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Il fallimento del consorzio industriale pubblico sarebbe il fallimento di tutte/i
Un nuovo strumento di politica industriale pubblica. Il Collettivo di Fabbrica ex Gkn commenta la nascita ieri del consorzio di sviluppo industriale della Piana e rilancia la mobilitazione: appello per un flash mob l’11 agosto sera, anniversario della Liberazione di Firenze. La funzione del consorzio è chiara ormai anche a un bambino, così come è chiaro a chi dà fastidio questo strumento e perché. In un mondo di fondi finanziari e rendita immobiliare, il consorzio industriale pubblico permette alle istituzioni locali di intervenire sulle aree ex industriali, proteggerle, rilanciarle con una visione di politica industriale pubblica. Non c’è da stupirsi che ci sia chi prova a ridurre un evento potenzialmente storico a un battibecco, magari a fini elettorali. Né che chi si scaglia contro il consorzio taccia, non da oggi, sulla potenziale speculazione immobiliare e sul fatto che questa fabbrica va riaperta. Il consorzio costituito ieri dal notaio nasce da una mobilitazione cittadina e sociale che ha coinvolto migliaia di persone. E la mobilitazione è pronta a ripartire in qualsiasi momento a difesa del presidio e della reindustrializzazione dal basso. Oggi però c’è un atto della Regione, di tre Comuni e della Città metropolitana. A loro è affidata, inevitabilmente, la responsabilità storica di non buttare via questa occasione. Noi abbiamo ‘solo’ messo a disposizione un piano industriale ecologicamente avanzato, il cui stato di avanzamento è verificabile in ogni momento dalle istituzioni stesse. Ma la semplice verità è che questo piano industriale rischia di naufragare se il consorzio non agirà con determinazione e chiarezza. Laddove questo piano naufragasse, chi lo ha attaccato risponderà dei posti di lavoro bruciati. Al di là delle questioni tecniche del funzionamento del consorzio, non sarebbe credibile che una Regione, tre Comuni e una Provincia, consorziate, non riescano a mettere a sedere a un tavolo  due S.r.l. a vocazione immobiliare appena formate, con dietro una Fiduciaria, e un’altra S.r.l. nata nel 2019. Se così fosse, semplicemente, la politica non avrebbe più alcun senso. La fabbrica socialmente integrata ha attirato le attenzioni di tutta Europa. Quaggiù provano ad affogarla nel battibecco, basato spesso su cifre e ricostruzioni fintamente tecniche, ma in verità assai fantasiose. Sarà forse il più grande esperimento sociale che qua non è mai avvenuto. Campi, Calenzano, Sesto, Firenze: nessuna resa all’economia di rapina, proviamo ad andare avanti!. L’assemblea di supporto del Collettivo di Fabbrica, riunita ieri sera, lancia un appello per una mobilitazione l’11 agosto sera. A fianco della Resistenza di ieri, oggi, domani: no al genocidio, al riarmo, al logoramento, all’assenza di stipendio e lavoro.   Redazione Toscana
Fuori Israele dalla FIFA! Appello verso la partita Israele-Italia
Udine è con la Palestina: fuori Israele dalla FIFA! Appello alla mobilitazione per il 14 ottobre 2025 a Udine in vista della partita FIFA Italia – Israele PALESTINA, ADESSO – Mentre lanciamo questo appello il numero ufficiale dellз mortз a Gaza è salito ad almeno 59106, 17400 dellз quali bambinз. […] L'articolo Fuori Israele dalla FIFA! Appello verso la partita Israele-Italia su Contropiano.
“UDINE È CON LA PALESTINA: FUORI ISRAELE DALLA FIFA!”: APPELLO ALLA MOBILITAZIONE CONTRO LA PARTITA ITALIA – ISRAELE DEL 14 OTTOBRE 2025
“Udine è con la Palestina: fuori Israele dalla FIFA! Appello alla mobilitazione per il 14 ottobre 2025 a Udine in vista della partita FIFA Italia – Israele”: Comitato per la Palestina Udine, Comunità Palestinese FVG e Veneto, ODV Salaam Ragazzi dell’Olivo Comitato di Trieste, BDS Italia e Calcio e Rivoluzione hanno lanciato un appello alla mobilitazione contro la partita di calcio Italia – Israele valida per le qualificazioni alla Coppa del mondo 2026, in programma il 14 ottobre 2025 a Udine. L’iniziativa si inserisce nel contesto della campagna internazionale “Show Israel the red card”. Si tratta della seconda partita tra la nazionale di calcio italiana e quella israeliana che si disputa a Udine nel giro di un anno esatto. Già il 14 ottobre 2024, le realtà friulane solidali con la Palestina avevano organizzato un corteo contro la partita di andata. Tremila persone avevano manifestato contro il genocidio in Palestina, contro l’occupazione e per chiedere che la nazionale di Tel Aviv – utilizzata come potente mezzo di propaganda da governo ed esercito israeliani – venga esclusa dalle competizioni ufficiale internazionali così come accaduto per la Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina. Sulle frequenze di Radio Onda d’Urto abbiamo presentato l’appello alla mobilitazione con Davide Castelnovo, del Comitato per la Palestina di Udine. Ascolta o scarica.  
Università di Firenze, cinque dipartimenti sospendono accordi con atenei israeliani
Pubblichiamo la mozione di condanna nei confronti delle azioni del governo israeliano contro la popolazione palestinese e giunta all’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università da parte di cinque Dipartimenti dell’Università di Firenze, nella speranza che altri Dipartimenti, Collegi e Università possano prendere posizione sul genocidio in atto in Palestina. Per sostenere attivamente il dissenso riguardo ai crimini di guerra commessi dalle autorità politiche e militari israeliane nei confronti della popolazione civile palestinese della Striscia di Gaza e della Cisgiordania negli oltre 20 mesi scorsi, cinque Dipartimenti dell’Ateneo fiorentino hanno approvato delle delibere che sospendono o interrompono gli accordi istituzionali che avevano in atto con università israeliane: – il Dipartimento di Matematica e Informatica – DIMAI – si è ritirato dall’accordo vigente con l’Università Ben-Gurion; – il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale – DICEA – e il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali – DAGRI – hanno sospeso la loro partecipazione allo stesso accordo con l’Università Ben-Gurion; – il Dipartimento di Architettura – DIDA – ha sospeso la sua partecipazione all’accordo con Ariel University; – il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali – DSPS – ha sospeso il protocollo di cooperazione con il Centro Blavatnik per la Cybersecurity dell’Università di Tel Aviv. Oltre 500 tra docenti, ricercatori, tecnici amministrativi e bibliotecari, collaboratori ed esperti linguistici, dottorandi e studenti, ritenendo urgente e non rinviabile un’analoga discussione da parte degli altri Dipartimenti, hanno diffuso un “Appello per una presa di posizione dei Dipartimenti UNIFI sui crimini di guerra nei Territori Palestinesi”. Denunciamo in particolare lo “scolasticidio” che si sta perpetrando ai danni della popolazione palestinese, limitando drammaticamente l’accesso allo studio in una situazione già da anni compromessa. Con l’appello invitiamo tutta la comunità universitaria a fare la sua parte, raccogliendo elementi utili da portare in discussione nelle prossime sedute dei propri Consigli di Dipartimento per discutere la sospensione o l’interruzione degli accordi con università israeliane. Testo dell’appello: Care, cari, nei mesi scorsi cinque dipartimenti del nostro Ateneo hanno approvato delle delibere con le quali è stata sospesa o ritirata la loro adesione ad accordi del nostro ateneo con alcune università israeliane, precisamente: – il Dipartimento di Matematica e Informatica – DIMAI – si è ritirato dall’accordo vigente con l’università Ben-Gurion; – il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale – DICEA – e il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali – DAGRI – hanno sospeso la loro partecipazione allo stesso accordo con l’università Ben-Gurion; – il Dipartimento di Architettura – DIDA – ha sospeso la sua partecipazione all’accordo con Ariel University; – il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali – DSPS – ha sospeso il protocollo di cooperazione con il Centro Blavatnik per la Cybersecurity dell’università di Tel Aviv. Riteniamo urgente e non rinviabile un’analoga discussione da parte degli altri dipartimenti dell’Università di Firenze aderenti ad accordi con università israeliane, in ragione dei crimini di guerra commessi dalle autorità politiche e militari israeliane nei confronti della popolazione civile palestinese della Striscia di Gaza e della Cisgiordania negli oltre 20 mesi scorsi. Ricordiamo inoltre le accertate responsabilità, dirette o indirette, di gran parte del sistema universitario israeliano, coinvolto nelle azioni di pianificazione, implementazione, monitoraggio, giustificazione legale o negazione dei crimini di guerra. Tutto questo è in palese contrasto con i principi e i valori contenuti nello Statuto e nel Codice Etico dell’Università di Firenze; come comunità accademica abbiamo il dovere di prendere posizione. Invitiamo tutti voi – studenti, da subito assai attenti e partecipi della drammatica situazione palestinese, ricercatori, docenti, collaboratori ed esperti linguistici, personale tecnico amministrativo – a raccogliere elementi utili per portare in discussione nelle prossime sedute dei consigli di dipartimento una delibera che miri a questo obiettivo. Sperando che il nostro invito possa essere accolto, ci mettiamo a disposizione per condividere informazioni utili allo scopo. I sottoscrittori: Daniele Angella, Prof. Ordinario Leonardo Bargigli, Prof. Associato Fiammetta Battaglia, Prof.ssa Associata Costanza Carbonari, RTD-A Giulio Castelli, RTD-A Maria De Santis, Prof.ssa Associata Lorenzo Ferretti, Dottorando Gianmarco Giovannardi, RTD-A Daniela Poli, Prof.ssa Ordinaria Giuliano Secchi, Dottorando Simone Secchi, Prof. Associato Alberto Tonini, Prof. Associato Vanessa Torcasso, Personale TA Iacopo Zetti, Prof. Associato.  Per informazioni potete contattare: – Leonardo Bargigli, Professore Associato – Dipartimento DISEI, leonardo.bargigli@unifi.it, 0039 335 60 70 188 (https://cercachi.unifi.it/p-doc2-2013-000000-B-3f2b3a2f362930.html) – Giulio Castelli, Ricercatore Legge 240/10 a tempo determinato – Dipartimento DAGRI, giulio.castelli@unifi.it, 0039 340 85 96 486 (https://cercachi.unifi.it/p-doc2-0-0-A-3f2b3b2f352e30.html) – Daniela Poli, Professoressa Ordinaria – Dipartimento DIDA, daniela.poli@unifi.it, 0039 333 6847022 (https://cercachi.unifi.it/p-doc2-2016-0-A-2b333c2c3727-1.html) – Daniele Angella, Professore Ordinario – Dipartimento DIMAI, daniele.angella@unifi.it, 0039 338 8738311 (https://cercachi.unifi.it/p-doc2-2013-000000-A-3f2b3c2e39282e-0.html) Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Gaza, MSF: “Ennesimo fallimento dell’UE per fermare il genocidio in corso”
MSF chiede agli Stati membri azioni concrete per fermare l’assedio di Israele. I ministri degli affari esteri dell’Unione Europea (UE) hanno mostrato per l’ennesima volta di non voler esercitare alcuna pressione su Israele per porre fine alla distruzione deliberata e sistematica delle vite dei palestinesi a Gaza, rendendosi così complici del genocidio perpetrato dalle autorità israeliane. Le conclusioni del Consiglio Affari Esteri che si è tenuto il 15 luglio confermano l’ipocrisia degli Stati membri e il loro persistente doppio standard nel proteggere i civili e nel garantire il rispetto del diritto internazionale umanitario. Medici Senza Frontiere (MSF) ribadisce il suo appello all’UE affinché agisca concretamente. Ogni Stato ha la responsabilità morale e giuridica di riconoscere e fermare le atrocità in corso a Gaza. A seguito del Consiglio Affari Esteri i leader dell’UE hanno rilasciato dichiarazioni fuorvianti su Gaza, e l’Alto rappresentante dell’UE Kaja Kallas ha affermato che ci sono ‘segnali positivi’ che gli aiuti saranno consegnati, mentre Israele continua a bombardare i bambini in fila per prendere acqua, spara sulle persone che cercano il cibo e continua a mantenere  sotto assedio un’intera popolazione, usandola come strumento di punizione collettiva. Se lo volesse, Israele potrebbe garantire cibo, acqua e medicine a sufficienza a uomini, donne e bambini palestinesi, ma invece continua a mantenere la sua morsa sulla Striscia. Nel frattempo, i leader dell’UE non solo non affrontano la questione dell’assedio imposto da Israele, ma mancano anche del coraggio e dell’umanità necessari per esercitare pressioni sulle autorità israeliane affinché queste pongano fine all’uccisione quotidiana di innocenti. Il 16 giugno, MSF ha inviato una lettera aperta con un messaggio molto chiaro ai leader dell’UE: l’UE ha i mezzi politici, economici e diplomatici per esercitare una reale pressione su Israele affinché ponga fine alle atrocità di massa e apra immediatamente i valichi di frontiera di Gaza per consentire l’ingresso degli aiuti. La popolazione di Gaza non può più aspettare; gli Stati membri dell’UE devono agire con urgenza per fermare la deliberata distruzione della popolazione palestinese a Gaza. Gli operatori di MSF a Gaza lavorano instancabilmente e in condizioni critiche da quasi 2 anni e 12 di loro sono stati uccisi dalle forze israeliane. I team di MSF ricevono regolarmente pazienti con ferite da arma da fuoco, molti dei quali sono stati attaccati nei centri di distribuzione di cibo gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation. Quasi 800 persone sono state uccise mentre cercavano di procurarsi del cibo per sopravvivere nei centri di distribuzione. Quante altre vite dovranno essere perse prima che l’UE intervenga? Quali ulteriori violazioni del diritto internazionale umanitario devono verificarsi prima che le atrocità commesse da Israele contro la popolazione di Gaza abbiano fine?     Medecins sans Frontieres
APPELLO PER LA SALVAGUARDIA E LA RIGENERAZIONE DEI PAESI
Il 9 aprile scorso la Cabina di regia, istituita presso il Dipartimento per le politiche di coesione e per il Sud della Presidenza del Consiglio, ha approvato il Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne. Lo ha fatto senza una … Leggi tutto L'articolo APPELLO PER LA SALVAGUARDIA E LA RIGENERAZIONE DEI PAESI sembra essere il primo su La Città invisibile | perUnaltracittà | Firenze.
Appello: chi controlla il controllore? Sulla sorveglianza delle opposizioni politiche in Italia
Un appello pubblico rilancia le gravi preoccupazioni emerse dall’inchiesta di Fanpage sull’infiltrazione, senza mandato giudiziario, di agenti dell’antiterrorismo in organizzazioni politiche di opposizione come Potere al Popolo. L’operazione, condotta in diverse città italiane, solleva interrogativi allarmanti sul rispetto delle libertà costituzionali e sull’uso politico degli apparati di sicurezza. I firmatari chiedono risposte istituzionali, trasparenza e […]
La risposta del Viminale sugli agenti infiltrati in Potere al Popolo non regge
Cinque agenti infiltrati nei collettivi e nelle assemblee del partito per mesi senza copertura giudiziaria. Mentre il governo minimizza, cresce la denuncia: sorveglianza politica e violazione delle libertà costituzionali. Dopo oltre un mese di assoluto silenzio, il Viminale ha accennato una risposta all’interpellanza urgente presentata dal Movimento 5 Stelle; il Sottosegretario all’Interno Emanuele Prisco ha negato che vi sia stata qualsiasi infiltrazione in partiti o movimenti politici. «I cinque giovani poliziotti che hanno attraversato le assemblee di Potere al Popolo», ha riportato, «erano semplicemente studenti regolarmente iscritti all’università, operanti con le loro vere generalità» e si limitavano a «partecipare a manifestazioni pubbliche di collettivi con connotazioni estremistiche che avevano mostrato crescente aggressività». Una puntualizzazione che tuttavia, lungi dal chiudere il caso, apre molte altre crepe e conferma la situazione gravissima nata a partire dall’inchiesta di Fanpage.it. Grazie ai documenti raccolti dal giornalista Antonio Musella, è venuto alla luce che i cinque agenti del 223° corso hanno agito per almeno otto mesi – da ottobre 2024 a maggio 2025 – fra Napoli, Milano, Bologna e Roma, inserendosi nei movimenti studenteschi Cambiare Rotta e CAU e, attraverso questi, nella vita interna di Potere al Popolo: chat organizzative, riunioni e perfino all’assemblea nazionale del partito. «Il governo ha ammesso l’operazione, ma sta minimizzando», spiega Giuliano Granato, portavoce nazionale di Potere al Popolo. «Hanno spiato un partito che si presenta alle elezioni: vogliamo sapere chi l’ha ordinata e perché. Cinque poliziotti, tutti trasferiti all’antiterrorismo nello stesso periodo, sono finiti solo nei due collettivi legati a noi. Nel Paese esistono centinaia di realtà studentesche: possibile che l’allerta ordine pubblico riguardasse soltanto le nostre?». La linea del Viminale Nel suo intervento in aula, Prisco ha dipinto un quadro di crescente conflittualità: «12 mila manifestazioni nel 2024, con turbative dell’ordine pubblico nel 2 % dei casi. In questo contesto sono maturati livelli crescenti di tensione», da cui la decisione «ordinaria, prevista dalla legge 121/1981» di potenziare l’attività informativa della Direzione centrale della Polizia di prevenzione. «Nessuna operazione sotto copertura, nessuna identità falsa. Ogni agente, anche libero dal servizio, ha l’obbligo di segnalare reati alle autorità. Si è trattato solo dell’adempimento dei propri compiti istituzionali, nel pieno rispetto della legge». La risposta di Potere al Popolo Per i soggetti coinvolti la ricostruzione non regge. «Ci eravamo quasi abituati alla favola dei poliziotti innamorati delle militanti; adesso ci dicono che erano studenti modello mossi da preoccupazioni di sicurezza nazionale», ironizza Granato. «Peccato che abbiano partecipato, abbiamo anche le prove, a momenti privati del partito, chat organizzative, riunioni e perfino all’assemblea nazionale, non a semplici iniziative pubbliche». Anche Matteo Giardiello, membro dell’esecutivo nazionale di Potere al Popolo, commenta duramente: «Ci dobbiamo aspettare che più aumenta il dissenso e più il governo porterà avanti pratiche antidemocratiche per fermarlo? Ci dobbiamo aspettare di essere sempre di più spiati solo e soltanto perché proviamo a opporci a quello che sta avvenendo? Vogliamo dire chiaramente che, se il dissenso è reato, noi siamo colpevoli». «Sorvegliare il dissenso non è compito dei servizi» Potere al Popolo ha lanciato un appello pubblico, firmato da oltre 2.000 persone nelle prime 24 ore, che denuncia l’operazione come una grave lesione delle libertà costituzionali: «L’assenza di una cornice giudiziaria e la natura prolungata e sistematica di queste attività disegna un profilo allarmante: non si tratterebbe di operazioni a scopo investigativo, ma di sorveglianza politica preventiva», si legge nel testo. Il documento ricorda che la libertà di associazione e partecipazione politica non è «un privilegio», ma un diritto inalienabile sancito dalla Costituzione. Il silenzio delle autorità, si denuncia, «è inaccettabile e pericoloso». Nell’appello si legge inoltre: «In una democrazia, il dissenso politico non è materia per i servizi di sicurezza. Nessuna forza dell’ordine dovrebbe infiltrarsi in un partito senza un preciso fondamento giuridico». Il timore, condiviso anche da altri intellettuali e sigle, è che l’approvazione del nuovo decreto sicurezza imponga agli atenei di consegnare dati su studenti e gruppi ritenuti “pericolosi” per la sicurezza nazionale, trasformando le università da luoghi di libertà intellettuale in snodi di controllo. Fra i primi firmatari figurano Carlo Rovelli, Zerocalcare, Mimmo Lucano, Andrea Segre, Fabrizio Barca, Luigi De Magistris, Vauro, Vera Gheno, Elena Granaglia, e decine di accademici, giuristi, attivisti, sindacalisti e parlamentari. Il movimento chiede che Meloni e Piantedosi riferiscano in Parlamento, chiariscano «chi ha autorizzato l’operazione» e pongano limiti chiari all’uso degli apparati di sicurezza contro chi esercita legittimamente il dissenso. Dalle aule ai telefoni: il filo che porta a Graphite Il caso degli agenti‑studenti si intreccia, anche temporalmente, con un’altra vicenda rimasta senza risposta: l’uso dello spyware Graphite (Paragon Solutions) sui telefoni del direttore di Fanpage Francesco Cancellato, di Ciro Pellegrino e di Roberto D’Agostino. Meta e Apple hanno certificato gli attacchi, ma nessuna autorità italiana ha chiarito chi li abbia commissionati. Degli episodi che, letti parallelamente, restituiscono l’immagine di una sorveglianza particolare dello Stato verso redazioni, attivisti e collettivi. Il Ministro Piantedosi si era detto “pronto a riferire” in aula già a fine giugno. Da allora nulla è cambiato, se non la versione ufficiale: da “agenti innamorati” a “studenti zelanti”. Nel frattempo, cinque poliziotti restano iscritti a corsi universitari, i collettivi continuano a protestare sotto i rettorati e un partito politico attende di sapere perché è finito, di fatto, in un dossier di pubblica sicurezza. Rimane ancora senza risposta la domanda: “Chi ha ordinato tutto questo e per quale motivo?”   Emiliano Palpacelli
Striscia di Gaza: fame o proiettili. L’appello di oltre 160 Ong
 Oltre 160 organizzazioni umanitarie e della società civile*, fra le quali Amnesty International, hanno lanciato un appello urgente per porre fine al letale schema di distribuzione degli aiuti imposto da Israele – che comprende la cosiddetta Gaza Humanitarian Foundation – e hanno chiesto il ripristino del coordinamento da parte dalle Nazioni Unite, oltre alla revoca del blocco imposto dal governo israeliano che impedisce l’ingresso di aiuti e beni commerciali nella Striscia di Gaza. I 400 siti di distribuzione di aiuti attivi durante la tregua temporanea sono stati sostituiti da soli quattro siti, sotto controllo militare, costringendo due milioni di persone a spostarsi in zone sovraffollate e militarizzate, dove ogni giorno rischiano la vita sotto i continui bombardamenti mentre tentano di procurarsi cibo senza alcun accesso ad altri beni essenziali per la sopravvivenza. Oggi nella Striscia di Gaza le persone si trovano davanti a una scelta impossibile: morire di fame o rischiare di essere colpite mentre cercano disperatamente del cibo per sfamare le proprie famiglie. Le settimane successive all’introduzione dello schema israeliano di distribuzione si sono rivelate tra le più letali e violente dall’ottobre 2023. In meno di un mese oltre 500 persone palestinesi sono state uccise e quasi 4.000 ferite mentre tentavano solamente di accedere al cibo o distribuirlo. Le forze israeliane e gruppi armati – secondo fonti, talvolta con il sostegno delle autorità israeliane – aprono ormai regolarmente il fuoco sui civili disperati che rischiano tutto per sopravvivere. Il sistema umanitario è stato smantellato in modo deliberato e sistematico dal blocco e dalle restrizioni imposte dal governo israeliano: un blocco che oggi viene strumentalizzato per giustificare la chiusura della quasi totalità delle operazioni umanitarie, a favore di un’alternativa mortale e controllata dai militari che non protegge la popolazione civile né garantisce i bisogni fondamentali. Queste misure alimentano un ciclo continuo di disperazione, pericolo e morte. Gli attori umanitari con esperienza alle spalle restano pronti a fornire assistenza salvavita su larga scala. Eppure, a oltre 100 giorni dalla reintroduzione da parte delle autorità israeliane di un blocco quasi totale agli aiuti e alle merci, la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza sta collassando più rapidamente che in qualsiasi altro momento degli ultimi 20 mesi. Nel nuovo sistema imposto dal governo israeliano persone indebolite dalla fame sono costrette a camminare per ore attraverso aree pericolose e zone dove il conflitto è attivo, per ritrovarsi poi in una corsa violenta e caotica verso punti di distribuzione recintati, militarizzati, con una sola via d’ingresso. Migliaia di persone vengono ammassate in spazi chiusi, costrette a lottare per ottenere razioni alimentari limitate. Questi luoghi sono ormai teatro di massacri ripetuti, in palese violazione del diritto internazionale umanitario. Tra le persone uccise vi sono bambine, bambini e persone che se ne prendevano cura. In oltre la metà degli attacchi alle persone civili in questi siti, sono stati coinvolti minori. Con un sistema sanitario al collasso, molte persone colpite restano a terra a morire dissanguate, non raggiungibili dalle ambulanze e senza cure salvavita. In un contesto di fame estrema e condizioni simili alla carestia molte famiglie raccontano di non avere più le forze per contendersi le razioni. Chi riesce a portare a casa del cibo spesso si ritrova con pochi alimenti di base, difficili da cucinare senza acqua potabile o combustibile. Il carburante è quasi esaurito, paralizzando i servizi essenziali – come panifici, sistemi idrici, ambulanze e ospedali. Le famiglie si riparano sotto teli di plastica, preparano pasti improvvisati tra le macerie, senza carburante, acqua potabile, servizi igienico-sanitari né elettricità. Questa non è una risposta umanitaria. Concentrare oltre due milioni di persone in aree ancora più ristrette nella speranza di trovare cibo non è un piano per salvare vite umane. Da 20 mesi, più di due milioni di persone sono incessantemente sottoposte a bombardamenti continui, all’utilizzo della fame e della sete come armi, agli sfollamenti forzati ripetuti e a una disumanizzazione sistematica: tutto questo sotto gli occhi della comunità internazionale. La Sphere Association, che stabilisce gli standard minimi per un’assistenza umanitaria di qualità, ha affermato che l’approccio della Gaza Humanitarian Foundation non rispetta gli standard e i principi fondamentali dell’azione umanitaria. La normalizzazione di questa sofferenza non può essere tollerata. Gli Stati devono opporsi alla logica per cui le uniche alternative sono la distribuzione militarizzata degli aiuti o la loro completa negazione; devono rispettare i propri obblighi ai sensi del diritto umanitario internazionale e del diritto internazionale dei diritti umani, compresi i divieti di sfollamenti forzati, attacchi indiscriminati e ostacoli all’assistenza umanitaria; devono inoltre garantire l’accertamento delle responsabilità per le gravi violazioni del diritto internazionale. Noi, organizzazioni firmatarie, rinnoviamo l’appello a tutti gli Stati terzi affinché: * adottino misure concrete per porre fine all’assedio e garantiscano il diritto delle persone nella Striscia di Gaza ad accedere in sicurezza agli aiuti e ricevere protezione; * esortino i donatori a non finanziare schemi di distribuzione militarizzati che violano il diritto internazionale, non rispettano i principi umanitari, aggravano i danni e rischiano di rendersi complici di atrocità; * sostengano il ripristino di un meccanismo di coordinamento unificato e guidato dalle Nazioni Unite – fondato sul diritto internazionale umanitario e che includa l’Unrwa, la società civile palestinese e l’intera comunità dell’aiuto umanitario – per soddisfare i bisogni della popolazione. Ribadiamo il nostro urgente appello per un cessate il fuoco immediato e duraturo, la scarcerazione di tutte le persone in ostaggio e detenute arbitrariamente, un pieno accesso umanitario su larga scala e la fine dell’impunità sistematica che alimenta queste atrocità e nega al popolo palestinese la propria dignità. Nota Il 15 giugno, l’ospedale da campo della Croce Rossa di al-Mawasi ha ricevuto almeno 170 persone ferite mentre cercavano di raggiungere un punto di distribuzione alimentare. Il giorno successivo ne sono arrivate più di 200 – il numero più alto registrato in un singolo episodio con vittime di massa nella Striscia di Gaza. Di queste, 28 persone sono state dichiarate morte. Un funzionario dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha evidenziato la gravità del fenomeno: “Ogni volta che vengono organizzate distribuzioni alimentari da attori non appartenenti alle Nazioni Unite, si verificano incidenti con un numero elevato di vittime”. Queste morti si sommano al bilancio complessivo: da ottobre 2023, oltre 56.000 persone palestinesi sono state uccise a Gaza, tra cui almeno 17.000 minori. *Elenco ong firmatarie: ABCD Bethlehem, ACT Alliance, Act Church of Sweden,  Action Against Hunger (ACF), Action Corps, ActionAid, Age International, Agricultural Development Association – PARC, Al Ard for Agricultural Development, Al-Najd Developmental Forum, American Friends Service Committee, Amnesty International, Amos Trust,  Anera, Anti-Slavery International, Arab Educational Institute – Pax Christi Bethlehem, Asamblea de Cooperación por la Paz, Asociación de Solidaridad Internacional UNADIKUM,  Association for Civil Rights Israel (ACRI), Association Switzerland Palestine, B’Tselem – The Israeli Information Center for Human Rights in the Occupied Territories, BADIL Resource Center for Palestinian Residency and Refugee Rights, Beesan Charitable Association, Bimkom – Planning and Human Rights, Bisan Center for Research and Development, Botswana Watch Organisation, Breaking the Silence, Broederlijk Delen, CADUS e.V., Caritas Germany, Caritas International Belgium, Caritas Internationalis, Caritas Jerusalem, Caritas Middle East and North Africa, Center of Jewish Nonviolence, CESIDA – Spanish Coordinator of HIV and AIDS, Children Not Numbers, Choose Love, Christian Aid, Churches for Middle East Peace (CMEP), CIDSE – International Family of Catholic Social Justice Organisations, CNCD-11.11.11, Codepink, Combatants for Peace, Comité de Solidaridad con la Causa Árabe, Congregations of St Joseph, COOPERATIVE AGRICULUTAL ASSOCIATION, Cordaid, Council for Arab-British Understanding (Caabu), Coventry Friends of Palestine, Cultures of Resistance, DanChurchAid, Danish Refugee Council, DAWN, Diakonia, Ekō, Embrace the Middle East, Emmaüs International, Entraide et Fraternité, Episcopal Peace Fellowship Palestine Justice Network, EuroMed Rights, FÓRUM DE POLÍTICA FEMINISTA, Friends Committee on National Legislation, Friends of Sabeel North America (FOSNA), Fund for Global Human Rights, Fundación Mundubat, Gaza Culture and Development Group (GCDG), Gaza Society for Sustainable Agriculture and Friendly Environment (SAFE), German Platform of Development and Humanitarian Aid NGOs (VENRO), Gisha – Legal Center for Freedom of Movement, Glia, Global Centre for the Responsibility to Protect (GCR2P), Greenpeace, HaMoked: Center for the Defence of the Individual, Hands for Charity, HEKS/EPER(Swiss Church Aid), HelpAge International, Human Security Collective, Humanité Solidarité Médecine (HuSoMe ONG), Humanity & Inclusion – Handicap International, Humanity Above All, INARA, Independent Catholic News, Indiana Center for Middle East Peace, International Federation for Human Rights  (FIDH), International NGO Safety Organisation (INSO), INTERSOS, Islamic Relief Worldwide, Jewish Network for Palestine, Jüdische Stimme für Demokratie und Gerechtigkeit in Israel/Palästina, JVJP, Just Foreign Policy, Just Treatment, Kairos Ireland, Kenya Human Rights Commission, Kvinna till Kvinna Foundation, Martin Etxea Elkartea, Maryknoll Office for Global Concerns, Médecins du Monde International Network, Médecins Sans Frontières, MedGlobal, Medical Aid for Palestinians, Medico International, Medico international Schweiz, Medicos sin fronteras (MSF – Spain), Mennonite Central Committee, Middle East Children’s Alliance, Mothers Manifesto, MPower Change Action Fund, Muslim Aid, Mwatana for Human Rights, Nonviolent Peaceforce, Norwegian Church Aid, Norwegian People’s Aid, Norwegian Refugee Council, Oxfam International, Palestine Children’s Relief Fund (PCRF), Palestine Justice Network of the Presbyterian Church (U.S.A.), Palestinian American Medical Association (PAMA), Parents Against Child Detentions, Partners for Palestine, Partners for Progressive Israel, PAX, Pax Christi Australia, Pax Christi England and Wales, Pax Christi International, Pax Christi Italy, Pax Christi Munich, Pax Christi Scotland, Pax Christi USA, Peace Direct, Peace Watch Switzerland, Penny Appeal Canada, Physicians for Human Rights Israel, Plan International, Plataforma de Solidaridad con Palestina de Sevilla, Plateforme des ONG françaises pour la Palestine, Polish-Palestinian Justice Initiative KAKTUS, Première Urgence Internationale, Presbyterian Church (USA), Quixote Center, Religious of the Sacred Heart of Mary – NGO, ReThinking Foreign Policy, Right to Movement, Rumbo a Gaza-Freedom Flotilla, Saferworld, Saskatoon Chapter of Canadians for Justice and Peace in the Middle East, Save the Children, Scottish Catholic International Aid Fund, Sisters of Mercy of the Americas – Justice Team, Solsoc Stichting Heimat, International Foundation, STOPAIDS, Støtteforeningen Det Danske Hus i Palæstina, Terre Des Hommes International Federation, Terre des hommes Lausanne, Terres des Hommes Italia, The Eastern Mediterranean Public Health Network (EMPHNET), The Israeli Committee Against House Demolitions (ICAHD UK), The Palestine Justice Network of the Presbyterian Church USA Bay Area, The Rights Forum, Union of Agricultural Work Committees-UAWC, United Against Inhumanity (UAI), Universities Allied for Essential Medicines UK, US-Lutheran Palestine Israel Justice Network, Vento di Terra, War Child Alliance, War on Want, Welthungerhilfe, Yesh Din Il nome e il numero completo delle organizzazioni firmatarie viene aggiornato ogni 24 ore ed è consultabile al seguente link: elenco ong. Amnesty International
Oltre 21.000 ebrei americani chiedono la fine del blocco degli aiuti umanitari da parte di Israele
Oltre 21.000 ebrei americani, tra cui 700 rabbini e decine di artisti, scrittori e attivisti hanno aderito alla campagna Jews for Food Aid for People in Gaza chiedendo la fine del blocco degli aiuti umanitari attuato da Israele. I firmatari dell’appello hanno acquistato un’intera pagina del New York Times per diffonderlo. Uno dei firmatari, l’anziano attore ebreo Wallace Shawn, aveva già denunciato con forza in passato il comportamento di Israele.  “Israele invade le terre altrui, si impossessa delle loro case, sta facendo quello che i nazisti hanno fatto a noi ebrei. Non si può essere più malvagi di così. In un certo senso è quasi peggio, perché Hitler aveva la decenza di tenerlo segreto, mentre gli israeliani sono quasi fieri di quello che fanno. Io lo trovo diabolico” aveva aggiunto. Fonti: Haaretz Anadolu Agency  Redazione Italia