Tag - democrazia

Anche Barbero censurato a Torino. E’ il fronte interno della guerra ibrida della Nato
Un nuovo divieto di tenere una conferenza a Torino. Ormai gli apparati del governo, del “Partito Unico della Guerra e della Nato” hanno scatenato una vera e propria guerra cognitiva – una delle forme della guerra ibrida – contro chiunque dissenta dalle politiche di guerra nel quale viene coinvolto il […] L'articolo Anche Barbero censurato a Torino. E’ il fronte interno della guerra ibrida della Nato su Contropiano.
“Cosa loro”…
Le meravigliose compagne e i meravigliosi compagni della Campania hanno accolto a pugno chiuso il risultato delle elezioni regionali. È giusto perché sono persone che lottano tutti i giorni, che hanno fatto una dura campagna contro il palazzo e hanno visto le forze comunque crescere. Però Giuliano Granato per poco […] L'articolo “Cosa loro”… su Contropiano.
Comuni e comunardi: il Venezuela
L’ultima inchiesta di Maurice Lemoine sul processo comunale venezuelano offre una fotografia viva, emozionata, a tratti epica, di una trasformazione sociale che attraversa il Paese di Simon Bolivar da oltre vent’anni. Una narrazione che merita attenzione, perché coglie l’essenza di un laboratorio politico unico nel mondo contemporaneo. E tuttavia, accanto […] L'articolo Comuni e comunardi: il Venezuela su Contropiano.
La “sinistra” che guarda a New York
Sarà il caso di fermarsi un attimo a ragionare, dopo aver letto e metabolizzato una buona parte dei commenti “sinistri” sulla vittoria di Zhoran Mamdani alle elezioni per il sindaco di New York. Inevitabile e persino giusto che ci siano molte opinioni diverse, che in tanti scavino tra le sue […] L'articolo La “sinistra” che guarda a New York su Contropiano.
Marocco. Generazione Z 212 e le proteste giovanili: dalle reti digitali alle strade
Nell’autunno del 2025, il Marocco ha assistito a un vasto movimento di protesta guidato dai giovani, che ha riportato al centro del dibattito nazionale questioni fondamentali come la giustizia sociale, i diritti basilari e la legittimità politica. Il movimento – conosciuto come Generazione Z 212, in riferimento al prefisso telefonico […] L'articolo Marocco. Generazione Z 212 e le proteste giovanili: dalle reti digitali alle strade su Contropiano.
È sempre più difficile criticare e criticarci
-------------------------------------------------------------------------------- Bologna, 3 ottobre -------------------------------------------------------------------------------- Libertà e democrazia è poter dire a Michele Santoro, agli organizzatori ed ai partecipanti del corteo che chi esalta, con striscioni e manifestazioni il 7 ottobre, sbaglia e insiste a compiere lo stesso errore che ha portato Hamas a compiere quell’assalto e a rendere legittimo – agli occhi di Israele e di buona parte del mondo – quell’orrore che è avvenuto dopo. Se resistenza è contro-violenza della vittima, il cerchio si chiude sempre e soltanto nella guerra. Libertà e democrazia è poter dire a Liliana Segre che sbaglia quando non ammette il genocidio e prosegue a dare più valore a quel che accade o è accaduto agli ebrei piuttosto che ad altri o continua a minimizzare quel che il governo israeliano sta perpetrando da sempre contro tutti i popoli arabi, proseguendo sulla strada già tracciata dalla Bibbia e dal sionismo, che è sempre stato un movimento di colonizzazione forzata di territori abitati da altri. Libertà e democrazia è poter dire a Francesca Albanese che sbaglia quando non accetta le parole del sindaco di Reggio Emilia, che mette sullo stesso piano il conseguimento del cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi. Il valore della vita e della morte hanno lo stesso peso per ciascun essere umano, che sia amico o nemico, che si sia in uno o in mille. Essere politicamente non equidistanti non può vuol dire essere umanamente discriminanti, e fare graduatorie tra chi vale di più o di meno (a meno che non si voglia fare come il governo Netanyahu o gli israeliani che manifestano solo per i loro familiari). Libertà e democrazia è poter dire ai coraggiosi attivisti delle Flotille che sarebbe stato più coerente ed efficace stare in cella qualche giorno di più, farsi processare, proseguire a dar disturbo, e non accettare di farsi espellere così rapidamente. Visto quel che sono stati capaci di fare e di rischiare (e tanto di cappello a loro, e grazie di cuore), avrei provato ad insistere ancora. Oggi invece è sempre più difficile criticare e criticarci; proseguiamo a confondere rifiuto e disconferma, ammonizione e squalifica, riconciliazione e buonismo. Ognuno deve stare rintanato nel suo schieramento, come dei tifosi di calcio che vedono solo i rigori a favore e non quelli per gli avversari. Sono un tifoso di calcio, ma solo allo stadio. E se la mia squadra gioca male e merita di perdere, di solito, lo riconosco. Libertà e democrazia vivono soprattutto di questo e se questo non c’è più libertà e democrazia restano solo parole vuote e agonizzanti. -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI RAUL ZIBECHI: > L’autocritica zapatista -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo È sempre più difficile criticare e criticarci proviene da Comune-info.
La “democrazia” occidentale va al patibolo
Zitto zitto, quatto quatto, è saltato il tappo che conteneva il malessere sociale nella gabbia della passività E altrettanto in silenzio – ufficiale, per lo meno – è saltato il mantra che descriveva il “guardino occidentale” come “democrazie” contrapposte, soprattutto sul piano valoriale, alle “autocrazie”. Ci avete fatto caso? Non […] L'articolo La “democrazia” occidentale va al patibolo su Contropiano.
La ribellione chiamata ascolto
ETICHETTARE E SOPRATTUTTO DISUMANIZZARE SONO AZIONI COMPIUTE ATTRAVERSO IL LINGUAGGIO. QUELLI CHE SONO IN ALTO LO SANNO BENE: LE PAROLE NON DESCRIVONO IL MONDO, SERVONO A CREARLO, SERVONO ANCHE A COSTRUIRE CONSENSO ATTRAVERSO LA PAURA. DEL RESTO, HA SPIEGATO HANNAH ARENDT, OGNI POTERE AUTORITARIO HA BISOGNO DI TRASFORMARE GRUPPI UMANI IN BERSAGLI. PER QUESTO OGGI CHI DIFENDE LA FLOTILLA È DEFINITO “TERRORISTA” E I CORPI CHE PROTESTANO NELLE STRADE VENGONO RIDOTTI A RUMORE. ROMPERE CON LA CULTURA POLITICA DI QUELLI CHE SONO IN ALTO SIGNIFICA ALLORA NON REPLICARE LA LORO GRAMMATICA. SIGNIFICA DARE SPAZIO A UNA PAROLA CHE NON CANCELLA LA COMPLESSITÀ E CHE DICE IL CONFLITTO SENZA DISUMANIZZARE. MA VUOL DIRE PRIMA DI TUTTO FARE OVUNQUE ESERCIZIO DI ASCOLTO VERO. “È UN LAVORO PAZIENTE, LENTO, SPESSO INVISIBILE, MA ESSENZIALE…”, SCRIVE EMILIA DE RIENZO Napoli, 22 settembre. Foto di Ferdinando Kaiser -------------------------------------------------------------------------------- Quando un politico definisce qualcuno “clandestino”, “parassita” o “buonista”, non sta semplicemente descrivendo il mondo: lo sta creando. È questo l’insegnamento centrale della teoria degli atti linguistici di John Austin: certe parole non rappresentano la realtà, la fanno. Promettere, condannare, etichettare — e soprattutto disumanizzare — sono azioni compiute attraverso il linguaggio. E quel linguaggio, poco a poco, diventa pensiero comune. La cattiveria politica, oggi, è precisamente questo: un atto performativo che trasforma esseri umani in categorie, semina diffidenza, autorizza violenza. Non è rabbia spontanea, è calcolo. Serve a costruire consenso attraverso la paura (leggi anche questo articolo di Marco Revell, La paura), a dividere il corpo sociale in “noi” e “loro”, a indicare un nemico che semplifichi l’angoscia collettiva. A dominare è a imporre il proprio pensiero. Un pensiero rigido, senza se e senza ma. La parola ha potere simbolico Le radici filosofiche di un fenomeno attuale Hannah Arendt, l’aveva analizzato. In Le origini del totalitarismo, ha mostrato che ogni potere autoritario ha bisogno di trasformare gruppi umani in bersagli. L’odio politico è un collante più potente della speranza per masse disorientate. Quando la politica diventa teatro dell’odio, rinuncia al pensiero. George Orwell lo ha reso narrativa in 1984: chi controlla il linguaggio controlla il pensiero. Pierre Bourdieu ha dato a questo intuito dignità sociologica, mostrando che la parola ha potere simbolico: ferisce, esclude, stabilisce gerarchie. Judith Butler, invece, ha parlato di hate speech: parole che non descrivono ma fanno male, rendendo chi le subisce “vulnerabile nel linguaggio stesso”. La realtà capovolta Un esempio lampante di come la cattiveria politica riscriva la realtà si manifesta nei discorsi sulle recenti manifestazioni e sulla Flottilla umanitaria. Chi denuncia violenze, occupazioni o genocidi viene dipinto come minaccia, estremista, persino “terrorista”. Al contrario, chi perpetra efferatezze non viene condannato, è reso parte di un ordine che non si discute. Le manifestazioni non vengono raccontate come gesti a favore della giustizia, ma come atti contro qualcosa, contro l’ordine, contro la sicurezza, contro “noi”. I corpi che protestano vengono ridotti a rumore, a urlo privo di argomenti, a disordine da contenere. Si cancella la motivazione, si distorce il senso, si nega la dignità del dissenso. È qui che la cattiveria politica mostra il suo potere più profondo: non si limita a ferire, ma confonde, spaventa, capovolge. Trasforma la denuncia in pericolo, la solidarietà in sospetto, la richiesta di diritti in minaccia da punire e sanzionare. Non è solo linguaggio violento, è una macchina che produce ingiustizia e la fa apparire normale. Il problema è che il linguaggio dell’odio non resta confinato. Sui social, nei talk show, nelle piazze digitali, diventa contagioso. La cattiveria politica è un linguaggio che fa, e chi lo usa, anche solo per reagire, ne porta il segno. Una parola che dice il conflitto senza disumanizzare Chi sceglie un linguaggio diverso può sembrare debole, poco incisivo, incapace di “bucare lo schermo”. Ma quella calma e quella misura, in realtà, non sono segno di debolezza: sono resistenza alla violenza simbolica. La politica, se vuole restare democratica, deve tornare a essere cura della parola, una parola che non ferisce, che non cancella la complessità, che dice il conflitto senza disumanizzare. E noi, in basso, possiamo e dobbiamo fare la nostra parte. Non basta delegare: bisogna contagiare con la capacità di ascolto, con un dialogo che sappia accogliere le ragioni dell’altro senza annullarle o ridurle a nemico. Ogni conversazione rispettosa, ogni momento in cui ci fermiamo a capire invece di reagire d’impulso, diventa un piccolo argine alla logica dell’odio. È un lavoro paziente, lento, spesso invisibile, ma essenziale. Norberto Bobbio individuava proprio qui la differenza tra democrazia e autoritarismo: nel modo in cui si tratta l’avversario. Nella democrazia, l’avversario è qualcuno con cui discutere; nell’autoritarismo, qualcuno da annientare. La democrazia vive di conflitto regolato, non di guerra tra nemici. La cattiveria prospera solo dove le persone smettono di parlare e ascoltare davvero. Recuperare questa pratica quotidiana significa ricostruire uno spazio democratico prima che sia troppo tardi. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo La ribellione chiamata ascolto proviene da Comune-info.
Qualcosa è accaduto
-------------------------------------------------------------------------------- Foto di Riccardo Troisi -------------------------------------------------------------------------------- Lo ammetto, fino a qualche giorno fa mi ero convinto che dopo Gaza non avremmo più dovuto né potuto usare la parola “umanità”, in nessuna delle sue accezioni. Al di là del mero dato scientifico biologico, che ci assegna alla stessa specie, il genere umano (“il complesso di tutti gli uomini viventi sulla terra”, dice la Treccani); non avremmo più potuto affermare di appartenere a una stessa comunità “umana”. Non ne avremmo più avuto il diritto. Una comunità si fonda, innanzitutto dell’altro come nostro simile. Come qualcuno con cui si ha qualcosa da condividere e questo oggi non sta accadendo. Non siamo stati capaci di condividere questo senso di appartenenza e fino a poco fa non ne saremmo neppure più stati degni. Lo stesso valeva per l’altra accezione: “Sentimento di solidarietà umana, di comprensione e di indulgenza verso gli altri uomini”. Umanità racchiude un insieme di valori che si contrappongono alla brutalità, all’egoismo, alla cattiveria, alla brutalità. Anche qui sembrava avessimo fallito. Fallito per menefreghismo, indifferenza, disattenzione, cose ancora peggiori della violenza esercitata dalle truppe israeliane. Invece, qualcosa è accaduto. Mi sono tornati in mente i versi di Francesco De Gregori “E poi la gente, (perché è la gente che fa la storia) / quando si tratta di scegliere e di andare / te la ritrovi tutta con gli occhi aperti / che sanno benissimo cosa fare”. Sì, nelle strade, nelle piazze abbiamo dimostrato che sappiamo cosa si deve fare e se chi governa finge che nulla sia accaduto, significa che la parola “democrazia” si sta svuotando dei suoi valori. Sì, perché non basta andare a votare ogni quattro-cinque anni per essere democratici, se non si ascoltano le istanze di decine di migliaia di donne e uomini che sono scesi a manifestare il loro sdegno non solo per il genocidio in corso, ma per l’indifferenza del governo, per non dire della sua complicità. Democrazia non significa dittatura della maggioranza, perché un simile atteggiamento conduce a una forma di fondamentalismo democratico, che è tutt’altra cosa, vedi Trump e la sua accolita. Peraltro, di fronte a una così imponente mobilitazione spontanea, nata senza il supporto di partiti o sindacati, non può essere liquidata con la scusa di qualche episodio fuori dal coro. Lasciando perdere l’attribuzione della violenza alla sola sinistra, da parte di chi continua a negare le peggiori stragi che hanno colpito il nostro Paese, è meschino e dilettantesco tentare di sviare l’attenzione con trucchetti di bassa lega. Sì ci sono stati episodi deprecabili, ma non si ha il diritto di definire violenza qualche vetro rotto, dopo mesi di silenzio su migliaia di vite spezzate. No. Un governo sanamente democratico dovrebbe prendere atto che una buona fetta della popolazione, generazioni diverse, appartenenze diverse, ha voluto esprimere solidarietà alle vittime del genocidio in corso per mano del governo israeliano, ma anche lo sdegno per l’indifferenza manifestata dai vertici dello Stato, asservito a interessi politici ed economici. Quelle piazze gremite hanno urlato che ci sono altri valori da difendere al di là delle alleanze di convenienza, che il dolore di quelle donne, uomini e bambini massacrati ogni giorno è e deve anche essere in nostro dolore. Che la parola “umanità” ha ancora un senso. Forse non ce l’ha per chi commenta con toni sprezzanti certe dichiarazioni considerate “buoniste”, non ce l’ha chi irride chi vuole la pace. Non ci aspettavamo di meglio da loro, anche se in fondo lo avremmo sperato. Quello che conta è che da quelle piazze è partito un grido forte, che risuona in tutto il Paese. Continuiamo a urlarlo, che risuoni per altre piazze, in altre strade. Servirà. La storia siamo noi, nessuno si senta escluso. -------------------------------------------------------------------------------- Pubblicato anche su ilfattoquotidiano.it -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Qualcosa è accaduto proviene da Comune-info.
La duplice rotta della Flottila
LA GLOBAL SUMUD FLOTILLA PERSEGUE UNA DUPLICE ROTTA: QUELLA MARINA VERSO GAZA PER PORTARE SOCCORSI UMANITARI, E QUELLA POLITICA VERSO L’EUROPA PER INVITARE I GOVERNI EUROPEI A SMETTERE DI ESSERE COMPLICI DELLO STATO DI ISRAELE TRAMITE LA FORNITURA DI ARMI E STRETTI RAPPORTI COMMERCIALI. GIÀ, I RAPPORTI ECONOMICI: NEL 1994 L’ISOLAMENTO ECONOMICO FU DETERMINANTE PER DARE LA SPALLATA FINALE AL REGIME DELL’APARTHEID IN SUDAFRICA… Napoli. Foto di Chi rom e chi no -------------------------------------------------------------------------------- Mai come negli ultimi anni, siamo stati inondati da appelli che ci esortano a scrollarci di dosso l’indifferenza. Un’infaticabile voce in questa direzione è stata quella di papa Francesco, a cui si è aggiunta quella di altre personalità, fra cui il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e della senatrice Liliana Segre che in un discorso tenuto il 27 gennaio 2020 al Memoriale della Shoah di Milano, ha detto: «L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò disprezzo, temo e odio gli indifferenti. Le parole di un grande intellettuale e uomo politico, Antonio Gramsci, rendono bene il senso di una malattia morale che può essere anche una malattia mortale. L’indifferenza racchiude la chiave per comprendere la ragione del male, perché quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore. L’indifferente è complice. Complice dei misfatti peggiori. L’alternativa, diceva Don Milani, è “I care“, me ne importa, mi sta a cuore». Difronte all’orrore che si sta consumando a Gaza, alcune centinaia di attivisti di tutta Europa hanno deciso di reagire all’indifferenza recandosi sulle coste di Gaza con le proprie imbarcazioni, non solo per portare cibo e medicinali a una popolazione stremata, ma anche per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sulla necessità di fare tutto il possibile per fermare la mano di chi sta uccidendo in maniera indiscriminata migliaia di civili, inclusi vecchi, donne e bambini. In altre parole, la Global Sumud Flotilla persegue una duplice rotta: quella marina verso Gaza per portare soccorsi umanitari, e quella politica verso l’Europa per invitare i governi europei a smettere di ficcare la testa sotto la sabbia. Peggio ancora di continuare ad avere un rapporto di complicità con lo stato di Israele tramite la fornitura di armi e stretti rapporti di collaborazione industriale, commerciale, finanziario. Al contrario sono invitati a interrompere qualsiasi rapporto col governo di Natanyahu, ricordandoci che nel 1994 l’isolamento economico fu determinante per dare la spallata finale al regime dell’apartheid in Sudafrica. Se oggi venisse usata la stessa determinazione verso Israele, potremmo mettere la parola fine a un’altra vergogna che pesa sull’intera umanità. In Italia l’invito a reagire lanciato dalla Global Sumud Flotilla sta trovando accoglienza in una larga fascia della popolazione, ma non nel governo che parandosi dietro a superiori ragioni di stato esorta i naviganti a rinunciare ai loro propositi, avvertendoli che in caso di attacco da parte dell’esercito israeliano saranno lasciati soli. Ma così facendo il nostro governo rende un pessimo servizio non solo al popolo palestinese, ma alla stessa democrazia che già si trova in crisi profonda anche a causa della perdita di fiducia verso la classe politica. Il continuo riempirsi la bocca di principi altisonanti da parte dei nostri rappresentanti a cui, però, fanno seguito scelte che vanno in direzione opposta, provoca nei cittadini disorientamento culturale e morale, ma anche una paralizzante chiusura in sé stessi che spalanca la strada a ogni forma di sopruso e di orrore. Il doppio standard verbale, morale e politico che da un paio di anni si è affermato in Europa, per cui lo stesso tipo di gesto è ora condannato, ora approvato, a seconda se a commetterlo è uno stato amico come Israele o nemico come la Russia, genera un tale sconcerto nell’opinione pubblica, da indurla a bollare come ipocrita l’intera classe politica e a convincerla che l’unica cosa da fare sia voltarle le spalle rinunciando a qualsiasi forma di partecipazione. Una deriva forse gradita a quei politici interessati solo al potere, ma che risulta disastrosa per la soddisfazione dei cittadini e una serena convivenza sociale. La messa in discussione di questa impostazione è un altro servizio reso dalla Global Sumud Flotilla di cui dobbiamo esserle grati. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo La duplice rotta della Flottila proviene da Comune-info.