzata, come sta facendo la Global Sumud Flotilla, che se anche non dovesse riuscire a raggiungere le coste palestinesi, porta con sé un carico di attenzione mediatica e di responsabilità dei governi che rappresenta. Gli ambasciatori da Israele  vanno ritirati, come hanno fatto Spagna e Colombia, ricorda Anna Camposanpiero. Bisogna anche rendere la mobilità degli israeliani negli altri Stati vincolata da visti speciali e porre sanzioni in attività come lo sport per le squadre israeliane, o nei progetti di collaborazione universitari, in modo da tenere alta l’attenzione e ostacolare l’ordinarietà della vita internazionale di Israele. Occorre un blocco storico e internazionale in opposizione al mondo fascista della destra israeliana e ai suoi alleati, in primis gli Stati Uniti di Trump. Ofer Cassif ha poi voluto esprimersi sugli argomenti di stretta attualità della giornata di ieri: l’attacco da parte di un drone alla barca “Familia Madeira” della Global Sumud Flotilla, battente bandiera portoghese al largo delle coste tunisine e l’attacco aereo a Doha contro i vertici di Hamas riuniti nella capitale del Qatar per discutere la proposta degli USA per porre fine alla guerra a Gaza. “Israele è il vicino bullo” ha detto Cassif. “Sta distruggendo Gaza da due anni, colpisce Paesi liberi e indipendenti, come la Tunisia o il Qatar senza che nessuno dica e faccia niente in barba al Diritto Internazionale e tutto questo è vergognoso. Siamo al totale collasso della Legge Internazionale ed è molto pericoloso”. In ultimo Cassif ha ricordato che discende da una famiglia sterminata dai nazisti e non potrà mai perdonare il fatto che ora la sua gente stia facendo questo ai palestinesi. Nella seconda parte della serata il pubblico ha fatto diverse domande. Ofer Cassif è stato molto disponibile e chiaro nelle risposte e nei commenti, tenendo quasi un’interessante lezione di filosofia politica. Non sono mancati i riferimenti al Principe di Macchiavelli, agli scritti di Gramsci e alle teorie di Marx. Ha sottolineato l’importanza di distinguere tra antisemitismo e antisionismo. Bisogna combattere l’antisemitismo, che è un crimine perché è una forma di razzismo contro chi è nato ebreo, e abbracciare l’antisionismo, che è un dovere poiché combatte un’ideologia di autodeterminazione con lo scopo di creare uno Stato ebraico in Palestina a costo della distribuzione totale dei palestinesi, come sta avvenendo oggi. Ha raccontato, su sollecitazione di un intervento, di un confronto con Ilan Pappé, storico e attivista critico con Israele per il conflitto israelo-palestinese: Pappé sostiene che per liberare la Palestina occorra prima eliminare il sionismo, mentre Cassif pensa che prima servirà liberare la Palestina e così si potrà eliminare definitivamente l’egemonia sionista. La Storia ci dirà chi ha ragione, perché il futuro è la soluzione di due popoli e due Stati, magari anche sotto forma di una confederazione; nonostante al momento tutto questo sembri improbabile, bisogna resistere e continuare a sperare. Foto di Federica Guglielmi Redazione Varese
Nasce in Sardegna il comitato “Insieme per la Pace disarmata”. Il 29 giugno la prima iniziativa al Teatro Sant’Eulalia di Cagliari
Pubblichiamo l’invito alla Conferenza stampa e il Comunicato del comitato “Insieme per la Pace disarmata”. Venerdì 20 giugno alle ore 10:30 al Teatro Sant’Eulalia, Via del Collegio 2 a Cagliari, si svolgerà la conferenza stampa del neonato comitato regionale “Insieme per la Pace disarmata”, composto da 60 organizzazioni di tutta la Sardegna. Durante la conferenza stampa saranno illustrate le motivazioni, i principi, i valori, le linee d’azione e le prossime iniziative del comitato, a partire dalla prima uscita pubblica, che si svolgerà il 29 giugno. Movimenti, comitati, partiti, collettivi, associazioni culturali, ambientaliste, sindacali e educative della Sardegna si sono unite per dare vita al Comitato “Insieme per la Pace disarmata”, un’alleanza ampia e trasversale che, al di là delle differenze, si riconosce nei valori della pace, della giustizia sociale, del ripudio della guerra e del rispetto dei diritti umani. Il 29 giugno 2025 “Insieme per la pace disarmata” terrà la sua prima Assemblea aperta dalle  9:30 al Teatro di Sant’Eulalia e la Serata artistica, dalle 18.00 in poi, nella piazza della stessa chiesa del quartiere Marina. La nascita del Comitato è frutto di un percorso di confronto condiviso, maturato in occasione dell’esercitazione militare Joint Stars 2025 e della contestata iniziativa “Open Day della Difesa” che si è svolta nel porto di Cagliari, col coinvolgimento diretto di scuole, famiglie, bambini e operatori sanitari. Eventi che hanno suscitato indignazione diffusa e portato a una presa di posizione collettiva. Nel documento fondativo del nuovo sodalizio – che sarà presentato nel corso della conferenza stampa e viene allegato a questo comunicato – le realtà promotrici denunciano il continuo utilizzo della Sardegna come teatro di guerra permanente. Si critica il ruolo marginale riservato alla cittadinanza nei processi decisionali, e si sottolinea la mancanza di trasparenza e confronto pubblico rispetto alle attività militari, che avvengono spesso nel silenzio o con la complicità delle istituzioni. Pur riconoscendo la complessità del contesto, il documento mette in discussione la tendenza a legittimare la presenza delle forze armate nei territori e richiama l’attenzione sul rischio di normalizzare la guerra, anche attraverso la strumentalizzazione di bisogni reali come l’accesso alla sanità o l’occupazione. Per le organizzazioni che compongono il comitato la costruzione della pace richiede contemporaneamente il rifiuto di ogni spettacolarizzazione degli armamenti, l’educazione dei giovani alla giustizia e alla risoluzione nonviolenta dei conflitti, il disarmo, il rispetto del diritto dei popoli all’autodeterminazione e l’attivazione di organi internazionali di garanzia che abbiano ben più potere di quelli attuali. Il Comitato “Insieme per la Pace disarmata” rivendica il diritto della Sardegna a un futuro di pace, fondato sulla riconversione economica, ambientale e sociale dei territori, sulla cura dei beni comuni, sulla partecipazione democratica e sul ripudio della guerra, uno dei principi fondamentali della Costituzione italiana ancora da attuare pienamente. Oltre 60 organizzazioni della società civile della sardegna insieme per la pace CONTATTI STAMPA: * Arnaldo Scarpa – 346 1275482 – arnaldoscarpa@gmail.com * Tina Argiolas – 347 9384860 – tina.argio@gmail.com Redazione Sardigna
Gaza, segnali importanti dalla società civile israeliana e non solo
Le principali associazioni e movimenti palestinesi in Italia hanno preso una posizione radicalmente critica rispetto alla manifestazione di oggi a Roma indetta dai partiti del centro-sinistra. Critiche condivisibili le quali, come riporta il quotidiano Domani in un articolo, evidenziano come ci si concentri esclusivamente su Netanyahu e il suo governo, ignorando che Gaza è “sotto assedio da 17 anni”, che da sempre “il popolo palestinese vive in un regime di segregazione razziale, che lo Stato israeliano ha costruito un’intera architettura giuridica e militare basata sulla negazione dell’altro”, aggiungendo che “una tregua senza giustizia non è che una interruzione temporanea dell’orrore”. Orrore che va ricondotto a ben prima del massacro del 7 ottobre da parte di Hamas, a decenni di colonizzazione e occupazione illegittima dei territori. Decenni in cui la società israeliana gradualmente si è ulteriormente involuta, con la conseguenza che l’attuale esecutivo è il naturale processo di queste dinamiche. Una parabola che il saggio di Daniel Bar-Tal, professore emerito di Psicologia politica all’università di Tel Aviv, pubblicato recentemente da Franco Angeli con il titolo “La trappola dei conflitti intrattabili” sottotitolo “Il caso israelo-palestinese”, analizza con precisione e dati alla mano; “…periodici sondaggi di opinione mostrano che la maggior parte del pubblico ebraico-isrealiano è d’accordo con affermazioni come:” Qualsiasi mezzo è lecito nella lotta di Israele contro il terrorismo palestinese (circa il 70%) o “tutta l’attività militare avviata da Israele è giustificata” (circa il 55%). Orientamenti evidenziati dalle varie tornate elettorali, tenendo presente che, come spiega Bar-Tal “negli anni Ottanta circa il 40% (comunque una minoranza ndr), si identificava con la sinistra e nel 2019, secondo la stessa ricerca condotta dallo stesso istituto, solo il 15% si identificava come tale.  La destra ha notevolmente aumentato il suo potere nel corso degli anni e nel 2020 oltre il 60% degli ebrei in Israele ha sostenuto la destra”. C’è da tenere presente che quando si parla di sinistra israeliana ci si riferisce a quella laburista, le cui politiche, quando ha governato, hanno perpetrato l’occupazione, non ostacolando la graduale espansione dei coloni nei territori palestinesi. Gli stessi “Accordi di Oslo” sono stati uno specchietto per le allodole, e la tripartizione nelle aree “A, B e C”, non ha sostanzialmente mutato l’assetto territoriale, anzi. Daniel Bar-Tal cita un sondaggio tra gli elettori laburisti del 2019 condotto dal quotidiano Haaretz dove seppure l’80% si dichiarava favorevole ai due Stati, solo il 41% si opponeva a qualsiasi annessione, mentre un 46% era favorevole all’annessione dell’Area C”. Tale scenario dopo il 7 ottobre è peggiorato drasticamente, e in questo anno e mezzo il contrasto al genocidio condotto dal governo israeliano è ricaduto principalmente sulle associazioni di base come Combatants for Peace, da anni attive contro l’occupazione. Questo fino a poco tempo fa, perché di fronte alla sistematica distruzione di Gaza e dei suoi abitanti, finalmente ci sono ampi segnali che anche la granitica opinione pubblica israeliana e la società civile stiano dando indicazioni importanti, fino alle ormai numerose prese di posizione dei riservisti e anche di autorevoli esponenti del mondo militare. Sul fronte dei movimenti di base, l’8 e il 9 maggio a Gerusalemme si è tenuto il People’s Peace Summit indetto da 60 gruppi sia israeliani che palestinesi, un evento che Pressenza ha ampiamente raccontato sin dai suoi preparativi, purtroppo ignorato o quasi, dalla maggior parte delle testate giornalistiche nazionali, ma questa purtroppo non è una novità. Così come sono aumentate le marce e manifestazioni con una crescente partecipazione, fino alla clamorosa iniziativa del movimento Standing together raccontata, unica testata, ieri dall’inviato di Avvenire Nello Scavo, che ha visto alcune migliaia di israeliani e arabo-israeliani dare vita ad una marcia fino ai valichi della Striscia di Gaza per portare cibo alla stremata popolazione palestinese. Insomma, sembra che finalmente la protesta stia uscendo dalla stretta cerchia dei gruppi di base per estendersi a settori sempre più ampi di Israele. Nonostante le acrobazie di Netanyahu si parla con insistenza della possibilità di elezioni politiche anticipate, anche se, come abbiamo fatto notare, un cambio di governo sarà in parte inutile se non si andrà alla radice della questione e soprattutto se nel resto del mondo non si riuscirà a costringere i criminali governi che sostengono e finanziano la politica genocida israeliana a interrompere qualunque tipo di partnership con lo Stato sionista, imponendo la stessa cosa ai grandi marchi industriali, come a suo tempo avvenne con il Sudafrica dell’apartheid.   Sergio Sinigaglia