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Piano carceri. Antigone: “Dal governo ricette che aggraveranno la crisi del sistema penitenziario”
“Il piano carceri approvato ieri in Consiglio dei Ministri, come fatto tante altre volte in passato, si affida alla via edilizia per risolvere i problemi delle carceri. A fronte di un sovraffollamento che oggi vede quasi 16.000 persone detenute in più dei posti disponibili si presenta un piano del valore di oltre 700 milioni di euro che produrrà, se fosse portato a termine, meno di 10.000 posti nel 2027. Se si considera che poi, solo negli ultimi 3 anni, il numero di persone detenute è aumentato di 5.000 unità, anche mantenendo un analogo tasso di crescita, nel 2027 potremmo essere comunque in difetto di circa 10.000 posti detentivi. Ulteriori 5.000 posti potrebbero essere recuperati, stando al governo, vendendo alcune carceri storiche e costruendo nuove strutture. Un discorso già più volte accennato e sempre giustamente accantonato rispetto a carceri come Regina Coeli a Roma e San Vittore a Milano, solo per citarne due. Si scrive valorizzazione. Si legge speculazione. Molti dei nuovi posti poi saranno in container, strutture totalmente inadeguate ad ospitare persone detenute anche per lunghi periodi. Generalmente queste vengono utilizzate per affrontare emergenze e non come soluzioni definitive, come invece sembra ovvio nel piano carceri del governo. Piano carceri che, peraltro, non fornisce alcuna informazione sul personale che sarà necessario a gestire le nuove strutture, quando già oggi si registra un drammatico sotto-organico in tutti i ruoli: direttori, educatori, poliziotti, medici, psicologi, assistenti sociali, mediatori culturali, personale amministrativo. Stando al ministro della Giustizia Nordio altre migliaia di posti (fino a 10.000) potrebbero essere recuperati con la detenzione differenziata per persone tossicodipendenti o alcoldipendenti. Si crea così un binario di esecuzione penale che andrà capito con molta attenzione come funzionerà, evitando ogni forma di privatizzazione della libertà personale. E comunque non sono previsti automatismi. Purtroppo nessuna novità sembra essere stata introdotta rispetto alle telefonate, per cui continuiamo ad auspicare una modifica regolamentare che preveda una telefonata quotidiana, anziché gli attuali dieci minuti a settimana. Insomma, il piano carceri conferma l’impressione della vigilia: il governo è interessato agli istituti di pena solo in termini edilizi e di custodia di corpi, senza alcuna visione moderna e umana della pena. Le ricette edilizie presentate rischiano di aggravare la crisi del sistema penitenziario”. Queste le dichiarazioni di Patrizio Gonnella, presidente di Antigone. Associazione Antigone
Le carceri in Italia esplodono
Parlare di carcere è sempre più difficile. Due libri di Eris Edizioni provano a farlo in modo diverso: “Mai farsi arrestare di venerdì” di Tzarina Caterina Casiccia e “Aboliamo il carcere” di Giulia De Rocco, mentre la vita in carcere è sempre peggiore e il Decreto Sicurezza appena approvato rischia solo di peggiorare la situazione_ Trovami/Sono la poesia nascosta/ Come na scheggia di bellezza/Nella carne del dolore (LA POESIA NASCOSTA, TZARINA) Non parliamo mai abbastanza di carcere. E siamo circondati da discorsi sempre più repressivi, atti governativi che aumentano le pene e peggiorano la vita fuori e dentro le carceri. In carcere, infatti, si vive, per breve o lungo tempo, e si vive male: «Al 30 aprile 2025 i detenuti in Italia erano 62.445, a fronte di una capienza regolamentare di 51.280 posti. Ma considerando i posti non disponibili (oltre 4.000), il tasso reale di affollamento è del 133%, con circa 16.000 persone che non hanno un posto regolamentare. 58 carceri su 189 hanno un tasso di sovraffollamento superiore al 150%», leggiamo nell’ultimo report di Antigone. Bisogna, quindi, trovare le giuste parole per parlare della prigione. Ed è quello che sta provando a fare Eris Edizioni con due libri della collana Book Bloc Mai farsi arrestare di venerdì di Tzarina Caterina Casiccia e Aboliamo il carcere di Giulia De Rocco. Entrambi i libri sono uno sforzo di immaginazione e di creatività per raccontare una realtà di repressione, costrizione e violenza, cioè la vita in carcere. Entrambi i testi cercano di superare la classica saggista, il primo lo fa mischiando teoria, esperienza personale e poesia, il secondo utilizzando una narrazione dis/topica, una lettera dal futuro in cui il carcere è stato abolito, a suo modo anche molto poetica «È stata l’intimità a distruggere il carcere […], un’intimità creativa. Per poter far a meno della protezione dell’istituzione […] abbiamo dovuto inventare delle alternative» (p. 12). Una narrazione che nasce dall’«urgenza di alternative, di possibilità, di un altro mondo» (p. 7) come scrive l’autrice di Aboliamo il carcere. > «DELLE 189 CARCERI ITALIANE QUELLE NON SOVRAFFOLLATE SONO ORMAI SOLO 36, > MENTRE QUELLE CON UN TASSO DI AFFOLLAMENTO UGUALE O SUPERIORE AL 150% SONO > ORMAI 58. A FINE MARZO 2023 ERANO 39. A OGGI GLI ISTITUTI PIÙ AFFOLLATI SONO > MILANO SAN VITTORE (220%), FOGGIA (212%), LUCCA (205%), BRESCIA CANTON > MONBELLO (201%), VARESE (196%), POTENZA (193%), LODI (191%), TARANTO (190%), > MILANO SAN VITTORE FEMMINILE (189%), COMO (188%), BUSTO ARSIZIO (187%), ROMA > REGINA COELI (187%), TREVISO (187%)». Tzarina, poeta e artista della scena underground di Barcellona, viene arrestata nel corso di una manifestazione dopo il fermo di Pablo Hasel, un rapper accusato di apologia di terrorismo per una canzone contro il re di Spagna nel 2021. Tzarina viene inserita in un’inchiesta con gravissime accuse penali: «Il caso era esemplare […]. Poco importava che non fosse vero niente, avevano trovato il capro espiatorio perfetto» (p. 16). Leggendo, non si può non pensare all’ultimo processo ad Askatasuna in cui diversi attivisti e attiviste sono state accusate di associazione a delinquere, o al processo in corso contro Anan Kamal Afif a L’Aquila. O ai tanti processi ingiusti contro le azioni non violente del movimento ambientalista o in solidarietà alla Palestina che hanno il principale scopo di bloccare qualsiasi forma di resistenza. Il suo registro narrativo mescola storie delle detenute, poesie, l’esperienza personale della detenzione, e una riflessione teorica sul carcere. Giulia Rocco, ricercatrice, attivista abolizionista, da anni lavora con laboratori di scrittura autobiografica dentro le carceri e scrive da un futuro in cui il carcere è stato abolito, e in questo modo ne evidenzia il suo paradosso: «lo Stato intendeva rispondere a quello che viene considerato sbagliato, ingiusto, chiudendo le persone in gabbie sorvegliate da altre persone armate. E così fare giustizia. Rispondevano al male, ma non lo risolvevano. Anzi, lo perpetravano, ancora e ancora» (p. 21). E ci mostra un percorso immaginifico quanto possibile verso l’abolizione che comincia con un passo semplice: «nel tempo, sempre più fuori entrava e sempre più dentro usciva» (p. 21). > «L’EMERGENZA MORTI IN CARCERE NON DÀNNO SEGNI DI ARRESTO. ANZI, CONTINUA A > PEGGIORARE. NEL 2024 SONO STATI ALMENO 91 I CASI DI SUICIDI COMMESSI DA > PERSONE PRIVATE DELLA LIBERTÀ. TRA GENNAIO E MAGGIO 2025, ALMENO 33. IL 2024 > PASSA COSÌ ALLA STORIA COME L’ANNO CON PIÙ SUICIDI IN CARCERE DI SEMPRE […]. > IL 2024 PASSA ALLA STORIA ANCHE COME L’ANNO CON PIÙ DECESSI IN CARCERE IN > GENERALE. SONO STATE COMPLESSIVAMENTE 246 LE PERSONE CHE HANNO PERSO LA VITA > NEL CORSO DELLA LORO DETENZIONE». AUMENTANO ANCHE GLI ATTI DI AUTOLESIONISMO > NELLE CELLE. Il carcere è sottomissione del corpo, disciplinamento dei movimenti, con il supposto scopo della rieducazione: «È umiliante accettare la disciplina del corpo, sottomettersi alla sottrazione della libertà e della dignità, della privacy e dell’indipendenza. È umiliante e doloroso piegarsi, assumere l’impotenza, obbligarsi ad accettare il surrealismo dell’ingiustizia. È nauseante comportarsi bene e obbedire ed è spaventoso rendersi conto di avere paura» (p. 15). In carcere viene negata, prima di tutto, la possibilità di disporre del proprio tempo, del proprio spazio, e quindi del proprio corpo. A Tzarina è vietato avere una penna durante il periodo di isolamento, per paura che la possa utilizzare per farsi del male, ma continuamente le vengono offerti antidepressivi o metadone. Oggi in carcere il 44,25% delle persone detenute fa uso di sedativi o ipnotici, il 20,4% utilizza stabilizzanti dell’umore, antipsicotici e antidepressivi, e questo numero è in aumento anche negli istituti penitenziari per minori. Ad Alfredo Cospito detenuto in regime di 41 bis viene continuamente negata la possibilità di avere alcune cose come libri, cd, e spesso non gli viene consegnata la corrispondenza. Poter leggere, scrivere, ricevere la corrispondenza significa reclamare di essere una persona: «il carcere è, in primo luogo, il posto dove mantenere la propria identità è una vera lotta quotidiana» (p. 24) scrive Tzarina. Gli fa eco Goliarda Sapienza, citata nel numero di DWF, appena uscito sul carcere, anche questo tassello fondamentale per una riflessione femminista sul carcere: «Il carcere regredisce all’infanzia, lo fa a tutte o solo a me?». Le storie delle sue compagne di detenzione sono storie di povertà, marginalità, migrazione, violenza e maltrattamenti subiti. In carcere finiscono le persone più povere, marginalizzate, con problemi di dipendenze, e senza fissa dimora. Alla fine del 2024, 1.373 persone sono finite in carcere per pene di meno di un anno «Si tratta perlopiù di soggetti particolarmente fragili, spesso privi di difesa tecnica e plurirecidivi. Tossicodipendenti che commettono piccoli reati per i quali nessun’altro entrerebbe in carcere», leggiamo sempre nel report di Antigone. Così come chi non ha una residenza fissa non può godere delle misure alternative al carcere, soprattutto della custodia cautelare, e quindi arriva in carcere prima ed esce dopo. Il carcere «è utile per allontanare dallo sguardo l’evidenza degli effetti della povertà […] per ribadire le subalternità coloniali, per disciplinare corpi, esperienze e abitudini» (p. 24), ma come si può pensare una società senza carcere? E cosa facciamo con chi agisce violenza e provoca profonde sofferenze personali e sociali? De Rocco non ha paura di nominare i nodi spinosi del progetto abolizionista «certamente le emozioni di vendetta sono comprensibili ed è importante trovino spazio per essere dette: si parli di paura, di rabbia, del desiderio che chi ha commesso violenza stia male. Però le istituzioni, se devono esistere, hanno il compito di agire una mediazione rispetto a tali emozioni» (p. 27). Il carcere, infatti, ci garantisce semplicemente che la persona non commetta reati nella società mentre è dentro, ma non sappiamo se continuerà a usare violenza tra le mura del carcere o di nuovo quando uscirà. Ed è così anche per i reati connessi alla violenza di genere, il carcere reprime il comportamento individuale per un certo periodo, ma non risolve le radici dell’oppressione e non è una misura preventiva. Nelle carceri italiane quasi non esistono la mediazione culturale, gli e le educatrici sono pochissimi, i progetti lavorativi e sociali anche. Se chi è in carcere riuscirà a rifarsi una vita nel mondo «se trasformerà la sua visione del bene e del male, di ciò che è giusto e di ciò che non lo è, non dipenderà dall’operato del sistema carcerario o dal numero di anni della condanna inflitta, ma dalla forza che troverà dentro se stessa» (p. 76) leggiamo in Mai farsi arrestare di venerdì. > ABOLIRE IL CARCERE DEVE COMINCIARE ABOLENDO L’IDEA DELLA PUNIZIONE NELLA > SOCIETÀ TUTTA, A PARTIRE DALLE NOSTRE PRATICHE POLITICHE E LINGUAGGI > QUOTIDIANI. DOBBIAMO RIPENSARE LE PRATICHE EDUCATIVE, LA VALUTAZIONE, LE > RELAZIONI CON LE PERSONE PIÙ PICCOLE. PER IMMAGINARE UN FUTURO SENZA PRIGIONI > IL CONFLITTO DEVE TROVARE «SPAZIO COME MODELLO GENERATIVO, COME OCCASIONE PER > DIVERGERE E COMPRENDERE, PER ESPRIMERE E PER FAR AFFRONTARE TENSIONI LATENTI» > (P.40). De Rocco sottolinea come in alcune comunità politiche «esiste un atteggiamento moralizzante [verso] il conflitto che rende alcuni contesti (parlo anche delle comunità scelte, queer, riflessive) molto faticosi. Le indispensabili pratiche di autodifesa e di protezione degli spazi possono non avvalersi dell’esclusione, del call out, della stigmatizzazione» (p.41). Questo significa elaborare il conflitto, prendere del tempo, abbandonare la perfomance, accogliere le vulnerabilità e non abbandonarci alle nostre “attivazioni punitive”. Ciò di cui ci dobbiamo liberarci profondamente è l’idea che la giustizia abbia a che fare con la punizione. E aprirci a un’idea di giustizia che abbia a che fare con la trasformazione, con l’empatia, con la riparazione. Invece che con la gogna, la vergogna, la sofferenza e la prigionia. TUTTE LE ILLUSTRAZIONI SONO DI CYRIL DELACOUR “PRISON ET VIE CARCÉRALE À LA MAISON D’ARRÊT DE PRIVAS” VIA FLICKR TUTTI I DATI NELL’ARTICOLO SONO DEL REPORT XXI DI ANTIGONE “SENZA RESPIRO”   Redazione Italia
No alla custodia in istituti penitenziari inadeguati di persone transgender
La vicenda della detenuta trans che ha denunciato nei giorni scorsi di essere stata stuprata da quattro uomini all’interno del carcere Arginone di Ferrara è al centro dell’interrogazione presentata alla Giunta Regionale Emilia Romagna dalla capogruppo Alleanza Verdi Sinistra – Coalizioni Civiche – Possibile in Assemblea legislativa Simona Larghetti. L’aggressione, secondo quanto riportato dagli organi di informazione e confermato da fonti giudiziarie, sarebbe avvenuta nella sezione “protetti” dell’istituto penitenziario Arginone dove si trovano raggruppati, indistintamente, detenuti omosessuali, trans ma anche stupratori e persone condannate per reati legati alla violenza di genere. La detenuta aveva fin da subito chiesto di essere spostata da Ferrara in un penitenziario dove fosse presente una sezione per persone transgender, perché qui temeva di essere violentata. Ferrara, infatti, non è un carcere dove è prevista una sezione dedicata, come invece lo era Reggio Emilia, la struttura da cui la detenuta proviene, trasferita ad aprile. Questa vicenda, oltre a essere una tragedia individuale, è lo specchio di un sistema carcerario che non garantisce condizioni minime di sicurezza e dignità, soprattutto per le persone trans, che troppo spesso vengono abbandonate in contesti inadeguati e pericolosi. “È inaccettabile che una persona detenuta — e per di più appartenente a una categoria particolarmente vulnerabile — subisca una violenza così brutale all’interno di una struttura dello Stato. La responsabilità istituzionale è evidente e non può essere elusa — afferma Simona Larghetti, capogruppo di Alleanza Verdi Sinistra in Assemblea legislativa — Non bastano le indagini interne: serve una riforma urgente nella gestione delle persone trans nelle carceri. Questo nuovo e gravissimo episodio rende urgente un cambiamento profondo di approccio, fondato sul rispetto e sulla protezione effettiva delle minoranze più vulnerabili, per prevenire discriminazioni e atti di violenza. La questione non può essere trattata sempre come emergenziale, l’approccio deve diventare strutturale”.  Nell’interrogazione depositata dalla consigliera di AVS si chiede, quindi, alla Giunta dell’Emilia-Romagna se sia informata dei fatti, quali misure siano state attivate a protezione della persona coinvolta e se intenda interloquire con il Ministero della Giustizia per evitare che persone trans vengano trasferite in carceri non adeguate. “La violenza nelle carceri non è un destino, ma una responsabilità politica. È tempo che lo Stato, anche a livello regionale, si faccia carico della tutela concreta dei diritti umani e della sicurezza di tutte le persone private della libertà” — conclude la consigliera Larghetti. Redazione Bologna
Carceri, Friuli-Venezia Giulia nel caos: gravi condizioni igienico-sanitarie e sovraffollamento fuori controllo
Le relazioni ASL rivelano degrado strutturale e mancanza di interventi nei penitenziari di Gorizia e Trieste, mentre il sovraffollamento supera il 134% a livello nazionale L’Associazione Luca Coscioni rende pubbliche le relazioni redatte dalle Aziende Sanitarie Locali (ASL) in merito alle visite effettuate negli istituti penitenziari italiani. I documenti, ottenuti grazie a un accesso civico avviato lo scorso dicembre, costituiscono un primo passo per fare luce sulle condizioni – spesso opache – delle carceri italiane. Ad oggi, solo 66 ASL (tra ASL, ATS, ASP, USL, AULSS e APSS) hanno risposto fornendo documentazione, spesso lacunosa. Nella maggior parte dei casi, mancano indicazioni su eventuali direttive regionali o sulle reazioni istituzionali alle criticità segnalate, aggravando un quadro già drammatico e rendendo difficile una valutazione efficace degli interventi messi in atto. “Nella stragrande maggioranza dei casi – si legge in una nota dell’Associazione – negli istituti di pena italiani non sono stati effettuati neanche interventi di ordinaria amministrazione, una negligenza che, già grave di per sé, si acuisce per il sovraffollamento di oltre il 134%.” Secondo i dati pubblicati dal sito indipendente del giornalista Marco Dalla Stella, al 29 maggio 2025 in Italia si contano 62.722 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 51.280 posti, dei quali 4.488 non disponibili, portando così il tasso di sovraffollamento al 134,29%. L’Associazione Luca Coscioni continuerà le sue azioni legali per denunciare la negligenza dell’Amministrazione penitenziaria e il mancato rispetto delle raccomandazioni sanitarie da parte del Ministero della Giustizia. Si ricorda inoltre che dal 2024 è attiva la piattaforma FreedomLeaks, che consente di segnalare in modo anonimo e sicuro violazioni del diritto alla salute nelle carceri. Focus Friuli-Venezia Giulia In Friuli-Venezia Giulia, l’unica ASL ad aver risposto alla diffida e fornito accesso agli atti è l’Azienda Sanitaria Giuliano Isontina (ASUGI), che opera presso le strutture di Gorizia e Trieste. La situazione nel carcere di Trieste si presenta peggiorata. Dopo un primo sopralluogo positivo, la seconda ispezione ha rilevato gravi criticità: il sovraffollamento impatta pesantemente sulle condizioni igienico-sanitarie e sulla vivibilità delle celle, con un eccesso di letti che limita la mobilità. La sezione ex isolamento, da anni in attesa di ristrutturazione, è ancora utilizzata e versa in condizioni di degrado totale. Inoltre, sono ancora visibili i danni causati da una rivolta dei detenuti avvenuta nel luglio 2024. Nel carcere di Gorizia la visita ispettiva del 2024 ha riscontrato numerose criticità aperte, tra cui pavimentazione sconnessa, infiltrazioni d’acqua e umidità, barriere architettoniche e deterioramento di porte e infissi. La relazione conclude suggerendo l’elaborazione di un cronoprogramma degli interventi manutentivi, attualmente riportati solo verbalmente dal personale carcerario. Ufficio Stampa – Associazione Luca Coscioni Mail: ufficiostampa@associazionelucacoscioni.it Redazione Friuli Venezia Giulia