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Un flash mob per Gaza che rimbalza da Milano a Berlino – Video
Di flash mob a Milano per denunciare il genocidio in Palestina ne sono stati fatti diversi, ma uno in particolare non solo è stato ripetuto tante volte, ma è stato anche ripreso da cittadini e cittadine di altre città italiane. Agli organizzatori la cosa aveva fatto molto piacere, ma potete immaginare la commozione quando, pochi giorni fa, hanno ricevuto dalla Germania, attraverso Pressenza, questa mail e questo video. “Caro Andrea de Lotto, è da molto tempo che volevo scriverti per raccontarti del flash mob di Berlino. L’anno scorso, sul sito di Pressenza, hai scritto del flash mob di Milano. Hai anche mostrato delle foto e un video. Ho subito pensato che avrei voluto farlo anch’io. L’anno scorso ho partecipato a una veglia per Julian Assange, che poi è stato rilasciato. Io e alcuni attivisti abbiamo pensato a cosa avremmo potuto fare con il tempo che si era liberato. Ho raccontato del flash mob di Milano e tutti hanno subito accettato di lottare per la pace nel mondo anche a Berlino. Tuttavia, non abbiamo fatto un flash mob spontaneo, ma ci siamo incontrati davanti alla Porta di Brandeburgo per due ore ogni domenica dal novembre 2024 e abbiamo fatto questo flash mob. Eravamo solo in tre, ma ora siamo molti di più e spesso la gente si unisce spontaneamente. Da un mese a questa parte, leggiamo anche i versi della poesia “Say no” di Wolfgang Borchert. https://www.bo-alternativ.de/borchert.htm (tedesco originale) https://www.oikoumene.org/resources/documents/say-no-by-wolfgang-borchert (traduzione in inglese, con tasto per tradurla in italiano) Se incontri altre persone del flash mob di Milano, per favore raccontagli di noi e digli che la loro azione è stata un modello. Ora vi invio un video del nostro flash mob di domenica scorsa: https://freeassange-berlin.de/medien/_20250713_flashmob/20250713_flashmob_filmbeitrag.q23_h360.mp4 Cordiali saluti da Berlino Barbara S.   Andrea De Lotto
Anche a Milano si alza il rumore contro il genocidio
Domenica 27 luglio, ore 22. L’appuntamento è partito da Tomaso Montanari e da quel gruppo di intellettuali che da tempo promuove iniziative per scuotere delle istituzioni sorde a qualsiasi appello, cieche di fronte al genocidio che si perpetra dall’altra parte del Mediterraneo. Molte le piazze che vengono “lanciate”: a Milano sembra inizialmente che tutto si svolgerà in piazza Prealpi, a nord della città. Invece nelle ultime ore si propongono piazza Duomo, zona Dergano, piazza 24 Maggio. Anche qualche condominio riesce ad organizzarsi e manderà le sue immagini, preziose. Qualcuno è perplesso per la possibile dispersione delle energie, altri sperano che distribuirsi in varie zone possa facilitare la partecipazione. Alla fine l’impressione è che la “scommessa” su più piazze abbia funzionato meglio. Vado in piazza 24 Maggio, zona sud: Darsena, Navigli. Arrivando si sente già il gran rumore e si vedono le bandiere. E’ iniziato tutto in anticipo, un segnale importante: forse le persone non vedevano l’ora di iniziare, in fondo siamo anche noi in una pentola a pressione. Far rumore, battere pentole, coperchi, suonare trombe, trombette, campane, permette di rompere non solo il silenzio agghiacciante al quale assistiamo appena usciamo dai “nostri circuiti”, ma rompe anche quello strato di angoscia, il senso di impotenza, la rabbia che ci attanaglia da 20 mesi. Così il rumore cresce e cresce, almeno 80 persone si raccolgono nella piazza, e quando escono da una borsa delle enormi lettere per comporre la scritta FREE GAZA qualcuno con un megafono propone di andare in giro per la zona, liberamente, a farsi sentire. Si parte subito, senza un itinerario, ci si muove dove si vede il terreno migliore per farsi sentire da più persone possibili. Con noi anche un paio di famiglie di Gaza, arrivate a Milano per curare i propri figli all’ospedale di Niguarda. Ci muoviamo in giro per la Darsena e in Navigli per oltre un’ora: rumore, slogan e parole al megafono per spiegare il motivo per cui siamo lì. Molti camerieri, avventori dei locali, passanti, danno segni di approvazione, ringraziano. Il gruppo continua, non perde né forza, né fiato fino alla fine. Siamo soddisfatti, anche se non era affatto scontato, tanto che c’è chi pensa di ripetere l’iniziativa, magari un venerdì o un sabato sera, quando la movida milanese in quella zona è assai maggiore. Queste sono iniziative che danno la soddisfazione di “aver fatto qualcosa”, ma d’altro canto vi è anche la consapevolezza che sono come gocce per un assetato. Però danno la forza, soprattutto a noi, di andare avanti, e si spera che facciano sentire la popolazione palestinese meno sola. Sentiamo sempre più lontane le nostre istituzioni, cieche e sorde di fronte agli appelli e alle immagini che ci scorrono davanti. Alla fine cerchiamo di contattare chi si trovava in Duomo e nelle altre piazze: ovunque l’iniziativa è riuscita e la mattina seguente arrivano video da città, paesi, da lontani luoghi di villeggiatura. Andiamo avanti. Procede pure quotidianamente l’azione di un gruppo di cittadini e cittadine milanesi che da 43 giorni, ininterrottamente, si ritrova in piazza Duomo dalle 18.30 alle 19.30: una lunga fila di persone, distanziate e in silenzio, che espone versi poetici per la Palestina e bandiere di quel popolo. Un popolo che resiste e per la cui sopravvivenza dobbiamo continuare a chiedere, sempre più numerosi. E’ quello che sta accadendo in Duomo: al primo gruppetto sparuto altri si sono uniti, e a quell’unica fila altre si sono aggiunte, le persone si fermano, si fanno fotografare con i cartelli in mano, sorridono, approvano, applaudono. Utile? Inutile? Mi ricordo di questa vecchia storiella africana… Un grande incendio divampa nella foresta e tutti gli animali scappano terrorizzati, cercando rifugio vicino al fiume. Un minuscolo colibrì, nonostante le sue dimensioni, vola verso il fuoco con gocce d’acqua nel becco, ripetendo: “Sto facendo la mia parte”. Il leone inizialmente deride il colibrì. Si chiede come possa lui, così piccolo, riuscire a spegnere un incendio così vasto, e anche gli altri animali lo prendono in giro. Tuttavia, la determinazione del colibrì contagia altri animali, tra cui un elefantino e un giovane pellicano, che iniziano ad aiutarlo a spegnere il fuoco. Vedendo questo sforzo collettivo, anche gli animali adulti, compreso il leone, si vergognano e si uniscono allo sforzo, riuscendo infine a domare l’incendio.   Rumore in piazza Duomo – Foto di Marina De Lorenzo e Idanna Matteotti   Andrea De Lotto
L’ombra di Manfredi Catella sulle vicende della ex Manifattura Tabacchi a Lucca
Da giorni la stampa italiana è monopolizzata dalla notizia dell’indagine investigativa che vede coinvolti il ceo di Coima, Manfredi Catella, alcuni dirigenti del Comune di Milano e alcuni professionisti di grido. I capi di imputazione sono diversi e tra … Leggi tutto L'articolo L’ombra di Manfredi Catella sulle vicende della ex Manifattura Tabacchi a Lucca sembra essere il primo su La Città invisibile | perUnaltracittà | Firenze.
La Milano da bere si è ubriacata di liberismo
-------------------------------------------------------------------------------- -------------------------------------------------------------------------------- C’è una lucida follia in questa storia. Non si tratta – come qualcuno dei nostri politici vorrebbe farci credere – del solito (“presunto”) conflitto tra politica e magistratura e nemmeno dell’ennesimo caso di corruzione di qualche compiacente amministratore pubblico da parte di un qualche imprenditore. Il caso Milano è molto di più, è un affare politico e insieme culturale, ovvero la mancanza di una politica per la città. Rimasto silente per molto tempo e, ora, pronto ad esplodere come una bomba a tempo. Qualunque sia l’esito della magistratura, esso ha già contaminato le amministrazioni comunali delle grandi città italiane che sono pronte ad emularlo. E questo è l’esito più grave del fenomeno che rischia di diffondersi in Italia. Perché il cosiddetto “modello Milano” ha affascinato, e tutt’ora affascina, molte amministrazioni e trova un consenso (ingannevole) fra molti cittadini, persuasi che quel “successo” porterà benefici anche nelle proprie tasche. Perché i milanesi hanno davvero creduto che la città dello skyline e grattacieli fosse davvero una vera città moderna, mentre si trattava di un’enorme speculazione edilizia sotto la maschera della rigenerazione urbana. Già con il modello Expo si è iniziato a perdere il senso del bene comune, le conquiste di una disciplina – l’urbanistica – che aveva nel suo statuto riformista il compito di mitigare i conflitti tra il bene collettivo – il bene di quella classe operaia che aveva contribuito alla crescita della città – e i grandi proprietari dei suoli e, oggi, i detentori dei fondi immobiliari. Dalla “Milano da bere”, degli anni Ottanta, di Berlusconi, e successivamente dalla “Milano bella da vivere” della Moratti – che simboleggiavano un’immagine di successo, vivacità, un desiderio di modernità e di intensa vita notturna, ma che, a ben vedere, si associava a superficialità, individualismo e persino malaffare – si transita alla “città che non si ferma” del sindaco Sala; così come a Roma una retorica simile è simboleggiata dallo slogan: “Roma si trasforma”, senza aggiungere in cosa. È che le politiche iperliberiste affascinano anche, o soprattutto, a sinistra. Le città, quale che sia il colore dell’amministrazione, sono costrette a entrare in concorrenza tra loro per accaparrarsi flussi di denaro, grandi eventi, masse di turisti sospinte da grandi firme di architettura, fondi di investimento, opere pubbliche, con il risultato che la “grande abbondanza” viene spartita tra pochi gruppi di professionisti a scapito delle classi più deboli (e anche del ceto medio) costretto a cercare casa sempre più lontano dal centro. È un capovolgimento di tutto quanto l’urbanistica aveva conquistato negli anni Settanta, dove essa era impugnata dagli abitanti per creare servizi, scuole, verde e un sempre più benessere civile conquistato con dure lotte operaie. La città, in quegli anni, era ancora un’occasione di riscatto e le persone accettavano anche di vivere ai suoi margini poiché, prima o dopo, ma sicuramente, anche loro avrebbero avuto accesso ai benefici e alle occasioni della città. Con gli anni Ottanta il ciclo di lotte urbane si è esaurito. Da allora è iniziato un rapido processo di deregolamentazione con la cancellazione progressiva di quasi tutte le norme, gli statuti disciplinari e i vincoli che negli anni precedenti impedivano o almeno ostacolavano la speculazione edilizia. Milano, in questo, è stata l’apripista che, con l’Expo del 2015 ci ha illusi che bisognava semplificare le procedure, scavalcare i processi pur di raggiungere il fine del “successo” della città. Il “modello Milano” ha trovato consenso presso altre grandi città: Genova, Firenze, Roma. A riprova di questa gigantesca operazione di privatizzazione della città, sono state le recenti sfilate di moda, a Firenze (dove interi isolati sono stati privatizzati per giorni da Gucci), a Roma dove Dolce&Gabbana ha dato uno spettacolare kitsch occupando l’area di Castel Sant’Angelo, a Venezia dove si è celebrato il matrimonio di Bezos con l’occupazione totale di gran parte della città. A Roma, per restare in tema di disinvoltura urbanistica, è in corso la revisione delle norme tecniche del Piano regolatore generale il cui obiettivo è quello di semplificare le procedure urbanistiche, realizzare grandi opere destinate ai turisti e ai super milionari, abbandonando le immense periferie sempre più lontane e prive di servizi, cui sono stati assegnati pochi spiccioli (per fare cosa?). Si stima che tra il 2014 e il 2018 Milano abbia attirato 15 miliardi di euro in investimenti immobiliari internazionali, più di qualsia si altra città europea. In questo modo essa è diventata la capitale indiscussa del liberismo internazionale attraverso architetture realizzate in vetro o, come il famoso Bosco verticale, che confliggono con il cambiamento climatico in corso. Se in passato si emigrava dal sud verso Milano per le occasioni di lavoro, oggi gli abitanti non riescono più a sopportare i costi della vita quotidiana, re-migrando verso territori esterni. I costi dell’abitazione sono cresciuti più del doppio della media nazionale, stessa cosa per gli affitti e i mutui per l’acquisto delle case. Il “modello Milano”, in una parola è sostenibile solo per i ricchi che qui continuano ad acquistare case, magari nell’affascinante (si fa per dire) centro di City Life, un vero non-luogo, dove il crollo parziale della gigantesca insegna “Generali” posta su uno dei tre grattacieli (il Dritto, Lo Storto e il Curvo) ha simboleggiato per molti l’inizio di una catastrofe, come nei libri di Ballard. Ma non solo per questo il “modello” è insostenibile. In un recente articolo (La fisica, l’economia e i comportamenti umani, pubblicato su Volere la luna del 18 luglio), Angelo Tartaglia (professore emerito di Fisica) ci ricorda che «le leggi fisiche ci dicono che in un sistema produttivo con produzione in crescita (di beni o di servizi che inglobano risorse materiali ed energetiche) il volume di risorse primarie (materia ed energia) necessario per mantenere la produzione cresce più in fretta di quest’ultima» col risultato che «il costo del controllo e della gestione del sistema cresce più rapidamente del sistema stesso e dei vantaggi che se ne ricavano». In altri termini, l’eccesso di competizione tra le città porta sempre più a produrre architetture fantasmagoriche e infrastrutture per eventi che poi producono vantaggi (per pochi) inferiori al costo del loro controllo. Capita spesso di vedere grandi infrastrutture (stadi, piste da sci ecc) che, subito dopo il loro uso contingente (per esempio un evento) vengono di fatto abbandonate. E ancora: «ormai il metodo scientifico ha preso a evidenziare l’impossibilità dell’economia della crescita competitiva, ma nello stesso tempo la tecnologia, o meglio le tecnologie, ognuna concentrata su un campo molto specifico e limitato, si sviluppano e vengono celebrate fornendo gli strumenti per procedere al galoppo verso l’insostenibilità scientificamente dimostrata e verso un collasso globale».  Una volta le città italiche competevano tra loro per la bontà delle loro merci e per l’accoglienza ai pellegrini: si costruivano xenodochie e poi hospitali, lungo le strade che conducevano alla città. L’Ospedale degli Innocenti fu progettato da Brunelleschi: un’opera d’arte che ancora ammiriamo stupefatti da tanta bellezza e anche una opera civile per i neonati abbandonati. Che miracolo non essere nati a Milano! -------------------------------------------------------------------------------- Tra gli ultimi libri di Enzo Scandurra Roma. O dell’insostenibile modernità (DeriveApprodi). Nell’archivio di Comune i suoi articoli sono leggibili qui. -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE: > La Dubai padana -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo La Milano da bere si è ubriacata di liberismo proviene da Comune-info.
La Dubai padana
SE AL TERMINE DELLE INDAGINI CHE RIGUARDANO QUANTO ACCADUTO A MILANO NON EMERGESSERO RILEVANZE PENALI, IL PROBLEMA SAREBBE ANCORA PIÙ GRANDE, PERCHÉ RIGUARDA LA VISIONE DELLA CITTÀ. IL VERO REATO, SCRIVE MARCO BERSANI, È POLITICO: LA RIGENERAZIONE URBANA LIBERISTA. “DALL’EXPO IN POI LA STRADA SCELTA È STATA DRAMMATICAMENTE LINEARE: TRASFORMARE MILANO NELLA DUBAI PADANA, RENDERE LA CITTÀ SEXY PER I GRANDI FONDI FINANZIARI… FARLA DIVENIRE REALTÀ URBANA COSMOPOLITA E INCLUSIVA SOLO PER REDDITI ALTI…”. ECCO PERCHÉ NEGLI ULTIMI DIECI ANNI, NELLA CITTÀ DI MILANO SI È COSTRUITO PIÙ DI QUANTO SI SIA EDIFICATO IN TUTTO IL PIEMONTE E IN TUTTA LA TOSCANA MESSI INSIEME Foto di Milano in Movimento -------------------------------------------------------------------------------- “Non mi riconosco nella lettura della città che la Procura sta ricostruendo”. Così il sindaco di Milano Giuseppe Sala ha commentato le indagini della magistratura che hanno portato al coinvolgimento di 74 persone tra politici, tra cui lo stesso sindaco, funzionari, archistar e immobiliaristi che in questi anni hanno trasformato in maniera radicale la capitale lombarda. Le indagini faranno il loro corso e il tempo dirà se e quali reati siano stati compiuti. Non è questo il problema. Paradossalmente, se al termine delle indagini, non emergessero rilevanze penali, il problema sarebbe ancora più grosso, poiché riguarda esattamente la visione della città, il ruolo del pubblico, gli interessi immobiliari e della rendita finanziaria, i bisogni e i diritti di quelli che la abitano. Per dirla in breve, il vero reato politico è la rigenerazione urbana liberista. Rigenerare significa far nascere di nuovo oppure, riferito a un corpo, ristabilirne la salute. Nel caso della rigenerazione urbana il corpo da rimettere in funzione è la città, uno spazio complesso, terreno di scontri e mediazioni tra interessi economici, sociali e culturali molto diversi tra loro per esigenze, obiettivi e capacità di influenzare le politiche urbane. Dalla città fonte di rendita e profitto a quella motore economico fino alla città abitata, espressione di bisogni e relazioni. Rigenerare una città significa mettere mano a questo spazio complesso. Nessuna complessità è stata affrontata dalla amministrazione comunale milanese. Dall’Expo in poi la strada scelta è stata drammaticamente lineare: trasformare Milano nella Dubai padana, rendere la città sexy per i grandi fondi finanziari, erigerla a residenza ideale per i milionari, farla divenire realtà urbana cosmopolita e inclusiva solo per redditi alti, dentro il grande luna park delle fiere della moda, del mobile, dell’hi-tech e chi più ne ha più ne metta. Così Milano è diventata la prima città europea per investimenti nell’immobiliare (28 miliardi, come somma fra quelli già spesi dal 2014 a oggi e quelli previsti fino al 2029) destinati a “rigenerare” oltre 10 milioni di metri quadri di territorio, sui quali sono stati edificati 17 milioni di metri cubi residenziali e 29 milioni di metri cubi non residenziali. Negli ultimi dieci anni, nella città di Milano si è costruito più di quanto si sia edificato in tutto il Piemonte e in tutta la Toscana messi insieme. E l’impatto sociale è stato devastante: sono oltre duecentomila gli abitanti che hanno lasciato la città negli ultimi cinque anni, compensati da altrettanti arrivi, ma determinando una sostituzione di classe: se ne vanno le fasce popolari, quelle della Milano col cuore in mano, sostituite da ricchi e turisti, quelli della Milano con la carta di credito in mano. È questo modello di città che viene rivendicato dal sindaco Sala, che non a caso ottiene solidarietà bypartizan tanto dalla segretaria del suo partito Elly Schlein, quanto dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Perché si può litigare su molto, ma quando i nodi vengono al pettine ci si ritrova. Non è solo il partito trasversale del cemento, è proprio la visione comune su a chi appartenga la città e quale debba essere il ruolo del pubblico: la città è della rendita immobiliare e dei grandi fondi finanziari e il pubblico deve mettersi al loro servizio. Due ulteriori domande sono inevitabili. La prima è rivolta a chi oggi dentro la coalizione di centro-sinistra si straccia le vesti dall’indignazione: dove eravate quando per rigenerare palazzine di tre piani si costruivano centinaia di grattacieli da ottanta piani? La seconda è rivolta a chi si illude che Milano sia un’anomalia: siete sicuri che ciò che è accaduto nella “Grandeur meneghina” non sia ciò che in scala per ora minore sta succedendo in tutte le altre città? “Riprendiamoci il Comune” non è più solo la suggestione di un’alternativa di società. Oggi è una stretta necessità per chiunque pensi che la città debba essere innanzitutto il luogo della cura e delle relazioni fra chi la abita. -------------------------------------------------------------------------------- Pubblicato anche su attac-italia.org. Marco Bersani ha aderito alla campagna Partire dalla speranza e non dalla paura. Il suo ultimo libro è La rivoluzione della cura. Uscire dal capitalismo per avere un futuro (Ed. Alegre). -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE: Un’altra Milano c’è -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo La Dubai padana proviene da Comune-info.
Sottopassi allagati e fiumi esondati: il climate change, ma non solo
Leggo la spiegazione dell’evento e la sua immancabile cornice è il cambiamento climatico: “Il caldo estremo nei bassi strati dell’atmosfera ha determinato la grande quantità di umidità che s’è scontrata con un fronte instabile di aria più fredda in quota (tra Scandinavia e Regno Unito) che nelle ultime ore è arrivato sulla nostra Penisola. Il nubifragio ha origine da questo contrasto”. Quindi: da una parte un fronte di aria umida e calda persistente, dall’altra una massa d’aria più fredda. «Dalla interazione di queste due masse d’aria si sono innescati i fortissimi temporali. Più ampio è il contrasto, più forte è il temporale». Si sono registrati fino a 60 mm. d’acqua piovuta in una sola ora. Alla luce di queste spiegazioni meteorologiche, in attesa che si trovino soluzioni globali al cambiamento climatico, non si dovrebbe prendere atto che va per lo meno rivisto il sistema di smaltimento delle acque meteoriche urbane? Ricordo che il notevole deflusso superficiale causato dalla crescente impermeabilizzazione del suolo oggi viene in massima parte convogliato in reti fognarie, idraulicamente insufficienti a ricevere le piogge intense. Per lo smaltimento delle acque meteoriche tramite fognatura separata o mista sono necessarie reti fognarie di dimensioni rilevanti e a volte anche impianti per la ritenzione ed il trattamento delle acque meteoriche che richiedono però elevati costi d’investimento e di gestione. NEGLI ULTIMI VENT’ANNI LA COMMISSIONE EUROPEA HA APERTO QUATTRO PROCEDURE D’INFRAZIONE CONTRO L’ITALIA ACCUSANDOLA DI VIOLARE, IN VARI MODI, LA DIRETTIVA EUROPEA CHE NEL 1991 STABILÌ DEGLI STANDARD OBBLIGATORI CHE TUTTI I PAESI EUROPEI DEVONO RISPETTARE NELLE PROCEDURE DI TRATTAMENTO DELLE ACQUE REFLUE PER RIDURRE L’INQUINAMENTO E COSÌ TUTELARE L’AMBIENTE   E arrivo a casa, transitando dal globale al locale. È evidente che c’è una generalizzazione del problema (Valencia, Milano…) ma proprio questo è un alibi. L’emergenza climatica ci salva dalla responsabilità di continuare a cementare e convogliare le acque meteoriche in fognature che non le possono sopportare, soprattutto a fronte di sovraccarichi non giornalieri. Ogni acquazzone è una crisi, ogni temporale un nubifragio. E nel mal comune c’è chi di gaudio non ne ha nemmeno un centesimo. Perché nello specifico palermitano, che conosco meglio, al problema globale va aggiunto un moltiplicatore locale: la rete fognaria è insufficiente anche senza il cambiamento climatico e le acque meteoriche (vedi sanzioni U.E. per mancato rispetto degli standard vigenti), i suoi sbocchi a mare sono in aree che andrebbero tutelate senza immissione di acque meteoriche. Infine – dulcis in fundo – anche se decidessimo di farlo con mille attenzioni dovremmo fare i conti con il mancato funzionamento dei depuratori (e qui le sentenze in procedimenti giudiziari di primo grado cantano). Non dreniamo le acque e figuriamoci se puntiamo sulla permeabilizzazione dei terreni. Noi costruiamo passi, linee tranviarie e tunnel… argini e bacinelle (una per tutte la vasca con un tappo sul vecchio ma ancora evidente corso del Kemonia dalla fossa della Garofala). Insomma a Palermo siamo con il ticchettio di una bomba d’acqua ad orologeria. Non è questione di maltempo, ma di tempo. A MARZO LA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA HA DI NUOVO CONDANNATO L’ITALIA A PAGARE 10 MILIONI DI EURO PER IL MANCATO ADEGUAMENTO AGLI OBBLIGHI EUROPEI DEI SISTEMI DI DEPURAZIONE DI COURMAYEUR (VALLE D’AOSTA), CASTELLAMMARE DEL GOLFO, CINISI E TERRASINI (TUTTI E TRE IN SICILIA). A QUESTA MULTA LA SENTENZA AGGIUNGE UN PAGAMENTO DI OLTRE 13 MILIONI DI EURO PER OGNI SEMESTRE DI RITARDO. QUESTI IMPIANTI, SECONDO LA CORTE, NON SI SONO CONFORMATI AGLI STANDARD EUROPEI E CONTINUANO A PROVOCARE UN DANNO AMBIENTALE NONOSTANTE UNA PRECEDENTE CONDANNA DEL 2014   E non è per fare il solito nemico della contentezza che completo il ragionamento per denunciare il rischio esponenziale attuale: la spinta a mettere a terra opere per utilizzare i fondi del PNRR, unita ad una inveterata tendenza alla cementificazione ed alle spese per interventi edilizi (con annesse appendici di illegalità e malaffare), ignorano totalmente il problema del drenaggio (si guardino i tracciati delle linee tranviarie) e vanno in senso opposto alla permeabilizzazione delle superfici. Redazione Palermo
Donne resistenti. La prima stella della sera, rassegna teatrale di Atir-Teatro ringhiera
È stata una bellissima serata quella trascorsa il 5 luglio al festival organizzato da Atir-Teatro ringhiera nel cortile della Chiesa di Santa Maria alla Fonte nel Parco Chiesa Rossa di Milano. In programma c’era la lettura di alcun brani tratti dal libro di Benedetta Tobagi La Resistenza delle donne, pubblicato da Einaudi nel 2022. La lettura è stata preceduta dall’intervento di tre donne appartenenti al gruppo informale di Milano “Silenzio per la pace” che dal marzo 2023 (poco dopo l’inizio della guerra fra Russia e Ucraina) si raduna ogni giovedì pomeriggio in via Mercanti, in pieno centro, a manifestare col silenzio il proprio desiderio di pace. Poi, fra parole a volte drammatiche a volte divertenti, alternando racconti di cronaca (Benedetta Tobagi) e testimonianze dirette delle ”resistenti” interpretate da Arianna Scommegna, quasi sempre nelle varie inflessioni dei dialetti piemontesi, si è svolta la preannunciata performance. La particolarità della Resistenza delle donne, ci spiega Benedetta Tobagi, è data dalla completa volontarietà della loro decisione: non vi si sentirono costrette per sfuggire all’arruolamento nell’esercito dei repubblichini di Salò o in quello nazista, ma lo fecero per scelta personale, a volte considerandola addirittura liberatoria per sganciarsi dalle costrizioni, dai lacci dei rigidi, soffocanti legami familiari. Questa scelta è andata perciò a far parte del lungo percorso sulla strada dell’emancipazione femminile, con i suoi progressi e i suoi arretramenti. Dopo questa commovente e appassionata lettura-interpretazione, era prevista la proiezione di No Other Land, l’ormai famoso documentario girato in uno dei villaggi del complesso di Masafer Yatta, nei Territori palestinesi occupati da Israele. Prima della proiezione erano previste due “cartoline” come le hanno chiamate le esponenti di Atir, ovvero brevi presentazioni del film elaborate da una scrittrice italo-palestinese, Sarah Mustafa, e da me, Susanna Sinigaglia, in rappresentanza della rete Maiindifferenti – Voci ebraiche per la pace. L’incontro era condotto da Pilar Perez, un’attrice di Atir, che ci ha rivolto alcune domande in relazione al nostro ruolo e al nostro sentire nei confronti degli eventi a Gaza e in West Bank, e in relazione al film. A me in particolare Pilar ha chiesto: ma dov’è andata a finire l’etica del governo israeliano? Questa domanda mi ha lasciato alquanto perplessa, dato che da tempo se ne sono perse le tracce… Così le ho risposto citando la nascita della nostra rete proprio per reazione a questa lunga mancanza, col primo appello pubblicato nel febbraio 2024 sulla base di un interrogativo intorno alla ricorrenza della Giornata della memoria: “A che cosa serve oggi la memoria della Shoà se non aiuta a fermare la produzione di morte in Palestina e, anzi, serve da alibi per giustificare le politiche del governo israeliano?” Pilar in seguito mi ha anche chiesto quali siano i nostri rapporti con i gruppi della resistenza israeliana e con la Comunità ebraica in Italia, quali le nostre iniziative. Ho citato in particolare l’ultima – all’Anteo –, insieme a L3a – Laboratorio ebraico antirazzista, con la proiezione di No Other Land preceduta da un incontro con varie figure del mondo ebraico e palestinese in Italia, alle quali abbiamo chiesto un commento su 5 brevi clip che mostrano alcuni momenti/passaggi significativi del film: 1. il calore umano degli abitanti del villaggio; 2. la violenza delle distruzioni operate dall’esercito e dai coloni israeliani; 3. l’impazienza dell’israeliano (il regista e interprete Yuval Abraham), frutto tipico dell’attuale civiltà occidentale, e la perseveranza del palestinese (il regista e interprete Basel Adra), abituato a resistere fin da bambino e ad allungare lo sguardo dal contingente a un futuro possibile. Per ulteriori informazioni sulle nostre iniziative, rimandiamo i lettori al sito www.maiindifferenti.it e alla pagina Facebook. A Sarah, Pilar ha domandato quale futuro sarà possibile per i bambini palestinesi che sopravvivranno. E Sarah ha semplicemente risposto proponendo al pubblico un paragone fra i traumi provati dai nostri piccoli, per i quali ci rivolgiamo allo psicologo, e quelli inimmaginabili subiti dai bambini palestinesi. Naturalmente la domanda è rimasta senza risposta. Sarah ha poi espresso la propria angoscia, guardando il film, nel vedere quanta violenza venga dispiegata contro il suo popolo ma anche l’apprezzamento per il coraggio dimostrato dagli abitanti del villaggio, per la loro resistenza. Inoltre ritiene che sia un documentario importante perché mostra al mondo che cosa succedesse in Palestina molto prima del fatidico 7 ottobre 2023. Quando, per esempio nel 2009, Tony Blair – come inviato speciale del Quartetto per il Medio Oriente formato da Onu, Stati Uniti, Unione Europea e Russia – in soli sette minuti di passeggiata nel villaggio, con giornalisti e televisioni internazionali al seguito, aveva ottenuto ciò che la resistenza non violenta dei palestinesi tentava da anni: bloccare la demolizione della scuola che purtroppo, come vedremo, avverrà invece nel corso delle riprese del film. Questo episodio è significativo di quanto l’assenza dell’Europa e di testimoni occidentali potenti lasci mano libera al governo israeliano… D’altra parte secondo Sarah, il docufilm lascia anche aperto uno spiraglio alla speranza di dialogo, che però ritiene possa avvenire solo ad alcune condizioni: il riconoscimento del dolore dell’altro, la fine dell’occupazione affinché il dialogo possa svolgersi alla pari, la garanzia dei diritti umani fondamentali come quello alla vita, all’istruzione, all’acqua; e ponendo un argine ben solido ai vari estremismi. Dopo i nostri interventi, abbiamo lasciato il pubblico alla proiezione del film mentre Sarah, io e le nostre ospiti abbiamo concluso l’incontro davanti a un panino, una birra e ancora tante considerazioni sugli eventi che agitano il nostro presente.   La Bottega del Barbieri
Giugno 23, 24, 25…a Milano: la città dà il meglio di sè – VIDEO
In questi giorni a Milano abbiamo visto un brulicare di attività, proteste, flash mob, che hanno fatto sentire viva tutta questa umanità che continua a battersi perché genocidio, bombe, morte, finiscano subito. Sono ormai 9 giorni che prosegue la presenza quotidiana in piazza Duomo, dalle 18.30 alle 19.30, come un basso continuo. Lunedì 23 giugno, a ridosso dell’attacco israeliano e statunitense contro l’Iran, si è tenuto un presidio sotto il consolato Usa. Almeno 200 persone hanno urlato a lungo la loro rabbia contro quel simbolo di uno strapotere sempre più avversato – crediamo – da ogni parte del mondo. Le parole che arrivano dai governi di Usa e Israele lasceranno il segno della loro infinita arroganza, della manifesta supremazia, del dilagante razzismo. Come dice un detto palestinese: “Coloro che scavano una buca malvagia, vi cadranno dentro”. Martedì 24 giugno, quasi in contemporanea al presidio in Duomo, due momenti paralleli a denunciare il genocidio in due forme diverse: un enorme die-in nei pressi della Darsena, dove un centinaio di persone si sono buttate a terra, con grande effetto su tutti coloro che passavano e (una volta tanto) ripresi anche dalla Rai locale, e un presidio in piazza Mercanti organizzato dal comitato che si batté per la liberazione di Julian Assange e che ha ricordato le centinaia di giornalisti uccisi in Palestina. Mercoledì 25 giugno, partita da Firenze e diffusasi in tutte le città italiane, finalmente è arrivata anche a Milano la denuncia al genocidio attraverso la musica: “La musica contro il silenzio. Contro l’apartheid e il genocidio in Palestina”. Un concerto meraviglioso: oltre duecento musicisti, un centinaio di coristi, e diverse centinaia di uomini e donne attorno pronti a intonare Bella Ciao nel gran finale. Abbiamo bisogno di questo: di vita, di riscatto, di bellezza, di forza per resistere e soprattutto sostenere chi sta resistendo in quelle terre martoriate. Grazie Milano. Nei prossimi giorni le iniziative continueranno, eccone alcune: Giovedì 26, ore 18-20: presidio a Sesto San Giovanni delle donne per la pace per un futuro senza violenza (piazza 4 Novembre, metro sesto Rondò). Venerdì 27, ore 17.30 piazza Bottini, stazione Lambrate (MI) tenda contro la guerra. Sabato 28, Pride, che sicuramente vedrà tante bandiere palestinesi…. Domenica 29 Giugno, ore 18, piazza San Babila, presidio: Fermiamo il genocidio in Palestina. Sempre domenica 29 Giugno (Spino d’Adda) e martedì 1° luglio (anfiteatro Martesana, Mi): DABKE, una performance di danza tradizionale palestinese, organizzato da Casapace Milano. Ognuna di queste iniziative punta a trasformare un mondo pieno di ingiustizie e violenza in un mondo giusto, libero e accogliente per tutti e tutte. Ci auguriamo che possano moltiplicarsi e crescere come un’onda inarrestabile. Andrea De Lotto
Silenzio per la pace
Riceviamo e pubblichiamo dall’associazione ‘Silenzio per la Pace Milano’ “Silenzio per la Pace Milano invita a promuovere e partecipare alla manifestazione nazionale di sabato 21 giugno a Roma, indetta da Stop Rearm, Ferma il Riarmo e da molte altre associazioni nazionali e internazionali. Il 19 giugno in corso Garibaldi, angolo via Marsala, faremo un Silenzio per la Pace come tappa di avvicinamento alla manifestazione di Roma, una manifestazione nazionale organizzata nella SETTIMANA di MOBILITAZIONE EUROPEA STOP REARM, in occasione del vertice della Nato a L’Aja, in cui si decideranno i dettagli del gigantesco piano di riarmo dell’Unione Europea. Il gruppo Silenzio per la Pace Milano, consapevole che con la presenza e la partecipazione di tutti possiamo lanciare un segnale più forte di rifiuto delle guerre e del riarmo, ha deciso di aderire alle iniziative e alle azioni volte a rafforzare le alleanze pacifiste nazionali ed internazionali.” Redazione Italia
E se per la Palestina si facesse uno sciopero generale, magari europeo? – Video
  Da oltre un anno e mezzo un gruppo di irriducibili cerca in tutti i modi di scuotere un’opinione pubblica troppo tiepida e soprattutto dei governi che spalleggiano un genocidio. Ci hanno provato ancora. Questa volta hanno proposto la loro azione (già ripetuta tante volte, la prima esattamente un anno fa) davanti all’importante Camera del Lavoro di Milano. Ci hanno provato: nessuno li ha cacciati, ma nessuno si è affacciato. Forse, speriamo, qualcuno ci sta pensando. Che non aspettino troppo: ogni giorno muoiono uomini, donne e soprattutto bambini. Per non parlare dei segni che rimarranno dentro quei due milioni di persone costrette a scappare all’interno di una gabbia, a cercare riparo, a inseguire disperatamente qualcosa da mangiare, mentre sentono giorno e notte droni ed esplosioni. La CGIL rimane il sindacato più grande nel nostro Paese, quello che potrebbe mobilitare molte persone, e  che potrebbe trovare interlocutori altrettanto grandi in tutta Europa. I mille distinguo, le infinite sfaccettature, i timori, le continue accuse che hanno immobilizzato gran parte del centrosinistra nostrano, forse stanno trovando una via per far sentire la propria voce. E allora non sarebbe il momento di arrivare finalmente ad uno sciopero nazionale, magari europeo, per spingere con una leva seria verso la fine di questa vergogna planetaria?   Andrea De Lotto