Un festival per la libertà di movimento
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Difficilmente quindici anni fa gli organizzatori del Festival delle migrazioni
Don Vincenzo Matrangolo di Acquaformosa (Cs) potevano immaginare cosa sarebbe
diventato quest’evento annuale che coinvolge studiosi, operatori e volontari da
tutto il mondo. I numeri di quest’anno, hanno superato di gran lunga le più
rosee aspettative: oltre 1.000 presenze negli otto convegni, 10.000 nei concerti
e oltre 150.000 visualizzazioni sui canali social e sul sito del festival, un
successo straordinario se si pensa che negli ultimi anni il festival ha assunto
una dimensione itinerante con iniziative dislocate nei vari comuni arbershe
aderenti all’associazione. Luoghi collegati poco e male da sali e scendi tra
calanchi calabresi, arroccati fino anche ad 800 metri di altezza dove anche ad
agosto la brezza è fresca e piacevole.
Un’organizzazione pazzesca: dal 22 al 31 agosto il festival si è spostato ogni
giorno e ogni giorno ha proposto un programma imperdibile. Rappresentanti di
Emergency, Medici senza Frontiere, Sos Mediterranee, studiosi dal Giappone,
giornalisti, scienziati ma anche artisti e musicisti. Ogni giorno un concerto a
fine serata dopo le immancabili cene sociali in piazza organizzate dai SAI
(Sistema Accoglienza Integrazione) e dai comuni coinvolti. Cibi della tradizione
calabrese–arbereshe ma anche piatti da tutto il mondo realizzati insieme agli
ospiti dei progetti. I sindaci dell’associazione hanno celebrato i quindici anni
di accoglienza il 23 agosto ad Acquaformosa, rivendicando con orgoglio il valore
di questa scelta che ha cambiato la vita di tante persone accolte ma anche delle
comunità accoglienti.
Un festival itinerante dicevamo, uno spostamento di corpi e di energie ben
sincronizzato, gli operatori dei SAI coinvolti sempre presenti ed efficienti, un
via vai di idee, progetti, iniziative, nonostante lo sforzo organizzativo e la
stanchezza che inevitabilmente si è accumulata. Un’“onda calabra”, per
riprendere il titolo della canzone del Parto delle nuvole pesanti che da sempre
è ospite del festival, si è mossa per giorni da un luogo a un altro con gioia,
con l’intenzione di esserci e prendere parte agli incontri. Livello altissimo,
un programma ricco su quanto di urgente e necessario va detto in un momento
storico in cui le migrazioni sono sempre più criminalizzate. Resistenza, il
leitmotiv di quest’anno come dell’anno precedente. Un’onda calabra per resistere
all’onda di discriminazione, per discutere senza pregiudizi su quanto sta
accadendo nel mondo e in particolare qui in Italia dove oltre il 90 per cento
dei cittadini sono di fede cattolica e sembra dimenticare i valori del Vangelo.
Non potevano mancare perciò interventi da questo mondo, Donato Oliviero, vescovo
della diocesi di Lungro, don Ennio Stabile presidente dell’associazione San
Benedetto Abate, Francesco Casarello della Comunità di Sant’Egidio. Uomini di
Chiesa che non hanno paura di schierarsi dalla parte dei più deboli.
Gli organizzatori hanno voluto affrontare tutti i temi “caldi”, le odissee di
chi chiede asilo dopo una tragica traversata in mare, di chi è stato
fortunatamente salvato da qualche ONG che per questo motivo oggi è nel mirino
del governo. Luciano Scalettari, presidente di Resq, una delle navi di soccorso
nata dal basso grazie all’iniziativa di cittadini e associazioni, ha firmato un
protocollo con l’associazione Don Vincenzo Matrangolo per la nascita di un
equipaggio di terra dei paesi Arberesh, perché qui, in queste terre, non si
dimentica la propria storia. Seicento anni fa infatti, molti albanesi scapparono
dall’Albania per sfuggire alle persecuzioni dei turchi e trovarono rifugio in
queste zone tra Calabria, Basilicata, Puglia, Sicilia. Proprio in Calabria
risiede la più numerosa concentrazione di albanesi, gli arbereshe appunto. In
queste zone isolate dove la presenza di migranti ha rivitalizzato comunità a
rischio di estinzione, dimostrando concretamente che le migrazioni non solo non
sono un problema ma possono essere una risorsa, si è parlato di un cambio di
paradigma, di provare a superare il concetto di migrazione e immaginare un
futuro di mobilità dove tutti possano essere liberi di muoversi. Utopia? Forse
sì, forse anche solo immaginarlo è sconvolgente ma se si superano i pregiudizi
si può realmente immaginare un futuro senza limiti invalicabili e cominciare a
discuterne è auspicabile. L’argomento è purtroppo molto attuale se si pensa alla
situazione di Gaza e al dramma dei palestinesi. Non è un caso che quest’anno gli
organizzatori del festival hanno deciso di investire il ricavato del festival in
progetti equo solidali per Gaza e dedicare l’ultima serata proprio a questo
argomento. Ad oggi sono stati raccolti oltre 3.000 euro dalla vendita della Gaza
Cola e da gadget realizzati dai progetti SAI che contribuiranno a ripristinare i
servizi essenziali dell’ospedale Al- Karama a Gaza nord. La serata finale del
festival si è conclusa con un commosso collegamento con i ragazzi
dell’equipaggio della Global Sumud Flotilla partiti da Barcellona.
Ogni anno è sempre un successo, ogni anno gli organizzatori chiudono il festival
con un bilancio più che positivo ma quest’anno il protagonista in assoluto è
stato certamente il pubblico. La legge 80 derivata dai decreti sicurezza, la
politica securitaria del governo atta a contrastare ogni forma di manifestazione
di dissenso ha generato un forte bisogno di confrontarsi, di “esserci” qui e
ora. Il festival delle migrazioni ha assunto il più ampio significato, tutti i
partecipanti sono stati per quei giorni fuggitivi, irregolari in cerca di asilo,
di un luogo pacifico dove confrontarsi senza timore e in quei paesi tra i
calanchi calabresi hanno trovato la giusta accoglienza.
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