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[2025-12-04] Amomamma. Il carcere visto attraverso il tatuaggio @ CSOA Forte Prenestino
AMOMAMMA. IL CARCERE VISTO ATTRAVERSO IL TATUAGGIO CSOA Forte Prenestino - via Federico delpino, Roma, Italy (giovedì, 4 dicembre 18:30) CSOA FORTE PRENESTINO GIO 4 DIC 2025 H 18.30 FORTEINFOSHOP & TATTOOLAB presentano: Amomamma Il carcere visto attraverso il tatuaggio (Meltemi) Intervengono le autrici/l’autore Daniela Attili Paola Bevere Gabriele Donnini e l’editore Manolo Morlacchi ... Scrivere sulla propria pelle è una pratica che risale a migliaia di anni fa. Il volume indaga le caratteristiche di comunicazione, autodeterminazione ed esercizio di libertà legate a questa pratica, mettendone in luce – grazie a una pluralità di punti di vista – le implicazioni all’interno degli istituti penitenziari. ... Sala da tè InTHErferenze csoa Forte Prenestino via Federico Delpino Centocelle https://forteprenestino.net/attivita/infoshop/3485-amomamma
Tronchese
Contro le sbarre, da entrambi i lati.
Al bivio tra violenza e non violenza
Antonio Minaldi è un autore assai prolifico, scrive con fluidità e riesce a catturare i suoi lettori. Inoltre, nei suoi scritti troviamo una grande passione etica e politica sicuramente da apprezzare. Nel caso di questo libro “Gandhi ad Auschwitz. Elogio della nonviolenza e le sue problematiche”, Antonio ripercorre la sua vicenda umana e in particolare la sua partecipazione agli eventi politici a partire da 1968 fino ai ai nostri giorni. È abbastanza normale che qualcuno, protagonista di importanti vicende storiche, senta la voglia di raccontarle e di trasmettere la sua esperienza in modo che gli altri, soprattutto i giovani, ne possano ricavare qualcosa di buono. Dicevo il libro costituisce un elogio del pacifismo ed ovviamente non sarò certo io a non condividere tale atteggiamento, però nello stesso tempo Antonio riconosce che ci sono una serie di problematiche inerenti ad esso. Illustrerò prima brevemente il contenuto del libro e poi farò una serie di considerazioni, che si fondano su quanto è anche  stato scritto da Antonio e che riguarda la relazione tra pacifismo e contesto storico. Il pacifismo di Antonio è il frutto di una sorta di ripensamento. Racconta che quando ha cominciato a fare politica era convinto che, per cambiare il sistema sociale nel quale viviamo, fosse opportuno un atto rivoluzionario, il quale in un modo o in un altro inevitabilmente implicasse una qualche forma di violenza. Oggi dichiara di aver abbandonato questo presupposto condiviso da molti, ma bisogna dire non da tutti coloro che si collocano nei cosiddetti movimenti di sinistra. Si potrebbe affermare che il mondo di sinistra è estremamente sfumato e presenta tendenze contraddittorie. Per esempio, soddisfatto dalla forza raggiunta dal Partito Socialdemocratico tedesco, Engels giunse ad ipotizzare che sarebbe stato anche possibile arrivare ad un ribaltamento sociale attraverso una vittoria elettorale, proponendo quindi una prospettiva riformista. Inoltre, inizialmente, i socialdemocratici tedeschi si opposero alla Prima guerra mondiale per poi capitolare tristemente, mentre Karl Liebnecht e Rosa Luxembourg pagarono con la vita il loro antimilitarismo.  Purtroppo la storia ci ha insegnato che le vittorie elettorali non sono sufficienti a sostenere un cambiamento radicale della società, perché le forze sconfitte possono facilmente tornare alla ribalta. Basti pensare alle vicende cilene e al tragico colpo di Stato contro il governo Allende. Qualcosa di simile sta accadendo proprio sotto i nostri occhi con l’attacco statunitense al Venezuela, scatenato dal signor Trump che sta addirittura violando la legge degli Usa, perché  sta intraprendendo azioni militari senza aver consultato il Congresso. Ma torniamo al libro di Minaldi e a Gandhi. In primo luogo Minaldi mette in discussione un’opinione abbastanza comune, secondo la quale la nonviolenza vince, quando ormai la vittoria è scontata, come nel caso dell’India o nel caso di Martin Luther King da lui citati. In realtà si potrebbe dire che in India non vinse la nonviolenza: Gandhi stesso fu ucciso e i conflitti tra le diverse componenti etniche sono stati sanguinosi e non si sono ricomposti. Per Antonio la nonviolenza costituisce un principio etico quasi inerente alla nostra stessa natura di esseri umani, ossia esseri sociali e cooperativi, i quali proprio per questa caratteristica sviluppano comportamenti solidaristici nei confronti dei loro simili. Minaldi sostiene che a partire dall’Olocene  (11.700 anni fa) con la cosiddetta Rivoluzione agricola l’uomo avrebbe imposto il suo dominio sulla natura, e in questo modo si sarebbe affermata quello che lui chiama il dominio dell’uomo sulla natura e sugli altri. A suo parere questo costituisce il filo rosso che attraversa tutta la storia umana. Si potrebbe osservare che, già nel momento in cui l’uomo era cacciatore e raccoglitore, già esercitava una sorta di potere sulla natura, in quanto si appropriava dei suoi frutti per riprodursi. Ma qual è la differenza tra la violenza presente nella società capitalistica e la violenza precapitalistica? L’economista Robert Gordon sostiene che dal 1300 al 1700 non c’è stata nessuna crescita economica, mentre a partire dalla Rivoluzione industriale fino al 1950 la crescita è stata straordinaria con conseguenze dirompenti sugli esseri umani e sulla natura, che sono divenuti oggetto di una violenza industriale. La quale ha partorito tutti quei micidiali apparati bellici che oggi purtroppo vediamo in opera. Una volta stabilito che la nonviolenza è un principio etico, Minaldi mette in evidenza la difficoltà di rispettarlo, sottolineando che in certi casi questo rispetto potrebbe trasformarsi anche in un’auto sacrificio. Per esempio, Gandhi avrebbe potuto idealmente immolarsi per impedire lo sterminio portato avanti dai nazisti. A suo parere tale gesto non sarebbe stato un gesto inutile in quanto avrebbe riaffermato un valore ineludibile e avrebbe costituito un esempio per tutti coloro che volessero ispirarsi ai principi della nonviolenza. Tuttavia, Minaldi riconosce che, se il sacrificio può essere un gesto individuale è assai difficile che esso si trasformi in un gesto collettivo in base al quale una certa comunità subisce passivamente una violenza su di essa esercitata. In questo caso è inevitabile pensare ai palestinesi, al 7 ottobre di Hamas e alla feroce reazione dello Stato d’Israele. Da queste constatazioni il nostro autore ricava quanto cito testualmente: la nonviolenza si trova sempre in bilico tra l’esigenza di riaffermare la primazia dei valori e la nuda realtà delle cose imposta dal realismo della pratica politica. Proprio per questa ambiguità egli trova del tutto accettabile, anche da parte di un non violento, il fatto che si verifichino situazioni estreme nelle quali unicamente a scopo difensivo è legittimo rispondere ad un’aggressione indebita con la violenza. Ciò è quanto prevede il diritto penale a proposito della legittima difesa: vi sono situazioni in cui per difendersi non c’è altro mezzo che il ricorso alla violenza. A mio parere questa posizione è del tutto condivisibile. Infatti, credo che la nonviolenza, là dove è praticabile e può essere efficace, deve essere impiegata, là dove queste condizioni, invece, non si danno e dove non c’è via di scampo, si deve ricorrere alla violenza. In questo senso violenza e non violenza sono atteggiamenti da contestualizzare.  D’altra parte è difficile affermare che sia stata soltanto l’opera di Gandhi a portare alla indipendenza dell’India. Ci sono stati sicuramente molti altri fattori, come per esempio, la debolezza dell’esercito britannico che in gran parte era costituito da indiani, i quali erano stati mandati a combattere nella prima e nella seconda guerra mondiale con tantissime perdite. Inoltre, c’erano anche altri leader politici, in particolare musulmani, che invece portavano avanti la battaglia per l’indipendenza con modelli e progetti diversi.  Paradossalmente dopo la morte di Gandhi, avvenuta per un omicidio, l’India fu teatro di gravi violenze che si concretarono nell’assassinio di importanti leader politici, e che riguardarono anche i conflitti tra le diverse entità etniche presenti nel subcontinente indiano; in particolare il conflitto mai del tutto risolto tra la componente musulmana e quella hindu. Per esprimere meglio la mia idea di contestualizzazione della nonviolenza e della violenza, voglio fare il parallelo tra la importante figura di Gandhi, ispirata da Lev Tolstoj, e un’altra significativa figura di leader politico situata però in tutt’altro contesto storico. Anche lui, profondamente cristiano, si trovò di fronte alla scelta assai difficile tra la violenza e la nonviolenza. Mi riferisco al sacerdote, sociologo, uomo politico colombiano Camillo Torres Restrepo, il quale riteneva che il nucleo del Vangelo fosse la creazione del Regno di Dio in terra. Per l’opposizione della gerarchia ecclesiastica abbandonò il sacerdozio nel 1965, nello stesso anno fondò il settimanale Frente Unido, che aveva lo stesso nome della sua organizzazione politica. Resosi conto che le forze oligarchiche e reazionarie della Colombia non gli avrebbero permesso nessuna azione politica, Torres optò per la lotta armata e si unì ai guerriglieri dell’Esercito di Liberazione Nazionale, gruppo che si ispirava alla Rivoluzione cubana del 1959. Dopo solo un mese di militanza,  fu ucciso il 15 febbraio 1966 dall’esercito nel suo primo giorno di battaglia. Come si vede non è facile scegliere tra violenza e nonviolenza e soprattutto è arduo prevedere le conseguenze della scelta fatta.  Al breve saggio di Minaldi seguono alcune considerazioni di Olivier Turquet, per il quale il primo passo verso la nonviolenza consiste nello scoprire la violenza che si nasconde dentro di noi. Antonio Minaldi, Gandhi ad Aushwitz, elogio della Nonviolenza (e sue problematiche), Multimage 2025 Alessandra Ciattini Redazione Italia
[2025-11-06] "C’ERAVAMO TANTO AMATI" • incontro con Valerio Mattioli sui formidabili anni Novanta @ CSOA Forte Prenestino
"C’ERAVAMO TANTO AMATI" • INCONTRO CON VALERIO MATTIOLI SUI FORMIDABILI ANNI NOVANTA CSOA Forte Prenestino - via Federico delpino, Roma, Italy (giovedì, 6 novembre 19:00) CSOA Forte Prenestino giovedì 6 novembre 2025 Forte Infoshop presenta dalle ore 19:00 all’aperitivo in sala da tè InTHErferenze "C’ERAVAMO TANTO AMATI" un incontro con Valerio Mattioli sui formidabili anni novanta -> prima e dopo sonorizzazioni a cura di Valerio Mattioli .... Vieni e fai venire! https://forteprenestino.net/attivita/infoshop/info-shop-podcast/3448-c-eravamo-tanto-amati https://www.instagram.com/p/DQl1k6bDEvm/?igsh=c2o5dnBiODZpNXkz
Dolci, la maieutica reciproca, l’attualità pedagogica
Le edizioni Mesogea hanno pubblicato recentemente Educare e disobbedire: in dialogo con Danilo Dolci di Tiziana Rita Morgante che di Dolci è stata allieva. Nel panorama attuale di una pedagogia e di una didattica appiattita sulle procedure e sulle nozioni, una situazione della scuola italiana (ma non solo) profondamente in crisi nel suo ruolo e nei suoi obiettivi il libro di Tiziana appare come una luce nell’oscurità. L’autrice parte dalla sua esperienza di conoscenza diretta di Dolci per tracciare non solo i temi della maieutica reciproca che Dolci differenzia dalla maieutica classica socratica, dandole quest’aspetto collettivo ed anche organizzativo ma anche per esaminare e comprendere le relazioni, a volte dirette, altre indirette, che legano il Maestro di Trappeto a Rodari, Lodi, Manzi, Freire, Montessori, Milani. Una interessantissima disamina che cerca di tracciare alcuni elementi di una storia della pedagogia attiva che si stava delineando in quei tempi e non solo in Italia. Un bellissimo momento è la trascrizione di un dialogo a un convegno a Trappeto dove Freire e Galtung parlano insieme a Dolci e ad altri pedagoghi di alcune tematiche cruciali che si stavano discutendo in quei tempi. Ma l’aspetto più interessante del libro è il fatto che esso si intreccia con riflessioni e pratiche che Tiziana, in quanto maestra, svolge con i suoi alunni. Mi ha colpito in particolare quella dove la maestra porta i bambini a confrontarsi con la splendida ma difficile poesia di Danilo Poema Umano dove si esprime il famoso concetto ciascuno cresce solo se è sognato: attività proposte in due momenti (attentato Bataclan e pandemia Covid) dove la violenza si presenta in modo crudo e deciso ma dove il percorso maieutico reciproco porta i bambini a conclusioni e riflessioni di altissimo livello umano. Il libro verrà presentato all’interno di un dibattito su Danilo Dolci a Eirenefest Firenze il prossimo sabato 25 Ottobre alle 16.45 presso BiblioteCaNova. Olivier Turquet
brigate negre
Un racconto utopico/dispotico dove un gruppo di migranti decidono di distruggere e assaltare i luoghi della repressione e del dominio: la questura e il cpr. Luoghi dove tanti di loro sono stati umiliati nelle procedure burocratiche, o schiavizzati come lavoratori, o rinchiusi e torturati per il delitto di non aver i documenti in regola. Questo […]
gli spalloni in Val d’Ossola
La Val d’Ossola è sempre stato un territorio periferico che difficilmente i governi centrali, anche quello dell’unità d’Italia, sono riusciti a inglobare all’interno della propria cultura e dei processi politici. Zona di confine, tra quelle montagne la figura dello spallone era parte integrante della popolazione e dell’economia della montagna e nelle sue traversate con la […]
[2025-10-24] INCOGNITA K • Free tekno e cospirazioni in cassa dritta @ CSOA Forte Prenestino
INCOGNITA K • FREE TEKNO E COSPIRAZIONI IN CASSA DRITTA CSOA Forte Prenestino - via Federico delpino, Roma, Italy (venerdì, 24 ottobre 19:00) CSO FORTE PRENESTINO venerdì  24 OTTOBRE 2025 dalle ore 19.00 Forte Infoshop presenta il libro edito da Agenzia X INCOGNITA K Free tekno e cospirazioni in cassa dritta con • Ana Nitu (Autrice di Incognita K) • Chiara Cocci (Rdr Famigliatek e Autrice in Incognita K) • Antonio Prugno Siniscalchi (Autore in Incognita K) • Paola Iavarone (Autrice in Incognita K) • Ciro Del Lungo (Autore in Incognita K) • Sara Dralion (Vj E Intervistata in Incognita K) a seguire djset con Verso Pzk e Nko Banchetti & Distro • Riduzione Rischio • Banchetto Incognita K + Fotografie & Autoproduzioni • Altered States • Karma Factory • Manicomio  • Leather D -> musica fino alle 1:30 <- VIENI E FAI VENIRE! ............... INCOGNITA K Free tekno e cospirazioni in cassa dritta Bisogna sporcarsi le mani per superare lo scarto. Dopo il Witchtek di Modena, il decreto antirave rende i free party punibili con il carcere. Improvvisamente la scena tekno si trova a fare i conti con una realtà sempre più distopica e opprimente. Per sopravvivere al deserto creato dalla repressione deve pensare a nuove strategie. Ma come resistere al controllo e all’iper-sorveglianza? Come organizzare la prossima occupazione in cassa dritta? E dove? La nascita di Smash Repression, una rete nazionale che riunisce alcune crew organizzando street parade, è la prima risposta. Incognita K spiega e accompagna questo difficile passaggio attraverso una ragnatela di saggi e testimonianze in cui si mischiano cospirazioni psichiche alterate e lucide analisi sociali, un testo critico che si pone dei quesiti su come evitare l’onda di demenza diffusa che si sta abbattendo sul nostro presente. Storie individuali e collettive per leggere le convulsioni di un movimento che da sempre si contrappone all’individualismo con l’unico muro che non divide, quello di casse. Nella guerriglia artistica e musicale coagulano rivendicazioni, amori, dolori, dubbi, rabbie, sogni lisergici e piaceri sintetici. La politica si intreccia al godimento in una danza p/ossessiva dando vita a pianeti stroboscopici che oscillano tra neotribalismo e postumano, capaci di custodire ancora quella che forse è l’ultima utopia concreta rimasta. https://www.agenziax.it/incognita-k ......... https://forteprenestino.net/attivita/3432-incognita-k
Alzheimer, quello che si può fare. Intervista a Silvia Nocera
Il 5 ottobre, al Cineteatro di Adrara San Martino (BG) – con il Patronicio del Comune, della Biblioteca comunale, di Pressenza Italia, di Multimage, del Centro Famiglia Sebino, del Centro Il Passatempo e dell’Ambito Monte Bronzone Basso Sebino di Comunità Montana dei Laghi Bergamaschi – è stato presentato il libro  “AAA cercasi memoria perduta. L’avventura interiore di chi accompagna  una persona cara affetta da Alzheimer (o da una delle altre forme di  demenza)” in presenza della scrittrice Silvia Nocera. Questo libro è un po’ un compendio, sfugge alle categorie ed è rivolto a chi, per una ragione o per un’altra, vuole sapere, vuole capire, vuole avere delle informazioni su cosa accade quando una forma di demenza bussa alla porta. I frammenti di vita e di conoscenze contenuti in questo testo possono dare un’idea dell’avventura interiore di chi affronta questo male epocale, celebrando la profonda umanità di chi ne è affetto. Cosa si può fare di fronte all’Alzheimer? A questo interrogativo rispondiamo con Silvia Nocera, nata a Firenze nel 1968, scrittrice, filosofa umanista, educatrice e traduttrice freelance. Da sempre impegnata nel superamento della sofferenza personale e sociale, è stata Responsabile dello sviluppo italiano dell’Associazione Centro delle Culture fino al 2007. Aderente alla corrente filosofica del Nuovo Umanesimo Universalista del filosofo argentino Mario Luis Rodriguez Cobòs (detto Silo), è stata membro attivo del Movimento Umanista in diversi progetti di cooperazione umanitaria in Senegal e Perù, dove ha vissuto per dieci anni. Dal 2009 è Messaggera di Silo. Giornalista di Pressenza Italia, raccoglie i suoi pensieri e i suoi scritti sul sito silvianocera.net. E’ autrice di molteplici libri sui temi della sofferenza umana e della discriminazione, con Multimage – Casa Editrice dei Diritti Umani ha scritto: “A proposito di Errore. Saggio quasi serio e quasi saggio”, “Didi e l’amore eterno”, “Oltre la soglia”, “Segnali dal mondo dei significati”, “Gli  eletti e l’essenza della discriminazione”, “Nove storie”. Con Pressenza Italia ha prodotto il documentario Non Ti Scordar di Me, regia di Eric Souqi, sul tema dell’Alzheimer. Come è nata l’esigenza di scrivere questo libro? Quando nostra madre ha ricevuto la diagnosi di Alzheimer ho letto tutto quello che ho potuto per documentarmi su questa patologia. Con mia sorella abbiamo trovato molta letteratura medica diretta ai caregiver, su consiglio della nostra geriatra e cercando sui siti delle associazioni create dai parenti che spesso producono molto materiale divulgativo. Erano descritte chiaramente le fasi della malattia e tutti i tipi di disturbi che la possono accompagnare, sempre con la consapevolezza che ogni caso ha le sue particolarità. Cerano anche molti suggerimenti su come accudire un malato di Alzheimer, su come era meglio comportarsi nell’assistenza. Poiché nella pratica quotidiana sperimentavamo molte difficoltà a seguire sempre quei suggerimenti, ho cercato della letteratura testimoniale, per passare dal dire al fare con le esperienze dei familiari. Comprendo profondamente la necessità dei parenti di integrare un’esperienza che, non posso mentire, è anche intensamente dolorosa. Anche io ho avuto e ho ancora l’esigenza di elaborare questo vissuto familiare. Ma spesso è stato difficile arrivare in fondo a quei libri, le cui pagine erano intrise di amarezza. Quando non è stato più possibile tenere nostra madre in casa, ho avuto un po’ di tempo per riflettere e ho pensato di selezionare tutti quegli esempi e aneddoti, alcuni dei quali decisamente graziosi, che mi erano serviti per comprendere meglio, da vicino, questa malattia, cercando di mettermi nel punto di vista di mia madre. Poi ho fatto una lunga intervista alla nostra geriatra e ho raccolto varie testimonianze brevi di persone che avevano avuto una esperienza significativa da portare. Così è nato una specie di manuale, utile spero per tutti coloro che iniziano questo percorso di accompagnamento di un essere caro affetto da demenza, ma anche per chi ha già concluso la sua esperienza o chi ha un interesse professionale. Si dice sempre che gli anziani stanno meglio a casa, in modo tale che non si disorientino e rimangano nel loro ambiente. L’isolamento vale per i malati di Alzheimer? L’isolamento sociale è veleno puro per i malati di Alzheimer. Per un anziano senza declino cognitivo, l’ambiente domestico è un perno fondamentale su cui innestare le proprie attività. La casa dove si è vissuti a lungo porta ricordi che accompagnano la naturale revisione della propria vita che si attiva nella terza età. Ma quando la memoria svanisce, quella casa, non più riconosciuta come la propria casa, può diventare come una prigione e i familiari sono i carcerieri. C’era un periodo in cui mia madre chiedeva spesso, dopo colazione: “Bene, e adesso andiamo a casa?”. Le mie spiegazioni non la convincevano. Una volta la presi e facemmo un lungo giro in macchina per rivedere tutti i luoghi che frequentavamo – il supermercato, il bar, il paese ecc.- che ancora ricordava ma, tornate a casa, quell’ambiente non coincideva con il suo ricordo. Ma alla fine vi si adattava. Quando la pandemia ci ha rinchiusi in casa, il declino cognitivo di nostra madre ha avuto un avanzamento esponenziale e, appena siamo state contattate dalla residenza (1) che aveva un posto libero, abbiamo deciso di portare lì nostra madre, per l’ultima tappa della sua vita. Dopo un mese di vita comunitaria e intensa stimolazione, era visibilmente ringiovanita e, quando siamo andate a trovarla la prima volta, voleva che noi restassimo con lei, lì alla residenza. Quando i malati di Alzheimer vanno tenuti a casa o in struttura? Ogni situazione ha le sue peculiarità, ma generalmente si può restare a casa nelle prime fasi della malattia, avendo cura, però di mantenere un’attività sociale che renda la giornata piena e soddisfacente. La soddisfazione produce uno stato di calma e rallenta il declino cognitivo, cosa che permette un uso minore di farmaci. Se la persona col declino cognitivo realizza atti che la fanno sentire utile o le riempiono il tempo piacevolmente, mantenendo le proprie autonomie o le particolari capacità, poi mangia e dorme bene, rallentando anche l’insorgere dei disturbi correlati alla demenza. Ci sono malati che entrano in apatia e vanno stimolati, altri che, al contrario, chiedono di fare sempre qualcosa, e in questo caso si devono trovare le attività giuste per loro. Con mia sorella ci siamo dedicate a creare un “universo” di attività intorno a nostra madre ed essendo da sempre in contatto con persone dedicate o interessate alla salute, anche con pochi soldi abbiamo potuto offrirle diversi tipi di interventi di stimolazione con professionisti (logopedia, ginnastica dolce, yoga) o gestendo direttamente noi o con amici delle semplici attività (cucina, colorare disegni pronti o mandala, cantare vecchie canzoni ecc.). Questo ci ha permesso di non dover mai dare né antidepressivi, né antipsicotici o benzodiazepine a nostra madre, ma la nostra vita si è trasformata nell’assistenza a nostra madre. Non sempre questo è possibile e, comunque poi si giunge a un limite in cui, anche tutti i nostri sforzi sembrano vani. Non tutte le strutture vanno bene, i malati di Alzheimer non si possono intrattenere giocando a carte o leggendo il giornale come gli anziani in genere. Si deve essere sicuri che ci sia un nucleo Alzheimer con personale formato ad hoc, ma se ci sono le condizioni adeguate, la struttura è una alternativa valida per evitare l’uso di farmaci che, se da una parte annullano dei sintomi, dall’altra accelerano il declino cognitivo. Quale è la differenza fra l’approccio del caregiver-familiare e del caregiver-professionale? Qui c’è una specie di paradosso con il tema della memoria. Il caregiver-familiare conosce in dettaglio la storia e le caratteristiche del paziente e si aspetta determinate reazioni nelle diverse circostanze. Ma il paziente cambia continuamente e spesso il familiare viene messo in crisi. Come il malato di Alzheimer non riconosce più i suoi familiari, anche i familiari si trovano di fronte una persona diversa e devono accettare i cambiamenti di gusti, di abitudini e di comportamento dei loro cari. Questo a volte è molto difficile. Dall’altra parte il caregiver-professionale, per poter stimolare adeguatamente il paziente e riconoscere le sue reazioni, avrebbe bisogno di conoscere il più dettagliatamente possibile la storia e le caratteristiche della persona da assistere. Anche questo a volte è difficile perché non tutte le famiglie riescono a documentare adeguatamente i professionisti. Questa memoria dell’essere caro, di cui si vorrebbe fare a meno come parenti a volte per non soffrire, è invece così importante per l’assistenza da parte degli operatori sanitari. Quali sono difficoltà più grosse nell’assistenza a casa in materia di disturbo comportamentale? La rabbia è il disturbo più comune ed evidente. Mia madre si rendeva conto di perdere pezzi della sua vita, delle sue capacità e noi comprendevamo la sua rabbia e, a volte, tristezza. Quando però la comunicazione verbale era ormai completamente compromessa, la rabbia a volte esplodeva e noi non eravamo sempre così presenti per comprenderne la causa scatenante. La rabbia può portare anche a comportamenti estremamente aggressivi, difficili da gestire. Qualche volta siamo riuscite e disinnescare l’escalation giocando ruoli clowneschi che, esagerando toni ed espressioni in modo teatrale, aiutavano a scaricare l’emozione e a trasformarla in catarsi positiva, in risata. Il wandering, il movimento afinalistico e continuo, è un altro disturbo che in alcune famiglie diventa presto insopportabile. I professionisti dicono di lasciare libero il paziente di andare e venire in continuazione senza mettere dei limiti, perché poi si scarica da solo. Certamente se si ha timore che il nostro caro finisca da solo per strada senza sapere dove è e dove andare, vanno prese delle precauzioni in modo che non possa uscire autonomamente e questo va progettato adeguatamente in ogni particolare situazione. La disinibizione è un altro disturbo molto complesso da gestire a casa perché tocca il nostro senso del pudore e ci lancia in un paesaggio primordiale in cui spesso gli escrementi entrano in gioco. Senza dubbio, se il malato è accudito in modo adeguato, riceve la sua stimolazione e vive in un ambiente armonioso, questi disturbi si presentano meno e in modo meno potente. A livello di politiche sociali, cosa si può fare a livello locale per migliorare la qualità della vita di questi pazienti e dare sollievo alle loro famiglie? La risposta è già stata sperimentata e si chiama: Centro Diurno dedicato ai pazienti con demenze. Questi centri devono avere spazi adeguatamente attrezzati per le attività e personale qualificato in proporzione di 1:3. Qualche anno fa a un alzheimerFest a Orvieto, durante una conferenza un relatore disse che questi centri funzionano perfettamente, perché il paziente, preso in carico già nelle prime fasi della malattia, sta fuori casa da mattina a sera, in un ambiente stimolante e adeguato in quanto attività e relazioni. Quando torna a casa dai familiari è scarico e soddisfatto e ciò determina un rallentamento della patologia degenerativa. Il problema è che sono estremamente costosi per la sanità pubblica e ne esistono un esiguo numero sul territorio nazionale. Per arrivare a costituire a livello locale dei centri di questo tipo, è necessario che le famiglie si ritrovino e comincino ad autorganizzarsi. Innanzitutto sono fondamentali i gruppi di mutuo aiuto, nei quali pazienti e familiari possono ritrovarsi, parlare e fare magari delle attività insieme. Un altro strumento efficace per far incontrare le famiglie e fare formazione pratica e on demand, sono i Caffè Alzheimer, momenti di incontro e convivialità con le famiglie, con la presenza di professionisti disponibili a spiegare gli elementi salienti di questa malattia e a dare suggerimenti per l’assistenza su richiesta specifica dei familiari presenti. I piccoli comuni, quelli che più facilmente possono costituire delle comunità di base, dare spazi e gestire fondi, possono poi organizzare veri e propri corsi di formazione per caregiver-familiari e/o professionali, in modo da rendere la comunità più consapevole e informata. A questo punto la creazione a livello locale di attività dedicate ai pazienti con demenze, non dovrebbe essere più così complessa e non sarebbe più utopica l’istituzione di centri diurni. I malati di una qualche forma di declino cognitivo hanno bisogno di una comunicazione chiara e coerente, attività soddisfacenti e adeguate alle loro caratteristiche e livelli di autonomia, un ambiente umano affettivo e armonioso. Lavorare per ottenere questo per i pazienti di Alzheimer è lavorare per un mondo diverso, accogliente e giusto.   (1) Residenza “Non ti scordar di me” (Castel Giorgio, Orvieto TR – www.benella.it) specializzata per malati di Alzheimer e demenze in generale.   Lorenzo Poli