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Nuova inchiesta ONE EARTH: “La pesca illegale del merluzzo”
La nuova inchiesta pubblicata da ONE EARTH doc rivela la sistematica vendita di merluzzi lunghi pochi centimetri – un’attività illegale che colpisce la specie più sovrappescata del Mediterraneo. Servizio realizzato con il supporto di Journalismfund.eu e dell’Internews’ Earth Journalism Network SOLO PER UN PO’ DI FRITTURA Abbiamo pubblicato una nuova inchiesta con il progetto ONE EARTH doc, per raccontare la diffusa pesca e vendita illegale di merluzzi (o più propriamente “naselli”) lunghi pochi centimetri nel Mar Mediterraneo. Telecamera in mano, insieme a un team di attivisti di Oceana e di Sea Shepherd, abbiamo girato diversi porti, ristoranti, mercati del Pesce lungo la costa occidentale dell’Italia, documentando la sistematica vendita di questi esemplari lunghi pochi centimetri – ancora “cuccioli” – utilizzati per produrre fritture miste di pesce (la “paranza”, nelle regioni del Sud). Un’attività illecita, che sta dando il colpo di grazia a quella che è già oggi la specie più sovrapescata del Mar Mediterraneo occidentale. Leggi l’inchiesta PERCHÉ È UN PROBLEMA? “Prima venivano da tutte le parti a pescare qui, li chiamavano i merluzzari”, ci racconta Salvatore Spina, decano dei pescatori di Anzio, mentre siede su una panca ad osservare con malinconia lo svolgimento dell’asta del pesce all’ingrosso, che si svolge al porto ogni pomeriggio al rientro delle barche. “Il pesce bianco come il merluzzo si ributtava a mare, erano quintali e quintali che si mettevano a bordo ogni due o tre ore di pesca,” ricorda Spina. Spina ci racconta di come all’epoca uccidessero tutti i merluzzi appena pescati, a colpi di mannaia prima di ributtarli in mare. Forse è anche per questo approccio verso le risorse ittiche, considerate “illimitate”, che oggi la situazione è molto diversa, non solo a Anzio ma in tutto il Tirreno, dove i pescatori lamentano la scomparsa del merluzzo – una specie simbolo, che rischia di sparire dai nostri mari. Ma gli stessi pescatori continuano a infierire sulla specie, quando “per fare la giornata” prendono anche i piccoli, spesso usando reti illegali per lo strascico, a maglie strette, pur sapendo che in questo modo mettono a repentaglio la loro stessa fonte di sostentamento. “Il merluzzo si trova in una condizione di totale collasso biologico”, afferma Giulia Guadagnoli, responsabile di Oceana per la pesca nel Mediterraneo, che partecipa con noi all’indagine nei porti italiani. “La specie, se vai a pescare i cuccioli, non si riesce a riprodurre, non riesce a recuperare.”   PESCA E ACQUACOLTURA: LE DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA Negli ultimi anni abbiamo raccontato un’infinità di storie sull’insostenibilità degli allevamenti di pesce, in particolare con i due documentari: * Until the End of the World (60’) * Dying Lochs (13’) Oggi che parliamo di pesca, vediamo in modo chiaro che le due industrie sono due facce della stessa medaglia. Ad oggi circa il 70 per cento delle specie nel Mediterraneo è sovrapescato o pescato ai limiti massimi di sostenibilità. Per far fronte a questa pesca, le istituzioni promuovono la creazione di allevamenti di trote, spigole e orate, fingendo di ignorare che si tratta di specie carnivore che consumano più pesce di quanto ne producano, di fatto delocalizzando il problema della sovrapesca in altre parti del mondo, come l’Africa Occidentale o il Sud America. Ma anche a fronte di questa produzione insostenibile, l’Italia importa il 70% del pesce che consuma dall’estero. L’unico modo per “rifornire” i ristoranti che offrono solo pesce, a pranzo e cena, lungo tutte le località turistiche, e “sostenere” il consumo pro capite nazionale, intorno ai 35kg di pesce a persona l’anno.   UNA BATTAGLIA PER LA BIODIVERSITÀ E IL CLIMA Nei prossimi giorni continueremo a scrivere su ONE EARTH di pesca e protezione della biodiversità nel mare, una battaglia di cui capiamo ogni giorno di più l’importanza: un oceano protetto, che possa rigenerarsi, è fondamentale per la battaglia contro il riscaldamento globale, per la salvaguardia della biodiversità, per la nostra stessa sopravvivenza su questo pianeta. Altri servizi sono in arrivo anche sul tema del trasporto, dei combustibili fossili, e dei biocombustibili – ma su questa storia vi diremo di più nella prossima edizione di questa newsletter. Intanto, come sempre, vi invitiamo se volete a sostenere il progetto ONE EARTH: un progetto indipendente che si basa sul supporto dei lettori.   Sostieni ONE EARTH doc Redazione Italia
F.lotta occupare il Mediterraneo: mobilitazione marina contro le frontiere
Nasce una mobilitazione, indetta per la metà di settembre 2025, verso l’occupazione del mediterraneo centrale. L’obbiettivo quello di denunciare il meccanismo della Fortezza Europa: il sistema di confini sporco del sangue di più di 30.000 migranti negli ultimi 10 anni. A braccetto con Frontex, il sistema di controllo e confini si fa complice delle politiche […]
26 giugno, Giornata mondiale in supporto delle persone sopravvissute a tortura. Rapporto MSF “Disumani”: tortura elemento strutturale della rotta migratoria del Mediterraneo
Sono soprattutto uomini, con un’età media di 25 anni. Poco più della metà delle torture documentate sono avvenute in Libia, mentre un terzo in 9 Paesi considerati sicuri dall’Italia. Quanto alle donne, l’80% delle pazienti ha subito uno o più episodi di violenza sessuale. Complessivamente, il 67% presenta sintomi da stress post-traumatico e soprattutto solo il 22% ha ottenuto lo status di rifugiato, nonostante le torture subite. Sono i dati dei pazienti sopravvissuti a tortura assistiti a Palermo dal team di Medici Senza Frontiere (MSF) in collaborazione con  l’l’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “Paolo Giaccone”, il Dipartimento PROMISE, la CLEDU (Clinica Legale per i Diritti Umani) e l’Università degli Studi di Palermo, pubblicati nel rapporto internazionale “Disumani” (PDF), in occasione della Giornata mondiale in supporto delle vittime di tortura. Il rapporto racconta le conseguenze devastanti di queste violenze sulla vita di migliaia di persone in mancanza di vie legali e sicure per la ricerca di protezione, che dimostrano la necessità di percorsi e servizi integrati di cura e impongono maggiore attenzione, responsabilità e risposte adeguate da parte dei Paesi di accoglienza, a partire dall’Italia. “Forme di violenza estrema, tra cui la tortura, sono un elemento strutturale e diffuso lungo la rotta migratoria mediterranea” afferma Elisa Galli, responsabile del progetto di MSF a Palermo. “Lasciano cicatrici profonde e durature che vanno trattate con un percorso di cure che permette la ricostruzione della propria identità e di ritrovare fiducia negli altri e speranza nel futuro. Un supporto specialistico adeguato è essenziale affinché la vita di queste persone possa ricominciare, a partire dalla loro salute”. Il rapporto viene presentato durante il convegno “Tortura: Universalmente vietata, universalmente praticata”  il 26 giugno presso l’Università di Palermo, dove esperti e rappresentanti delle istituzioni e di realtà territoriali analizzano il fenomeno della tortura sotto il profilo giuridico, medico, psicologico e sociale, confrontandosi su strategie e modelli di presa in carico di persone sopravvissute a violenza intenzionale e tortura (programma completo). Durante il convegno viene presentato il progetto multimediale della fotografa Valentina Tamborra “Restano i fiori – L’identità che sopravvive alla tortura” che comprende foto, video e testimonianze di alcuni pazienti del progetto di Palermo. Tra i pazienti MSF: 60% delle torture avvenute in Libia, in aumento gli episodi in Tunisia e Algeria, 1 caso su 3 avvenuto in 9 Paesi considerati sicuri dall’Italia Tra gennaio 2023 e febbraio 2025, 160 persone sono state prese in carico dal progetto di Palermo dedicato a sopravvissuti a tortura. Le persone assistite provengono da 20 diversi Paesi, tra cui la maggior parte da Bangladesh, Gambia e Costa d’Avorio. L’età media è di 25 anni e il 75% sono uomini. Il 60% degli episodi di torture e trattamenti degradanti riportati dai pazienti sono avvenuti in Libia – un dato che conferma quanto la violenza sia sistematica nel Paese – e il 36,5% degli episodi sono avvenuti in 9 Paesi inseriti nella lista di Paesi designati come sicuri dal Governo italiano e dalla Commissione Europea ai fini del rimpatrio: Algeria, Bangladesh, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Ghana, Marocco, Tunisia e Senegal. Alcuni pazienti (2%) hanno riportato di aver subito torture anche nei Paesi di arrivo, tra cui l’Italia. Nel 60,3% dei casi riportati, i responsabili della tortura sono i trafficanti, e nel 29% dei casi sono ufficiali delle forze dell’ordine. Rispetto al 2023, nel 2024 si registra un aumento dei casi di tortura avvenuti in Tunisia e Algeria tra le persone assistite da MSF, con un aumento rispettivo dall’11% al 24% e dal 3% al 15%. Violenze sessuali e di genere sono comuni lungo il percorso migratorio, specialmente per le donne: l’80% delle pazienti riferisce di aver subito uno o più episodi di violenza sessuale e il 70% ha subito violenza di genere nel Paese di origine. Gli uomini non sono esclusi: alcuni pazienti hanno raccontato di aver subito torture che includevano violenza sessuale o di essere stati costretti ad assistere allo stupro della propria moglie o sorella. “Mia moglie ed io siamo dovuti scappare dal Camerun, suo padre l’ha violentata e perseguitata da quando era piccola. In Libia siamo stati rapiti e venduti ai trafficanti. Mi hanno costretto a lavorare per loro e quando ho provato a ribellarmi, a fuggire, mi hanno torturato: non mi davano da bere né da mangiare, mi hanno picchiato, frustato. Mi hanno costretto a prendere dei vetri rotti e a stringerli tra le mani” ha raccontato un paziente ai team di MSF. “Ma la cosa peggiore che hanno fatto è stata violentare mia moglie davanti a me, poi l’hanno costretta a prostituirsi. Mi hanno torturato ogni volta che ho provato a ribellarmi. Mi dicevano che l’avrebbero uccisa se non obbedivo”. Gli effetti della tortura: conseguenze fisiche e psicologiche. Stress post-traumatico nel 67% dei casi Torture e maltrattamenti – come percosse, frustate, bruciature, rimozione delle unghie, folgorazioni, soffocamento – possono avere effetti molteplici e profondi a livello fisico, psicologico, culturale e sociale. Il dolore cronico rappresenta una conseguenza comune tra le persone sopravvissute, considerando la brutalità fisica di molte pratiche di tortura che in alcuni casi vengono inflitte in modo ripetuto. Oltre alle conseguenze fisiche, che comprendono sintomi muscoloscheletrici (15%), all’apparato digerente (12%), neurologici (9%), oculistici (6%) e ginecologici (6%), la tortura lascia anche profonde cicatrici persistenti e debilitanti in termini di salute mentale, che tendono a influenzare tutti gli aspetti della vita della persona. Il 67% delle persone assistite presenta stress post-traumatico, con depressione e disturbi dell’ansia, il 3% dei pazienti ha manifestato pensieri suicidari. “Lavoriamo con i pazienti per fare in modo che i flashback e i pensieri intrusivi si trasformino in ricordi piuttosto che in esperienze ritraumatizzanti” dichiara Carmela Virga, psicologa di MSF a Palermo. “Il percorso terapeutico parte dalla creazione di una relazione di fiducia, uno spazio sicuro in cui il paziente possa sentirsi nuovamente un essere umano libero di scegliere e decidere per sé stesso, spezzando le dinamiche di potere esercitate dai responsabili delle torture”. Vulnerabilità giuridica delle persone sopravvissute a tortura: solo il 22% ha ottenuto status di rifugiato Nonostante le persone assistite dal progetto siano sopravvissute a torture e trattamenti inumani e degradanti, solo il 22% di coloro di cui è stato riportato lo status giuridico al momento dell’ammissione e della dimissione dal progetto è titolare dello status di rifugiato e il 5% di protezione sussidiaria. Il resto dei pazienti non solo deve affrontare le conseguenze fisiche e psicologiche della tortura, ma si ritrova anche in una condizione di vulnerabilità e precarietà dal punto di vista giuridico, che aggrava la loro condizione di incertezza e instabilità sociale ed economica. Un quadro estremamente preoccupante della gestione emergenziale e deumanizzante del sistema di accoglienza italiano, aggravato da normative sempre più restrittive e limitanti in materia di migrazione e riconoscimento della protezione internazionale. Le richieste di MSF: necessarie risposte istituzionali adeguate Alla luce delle evidenze emerse dal rapporto, che mostrano gli effetti debilitanti della tortura sull’individuo, MSF sollecita risposte istituzionali adeguate ai bisogni di cura e assistenza delle persone migranti sopravvissute a tortura, nel rispetto degli obblighi che l’Italia ha nei loro confronti. Pertanto, MSF chiede che: * L’Italia si conformi pienamente agli obblighi sanciti dalla Convenzione contro la tortura (1984), in particolare all’articolo 14, che riconosce alle vittime il diritto alla riabilitazione più completa possibile, assicurando un adeguamento efficace del sistema di accoglienza e dei servizi sociosanitari dedicati. * Le Linee guida per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione adottate dal Ministero della Salute nel 2017 vengano rigorosamente attuate su tutto il territorio nazionale, superando disomogeneità e carenze esistenti, per consentire  alle persone sopravvissute a tortura di accedere realmente a un supporto adeguato ai loro bisogni, in conformità con gli obblighi dell’Italia verso il diritto internazionale. * Vengano superate le barriere istituzionali e le politiche migratorie restrittive, ripristinando e potenziando un sistema di accoglienza e assistenza inclusivo e ben strutturato, capace di assicurare una tempestiva identificazione delle vulnerabilità, un’effettiva presa in carico e riabilitazione delle persone sopravvissute a tortura. * Siano sostenuti e garantiti percorsi di accesso sicuri, evitando che le persone siano costrette a transitare attraverso Paesi o territori in cui sono notoriamente esposte a pratiche di tortura e violenze. Il progetto di Palermo per persone migranti sopravvissute a violenza intenzionale e tortura A Palermo, Medici Senza Frontiere (MSF), l’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “Paolo Giaccone”, l’Università degli Studi di Palermo, il Dipartimento PROMISE e la Clinica Legale per i Diritti Umani (CLEDU) gestiscono un servizio specialistico per la presa in carico di persone migranti e rifugiate sopravvissute a violenza intenzionale e tortura. Un progetto nato alla fine del 2020 che propone un modello di cura basato su équipe interdisciplinari composte da medici, psicologi, operatori sociali, mediatori interculturali e altri specialisti per dare una risposta coordinata, integrata e personalizzata ai bisogni dei pazienti. Da gennaio 2021 ad oggi sono stati presi in carico circa 320 pazienti. ReSST, la Rete Italiana per il Supporto alle Persone Sopravvissute a Tortura  MSF, in collaborazione con Caritas, Ciac, Kasbah, Medici Contro la Tortura, MEDU, NAGA e SaMiFo ASLRoma 1, ha dato vita a dicembre 2024 alla Rete Italiana per il Supporto alle Persone Sopravvissute a Tortura (ReSST). Tra i suoi obiettivi, quelli di informare e sensibilizzare sulla tortura e le sue conseguenze, migliorare la disponibilità e la qualità dei servizi per la riabilitazione delle persone sopravvissute a tortura, promuovere attività di ricerca scientifica, formazione e aggiornamento professionale. La ReSSt ha presentato il 25 giugno il Primo Report annuale 2024. Per maggiori informazioni: https://controlatortura.it/       Medecins sans Frontieres
Napoli rifiuta la guerra e il riarmo: NO al summit NATO del 26 maggio
Il 26 maggio a Napoli si terrà un summit della NATO sul tema della “Sicurezza nel Mediterraneo”, i movimenti sociali cittadini hanno indetto un contro summit per ribadire la contrarietà alla guerra, l’opposizione al riarmo e al genocidio in Palestina. Di seguito ripubblichiamo il testo della chiamata diffusa da Laboratorio Politico Iskra in cui vengono […]
L’isola dei bambini mai arrivati. C’è chi giura di averla vista navigare
SONO TANTISSIMI I BAMBINI E LE BAMBINE, I RAGAZZI E LE RAGAZZE CHE ATTRAVERSANO IL DESERTO E IL MEDITERRANEO DA SOLI. NEGLI ULTIMI DIECI ANNI OGNI GIORNO UNO DI LORO È SCOMPARSO IN MARE. MANCAVA PERFINO LA MANO DI UNO DEI GENITORI A DARE L’ULTIMO AIUTO -------------------------------------------------------------------------------- Molti di loro sono certamente passati dal Niger, Terra di Mezzo. Li abbiamo incontrati e poi dimenticati. Erano accompagnati da uno o entrambi i genitori oppure confusi tra fratelli, amici e conoscenti d’occasione. Hanno attraversato non si come il deserto e, per gli strani sentieri del destino, sono riusciti a imbarcarsi e tentare il Mare di Mezzo, il Mediterraneo. Secondo l’ultimo rapporto dell’agenzia Onu per la protezione dell’infanzia l’UNICEF, in dieci anni, almeno 3.500 bambini e bambine hanno perso la vita nel mare, sulla rotta del Mediterraneo centrale. Questa porzione di mare è riconosciuta come la frontiera più mortale del mondo. Ciò significa, sempre per il rapporto citato, che in questi ultimi dieci anni ogni giorno un bambino è scomparso nel mare. Mancava perfino la mano di uno dei genitori a dare l’ultimo aiuto. Sette bambini su dieci che hanno effettuato la traversata viaggiavano soli. Quanti sono giunti sull’altra riva e interrogati hanno confessato che, durante il viaggio, molti di loro hanno sofferto violenze fisiche e altri sono stati arbitrariamente detenuti. Sono fuggiti da guerre, conflitti, violenze, miseria e soprattutto da una parte d’Africa che ha tradito e venduto il loro futuro ai commercianti di vite umane. I bambini fanno parte delle oltre 20 mila persone morte o disperse nel corso egli ultimi dieci anni nello stesso Mare. L’isola dei bambini si è creata da sé, come per caso, un giorno feriale di un anno che nessuno ricorda. Il numero dei piccoli e delle piccole migranti mai arrivati aumentava al quotidiano e si rese necessario, col tempo, organizzare la vita della colonia e far sentire i nuovi arrivati come a casa loro. All’inizio non è stato facile perché i bambini cercavano di imitare quello che ricordavano della società dei grandi. Armi, guerre, muri come frontiere e parole armate generatrici di violenza e divisione. Si organizzò dunque una prima assemblea aperta a tutti i residenti senza distinzione: si decise all’unanimità che l’isola sarebbe stata guidata senza più tener conto del sistema creato dai grandi. Inventarono strade, cortili, piazze, giochi e feste. Alcuni dei più grandi che già avevano imparato un mestiere si industriarono a trasmettere ad altri il loro sapere. Altri e altre organizzavano la cucina, la cura dei più piccoli e rallegravano la vita dell’isola con canti e danze improvvisate. L’isola delle bambine e dei bambini mai arrivati era anch’essa migrante e, in realtà, non andava da nessuna parte. Si muoveva, invisibile o visibile secondo le stagioni e, come esse, mutevole nei colori e nella forma. Quando, da lontano, spuntava un’imbarcazione i bambini migranti innalzavano una bandiera inesistente e accendevano fuochi sperando che il fumo avrebbe segnalato la loro presenza. L’isola è ben là fino a tutt’oggi e continua a ricevere nuovi ospiti ai quali viene chiesto il nome, l’età e il Paese di origine. Nel caso di neonati i nomi sono scelti a seconda dei giorni di sole, di pioggia e di vento. Non c’è una rotta prestabilita perché l’isola inventa ogni giorno nuovi orizzonti e c’è chi giura d’averla vista passare ma c’era nebbia quel giorno. Alcuni dei primi residenti immaginano che un giorno l’isola dei bambini si trasformerà in un continente che avrà dimenticato per sempre l’arte della guerra. -------------------------------------------------------------------------------- Mauro Armanino, vive a Niamey in Niger. Ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura. Questo articolo è stato inviato anche a ilfattoquotidianot.it -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo L’isola dei bambini mai arrivati. C’è chi giura di averla vista navigare proviene da Comune-info.