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Ali Abu Awwad, il Gandhi palestinese e il percorso della nonviolenza nel conflitto israelo-palestinese
> Ali Abu Awwad, soprannominato il Gandhi palestinese [1], è intervenuto lo > scorso 6 novembre all’Istituto del Mondo Arabo di Parigi, su iniziativa delle > “Guerriere della pace [2]”. Questo articolo riporta le parole di questo > “instancabile sostenitore della pace” e della giustizia, ancora troppo poco > conosciuto negli ambienti militanti e politici che prendono posizione sul > conflitto israelo-palestinese. > > Ali Abu Awwad è nato in Cisgiordania da una famiglia di militanti di Fatah, > sua madre era addirittura collaboratrice di Yasser Arafat. È stato > imprigionato più volte, in particolare nel 1993 insieme a sua madre. Entrambi > hanno allora iniziato uno sciopero della fame che ha portato al raggiungimento > del loro obiettivo. Questa esperienza lo ha condotto sulla via della > nonviolenza, alimentata da diversi incontri, nonostante la successiva morte di > suo fratello, ucciso dai proiettili dei soldati israeliani. Come si arriva alla nonviolenza dopo un passato di militanza nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e la morte di suo fratello? Bisogna non solo non considerarsi una vittima, ma anche percepire l’umanità nell’altro. Ciò implica il riconoscimento dell’altro, punto di partenza indispensabile per costruire una soluzione. Questo riconoscimento richiede la comprensione dell’altro, delle credenze che fondano la sua identità. Ad esempio, i coloni non si considerano tali; allo stesso modo, gli attivisti palestinesi non si considerano terroristi, ma persone che rivendicano giustizia. Poiché queste identità non possono essere modificate, devono essere comprese e rispettate da entrambe le parti. D’altra parte, non è possibile riconoscere i comportamenti e le azioni commesse da entrambe le parti. Nessuno dei due protagonisti tollera tali azioni, ma non bisogna cadere nella vendetta. Ci sono quindi tre fasi per riconciliarsi con questi atti inaccettabili commessi dal proprio nemico: > 1) il riconoscimento reciproco del dolore che questi atti provocano > nell’altro; > > 2) un piano politico che traduca questo riconoscimento reciproco > dell’esistenza dell’altro (gli israeliani vogliono i palestinesi ma non la > Palestina e viceversa); > > 3) un movimento regionale di riconciliazione. Oggi il trauma è collettivo e gli israeliani rimangono molto aggressivi. Per far progredire il pensiero nonviolento, è necessario essere sul campo, vicini alla gente. Come il proprio nemico diventa una vittima? Ali Abu Awwad racconta che, quando faceva ancora parte dei vertici dell’OLP, ricevette una telefonata da un ebreo che, avendo appena perso il figlio ucciso da Hamas, gli chiese di accompagnarlo nel suo lutto. Sua madre accettò di ospitare quell’uomo: per la prima volta vide degli israeliani in lacrime venire da loro. Inoltre, in prigione, la sua esperienza dello sciopero della fame e gli studi che ha fatto durante gli anni di detenzione (perché, come molti palestinesi, ha imparato molto in prigione) gli hanno permesso di capire che la nonviolenza funzionava: se lui stesso vedeva gli israeliani come vittime, allora pensava che anche loro potessero vedere la sua umanità. Tuttavia, la sua vita non è facile: i palestinesi lo vedono come un traditore; gli israeliani come un “palestinese”. Oggi, infatti, ci sono due identità che non possono convivere, un po’ come i siamesi: hanno lo stesso corpo ma due teste, due menti. Ora, poiché i palestinesi non si rassegneranno a essere rifugiati e gli israeliani a partire, la soluzione è: > 1) riconoscere le due identità; > > 2) quindi istituire due Stati che coesistano senza subordinazione. Cosa pensa delle società occidentali e delle loro mobilitazioni? Bisogna innanzitutto riconoscere e ricordare che, sul campo, palestinesi e israeliani non sono uguali. Tuttavia, trasferire il conflitto in Francia tra ebrei e arabi/musulmani è inutile. Senza chiudere gli occhi su ciò che fa Israele, è meglio fare molta educazione senza respingere un palestinese se si è filoisraeliani, e viceversa. Infine, è necessario agire presso i governi e i politici affinché diventino partner di questa soluzione nonviolenta. Cosa significa essere un attivista per la pace in Cisgiordania e come combattere gli estremisti? Anche se la situazione in Cisgiordania non è paragonabile a quella di Gaza, è comunque molto difficile: Israele costruisce strade che aggirano i villaggi, che poi chiude dietro barriere dalle 17 in poi. Manca l’acqua, l’istruzione; è molto umiliante. Tuttavia, di fronte alla chiusura ideologica e securitaria degli israeliani, la risposta dei palestinesi non è né quella di rimanere nel loro angolo, né quella di rispondere con la violenza come fa Hamas. Comprendendo il carburante che sta dietro alle ideologie degli estremisti, è necessario affrontarle con un piano politico concreto basato sul metodo nonviolento. Più precisamente, occorre prendere in mano le comunità per influenzarle positivamente e creare un piano come alternativa politica con cose da guadagnare. Oggi, la gente avrebbe interesse a combattere i leader corrotti di entrambe le parti. Infine, le partnership internazionali sono importanti. RISPOSTE ALLE VARIE DOMANDE DEL PUBBLICO SU: La soluzione di uno Stato federato – AAA: Innanzitutto occorrono due Stati ben distinti. In realtà, esiste già una nazione/patria con due popoli: gli israeliani sono in Cisgiordania e i palestinesi vivono in Israele. Ma questi ultimi vivono in una forma di occupazione o subiscono discriminazioni. La perdita di fiducia degli israeliani dopo il 7 ottobre – AAA: in realtà, Israele imprigiona da tempo le persone che lavorano per la pace. Tuttavia, è certo che i Gandhi o i Luther King della regione non usciranno dalle file del governo israeliano o di Hamas e che bisogna avvicinarli con una strategia: combattere contro i corrotti. Il ruolo delle religioni nel conflitto – AAA: Si tratta di un conflitto dal valore religioso e non religioso. Inoltre, i palestinesi vogliono uno Stato laico, così come alcuni israeliani. Il problema religioso è quindi da ricercarsi in alcuni israeliani per i quali l’ebraismo è più di una religione: è un’identità politica. Tuttavia, alcuni religiosi (rabbini) sono favorevoli alla pace. È rimasto colpito dall’incontro con un rabbino israeliano che si è rifiutato di entrare nella casa di una famiglia di coloni che esponeva uno striscione con la scritta “La terra di Israele appartiene al popolo di Israele”; il rabbino ha persino risposto: “No, questo è inesatto e contrario ai testi biblici e al buon senso politico. Bisogna invertire la proposizione e dire: “Il popolo di Israele appartiene alla terra di Israele”, così come si potrebbe anche dire che il popolo palestinese appartiene a quella stessa terra”. Marwan Marghouti uscirà di prigione? – AAA: Marwan è un simbolo della Rivoluzione. Se uscirà di prigione, sarà un vantaggio. Ma se abbiamo un leader, è per governare uno Stato, non per fare la rivoluzione. Vogliamo un Paese per avere la pace. Gli accordi di Oslo hanno tralasciato la questione degli insediamenti e dei rifugiati. Due Stati consentono di affrontare entrambe le questioni. Note [1] Cfr. il sito che presenta le diverse azioni da lui avviate. [2] «Guerriere della Pace» è un movimento di donne impegnate per la pace, la giustizia e l’uguaglianza. Creato in Francia, riunisce donne di ogni origine e credo, in particolare ebree e musulmane. È stato candidato al Premio Nobel per la Pace 2025. -------------------------------------------------------------------------------- TRADUZIONE DAL FRANCESE DI THOMAS SCHMID CON L’AUSILIO DI TRADUTTORE AUTOMATICO. Rédaction France
La chiamata del porto. Convegno internazionale dei lavoratori portuali a Genova, in sostegno al popolo di Gaza e contro la guerra
Al via la due giorni organizzata dal Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali per discutere di boicottaggio e strategie di lotta contro la logistica israeliana, il commercio di armi a scopo bellico e a sostegno del popolo di Gaza. Presenti delegazioni di portuali da Grecia, Slovenia, Catalogna, Francia e altri paesi europei. Dopo un primo giorno dedicato […]
Proposta bioregionale. Unico Stato come unica soluzione per la pace in Palestina/Israele
La soluzione di uno Stato unico, o soluzione bioregionale, è un approccio proposto per venire a capo del conflitto israelo-palestinese. I sostenitori di questa soluzione propongono la creazione di un unico Stato che comprenda l’intero territorio di Israele/Palestina, con il riconoscimento di cittadinanza e pari diritti per tutti gli abitanti, a prescindere da etnia o religione. Sebbene questa soluzione, basata su un dato di fatto, sia ragionevole e foriera di pacificazione, essa è stata sinora ignorata nelle trattative di pace. Tra i fautori ricordo Mustafa Barghouti, egli fu tra i primi a lanciare la proposta politica di “un unico Stato per due popoli, laico e tollerante, con diritti e doveri per tutti”. La commistione e l’integrazione sono sempre avvenuti nella storia ed in tutti i Paesi del mondo, a seguito delle continue migrazioni umane sulla terra. Un naturale aggiustamento nel riconoscimento di appartenenza alla stessa specie. Basterebbe guardare la storia d’Italia con tutti i mescolamenti avvenuti nei secoli. In Palestina, prima dell’immigrazione sionista dal 1947 in poi, esisteva una forma di equilibrio, convivevano arabi, ebrei, cristiani di varie fedi e persino laici ed atei. Il problema del mantenimento di questa convivenza pacifica è subentrato con la pretesa dei vertici sionisti di affermare un diritto ancestrale sulla terra palestinese ma questa è una assunzione non corroborata da fatti reali, questo diritto di proprietà univoca è un titolo indebitamente assunto e tale acquisizione è basata su una falsa “distinzione razziale” e sulla reiterata asserzione di un diritto definito “ereditario” sul territorio palestinese. Accettare il dato di fatto dei pari diritti e della comune appartenenza al luogo in cui si vive sarebbe il primo passo per una convivenza pacifica, sia per la componente allogena sionista che per quella autoctona palestinese. E questa soluzione sarebbe pienamente in linea con il dettato bioregionale. Paolo D’Arpini – Rete Bioregionale Italiana Paolo D'Arpini
Da Firenze Noa chiede la fine della guerra e lancia “Re-Imagine Peace”
Durante un emozionanti concerto nella chiesa di Santa Croce a Firenze, gremita di gente,  la cantante israeliana Noa ha lanciato il suo appello per la pace e la fine della guerra ed annunciato Re-Imagine Peace, evento musicale e culturale con palestinesi ed israeliani insieme per un nuovo rinascimento. Qui di seguito il testo integrale del suo discorso. Prima di cantare, devo parlare. Prima di innalzare la mia voce per chiamare gli angeli, per invocare lo Spirito Santo affinché apra i cuori e le menti della famiglia umana, prima di chiamare le dee, le matriarche, le profetesse, le antiche guerriere, le madri primordiali di tutte le cose e implorarle di instillare compassione e gentilezza nei cuori di tutti i loro figli, prima di spiegare le mie ali di luce e trasformarmi in un uccello, volando in alto sopra la terra, in alto sopra la follia degli uomini, in alto sopra il dolore e la sofferenza, la crudeltà, l’avidità, la paura paralizzante, la follia accecante, l’orribile violenza, Prima di aprire le mie braccia e invitarvi a unirvi a me in questo viaggio, Devo parlare in termini chiari. Come Israeliana, come donna, come ebrea, madre, essere umano, chiedo la fine immediata dell’orribile guerra condotta a Gaza, che è stata giustificata inizialmente come rappresaglia per il mostruoso attacco contro i civili Israeliani del sette ottobre, dove Hamas ha massacrato, violentato, mutilato e rapito uomini, donne e bambini, ma che da allora si è mostruosamente trasformata in una guerra di attacchi messianici, folli, illegali e immorali contro civili innocenti, tra cui migliaia di bambini, che vengono affamati e uccisi in modo indiscriminato. Questo va al di là delle parole, al di là dell’immaginazione; sono devastata, disgustata e furiosa, desidero innalzare la mia voce in modo chiaro e inequivocabile: non in mio nome si sta facendo questo, né in nome di milioni di Israeliani che sono stati illusi, plagiati, ingannati, traditi e rapiti, sì, rapiti!… da un gruppo demoniaco, folle e corrotto di individui che condurranno non solo Gaza, ma anche Israele, alla morte, se non verranno fermati. È importante che voi sappiate che noi in Israele stiamo lottando valorosamente contro questi criminali, così come gli abitanti di Gaza, anche nella tragedia indicibile che stanno soffrendo, innalzano le loro voci coraggiose contro Hamas, spesso a costo della morte, e abbiamo tutti bisogno del vostro aiuto. Vi chiediamo di stare con il popolo israeliano, NON con il governo israeliano, proprio come dovreste stare con il popolo palestinese, NON con Hamas. Abbiamo bisogno di voi, abbiamo bisogno della comunità internazionale, ma NON con altro odio, altri guerrafondai e veleni, NON con altra propaganda, menzogne, antisemitismo e islamofobia, NON con altre armi, NO, mai più bombe! Abbiamo bisogno di un’azione diplomatica chiara e decisa, abbiamo bisogno che i nostri amici denuncino la folle leadership di ENTRAMBE le parti e sostengano una leadership moderata, insistendo sulla fine IMMEDIATA della guerra, sull’IMMEDIATO ritorno di tutti gli ostaggi, sull’IMMEDIATO avvio di un processo diplomatico che garantisca la sicurezza e la prosperità di entrambi sia degli israeliani che dei palestinesi. Riconoscete la Palestina insieme a Israele, non la Palestina al posto di Israele. Non cercate di risolvere una tragedia mentre ne create un’altra. Questa è la ricetta per un eterno spargimento di sangue e nessuno sarà risparmiato. Né in Medio Oriente, né da nessuna parte. Sostenete la soluzione dei due stati, abbiamo tutti bisogno di un luogo sicuro in cui prosperare, con la nostra lingua, cultura e identità… nessuno vuole imporsi sull’altro, occupare, governare e abusare l’altro, piuttosto, da una posizione di equilibrio, da una posizione di fiducia, cerchiamo di avvicinarci e costruire ponti e legami, per il benessere reciproco di tutti. Ci vorrà tempo, siamo due popoli profondamente feriti e traumatizzati, ma questa è la strada che dobbiamo percorrere. Non possiamo correggere il passato, ma possiamo sicuramente concentrarci sul futuro. Tra pochi mesi, miei cari amici fiorentini, avrete l’opportunità di far sentire la vostra voce per la pace insieme a noi, qui nella vostra città, in un bellissimo e unico festival di ventiquattro ore che stiamo organizzando insieme alla cara Sindaca Sara Funaro, al Comune e a tutti i nostri partner, chiamato “Re-Imagine Peace”… il tredici e il quattordici  settembre, proprio mentre l’estate volge al termine. Vi porteremo relatori, organizzazioni, artisti e musicisti di ogni genere, palestinesi e israeliani che lavorano insieme, reinventando con coraggio il nostro presente e il nostro futuro, diffondendo luce e speranza, correndo dove la strada è interrotta, cantando dove non si pronunciano parole. Dalla città natale del Rinascimento, speriamo di incoraggiare un nuovo rinascimento, fatto di compassione, coesistenza e pace. L’ingresso sarà gratuito. Unitevi a noi, portate i vostri amici e i vostri figli, venite a imparare, a sostenere, ad ascoltare, condividere, cantare e ballare la danza della speranza. Abbiamo bisogno di voi. Grazie! Redazione Toscana