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Nasce in Sardegna il comitato “Insieme per la Pace disarmata”. Il 29 giugno la prima iniziativa al Teatro Sant’Eulalia di Cagliari
Pubblichiamo l’invito alla Conferenza stampa e il Comunicato del comitato “Insieme per la Pace disarmata”. Venerdì 20 giugno alle ore 10:30 al Teatro Sant’Eulalia, Via del Collegio 2 a Cagliari, si svolgerà la conferenza stampa del neonato comitato regionale “Insieme per la Pace disarmata”, composto da 60 organizzazioni di tutta la Sardegna. Durante la conferenza stampa saranno illustrate le motivazioni, i principi, i valori, le linee d’azione e le prossime iniziative del comitato, a partire dalla prima uscita pubblica, che si svolgerà il 29 giugno. Movimenti, comitati, partiti, collettivi, associazioni culturali, ambientaliste, sindacali e educative della Sardegna si sono unite per dare vita al Comitato “Insieme per la Pace disarmata”, un’alleanza ampia e trasversale che, al di là delle differenze, si riconosce nei valori della pace, della giustizia sociale, del ripudio della guerra e del rispetto dei diritti umani. Il 29 giugno 2025 “Insieme per la pace disarmata” terrà la sua prima Assemblea aperta dalle  9:30 al Teatro di Sant’Eulalia e la Serata artistica, dalle 18.00 in poi, nella piazza della stessa chiesa del quartiere Marina. La nascita del Comitato è frutto di un percorso di confronto condiviso, maturato in occasione dell’esercitazione militare Joint Stars 2025 e della contestata iniziativa “Open Day della Difesa” che si è svolta nel porto di Cagliari, col coinvolgimento diretto di scuole, famiglie, bambini e operatori sanitari. Eventi che hanno suscitato indignazione diffusa e portato a una presa di posizione collettiva. Nel documento fondativo del nuovo sodalizio – che sarà presentato nel corso della conferenza stampa e viene allegato a questo comunicato – le realtà promotrici denunciano il continuo utilizzo della Sardegna come teatro di guerra permanente. Si critica il ruolo marginale riservato alla cittadinanza nei processi decisionali, e si sottolinea la mancanza di trasparenza e confronto pubblico rispetto alle attività militari, che avvengono spesso nel silenzio o con la complicità delle istituzioni. Pur riconoscendo la complessità del contesto, il documento mette in discussione la tendenza a legittimare la presenza delle forze armate nei territori e richiama l’attenzione sul rischio di normalizzare la guerra, anche attraverso la strumentalizzazione di bisogni reali come l’accesso alla sanità o l’occupazione. Per le organizzazioni che compongono il comitato la costruzione della pace richiede contemporaneamente il rifiuto di ogni spettacolarizzazione degli armamenti, l’educazione dei giovani alla giustizia e alla risoluzione nonviolenta dei conflitti, il disarmo, il rispetto del diritto dei popoli all’autodeterminazione e l’attivazione di organi internazionali di garanzia che abbiano ben più potere di quelli attuali. Il Comitato “Insieme per la Pace disarmata” rivendica il diritto della Sardegna a un futuro di pace, fondato sulla riconversione economica, ambientale e sociale dei territori, sulla cura dei beni comuni, sulla partecipazione democratica e sul ripudio della guerra, uno dei principi fondamentali della Costituzione italiana ancora da attuare pienamente. Oltre 60 organizzazioni della società civile della sardegna insieme per la pace CONTATTI STAMPA: * Arnaldo Scarpa – 346 1275482 – arnaldoscarpa@gmail.com * Tina Argiolas – 347 9384860 – tina.argio@gmail.com Redazione Sardigna
Gaza, segnali importanti dalla società civile israeliana e non solo
Le principali associazioni e movimenti palestinesi in Italia hanno preso una posizione radicalmente critica rispetto alla manifestazione di oggi a Roma indetta dai partiti del centro-sinistra. Critiche condivisibili le quali, come riporta il quotidiano Domani in un articolo, evidenziano come ci si concentri esclusivamente su Netanyahu e il suo governo, ignorando che Gaza è “sotto assedio da 17 anni”, che da sempre “il popolo palestinese vive in un regime di segregazione razziale, che lo Stato israeliano ha costruito un’intera architettura giuridica e militare basata sulla negazione dell’altro”, aggiungendo che “una tregua senza giustizia non è che una interruzione temporanea dell’orrore”. Orrore che va ricondotto a ben prima del massacro del 7 ottobre da parte di Hamas, a decenni di colonizzazione e occupazione illegittima dei territori. Decenni in cui la società israeliana gradualmente si è ulteriormente involuta, con la conseguenza che l’attuale esecutivo è il naturale processo di queste dinamiche. Una parabola che il saggio di Daniel Bar-Tal, professore emerito di Psicologia politica all’università di Tel Aviv, pubblicato recentemente da Franco Angeli con il titolo “La trappola dei conflitti intrattabili” sottotitolo “Il caso israelo-palestinese”, analizza con precisione e dati alla mano; “…periodici sondaggi di opinione mostrano che la maggior parte del pubblico ebraico-isrealiano è d’accordo con affermazioni come:” Qualsiasi mezzo è lecito nella lotta di Israele contro il terrorismo palestinese (circa il 70%) o “tutta l’attività militare avviata da Israele è giustificata” (circa il 55%). Orientamenti evidenziati dalle varie tornate elettorali, tenendo presente che, come spiega Bar-Tal “negli anni Ottanta circa il 40% (comunque una minoranza ndr), si identificava con la sinistra e nel 2019, secondo la stessa ricerca condotta dallo stesso istituto, solo il 15% si identificava come tale.  La destra ha notevolmente aumentato il suo potere nel corso degli anni e nel 2020 oltre il 60% degli ebrei in Israele ha sostenuto la destra”. C’è da tenere presente che quando si parla di sinistra israeliana ci si riferisce a quella laburista, le cui politiche, quando ha governato, hanno perpetrato l’occupazione, non ostacolando la graduale espansione dei coloni nei territori palestinesi. Gli stessi “Accordi di Oslo” sono stati uno specchietto per le allodole, e la tripartizione nelle aree “A, B e C”, non ha sostanzialmente mutato l’assetto territoriale, anzi. Daniel Bar-Tal cita un sondaggio tra gli elettori laburisti del 2019 condotto dal quotidiano Haaretz dove seppure l’80% si dichiarava favorevole ai due Stati, solo il 41% si opponeva a qualsiasi annessione, mentre un 46% era favorevole all’annessione dell’Area C”. Tale scenario dopo il 7 ottobre è peggiorato drasticamente, e in questo anno e mezzo il contrasto al genocidio condotto dal governo israeliano è ricaduto principalmente sulle associazioni di base come Combatants for Peace, da anni attive contro l’occupazione. Questo fino a poco tempo fa, perché di fronte alla sistematica distruzione di Gaza e dei suoi abitanti, finalmente ci sono ampi segnali che anche la granitica opinione pubblica israeliana e la società civile stiano dando indicazioni importanti, fino alle ormai numerose prese di posizione dei riservisti e anche di autorevoli esponenti del mondo militare. Sul fronte dei movimenti di base, l’8 e il 9 maggio a Gerusalemme si è tenuto il People’s Peace Summit indetto da 60 gruppi sia israeliani che palestinesi, un evento che Pressenza ha ampiamente raccontato sin dai suoi preparativi, purtroppo ignorato o quasi, dalla maggior parte delle testate giornalistiche nazionali, ma questa purtroppo non è una novità. Così come sono aumentate le marce e manifestazioni con una crescente partecipazione, fino alla clamorosa iniziativa del movimento Standing together raccontata, unica testata, ieri dall’inviato di Avvenire Nello Scavo, che ha visto alcune migliaia di israeliani e arabo-israeliani dare vita ad una marcia fino ai valichi della Striscia di Gaza per portare cibo alla stremata popolazione palestinese. Insomma, sembra che finalmente la protesta stia uscendo dalla stretta cerchia dei gruppi di base per estendersi a settori sempre più ampi di Israele. Nonostante le acrobazie di Netanyahu si parla con insistenza della possibilità di elezioni politiche anticipate, anche se, come abbiamo fatto notare, un cambio di governo sarà in parte inutile se non si andrà alla radice della questione e soprattutto se nel resto del mondo non si riuscirà a costringere i criminali governi che sostengono e finanziano la politica genocida israeliana a interrompere qualunque tipo di partnership con lo Stato sionista, imponendo la stessa cosa ai grandi marchi industriali, come a suo tempo avvenne con il Sudafrica dell’apartheid.   Sergio Sinigaglia