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Vivere a Gaza sotto una tenda, aspettando la prossima bomba
Prosegue la nostra corrispondenza da Gaza con Nancy Hamad, la studentessa in economia arrivata alla soglia della laurea nel momento in cui è iniziato il genocidio. Nel dicembre del 2024 Nancy ha ricevuto simbolicamente una laurea honoris causa in economia dal collettivo di ricercatori, docenti e studenti RomaTre Etica. Quel giorno nella terza università della capitale si svolgeva, quasi a porte chiuse e presidiato da agenti della Digos e della celere, un conferimento senza meriti accademici né tanto meno umanitari alla costituzionalista, ex ufficiale dell’esercito israeliano, Daphne Barak Erez, artefice sul piano giurisprudenziale della recrudescenza del regime d’apartheid, fino alla “pietra tombale” di una qualsiasi possibilità di dialogo interreligioso e interetnico tra ebrei e “non ebrei”, come la legge fondamentale del 2018. Mi chiamo Nancy, vivo nella Striscia di Gaza e vi scrivo dal cuore della sofferenza che viviamo ogni giorno. La situazione qui è estremamente difficile e la carestia sta aumentando a un ritmo terrificante. Nonostante tutto ciò che sentiamo dai media riguardo agli aiuti alimentari in arrivo, questi non ci raggiungono mai. Gran parte degli aiuti viene rubata o distribuita in modo ingiusto e noi non vediamo mai nulla. I mercati sono quasi vuoti e, se qualche prodotto è disponibile, ha prezzi che non possiamo permetterci. Qualche giorno fa abbiamo trascorso tre giorni senza un solo alimento di base: niente riso, pane o pasta. Dopo molte sofferenze, siamo riusciti a comprare un po’ di farina e a fare il pane. È stato il nostro primo pasto vero dopo giorni. Vi scrivo oggi affinché possiate sentire la mia voce e quella di molte altre persone come me che hanno bisogno di un aiuto concreto, fornito direttamente alla popolazione, senza intermediari o interferenze. La situazione è insostenibile e ogni giorno è più difficile del precedente, soprattutto per i bambini, i malati e gli anziani. Spero che ci saranno azioni concrete, perché la fame è un nemico infido e le nostre vite sono ormai piene di attesa e dolore. Nella foto si può vedere il pane che finalmente siamo riusciti a fare: è la prima volta che lo mangiamo dopo una pausa di 5 giorni. Abbiamo comprato un chilo di farina a un prezzo molto alto, più di 30 dollari. Poi potete vedere le immagini che hanno fatto il giro del mondo: un aereo giordano che lancia aiuti dall’alto. A causa del vento questi finiscono nelle zone occupate dall’esercito e nessuno se la sente di raggiungerli a causa del pericolo che questo comporterebbe. Poi ci sono altre immagini che ho registrato per mostrare le nostre sofferenze quotidiane: dopo aver fatto la fila per l’acqua dalle 4 del mattino fino alle 4 del pomeriggio, abbiamo “vinto” e ottenuto un secchio e mezzo d’acqua. Si può poi vedere la tenda in cui viviamo le nostre sofferenze quotidiane e dove in ogni caso non ci sentiamo mai al sicuro. Stefano Bertoldi
Gaza, gli aiuti disumani
Immaginate con me, per favore, che tipo di aiuti umanitari possano essere quei camion carichi di un po’ di cibo, se il segnale per il loro ingresso è costituito da proiettili e colpi di arma da fuoco. Per chi non lo sapesse, prima che i camion entrino a Gaza, l’esercito israeliano lancia un vasto attacco contro coloro che attendono questi aiuti, sostenendo di volerli disperdere e allontanare dal confine per permettere ai camion di passare. Forse questa affermazione è persino vera, perché gli affamati si trovano a pochi metri dalle unità dell’esercito per la disperazione e la fame. Ma che tipo di “umanità” è mai questa, se il modo per disperdere le persone è ucciderle e sparare su di loro con proiettili e bombardamenti indiscriminati? Il fatto più tragico è che uno dei “segnali” che conferma l’arrivo dei camion è il numero dei morti e dei feriti. Ogni volta che vengono estratti dei corpi da lì, la popolazione capisce che i camion stanno per entrare, perché l’esercito ha “ripulito” l’area dagli affamati che si avvicinano alla zona di uscita dei mezzi. Un’altra tragedia è che l’arrivo di questi camion, dopo aver lasciato dietro di sé molte vittime, provoca caos, violenza e disordini che spesso causano nuove vittime, imponendo la “legge della giungla”: qui il più forte riesce a spingere via il più debole dal camion, ferendolo o addirittura uccidendolo, e così “merita” il cibo grazie alla sua forza e alla capacità di sopraffare gli altri. Dov’è l’umanità in tutto ciò? La terza tragedia, la più grave, è che la maggior parte delle famiglie senza uomini o giovani non riesce a ottenere alcun cibo. Molti anziani e madri che hanno perso i loro mariti non hanno alcuna possibilità di procurarsi del cibo tra spinte e scalate ai camion. Che tipo di “umanità” è mai quella che impedisce a orfani, vedove e anziani — le categorie che più hanno bisogno di aiuti umanitari — di ricevere del cibo? Per quanto riguarda il cosiddetto lancio di aiuti dal cielo, promosso da alcuni Paesi arabi ed europei, è più un’“umiliazione dall’alto” che un aiuto aereo. Non so come possa un pilota aprire i portelloni del suo aereo per lanciare tonnellate di cibo su una città fatta per il 70% di tende, e cosa provi mentre vede bambini e affamati correre sotto l’aereo, implorando con i gesti perché vogliono mangiare, sapendo che, appena i container toccano terra, o distruggeranno una tenda o feriranno e uccideranno molte persone che lottano tra loro per quel cibo. Vi racconto la mia esperienza con i lanci aerei: l’anno scorso, durante la prima carestia, cadde un paracadute carico di aiuti nella mia zona. Mi trovavo vicino e appena la cassa toccò terra fui il primo ad afferrarne un lato. Prima ancora di aprirla, ricevetti un colpo alla testa e una coltellata alla schiena che mi fece indietreggiare. Cercai di riprendermi e vidi un gran numero di persone colpirsi con coltelli e bastoni per impossessarsi di quel cibo. Spero che la mia esperienza con i paracadute vi faccia capire la tragedia che stiamo affrontando. L’unica soluzione per fermare la carestia a Gaza e salvare la sua gente è un cessate il fuoco e consentire agli enti preposti alla sicurezza di proteggere gli aiuti e consegnarli ad organizzazioni internazionali come l’UNRWA e il World Food Programme, in modo che vengano distribuiti con dignità. Qualsiasi altro tipo di aiuto non è umanitario, ma soltanto una trappola mortale. #Alaa_Ahmed https://www.instagram.com/alaa_ahmed_829?igsh=MXh3cm91MWF2cHA1aQ==   Redazione Italia
FREEDOM FLOTILLA: ATTERRATO A FIUMICINO ANTONIO MAZZEO, “DEPORTATO DA ISRAELE”
Antonio Mazzeo – uno due attivisti italiani sequestrati dall’Idf sulla nave Handala della Freedom Flotilla Coalition – è atterrato intorno alle 12 all’aeroporto di Fiumicino. Il nostro collaboratore da Roma Stefano Bertoldi ha raccolto le sue prime parole appena atterrato. Ascolta o scarica Sabato sera a mezzanotte l’esercito israeliano aveva assaltato e sequestrato la nave della Freedom Flottilla e arrestato tutti i membri dell’equipaggio, che nel frattempo erano entrati in sciopero della fame “contro l’assedio israeliano alla Striscia di Gaza”. Tra gli attivisti e le attiviste rapiti illegalmente da Israele in acque internazionali c’erano appunto due cittadini italiani: Antonio Mazzeo e Antonio La Piccirella, di cui non si conoscono ancora i dettagli del rimpatrio, o meglio, della “deportazione”, come sottolinea ai nostri microfoni Michele Borgia del team comunicazione della Freedom Flotilla Coalition, intervistato pochi minuti prima dell’arrivo di Mazzeo a Fiumicino. Gli avvocati del team legale Handala hanno incontrato gli attivisti detenuti presso il porto di Ashdodr nella vicina stazione di polizia israeliana. Secondo le loro dichiarazioni, tutti si trovano in condizioni relativamente buone. Le autorità israeliane stanno gestendo la loro custodia come se avessero fatto ingresso illegale nel Paese, insomma li hanno accusati di immigrazione clandestina, nonostante siano stati rapiti, prelevati con la forza da acque internazionali e condotti in Israele contro la loro volontà. A ciascun attivista sono state presentate due opzioni: accettare la cosiddetta “deportazione volontaria” – come ha fatto Mazzeo – oppure rimanere in detenzione e comparire davanti a un tribunale per la revisione della detenzione, in vista comunque della deportazione entro le 72 ore. L’obiettivo della missione della Handala era quello di raggiungere Gaza, rompere l’assedio illegale israeliano e portare aiuti alla popolazione palestinese. L’aggiornamento con Michele Borgia del team comunicazione della Freedom Flotilla Coalition. Ascolta o scarica Nel frattempo l’agenzia di stampa palestinese Wafa riporta che 13 palestinesi sono stati uccisi e più di 30 sono rimasti feriti oggi a causa dei continui bombardamenti israeliani su varie zone della Striscia di Gaza. Cinque palestinesi sono rimasti uccisi in seguito al bombardamento di un appartamento nella zona di Al-Mawasi, a ovest di Khan Yunis, si legge sul suto dell’agenzia. Altri cinque sono stati uccisi e più di 30 sono rimasti feriti a causa del bombardamento di una casa di tre piani nel quartiere giapponese a ovest di Khan Yunis. Altri tre palestinesi sono morti e diversi altri sono rimasti feriti quando le forze israeliane hanno bombardato un’abitazione nel campo profughi di Maghazi, nella Striscia di Gaza centrale. Un massacro a cui si aggiungono le 100 persone uccise ieri mentre cercavano aiuti a Gaza. Il resocondo di Farid Adly di Anbamed. Ascolta o scarica Ieri è stata una giornata di cosiddetta “tregua umanitaria” a Gaza per l’arrivo di aiuti dal cielo e da terra, celebrata da tutti i TG del mondo: apice del TG1 che ha parlato di tonnellate di cibo ferme al confine perche’ nessuna organizzazione umanitaria si prende l’incarico di distribuirle. Un neonato della Striscia di Gaza, Muhammad Ibrahim Adas, è morto a causa della malnutrizione e della carenza di latte artificiale, secondo quanto riferito da una fonte dell’ospedale Al-Shifa di Gaza City ai giornalisti di Al Jazeera Arabic. Ieri sei persone sono decedute per fame nelle ultime 24 ore, di cui due bambini, altri 24 sono morti per gli attacchi nelle zone designate alla distribuzione di aiuti. A fronte di tutto ciò, manifestazioni ieri sera in tutta Italia: al grido di “facciamo rumore per Gaza”, con battiture e cacerolazi, centinaia in Piazza anche a Brescia in Largo Formentone. Ci ha raccontato la piazza bresciana Gloria Baraldi di RestiamoUmani Brescia Ascolta o scarica
I bambini di Gaza sono i nostri figli!
Il 27 luglio 2025, in acque internazionali, l’esercito israeliano ha assaltato la nave Handala, battente bandiera tedesca e parte della Freedom Flotilla, diretta verso Gaza con aiuti umanitari. Ventuno civili disarmati sono stati sequestrati e deportati con la forza in Israele. Nessun carico di armi, nessun atto ostile. Solo un tentativo – pacifico e dichiarato – di portare medicine, beni essenziali, solidarietà a una popolazione stremata da mesi di bombardamenti, assedi e totale isolamento. L’Europa ha reagito? I governi occidentali hanno protestato? I parlamentari italiani hanno detto una parola? No. Silenzio. Imbarazzo. Complicità. E se su quella nave ci fossero stati gli aiuti per i figli dei nostri parlamentari? Se quei pacchi fossero stati destinati ai bambini di Montecitorio, alle figlie dei nostri senatori, ai nipoti di chi oggi siede nei banchi delle commissioni Esteri e Difesa? Se a Gaza si trovassero i loro cari, costretti a bere acqua contaminata, a curarsi senza anestesia, a dormire sotto le tende tra le macerie? Sarebbero ancora così cauti, così muti, così attenti a “non sbilanciarsi”? Il sequestro della Handala è un atto di pirateria di Stato, un’aggressione militare contro civili pacifisti, contro il diritto internazionale, contro la stessa idea di umanità. Eppure, il crimine si consuma nell’indifferenza. I bambini di Gaza sono i nostri figli. Non è uno slogan buonista. È una chiamata alla responsabilità. Perché se continuiamo a dividere il mondo in “figli nostri” e “figli degli altri”, in vite che contano e vite sacrificabili, allora non abbiamo imparato nulla dalla Storia. Allora siamo ancora immersi in una logica coloniale, razzista, disumana. Chi oggi tace davanti a questo atto di violenza contro civili, è complice. Chi legittima il blocco totale della Striscia di Gaza, è responsabile. Chi rimuove il volto dei bambini palestinesi dai telegiornali e dalle coscienze, è colpevole. Per questo oggi lanciamo un appello, chiaro, netto, non negoziabile: I BAMBINI DI GAZA SONO I NOSTRI FIGLI! Lo sono per chi crede nel diritto, nella giustizia, nella dignità umana. Lo sono per chi non accetta che la punizione collettiva diventi normalità. Lo sono per chi ha il coraggio di guardare oltre le bandiere, oltre gli schieramenti, oltre la paura di esporsi. La nave Handala non è stata fermata solo da soldati. È stata tradita anche dal nostro silenzio. Siamo ancora in tempo per cambiare rotta. Perché un giorno, quei bambini – se sopravvivranno – ci chiederanno: dov’eravate mentre ci bombardavano, ci affamavano, ci cancellavano? Che cosa risponderemo? Patrizia Carteri
La Freedom Flotilla salpa di nuovo: la Handala diretta a Gaza
Il 13 luglio la Freedom Flotilla Coalition è salpata da Siracusa con Handala, una nave della società civile diretta a Gaza per sfidare il blocco letale e illegale imposto da Israele. L’imbarcazione ha a bordo aiuti umanitari salvavita e  porta un messaggio di solidarietà da parte di persone di tutto […] L'articolo La Freedom Flotilla salpa di nuovo: la Handala diretta a Gaza su Contropiano.
Che cos’è la droga che i palestinesi avrebbero trovato negli “aiuti” di Gaza Humanitarian Foundation??
di Agata Iacono  Cos’è la droga che l’autorità palestinese avrebbe trovato mescolata alla farina dei cosiddetti aiuti umanitari gestiti dai contractors,  (leggi mercenari), della Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), una fondazione sostenuta da Israele e USA? Usiamo il condizionale perché al momento non e’ possibile dire se si tratta di un classico esempio di falso positivo della propaganda israeliana. Sì tratterebbe di un oppioide, molto diffuso negli Stati Uniti come farmaco “estremo” per lenire il dolore laddove nessun altro antidolorifico riesce più a fare effetto, quindi destinato ai malati terminali. Ma la sua diffusione nel mercato nero dei narcotici percorre esattamente la stessa road map del fentanyl, il cosiddetto farmaco degli zombi, che continua sempre a mietere vittime sulle strade delle città statunitensi, ma che ha smesso improvvisamente di essere il casus belli di Trump contro la Cina. Come il fentanyl, infatti, l’ossicodone è  stato prima prescritto dalla sanità statunitense e quindi, avendo creato gravissima tossicodipendenza e fatto crescere  la domanda, è stato monopolizzato da bande criminali che lo vendono in nero a pochi dollari. Ha effetti devastanti su chi lo assume. È un oppiaceo molto più potente della morfina e dell’eroina, crea fortissima dipendenza e depressione, fiacca il fisico e il morale, nonostante i primi effetti siano analgesici e anche euforici, ma di brevissima durata. L’ossicodone (commercializzato anche in Italia, e in vari paesi del mondo, come OxyContinTM o  DepalgosTM e negli Stati Uniti come PercocetTM), non è prescrivibile se non a maggiori di 18 anni in gravissimo stato oncologico. E, invece, viene distribuito e mangiato da bambini palestinesi di bassissima età, che riescono a raccogliere un po’ di farina, se hanno  la fortuna di essere risparmiati casualmente dal tranello omicida di chi li fa mettere in fila affamati e assetati, allo stremo delle forze, per ucciderli tutti insieme risparmiando proiettili…. Se avete letto Marx ricorderete che una delle sue gravissime denunce, contro lo sfruttamento della rivoluzione industriale inglese, riguardò la distribuzione di oppio davanti alle fabbriche agli operai delle catene di montaggio. L’oppio non ti fa percepire la fame e agevola uno stato di intorpidimento che impedisce la ribellione. D’altronde la stessa strategia fu tentata in Cina dagli inglesi e, abbastanza recentemente, anche negli anni 80 per disinnescare il potenziale di protesta che aveva contraddistinto le lotte degli anni 60/70 anche in Italia. “Le autorità palestinesi di Gaza hanno dichiarato venerdì 27 giugno 2025 che pillole di droga sono state trovate all’interno di sacchi di farina spediti dagli Stati Uniti nell’enclave assediata da Israele. In una dichiarazione, l’ufficio stampa del governo di Gaza ha detto che l’ossicodone è stato trovato dai palestinesi all’interno di sacchi di farina che hanno ricevuto dai punti di distribuzione degli aiuti gestiti dagli Stati Uniti a Gaza. “È possibile che queste pillole siano state deliberatamente macinate o sciolte all’interno della farina stessa, il che costituisce un attacco diretto alla salute pubblica” L’ufficio stampa ha ritenuto Israele pienamente responsabile di questo “crimine efferato” volto a diffondere la dipendenza e a distruggere il tessuto sociale palestinese dall’interno.” “Questo fa parte del genocidio israeliano in corso contro i palestinesi”, ha detto, definendo l’uso della droga da parte di Israele un'”arma leggera in una guerra sporca contro i civili”. Fonte: Gaza authorities say drugs found inside US-dispatched flour bags https://www.aa.com.tr/en/middle-east/gaza-authorities-say-drugs-found-inside-us-dispatched-flour-bags/3615641 https://www.middleeasteye.net/news/opioid-pills-discovered-us-backed-food-aid-gaza-authorities-say L'Antidiplomatico
La Freedom Flotilla per rompere l’assedio di Gaza sta per salpare dalla Sicilia
Era gremito il piccolo porto di San Giovanni Li Cuti, vecchio borgo marinaro nel cuore di Catania. Centinaia di persone ad affollare la banchina, accorse per accogliere la Freedom Flotilla, l’imbarcazione che salperà oggi – domenica 1 giugno – alla volta di Gaza con l’obiettivo di rompere il blocco israeliano e consegnare aiuti alla popolazione palestinese. I membri della flotta che si alternano al microfono vengono da tutto il mondo: Europa, Brasile, Stati Uniti, Paesi arabi. Tra loro anche l’ambientalista svedese Greta Thunberg e l’attore irlandese Liam Cunningham (il Ser Davos Seaworth della serie Il trono di spade). Parlano in inglese, mentre gli attivisti cittadini traducono alla folla, piena non solo di quei volti che ti aspetti di trovare ai cortei, ma di uomini, donne, anziani e bambini che reggono cartelli in cui esprimono solidarietà ai propri coetanei di Gaza. Una riedizione di quanto accaduto appena una settimana fa, con cinquemila persone in corteo lungo la centrale via Etnea: testimonianza di una città che, come tante altre in Italia e in Europa, non ha più intenzione di assistere inerte di fronte al genocidio. La missione che attende la dozzina di attivisti a bordo della Freedom Flotilla è pericolosa. Non tanto per i sette giorni di navigazione nel Mediterraneo a bordo della piccola imbarcazione a motore, ma per l’elevata probabilità di essere fermati con la forza dall’esercito israeliano. Molti di loro erano a bordo del precedente tentativo di raggiungere Gaza via mare, quando – il 1° maggio 2025 – l’imbarcazione venne raggiunta da un drone israeliano mentre si trovava al largo di Malta e colpita con proiettili che ne incendiarono la prua, mettendola fuori uso. Mentre è ancora vivo il ricordo della Mavi Marmara, la nave di attivisti partita dalla Turchia sempre allo scopo di rompere l’assedio di Gaza, che il 31 maggio 2010 venne assaltata da un reparto speciale dell’esercito israeliano che uccise 10 membri dell’equipaggio e ne ferì altri 60. Una strage che il governo israeliano tentò di giustificare con la presunta presenza a bordo di armi destinate alla lotta armata palestinese, una menzogna smentita da successive indagini delle Nazioni Unite. “Molti pensano che siamo degli eroi, ma non lo siamo. Per vivere oggi a Gaza serve essere eroi” afferma Thiago Avila, attivista brasiliano e tra gli organizzatori della Freedom Flotilla. “Ho una bambina di un anno e penso che non si possa stare a guardare mentre migliaia di bambini a Gaza muoiono sotto le bombe e vivono nel terrore. Noi vogliamo dimostrare che la solidarietà e la coscienza internazionalista sono armi che possono battere l’oppressione”. A portarmi con un piccolo gommone a bordo della nave della Freedom Flotilla, ormeggiata un centinaio di metri oltre gli scogli del porticciolo, è Yazan Eissa, un ragazzo palestinese che è il tuttofare della ciurma. A bordo ci sono altri tre membri dell’equipaggio, rimasti a sorvegliare l’imbarcazione in attesa della partenza. Tra loro il dottor Mohammed Mustafa, che a lavorare come volontario a Gaza c’è già stato e ora prova a tornarci perché “ci sono migliaia di bambini da curare, e quelli che non sono morti sotto le bombe sono completamente traumatizzati e stanno vivendo un inferno che è impossibile da descrivere”. Sul ponte della nave, e anche sottocoperta, tolto lo spazio strettamente necessario per dormire e cucinare, ogni angolo è pieno di viveri da portare a Gaza: succhi di frutta, latte, riso, cibo in scatola, barrette proteiche. Sono state donate da centinaia di cittadini catanesi e di tutto il mondo. Yazan sa benissimo che, se riusciranno ad arrivare a Gaza, basteranno a sfamare solo pochi tra i due milioni di palestinesi allo stremo, ridotti alla fame da mesi di crimini di guerra da parte del governo israeliano che, attraverso il blocco di ogni aiuto umanitario e la distruzione sistematica dei campi agricoli, sta usando la fame come arma per costringere la gente di Gaza ad andarsene dalla propria terra: “Il nostro è un aiuto simbolico, serve innanzitutto a testimoniare alla gente di Gaza che i cittadini del mondo sono con loro”, afferma. E visto dal porto di San Giovanni Li Cuti appare evidente che Yazin abbia ragione. I cittadini sono con loro e sopra i tavoli dei ristoranti ci sono palloncini rossi, neri, verdi e bianchi, i colori che compongono la bandiera palestinese. Mentre i passanti si fermano ad ascoltare e ad applaudire. “Hanno ragione, è ora di fare qualcosa per fermare Israele”, dice ai clienti il ragazzo che lavora al chiosco mentre serve caffè e birre. Tanti chiedono cosa possono fare dei semplici cittadini per fermare tutto questo. “La storia dimostra che l’azione collettiva è il vero motore dei cambiamenti reali”, risponde Thiago dal palco: “Partecipate alle proteste, attuate il boicottaggio verso i marchi complici del genocidio, supportate i gruppi che sabotano le industrie di armi e bloccano il loro trasporto dai porti, informatevi e invitate gli altri a fare lo stesso tra i vostri amici e su internet. Tutte le azioni sono parte della battaglia per fermare Israele. La grande maggioranza dei cittadini in Europa e nel mondo sta con la Palestina. Il problema è che i governi non rispettano la volontà dei cittadini che li hanno eletti, ma se saremo uniti e determinati dovranno farlo”. L'Indipendente