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L’aereo carico di armi non è decollato da Montichiari
I LAVORATORI DELL’AEROPORTO CIVILE-COMMERCIALE BRESCIANO INDICONO UNO SCIOPERO, IL VOLO IN PARTENZA DALL’AEROPORTO VIENE CANCELLATO E LA PARTITA DI MISSILI DESTINATA IN MEDIO ORIENTE RIMANE A TERRA. Inizia con questo successo la campagna nazionale di USB contro il carico, scarico e trasporto di armamenti e materiale bellico, decisa e studiata insieme al Centro d’Iniziativa Giuridica Abd El Salam. Una campagna che vede in via di lancio anche la questione dell’obiezione di coscienza a sostegno dei lavoratori in sciopero nonché del mondo di ricerca, scuola e università interessate da rapporti con il sistema militare-industriale. Un presidio di un centinaio di persone, venute da varie parti della Lombardia, ha animato la conferenza stampa convocata da USB di fronte all’aeroporto bresciano, nella quale si è comunicata anche la revoca dello sciopero indetto la sera prima a fronte della notizia della cancellazione delle operazioni. Un successo che premia lo sforzo dei lavoratori e delle lavoratrici dell’aeroporto civile di Brescia che erano pronti ad entrare in sciopero, con i delegati che da mesi denunciavano quanto accade nel carico e scarico di materiale bellico. Di ancor maggiore importanza il fatto che questo è accadeva mentre al vertice della NATO i capi di stato davano il via libera all’aumento inaudito delle spese militari, fino alla cifra incredibile del 5% del PIL. L’assunzione di responsabilità collettiva da parte di USB e del corpo dei lavoratori e lavoratrici in questo senso rappresenterà uno dei fronti più caldi di scontro dei prossimi mesi, nei quali non è certo difficile prevedere l’aumento del traffico di armamenti e materiale bellico, della sua progettazione e produzione in Italia e in tutta l’area del mediterraneo. A questo proposito: riteniamo non sia un caso che la Commissione di Garanzia abbia inviato di prima mattina una nota d’urgenza alla nostra O/S, nella quale non si è azzardata a comunicare che le operazioni di carico, scarico o trasporto di armi siano un servizio pubblico essenziale, ma che la sua esclusione dai vincoli previsti dalla legge anti-sciopero debbano essere concordati con tutte le parti sociali e la stessa Commissione. Ovviamente, USB si riserva di rispondere dopo un confronto con il Centro di Iniziativa Giuridica nel merito di una contestazione pretestuosa e fuori luogo; ma fin d’ora vogliamo ricordare alla Commissione che l’articolo 1 della  legge 146/90 (Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati) individui con chiarezza quali siano i diritti della persona costituzionalmente tutelati, verso i quali occorre contemperare il diritto di sciopero. Tra questi, non c’è e non ci può essere il diritto di trasportare armi e morte. In ogni caso, sarà nostra cura chiedere alle maggiori sigle sindacali del nostro Paese se ritengano che le armi, invece, possano essere considerati un servizio pubblico essenziale da garantire con preavviso, durata e procedure di raffreddamento La campagna dello sciopero e dell’obiezione di coscienza si è appena avviata. Sappiamo che sarà lunga e niente affatto semplice, che la mobilitazione all’Aeroporto di Brescia è stato solo un primo passo, per quanto incoraggiante. Ma sappiamo che questa è la strada giusta da percorrere: dà la dignità al mondo del lavoro di non essere spettatore inerme di fronte allo scenario di guerra in cui ci stanno trascinando i “grandi” del nostro pianeta. IN ITALIA, IL LAVORO RIPUDIA LA GUERRA! All’aeroporto di Brescia è iniziata con grande successo del primo sciopero la campagna di USB contro il carico e scarico di armi  – Unione Sindacale di Base Maddalena Brunasti
Pallone blindato: il riarmo globale e il calcio italiano
Quando siamo allo stadio o, sempre più spesso, davanti alla televisione per tifare la nostra squadra del cuore, vediamo undici uomini che ci fanno emozionare con gesti tecnici e atletici sempre più impressionanti; veniamo trascinati dalla dinamica della partita, dalle scelte tattiche dell’allenatore e dalle giocate dell’ultimo “colpo di mercato”. Quello che non vediamo però è tutto quello che si trova dietro, la base di un’architettura complessa che sostiene, seppur in modo fragile, il calcio come lo intendiamo oggi. Dietro i gol e le coreografie, infatti, si muove una rete di capitali globali, di interessi finanziari e industriali che non hanno nulla a che fare con la passione per il calcio. In particolare, nel cuore pulsante del calcio europeo e italiano si stanno inserendo giganti che operano su un altro fronte: quello della produzione e gestione della guerra. In un mondo attraversato da una nuova corsa agli armamenti, il calcio si è trasformato in un asset strategico: non solo una piattaforma d’investimento, ma anche uno strumento di legittimazione sociale, di propaganda e persino di copertura mediatica. Nel 2025, la spesa militare globale ha superato i 2.718 miliardi di dollari e non è per nulla una coincidenza se, nello stesso momento storico, il controllo dei club calcistici è passato sempre più nelle mani di fondi finanziari legati all’industria bellica o di Stati che traggono potere e ricchezza proprio dai conflitti in corso. Grandi fondi di investimento, colossi della difesa, fondi sovrani del Golfo: tutti stanno trovando nel calcio uno spazio in cui investire, legittimarsi e infiltrarsi.  Il calcio nella nuova fase storica del riarmo Dal 2022 in poi, il mondo ha assistito a un’impennata senza precedenti nella spesa militare globale. Con la crisi dell’industria europea e nordamericana e il crescente debito pubblico, l’industria bellica e quella delle tecnologie dual-use hanno velocemente esercitato una fascinazione nei confronti dei leader mondiali, i quali, supportati dal ritorno di un’ideologia suprematista e neocoloniale, hanno spinto per regalare miliardi alle aziende militari. In questo contesto, la grande finanza ha trovato nel comparto bellico una nuova frontiera di profitto e i grandi fondi globali — da BlackRock a Vanguard, da Carlyle ad Apollo — non hanno esitato a posizionarsi nel cuore dell’industria della difesa. Ma la stessa finanza non investe solo in aerei da guerra o missili ipersonici, anzi: investe dove il capitale circola più velocemente, dove l’opinione pubblica è più permeabile, dove la legittimazione sociale è più immediata. Investe nel calcio. Perché i fondi della guerra comprano squadre di calcio Il calcio è l’asset perfetto nel capitalismo del XXI secolo: è liquido, perché produce utili da diritti TV, sponsorizzazioni, marketing e plusvalenze; è popolare, perché penetra ogni ceto sociale, territorio, identità; è politico, perché veicola immaginari, costruisce consenso, produce simbologie e linguaggi. Per questo motivo, l’intreccio tra fondi finanziari e club calcistici non è casuale, ma funzionale: chi arma governi genocidari, supporta l’occupazione di territori o sfrutta risorse comuni, ha bisogno anche di ripulire la propria immagine; ha bisogno di distrazione, di consenso, di strumenti per presidiare culturalmente lo spazio pubblico. Il calcio, oggi, è parte della catena del valore dell’economia di guerra. Le tre maggiori società di investimento del mondo, i cosiddetti “Big Three”, ovvero BlackRock, Vanguard, State Street, amministrano complessivamente oltre 20.000 miliardi di dollari e possiedono quote rilevanti in tutti i principali colossi dell’industria bellica: Lockheed Martin, Raytheon, Leonardo, Northrop Grumman, Boeing; queste società sono però anche dentro ai fondi che possiedono club calcistici e accanto a loro si muovono i fondi sovrani della penisola arabica: Mubadala (Abu Dhabi), PIF (Arabia Saudita), QIA (Qatar). Sia le società di investimento che i fondi sovrani, data la quantità infinita di denaro che movimentano, sono attori politici prima ancora che finanziari, e utilizzano il calcio per quello che è da quasi sempre stato: un veicolo di legittimazione, di influenza, di soft power. Nella maggior parte dei casi questi fondi sono direttamente coinvolti nel riarmo dei propri Stati o degli Stati di riferimento e nei conflitti regionali e quando investono nel pallone, lo fanno per rendere accettabile, desiderabile, perfino vincente, un sistema economico e politico basato sulla guerra, l’imperialismo e lo sfruttamento del lavoro. Club italiani, capitali globali Nel 2024 l’Internazionale Milano, stremata finanziariamente, passa al fondo statunitense Oaktree Capital Management, che aveva già prestato alla precedente proprietà 275 milioni durante la pandemia tramite l’emissione di bond. Quando i debiti lievitano e diventano impossibili da ripagare, Oaktree, di proprietà dal colosso canadese Brookfield Asset Management, a sua volta partecipato dalle Big Three in diversa misura, ne entra in possesso. Di pochi giorni fa, inoltre, è la notizia che il fondo Oaktree, per rifinanziare il debito di 400 milioni del club nerazzurro, si è affidata alla Bank of America, detenuta al 21,3% dalle Big Three. La storia recente del Milan riflette l’intreccio tra finanza speculativa occidentale e capitale sovrano del Golfo. Dopo aver risanato il club e centrato importanti risultati sportivi, il fondo statunitense Elliott, assistito da Bank of America Merrill Lynch, avvia nel 2022 una trattativa esclusiva per la cessione del Milan al fondo bahreinita Investcorp, affiancato da Goldman Sachs. L’operazione, poi fallita a favore di RedBird Capital, avrebbe potuto vedere Elliott restare inizialmente con una quota di minoranza; il vero nodo geopolitico, in questa operazione, è rappresentato dalla presenza in Investcorp del fondo sovrano di Abu Dhabi, Mubadala, che ne detiene il 20%. Mubadala, che gestisce oltre 240 miliardi di dollari, ha partecipazioni globali in energia, difesa, semiconduttori, ed è legato a stretto giro al Manchester City attraverso figure di vertice come Mansour bin Zayed e Khaldoon Al Mubarak. Il fondo emiratino ha anche intrecci con l’Italia e con industrie italiane attive nel settore della difesa, con investimenti passati in Ferrari, UniCredit e Piaggio Aero, Ferretti, promossi da Alberto Galassi, oggi nel board del Manchester City. Va, infine, ricordato che l’effettivo passaggio di proprietà è avvenuto verso RedBird Capital Partners, anch’esso legato a fondi sovrani attraverso RedBird IMI, joint venture con il fondo emiratino di Abu Dhabi. A segnare la connessione tra i proprietari dei club delle due squadre di Milano e l’industria della difesa, nel 2023, le società Brookfield Infrastructure Partners L.P., proprietaria di Oaktree e, dunque, dell’Inter, annuncia di aver acquisito, insieme ad un partner, la società Compass Datacenters, un’azienda che costruisce e gestisce data center (centri di elaborazione dati), con il sostegno finanziario di Redbird, proprietaria appunto del Milan, e il gruppo Azrieli, un conglomerato israeliano con forti interessi nel settore immobiliare e della tecnologia dual-use. Lasciando Milano sbarchiamo a Torino, per osservare la Juventus, squadra che incarna perfettamente l’intreccio tra calcio e industria bellica: la squadra è sotto il controllo dell’impero finanziario della famiglia Agnelli-Elkann attraverso Exor N. V., che domina la filiera militare in Italia tramite Stellantis e IVECO Defence Vehicles, produttrice di mezzi blindati per le forze NATO e ora nel mirino di Leonardo-Rheinmetall. Nel 2022, anche la Roma si consegna ai fondi. Per ottenere liquidità, la proprietà Friedkin emette un bond da 175 milioni di euro, sottoscritto in larga parte da Apollo Global Management tramite la sua controllata Athene; Apollo, tra le prime dieci entità finanziarie USA, è uno dei principali gestori di fondi legati a Lockheed Martin, primo produttore mondiale di armi convenzionali. A Palermo, il passaggio sotto il controllo del City Football Group, braccio calcistico del fondo sovrano emiratino, conferma la strategia. Mentre Abu Dhabi è coinvolta in operazioni militari in Yemen e sostiene una rete di influenza nell’intero Medio Oriente, utilizza i club di calcio per costruirsi una reputazione internazionale “moderna e progressista”. È la versione sportiva del greenwashing: qui, è sportwashing. Neppure l’Atalanta è rimasta immune. Bain Capital, fondo guidato da Stephen Pagliuca, rileva il 55% del club bergamasco nel 2022. Per l’operazione vengono usate holding in Lussemburgo e nel Delaware e si emette un bond da 152,5 milioni, sottoscritto dai fondi Carlyle e Ares Management. Carlyle, in particolare, è storicamente tra i maggiori finanziatori del Pentagono e dei contratti di difesa americani. Una volta di più, i Big Three compaiono come investitori istituzionali. E infine Napoli. Il volto più noto è quello di MSC, sponsor principale, presente sulla maglia che ha accompagnato lo scudetto. MSC, colosso globale della logistica e del trasporto container, è guidato dalla famiglia Aponte, una delle più potenti del Mediterraneo. Proprio nel 2023, Aponte ha stretto un accordo con BlackRock per la gestione strategica dei porti e del Canale di Panama, uno dei nodi più sensibili della circolazione globale di merci, armi e approvvigionamenti militari. Anche qui, il legame è più che simbolico: è strutturale. Il Napoli, nel nome della “napoletanità”, diventa vetrina di un potere logistico e finanziario globale che dialoga direttamente con la nuova geopolitica del commercio e della guerra. In ogni città, sotto ogni curva, si ripete lo stesso schema: il calcio come accesso al consenso, come strumento di investimento, come copertura per i flussi del potere. Che siano droni prodotti da EDGE, radar sviluppati da Leonardo o porta-container che attraversano il Canale di Panama, i capitali che finanziano la guerra sono già seduti nelle tribune vip che sempre più espropriano spazio ai tifosi negli stadi. Sportwashing e dominio I casi italiani non sono eccezioni, ma specchi. Il calcio oggi è un dispositivo ideologico e discorsivo: serve a deviare l’attenzione, a costruire consenso, a ripulire l’immagine di soggetti che altrimenti sarebbero esposti a critiche durissime. Il legame tra calcio e guerra passa per i mercati finanziari, ma produce effetti culturali: l’accettazione sociale del potere, la normalizzazione del controllo, la spettacolarizzazione della violenza. Per vivere un calcio diverso In un contesto globale segnato da molteplici ingerenze politico-economiche, l’impegno delle tifoserie in tutto il mondo e in Italia rappresenta un esempio di speranza e responsabilità. La campagna “Show Israel the red card”, promossa dal gruppo ultras del Celtic Glasgow Green Brigade, e promosso in Italia da Calcio e Rivoluzione, dimostra come il calcio possa essere un potente strumento di solidarietà e giustizia, di aggregazione e di mobilitazione, capace di sfidare le narrazioni unilaterali e le complicità istituzionali, promuovendo valori di uguaglianza e giustizia. La mobilitazione globale, che coinvolge centinaia di tifoserie in decine di Paesi, offre un modello positivo di come si possa costruire una presenza nel calcio diversa, lontana da logiche di profitto e potere che spesso lo collegano a interessi mortali, inclusa l’industria bellica. *L’articolo ha preso le mosse dalle riflessioni contenute nel libro di Luca Pisapia, Fare gol non serve a niente. Il pallone nella rete della finanza, Add editore: Torino 2024, in cui si analizza la crescente finanziarizzazione del mondo del calcio europeo. Emiliano Palpacelli
Contro le guerre e il riarmo, per i diritti sociali e l’equità
Il 22 aprile, presso il centro sociale “Ex carcere” di Palermo si è tenuta l’assemblea del Forum no guerra per la pace e il disarmo. Numerosa e composita la partecipazione, anche se limitata dal lungo ponte che quest’anno unisce Pasqua al 25 aprile e che ha visto molt* partire. Il dibattito davvero ricco, a tratti vivace, si è concentrato sui metodi di comunicazione interni all’assemblea, sulla struttura e l’articolazione che l’assemblea stessa intende darsi e sulle prossime iniziative, a partire da quelle vicinissime del Presidio di Donne per la Pace il 24 e poi del 25 Aprile. Il confronto è partito da un documento – frutto di un incontro nazionale e sottoscritto da oltre 40 tra associazioni, sindacati di base e collettivi – che invita ad una ulteriore riunione il 24 Maggio per organizzare una manifestazione unitaria contro la guerra e il riarmo il 21 giugno, a ridosso del vertice NATO dell’Aja. In alcuni interventi, a tale documento sono state mosse critiche relative ad un mancato approfondimento sulla guerra in Ucraina, in particolare al mancato appoggio politico oltre che umano che invece andrebbe dato ai disertori sia ucraini sia russi, come pure agli obiettori e alle obiettrici israeliane. Anche l’analisi sul ruolo dell’industria bellica, specie italiana, è apparsa carente. Tali critiche sono state recepite dall’assemblea, che ha incaricato un gruppo di lavoro di integrare il documento con le necessarie osservazioni, così da poterlo far proprio; la stessa commissione, inoltre, procederà a definire le tematiche relative al contenuto dello striscione da portare al corteo del 25 Aprile. L‘assemblea ha anche deciso la partecipazione all’incontro regionale promosso dalla rete contro il DL sicurezza a Catania per il 27 Aprile (con la possibilità di collegamento on line per chi non potrà spostarsi) al fine di organizzare una manifestazione regionale contro il deprecabile decreto. È emersa, però, la necessità di collegare le denunce contro la guerra, contro il genocidio in atto a Gaza con la complicità di USA ed Europa e contro il Dl fascista entro un unico grande e articolato quadro interpretativo dell’evoluzione attuale del capitalismo. E, contestualmente, la necessità di costruire un movimento globale che sappia progettare e realizzare, a partire dalle piazze, una critica pratica alle politiche neoimperiali e autoritarie in atto oggi in tutto l’occidente. E proprio al fine di allargare la partecipazione e renderla sempre più cosciente e sottolineare la necessità di collegare la lotta contro la guerra e il riarmo alla difesa dello stato sociale e del reddito, insomma per rilanciare una risposta anche alla guerra che quotidianamente il capitale conduce contro i lavoratori e i poveri – pure questa con migliaia di vittime innocenti – l’assemblea ha deciso di dotarsi di gruppi di lavoro che siano strumento di creazione di relazioni con sindacati, collettivi o singoli, ma anche di studio e approfondimento. Aldilà di qualche lievissimo screzio iniziale, anche stavolta il Forum (al suo terzo appuntamento) ha espresso una volontà unitaria, nel doveroso rispetto delle diverse identità presenti, attraverso un dibattito alto nei contenuti, disciplinato e inclusivo nelle forme e concreto nelle conclusioni. Adesso la parola va alle piazze antifasciste, antisioniste e pacifiste del 25 Aprile! Redazione Palermo