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Palermo con la Palestina, ancora e ancora
Lunedì 28 luglio, i movimenti cittadini di Palermo hanno continuato ad agire e “fare rumore” per i compagni della nave Handala e per la Palestina. Nel primo pomeriggio si è svolto un presidio davanti alla Prefettura, in concomitanza con altri in ogni provincia siciliana, per consegnare alle autorità rappresentative del governo nazionale un documento di cui riportiamo alcuni stralci. Mentre sbandieravamo kefieh, bandiere palestinesi ed arcobaleni per la pace e la nonviolenza, un autobus di linea si è accostato all’orlo del marciapiedi dov’eravamo radunati, martellando con il clacson e lampeggiando con i fari in segno di solidarietà. Abbiamo risposto a pugno chiuso. Così la sera precedente alcuni spettatori all’uscita dallo spettacolo di balletti del Teatro Massimo avevano applaudito ai nostri striscioni e al nostro clangore. Piccoli grandi gesti che commuovono e ci fanno sentire non proprio soli e non proprio inutili. Ecco, dunque, alcuni passaggi del documento affidato ai funzionari. Dopo aver denunciato il genocidio in corso a Gaza, l’annessione israeliana della Cisgiordania e le complicità italiane legate al traffico d’armi e a tanto altro, il documento chiede di: > 1) avviare una procedura per la sospensione di tutti gli accordi con Israele, > ed in generale, alla luce dei gravi crimini commessi da Israele di astenersi > dal contribuire al genocidio e all’apartheid della popolazione palestinese > attraverso nuovi accordi di qualsiasi natura, inclusa quella economica, > militare e culturale; > > 2) effettuare una tempestiva ricognizione di tutte quelle attività > promozionali, di scambio commerciale, culturale e sociale, nonché delle > attività di mero rilievo internazionale con Israele, oggetto di richiamo per > le sue condotte da parte della Corte Internazionale di Giustizia; > > 3) garantire un’adeguata accoglienza sanitaria e umanitaria ai profughi > palestinesi in fuga dal genocidio ed incentivare la cooperazione con i presidi > sanitari nel Territorio Palestinese Occupato, in primis nella Striscia di > Gaza. > > 4) adire la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) in caso di violazioni > della sovranità e dell’ordine giuridico internazionale, e la Corte Penale > Internazionale (ICC) per i crimini commessi da Israele contro civili, > operatori umanitari e imbarcazioni civili. > > 5) promuovere un’azione diplomatica multilaterale con altri Stati coinvolti > nella missione e nel Mediterraneo. Chiede anche una presa di posizione ufficiale del governo italiano circa l’aggressione alla nave Handala e conclude: > Non si possono ulteriormente tollerare né il totale disprezzo dei diritti > umani da parte di Israele, né l’occupazione illegale del Territorio > Palestinese, per altro sotto regime di apartheid. > > Non si può tollerare il clima di guerra fomentato dalla stessa Unione Europea, > attraverso la corsa agli armamenti e il conseguente attacco a tutti i diritti > sociali. > > A Gaza si muore sotto le bombe, ma anche per fame e denutrizione, occorre dire > basta, ora. > > La legalità internazionale, la dignità umana e la sovranità dello Stato > italiano non possono essere piegate all’interesse geopolitico di uno Stato > coloniale e aggressore. > > È giunto il momento per la Repubblica Italiana di riprendere la propria > autonomia morale e giuridica e di schierarsi dalla parte del diritto, della > vita, della giustizia. La città di Palermo è dal 1998 gemellata con la città di Khan Yunis nella striscia di Gaza e, poco dopo, si è aggiunto il gemellaggio con Ramallah in Cisgiordania. Incontri culturali, scambi di classi scolastiche, iniziative politiche e sociali si sono svolte da allora negli anni. Ma l’attuale governo della città a guida UDC, il partito di Cuffaro, ex presidente della regione che ha scontato in galera una condanna per associazione mafiosa, finge di non saperlo. A partire da questa considerazione si è tenuta nel tardo pomeriggio un’assemblea ai Cantieri Culturali alla Zisa (raggiunta di corsa in bici, dalla Prefettura…) proposta dall’associazione Schierarsi. Marcello Faletta, docente dell’Accademia di Belle Arti di Palermo, ha ricostruito con attenzione e passione la storia del sionismo, ideologia razzista e colonialista, a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento, sotto il governo del conservatore inglese Palmerston, ossia ben prima dell’affaire Dreyfus (1894-96) e del congresso di Basilea (1897) voluto da Theodor Herzl, autore de Lo Stato ebraico. Ha ricordato il fermo antisionismo di Hannah Arendt, filosofa ebrea tedesca perseguitata dal nazismo ed esule negli USA, e la sua contrarietà alla nascita di uno Stato confessionale anziché laico nel 1948, nonché la sua denuncia ne La banalità del male (report puntuale del processo ad Eichmann nel 1961 a Gerusalemme, per il New Yorker) di numerose connivenze tra alcuni ebrei e il nazismo durante la Shoah, cosa che le costò l’ostracismo di molti connazionali statunitensi. Insomma si può essere ebrei ed antisionisti e non per questo si è antisemiti… Amal Khayal, dolcissima compagna gazawi, operatrice del Ciss a Gaza, che mai si risparmia e ad ogni incontro ci narra trattenendo a stento le lacrime la devastazione della Striscia a cui ha personalmente assistito, stavolta descrive le mutilazioni dei bimbi feriti e le amputazioni senza anestesia, come senza anestesia sono i parti cesarei delle innumerevoli giovani donne negli ospedali deliberatamente distrutti dai raid israeliani. Che fare? Zaher Darwish, di Voci del Silenzio, e Fateh Hamdan, di Palestina nel Cuore, espongono le loro diverse prospettive sulla questione palestinese. Il primo sostiene l’impossibilità di trattare con l’entità sionista “criminale e genocida”: “Sarebbe come proporre a una donna stuprata il matrimonio riparatore” dice, e propone la creazione di un solo Stato “dal fiume [Giordano] al mare” per i due popoli. Il secondo, appartenuto all’OLP di Arafat, che ha personalmente conosciuto e amato, pur riconoscendo il fallimento dell’illusione degli accordi di Oslo del 1993, sostiene comunque la necessità di trattative per la pace e suggerisce la soluzione di “Due popoli, Due Stati”. Entrambi concordano, però, sull’urgenza che tutti gli Stati del cosiddetto Occidente e della NATO riconoscano lo Stato di Palestina e la smettano di fare affari, militari e d’altro genere, con Israele. E noi europei riflettiamo che non abbiamo alcun diritto di ergerci a giudici e risolutori di un conflitto che non solo non stiamo patendo in prima persona, ma che abbiamo contribuito a innescare e continuiamo a fomentare per interessi di primazia economica e geopolitica… Ai palestinesi le decisioni sulla terra palestinese. A noi il dovere di farci tramite di un dialogo che non ci veda protagonisti, ma rei confessi di tutte le atrocità commesse da più di due secoli in nome dell’imperialismo “bianco”. Cosa ci lascia, infine, l’esempio di ieri sera? La consapevolezza che è possibile e perciò indispensabile che voci diverse, ispirate a diverse appartenenze, ad ogni costo dialoghino per trovare percorsi condivisi di resistenza ed empatia.     Daniela Musumeci
Le azioni di Israele possono essere interpretate solo come l’attuazione dell’intenzione dichiarata di rendere la Striscia di Gaza inabitabile per la popolazione palestinese. Credo che l’obiettivo fosse – ed è ancora – costringere la popolazione ad abbandonare completamente la Striscia o, considerando che non ha un posto dove andare, di debilitare l’enclave attraverso bombardamenti e gravi privazioni di viveri, acqua potabile, servizi igienici e assistenza medica, in modo da rendere impossibile ai palestinesi di Gaza mantenere o ricostituire la loro esistenza come gruppo. Omer Bartov, The New York Times, Stati Uniti 25.7.2025 La mia conclusione inevitabile è che Israele sta commettendo un genocidio contro il popolo palestinese. Sono cresciuto in una famiglia sionista, ho vissuto la prima metà della mia vita in Israele, ho prestato servizio nell’esercito israeliano come soldato e ufficiale e ho trascorso gran parte della mia carriera studiando e scrivendo sui crimini di guerra e sull’Olocausto, quindi è stata per me una conclusione dolorosa da raggiungere, a cui ho resistito il più a lungo possibile. Ma ho tenuto corsi sul genocidio per un quarto di secolo. So riconoscere un genocidio quando lo vedo. Questa non è solo la mia conclusione. Un numero crescente di esperti in studi sul genocidio e diritto internazionale ritiene che le azioni di Israele a Gaza si possano definire solo come genocidio. Lo sostengono Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per la Cisgiordania e Gaza, e Amnesty international. Il Sudafrica ha presentato una denuncia per genocidio contro Israele alla Corte internazionale di giustizia. Il continuo rifiuto di questa definizione da parte di stati, organizzazioni internazionali, giuristi e accademici causerà un danno incalcolabile non solo alla popolazione di Gaza e di Israele, ma anche al sistema di diritto internazionale costruito sulla scia degli orrori dell’Olocausto, concepito per impedire che queste atrocità si ripetano. È una minaccia alle fondamenta stesse dell’ordine morale su cui tutti facciamo affidamento. Il crimine di genocidio è stato definito nel 1948 dalle Nazioni Unite come “l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale”. Nel determinare cosa costituisce un genocidio, quindi, dobbiamo sia individuare l’intenzione sia mostrare che viene messa in atto. Nel caso di Israele, questa intenzione è stata espressa pubblicamente da numerosi leader e funzionari pubblici. Ma l’intenzione può anche essere dedotta dal metodo delle operazioni sul campo, e questo metodo è diventato chiaro nel maggio 2024 – e poi sempre dei più – con la distruzione sistematica della Striscia di Gaza per mano delle forze armate israeliane.   Peacelink Telematica per la Pace
Parlami di Gaza
Con un compagno di Perugia, parliamo delle mobilitazioni in programma in Umbria in solidarietà con la causa palestinese. In particolare, Sabato 19 luglio, insieme a "Umbria per la Pace", All eyes on Palestine - Perugia ha organizzato una giornata di arte, musica e spettacolo dal titolo "Parlaci di Gaza", dedicata a testimoniare la Palestina di ieri, di oggi e del futuro. La manifestazione si svolgerà nella Casa dell'Associazionismo, presso Cinema Méliès, in via della Viola 1 - Perugia ed avrà inizio alle ore 17.00, con l'inaugurazione di una mostra fotografica allestita da un giovane fotografo, sopravvissuto al genocidio. Anche nei giorni scorsi, in Umbria, hanno avuto luogo manifestazioni di solidarietà con la Palestina, a Terni e a Perugia; la seconda, nel corso della quale si è svolto un volantinaggio con materiali di BDS - Italia,  è stata realizzata in occasione dell'inaugurazione dell'Umbria Jazz Festival.
Gaza: bombe sul centro di distribuzione dell'acqua
In una corrispondenza con Wasim, raccontiamo quanto accaduto domenica 13 luglio 2025, nel campo nuovo di Nuseirat, allorché l'esercito israeliano ha bombardato il punto fisso di distribuzione dell'associazione Gazzella onlus, dove viene quotidianamente distribuita acqua con camion-cisterna alimentati da combustibili di fortuna (in questo caso si trattava di plastica liquida) o, sino a quando è stato possibile, con mezzi di trasporto trainati da animali. Sono stati uccisi il volontario che stava gestendo la distribuzione e 10 minori che erano in fila per prendere l'acqua.  E’ stato ucciso anche il fratello di una delle volontarie che fanno il pane, che si trovava lì per caso. Lunedì 14 luglio la distribuzione dell'acqua è stata sospesa ma è ripresa nei giorni successivi. Il discorso si allarga, poi, ad altri tragici aspetti del genocidio israeliano a Gaza e in Cisgiordania, alla straordinaria resistenza dimostrata dalla popolazione palestinese e a un'analisi più generale sulle diverse forme del colonialismo di insediamento. La corrispondenza termina nell'auspicio di una grande manifestazione nazionale di solidarietà con la Palestina alla fine dell'estate.
Genocidio dei palestinesi: intervengono gli stati schierati con il Gruppo dell’Aja
LE DELEGAZIONI MINISTERIALI DI UNA 30INA DI NAZIONI RADUNATE A BOGOTÀ NELLE GIORNATE DEL 15 E DEL 16 LUGLIO PIANIFICANO LE AZIONI CON CUI ESIGERE IL RISPETTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE. All’iniziativa, promossa dal Gruppo dell’Aja che aggrega Bolivia, Colombia, Cuba, Honduras, Malesya, Namibia, Senegal e Sud Africa, hanno aderito una 30ina di stati: Algeria, Botswana, Brasile, Cile, Iraq, Irlanda, Libano, Norvegia, Oman, Portogallo, Slovenia, Spagna,… tra cui il Qatar, che con l’Egitto è impegnato anche come mediatore delle trattative per la tregua a Gaza. Nella convocazione è precisato che la riunione è stata indetta “in risposta alle continue e crescenti violazioni del diritto internazionale da parte di Israele nei territori palestinesi occupati, tra cui il crimine di genocidio”, che la discussione focalizzerà sugli > obblighi giuridici degli Stati, come definiti dal parere consultivo della > Corte internazionale di giustizia (CIG) del luglio 2024, di impedire tutte le > azioni “che contribuiscono al mantenimento della situazione illegale creata da > Israele nei Territori palestinesi occupati” e di sostenere la piena > realizzazione del diritto inalienabile del popolo palestinese > all’autodeterminazione e che verranno deliberate “misure concrete per far rispettare il diritto internazionale” e una serie di azioni con la cui realizzazione ogni stato contribuirà, singolarmente e coalizzato con gli altri, a “porre fine al genocidio e garantire giustizia e responsabilità”. Al meeting partecipano * il Commissario generale dell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East – Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi), Philippe Lazzarini, che l’11 luglio ha denunciato “800 persone affamate uccise, colpite da colpi d’arma da fuoco mentre cercavano di procurarsi il poco cibo a Gaza” e che “Le accuse secondo cui gli aiuti sarebbero stati dirottati verso Hamas non sono mai state sollevate durante gli incontri ufficiali, non sono mai state provate né comprovate. Un sistema funzionante [per portare soccorsi ai palestinesi assediati monitorato e realizzato dall’ONU – NdR] è stato sostituito da una truffa mortale per costringere le persone a sfollare e aggravare la punizione collettiva dei palestinesi di Gaza”; * la Relatrice Speciale dell’ONU sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, Francesca Albanese, che il 3 luglio scorso all’incontro sulla “Situazione dei diritti umani in Palestina e negli altri territori arabi occupati” svolto nel programma della 59ª Sessione del Consiglio per i Diritti Umani ha presentato il rapporto “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”. UNA COALIZIONE DI NAZIONI SCHIERATE CONTRO LE INGIUSTIZIE Il Gruppo dell’Aja è un blocco globale di stati impegnati in “misure legali e diplomatiche coordinate” per sostenere il diritto internazionale e la solidarietà con il popolo palestinese – https://thehaguegroup.org/home/ Lo schieramento aggrega le nazioni che il 31 gennaio 2025 nella città in cui hanno sede la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale si sono aggregate per, ciascuna singolarmente e insieme congiuntamente, 1. Rispettare la risoluzione A/RES/Es-10/24 delle Nazioni Unite e, nel caso degli Stati Parte, sostenere le richieste della Corte penale internazionale e ottemperare ai nostri obblighi ai sensi dello Statuto di Roma, compresi i mandati emessi il 21 novembre 2024; e attuare le misure provvisorie della Corte internazionale di giustizia, emesse il 26 gennaio, il 28 marzo e il 24 maggio 2024. 2. Impedire la fornitura o il trasferimento di armi, munizioni e materiale correlato a Israele, in tutti i casi in cui vi sia un chiaro rischio che tali armi e articoli correlati possano essere utilizzati per commettere o facilitare violazioni del diritto umanitario, del diritto internazionale dei diritti umani e del divieto di genocidio, in conformità con i nostri obblighi internazionali e con il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia del 19 luglio 2024 e con la risoluzione A/RES/Es-10/24 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. 3. In ogni porto sotto la nostra giurisdizione territoriale impedire l’attracco di imbarcazioni quando sia accertato e in tutti i casi in cui vi sia un chiaro rischio che siano utilizzate per trasportare in Israele carburante e armi militari che potrebbero essere utilizzate per commettere o facilitare violazioni del diritto umanitario, del diritto internazionale dei diritti umani e delle sanzioni contro il genocidio in Palestina, in conformità con l’obbligo giuridico inderogabile degli Stati di cooperare per prevenire il genocidio e altre violazioni di norme imperative con tutti i mezzi legali a loro disposizione. Inizialmente vi faceva parte anche il Belize, un paese dell’America centro-settentrionale indipendente dal 1981, una ex colonia dell’impero britannico e ora uno dei quindici reami del Commonwealth di cui è sovrano il re del Regno Unito. Per compiacere gli USA, il Belize si è distaccato dalla coalizione schierata in difesa del popolo palestinese e del diritto internazionale. Lo riferisce la redazione dell’emittente radiofonica francese RFI annotando che tra gli 8 stati attualmente membri del Gruppo dell’Aja spiccano alcuni che hanno già intrapreso azioni per contrastare le atrocità commesse da Israele a Gaza dall’ottobre 2023 in poi: > il Sudafrica ha deferito la questione alla Corte Internazionale di Giustizia > per presunta violazione della Convenzione sul Genocidio del 1948, a cui si > sono uniti altri Stati; navi cariche di armi dirette verso lo Stato ebraico > sono state bloccate da Namibia e Malesia. > > Nel maggio 2024, la Colombia ha interrotto le relazioni diplomatiche con Tel > Aviv. Una decisione presa “a causa del governo, del presidente genocida”, > dichiarò il presidente Gustavo Petro, che ha proclamato: «Non possiamo > accettare il ritorno di epoche di genocidio, dello sterminio di un intero > popolo sotto i nostri occhi, sotto la nostra passività. Se la Palestina muore, > muore l’umanità. Non lasceremo morire la Palestina, così come non lasceremo > morire l’umanità». «L’alternativa con cui ci dobbiamo confrontare è netta e > implacabile – ha affermato il presidente colombiano in un’intervista a The > Guardian – O difendiamo con fermezza i principi giuridici che mirano a > prevenire guerre e conflitti, o assistiamo impotenti al crollo del sistema > internazionale sotto il peso di una politica di potere incontrollata» > [Striscia di Gaza: oltre trenta Paesi riuniti a Bogotà per misure concrete > contro Israele / RFI – 13/07/2025]. Al Gruppo dell’Aja inoltre fanno parte Bolivia, Cuba, Honduras e Senegal e il Brasile, nel 2025 il ‘capo-fila’ dei paesi uniti nel BRICS che il 7 luglio scorso a Rio del Janeiro hanno condannato l’uso della fame come arma di guerra e la militarizzazione dell’assistenza umanitaria.   INTANTO, IN EUROPA E NEL MONDO… Contemporaneamente all’incontro svolto a Bogotà, a Bruxelles il Consiglio dei ministri degli esteri dell’Unione Europea riunito il 15 luglio discuteva “degli ultimi sviluppi in Medio Oriente, concentrandosi su Gaza, Israele e Iran”. Tra gli argomenti all’ordine del giorno c’era anche il “sostegno finanziario umanitario totale fornito come Team Europa al territorio palestinese occupato”, un contributo che nel periodo 2023-2024 è ammontato a oltre 1,56 miliardi di euro, di cui più di 1,35 miliardi dal 7 ottobre 2023. Forse i ministri europei hanno affrontato anche la questione dell’accordo di associazione con Israele e dei trasferimenti d’armi tra gli stati dell’unione e la nazione che all’interno dei propri confini assedia la popolazione di Gaza dall’ottobre 2023 e infierisce sui palestinesi in Cisgiordania e altri territori e, oltre che l’Iran nel giugno scorso, in questi giorni ha bersagliato anche il Libano e la Siria [Attacchi con droni e operazioni di terra, Libano senza pace / IL MANIFESTO – 10/7/2025 e Netanyahu, ordinato a Idf raid in Siria a difesa dei drusi / ANSA – 15/7/2025]. Successivamente, il 28 e 29 luglio prossimi, alla sede delle Nazioni Unite nel Palazzo di Vetro di New York si svolgerà la conferenza internazionale speciale indetta dall’ONU che, come spiega il presidente dell’Assemblea Generale, Philémon Yang, nel maggio scorso è stata indetta d’urgenza per deliberare in merito all’applicazione della soluzione detta ‘dei 2 stati’. Procrastinata a causa della guerra di Israele e USA contro l’Iran, questa conferenza affronterà la questione del conflitto arabo-palestinese riconoscendo il diritto del popolo palestinese alla propria indipendenza e potrebbe concludersi imponendo allo stato israeliano di ritirarsi dalla Striscia di Gaza e dai territori che i coloni israeliani hanno sottratto ai residenti palestinesi.   Maddalena Brunasti
Fuori le armi da porti, ferrovie e aeroporti italiani
Con un compagno di BDS Italia parliamo della campagna "Fuori le armi da porti, ferrovie e aeroporti italiani", una petizione per l'embargo militare nei confronti di Israele. Di seguito, il testo della petizione, diretta a UAMA (Unità per le Autorizzazioni dei Materiali di Armamento) presso il MAECI, al Ministero della Difesa e al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che chiede la cessazione di ogni transito di armi e componentistica militare nei porti italiani, soprattutto "di quelle destinate a Israele e ad altri paesi che opprimono e brutalizzano altri popoli commettendo crimini contro l’umanità, il crimine di apartheid e di genocidio". "Nella Relazione governativa del 2025, l’Agenzia delle Dogane riporta, per l'anno 2024, 212 operazioni di esportazioni di materiali militari a Israele per un valore complessivo di 4.208.757 euro che sono da riferirsi a licenze rilasciate in anni precedenti. Inoltre, nel 2024, sono continuati gli interscambi di materiali militari tra Italia e Israele: sono state rilasciate 42 nuove autorizzazioni di importazione di armamenti per il nostro Paese per 154.937.788 euro e, sempre nel 2024, ne sono state effettivamente importate per 37.289.708 euro.  Inoltre continua in Italia la produzione di droni "munizioni circuitanti" (detti anche "droni kamikaze") Hero 30. Sono prodotti dalla RWM Italia su licenza della israeliana U Vision, non solo per le nostre Forze Armate ma anche per l'esportazione:  il primo destinatario è stata nel 2023 l'Ungheria verso cui l'Italia (governo Meloni) ha autorizzato l'esportazione di 160 droni Hero 30 e relativo materiale per un valore di circa 150 milioni di euro. A siglare ancor più il legame Italia-Israele, c’è un Memorandum che dura da 20 anni e implica collaborazione militare e condivisione di strategie anche coperte da segreto militare. Si rinnova ogni 5 anni automaticamente, se uno dei due stati non lo “rigetta” (denuncia in gergo tecnico). Venti anni macchiati da stragi di civili e gravissime violazioni di diritti umani, scadranno l’otto giugno. Tra pochi giorni. Undici giuristi hanno indirizzato al Governo una diffida sostenuta da Bds. Il memorandum è la “madre” di tutti gli accordi di cooperazione militare con Israele tuttora attivi, a partire dalle esercitazioni congiunte nell’aeroporto di Amendola per testare i caccia F35, fino all’acquisto di tecnologie israeliane per dotare aerei spia in dotazione all’aeronautica italiana. I nostri governanti che sono senza vergogna hanno già detto che sosterranno ancora questo memorandum. Il 21 giugno, in coincidenza con la manifestazione a Roma contro il riarmo europeo, si terrà una giornata internazionale contro lo spyware di Israele, che nel settore è leader mondiale. La tecnologia di sorveglianza è ampiamente venduta in tutto il mondo ed è utilizzata dall’esercito israeliano per trovare e selezionare obiettivi da bombardare. Basta che l’IA esamini innumerevoli filmati di sorveglianza per identificare l’obiettivo da colpire, non importa se in mezzo ad altre persone che verranno pure uccise. Israele ha dato all’IA il controllo diretto di armi letali: è la prima volta nella storia che i computer sono autorizzati ad uccidere esseri umani. La sorveglianza è diventata un’arma letale, essenziale per il genocidio di Gaza". E' possibile sottoscrivere la petizione qui
Il “Rapporto Albanese”: un documento epocale
Sul report presentato dalla Relatrice Speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, la giurista italiana Francesca Albanese, si è basato lo svolgimento dell’incontro sulla Situazione dei diritti umani in Palestina e negli altri territori arabi occupati in programma il 3 luglio alla 59ª Sessione del Consiglio per i Diritti Umani riunito a Ginevra dal 16 giugno fino al 9 luglio. La relazione è intitolata DALL’ECONOMIA DELL’ OCCUPAZIONE ALL’ECONOMIA DEL GENOCIDIO e nel sommario che ne sintetizza i contenuti è spiegato: > Questo rapporto indaga i meccanismi aziendali che sostengono il progetto > coloniale israeliano di sfollamento e sostituzione dei palestinesi nei > territori occupati. > > Mentre i leader politici e governi si sottraggono ai propri obblighi, troppe > entità aziendali hanno tratto profitto dall’economia israeliana di occupazione > illegale, apartheid e ora genocidio. > > La complicità denunciata da questo rapporto è solo la punta dell’iceberg; > porvi fine non sarà possibile senza chiamare a rispondere il settore privato, > compresi i suoi dirigenti. > > Il diritto internazionale riconosce diversi gradi di responsabilità, ognuno > dei quali richiede esame e accertamento delle responsabilità, in particolare > in questo caso, in cui sono in gioco l’autodeterminazione e l’esistenza stessa > di un popolo. > > Questo è un passo necessario per porre fine al genocidio e smantellare il > sistema globale che lo ha permesso. Il 16 giugno, nel discorso di apertura della 59ª Sessione del Consiglio per i Diritti Umani, l’Alto Commissario Volker Türk aveva esplicitamente denunciato che il governo e l’esercito di Israele infieriscono da molti anni contro i civili palestinesi che abitano nei territori in Cisgiordania, in Libano e a Gaza, dove inoltre la popolazione assediata dal 2023 da mesi viene anche aggredita usando il cibo come un’arma letale [Le vittime delle ingiustizie non sono ‘danni collaterali / PRESSENZA – 20/6/2025]. Basate sui dati raccolti attingendo da “un’ampia letteratura” e dagli archivi dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR), le analisi del report elaborato a cura di Francesca Albanese evidenziano molteplici correlazioni tra i crimini contro l’umanità compiuti nei territori palestinesi con le attività produttive e commerciali realizzate da imprese israeliane, società multinazionali e aziende di varie nazionalità operanti nell’industria bellica, inoltre nell’agricoltura, nel turismo e nella finanza e con le attività di ricerca scientifica e con i programmi accademici. Facendo riferimento anche ad alcuni precedenti storici, in particolare * i processi sull’Olocausto, che “hanno gettato le basi per il riconoscimento della responsabilità penale internazionale dei dirigenti aziendali per la partecipazione a crimini internazionali” * le inchieste sulla complicità delle aziende nell’apartheid in Sud Africa, in cui “la Commissione per la verità e la riconciliazione sudafricana ha contribuito a definire la responsabilità delle aziende per le violazioni dei diritti umani” il rapporto rileva che “il caso della Palestina mette ulteriormente alla prova gli standard internazionali”: > Se fosse stata effettuata un’adeguata due diligence in materia di diritti > umani, le entità aziendali si sarebbero da tempo disimpegnate dall’occupazione > israeliana. Invece, dopo l’ottobre 2023, gli attori aziendali hanno > contribuito all’accelerazione del processo di sfollamento-sostituzione durante > la campagna militare che ha polverizzato Gaza e sfollato il maggior numero di > palestinesi in Cisgiordania dal 1967. Tra le più rinomate aziende espressamente citate nel rapporto spiccano Alphabet (a cui fa capo Google), Amazon, HP (Hewlett Packard), IBM, Microsoft e Palantir Technology. Tra le imprese che fabbricano armi e attrezzature belliche il rapporto menziona due società israeliane,”la Elbit Systems, fondata come partnership pubblico-privata e successivamente privatizzata, e la statale Israel Aerospace Industries (IAI)”, di cui evidenzia che sono “tra i primi 50 produttori di armi a livello globale”, recentemente anche protagoniste dello scandalo al Salon International de l’Aéronautique et de l’Espace (International Paris Air Show) / PRESSENZA – 17/06/25. Inoltre, il report annota il ruolo della “statunitense Lockheed Martin, insieme ad almeno altre 1600 aziende, tra cui il produttore italiano Leonardo S.p.A., e otto Stati” ricordando che i suoi velivoli F-35 e F-16 sono stati “fondamentali per dotare Israele di una potenza aerea senza precedenti, in grado di sganciare circa 85.000 tonnellate di bombe, uccidere e ferire più di 179.411 palestinesi e distruggere Gaza”. In merito alla fornitura all’esercito israeliano di armi e delle loro componenti e munizioni e di attrezzature e accessori con cui viene perpretata la strage di civili palestinesi, il rapporto pone in risalto il ruolo, non secondario, di “una rete di intermediari, tra cui studi legali, società di revisione e consulenza, nonché trafficanti, agenti e broker” e delle compagnie di trasporto. Focalizzando l’attenzione al fatto che “le attività aziendali in un’area interessata da un conflitto non possono mai essere neutrali” e alla questione che “anche se un’entità aziendale non prende posizione in un conflitto, inevitabilmente le sue attività influenzeranno le dinamiche del conflitto”, il rapporto sottolinea: > La condotta delle società e dei loro dirigenti può comportare una > responsabilità penale diretta, comunque costituisce una responsabilità di > complicità o di favoreggiamento. Il report menziona l’italiana Leonardo SpA anche nel riferire in merito all’impiego delle tecnologie civili come armi, ovvero “come strumenti a duplice uso nell’occupazione coloniale”: > In collaborazione con aziende come IAI, Elbit Systems e RADA Electronic > Industries, di proprietà di Leonardo, Israele ha trasformato il bulldozer D9 > di Caterpillar in un’arma automatizzata e comandata a distanza, fondamentale > per l’esercito israeliano dal 2000, impiegata in quasi tutte le attività > militari condotte per sgomberare le linee di incursione, ‘neutralizzare’ il > territorio e uccidere i palestinesi. Il rapporto evidenzia che la costruzione di strade e infrastrutture è stata determinante per “l’espansione delle colonie e per collegarle a Israele, escludendo e segregando i palestinesi” e funzionale a imporre il “controllo sistematico sulle risorse naturali“, in particolare l’acqua. Rilevando che da molti anni in Israele prosperano l’agricoltura, le cui produzioni – molte commercializzate all’estero e nelle catene della GDO (Grande Distribuzione Organizzata) – incrementano parallelamente “all’accaparramento delle terre” dei palestinesi, e il turismo, un ambito in cui gli attori locali e le agenzie di intermediazione “traggono profitto dall’occupazione”, che a loro volta incentivano sia direttamente che indirettamente, il rapporto evidenzia: > i quadri di riferimento ambientali, sociali e di governance (ESG) non possono > continuare a trascurare il diritto all’autodeterminazione, che è saldamente > radicato nella legislazione sui diritti umani, riconosciuto come diritto > fondamentale di tutti i popoli e prerequisito di tutti gli altri diritti. In questa prospettiva, il rapporto focalizza l’attenzione sulle collaborazioni tra centri di ricerca e accademici israeliani con le università di altre nazioni, in particolare le cooperazioni con il prestigioso Massachusetts Institute of Technology (MIT) e gli scambi svolti nell’ambito del programma Horizon Europe della Commissione europea, di cui rileva che “Dal 2014, la CE ha concesso oltre 2,12 miliardi di euro (2,4 miliardi di dollari) a entità israeliane, tra cui il Ministero della Difesa, mentre le istituzioni accademiche europee beneficiano e rafforzano questo intreccio”. L’indagine si conclude osservando: > Le atrocità di cui siamo testimoni a livello globale richiedono un’urgente > assunzione di responsabilità e giustizia, che richiede azioni diplomatiche, > economiche e legali contro coloro che hanno mantenuto e tratto profitto da > un’economia di occupazione divenuta genocida. COMMENTI E REAZIONI Osservando che il report “richiama esplicitamente la responsabilità penale internazionale non solo degli stati, anche delle imprese e dei loro dirigenti” il Centro di Ateneo per i Diritti Umani Antonio Papisca ne pone in risalto i contenuti in relazione al diritto internazionale, che “impone obblighi chiari in materia di prevenzione, astensione e disimpegno da attività che alimentano crimini gravi, compreso il genocidio”. Inoltre, il centro accademico italiano rileva che il report rivolge un’attenzione particolare alle università, “considerate parte integrante dell’apparato di oppressione” per il loro coinvolgimento, diretto o indiretto, “nella perpetuazione del regime di apartheid e nella produzione di conoscenze, tecnologie e narrazioni funzionali all’occupazione” [Il nuovo rapporto di Francesca Albanese denuncia la complicità aziendale e accademica nel sistema israeliano nei Territori Palestinesi Occupati – 02/07/2025]. Marco Mascia e Flavio Lotti, rispettivamente presidenti del Centro Diritti Umani “Antonio Papisca” e della Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace, sono anche intervenuti in difesa di Francesca Albanese dagli attacchi a lei personalmente rivolti [SOLIDARIETÀ A FRANCESCA ALBANESE / PER LA PACE – 3/7/2025]. La missione USA all’ONU infatti ha chiesto la sua rimozione dall’incarico per le Nazioni Unite perché considera le sue attività e dichiarazioni un “virulento antisemitismo”, reputa false e offensive le sue dichiarazioni sul genocidio e sull’apartheid della popolazione palestinese e ritiene infondate le sue indagini sulla complicità di alcune aziende americane nelle violazioni dei diritti umani [U.S. Mission to the United Nations Statement Opposing Francesca Albanese’s Mandate as UN Special Rapporteur – 1/7/25]. Anche UN Watch (un’associazione affiliata dal 1993 al 2000 al World Jewish Congress e dal 2001 al 2013 all’American Jewish Committee) ha definito Francesca Albanese un’antisemita e giudicato il suo report “unilaterale” perché “attribuisce il 100% della colpa a Israele per la negazione dell’autodeterminazione ai palestinesi” e, accusando il governo israeliano di “una lunga lista di crimini e violazioni dei diritti umani, dalla discriminazione alla distruzione indiscriminata, dagli sfollamenti forzati e dai saccheggi alle uccisioni extragiudiziali e alla fame“, anziché solo sulle imprese che sostengono l’occupazione “prende di mira le aziende che intrattengono rapporti d’affari con Israele” [Legal Analysis of Francesca Albanese’s June 2025 Report to Human Rights Council / UN WATCH – 01/07/2025]. Il quotidiano inglese The Guardian invece ha riferito che “Il relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei territori palestinesi occupati ha chiesto sanzioni e un embargo sulle armi contro Israele e che le multinazionali siano ritenute responsabili per aver tratto profitto dal genocidio a Gaza” e le dichiarazioni dei portavoce di Palantir Technolgies, “no comment“, e Lockheed Martin, “Le vendite di materiale militare all’estero sono transazioni tra governi. Le discussioni su questi affari dovrebbero essere affrontate con il governo degli Stati Uniti”. Inoltre, specificando che “i relatori speciali sono esperti indipendenti in materia di diritti umani nominati per fornire consulenza o riferire su situazioni specifiche” e di lei ricordando che è “un giurista italiano e relatore speciale per i territori palestinesi occupati dal 2022” e che “ha definito l’offensiva israeliana a Gaza come un genocidio nel gennaio 2024”, The Guardian riporta una dichiarazione di Francesca Albanese: «Ho indagato giorno dopo giorno per 630 giorni e sono certa che si tratti di genocidio. Israele ha commesso atti che sono riconosciuti come genocidi, come l’uccisione di quasi 60.000 persone, probabilmente di più, determinare condizioni di vita atte a distruggere, la devastazione dell’80% delle case e la mancanza di acqua e cibo» [Global firms ‘profiting from genocide’ in Gaza, says UN rapporteur / THE GUARDIAN, 3/7/2025]. In un post pubblicato su X il 1° luglio, Francesca Albanese aveva annunciato che il report DALL’ECONOMIA DELL’ OCCUPAZIONE ALL’ECONOMIA DEL GENOCIDIO “mostra come le multinazionali abbiano alimentato e legittimato la distruzione della Palestina” e, commentando “Il genocidio, a quanto pare, è redditizio”, ne ha illustrato il ‘meccanismo’ con un’immagine molto efficace. La riunione svolta nella mattinata del 3 luglio, in cui Francesca Albanese è intervenuta aggiornando i dati e approfondendo alcune analisi della relazione presentata nell’occasione e i partecipanti hanno fornito ulteriori informazioni sulla Situazione dei diritti umani in Palestina e negli altri territori arabi occupati, è stata trasmessa in streaming e registrata da Middle East Eye: Il testo integrale del rapporto nella versione in lingua originale – inglese – e tradotto in francese, arabo, giapponese, russo e spagnolo è pubblicato sul sito dell’ONU * A/HRC/59/23: From economy of occupation to economy of genocide – Report of the Special Rapporteur on the situation of human rights in the Palestinian territories occupied since 1967 e una versione in italiano è a disposizione nell’archivio di documenti raccolti da PRESSENZA: * https://www.pressenza.com/wp-content/uploads/2025/07/Rapporto-Francesca-Albanese-def.pdf   PRESSENZA – 2/7/2025 : Francesca Albanese: “Le aziende traggono grandi profitti dall’occupazione di Israele dei territori palestinesi” Maddalena Brunasti
Roma, dibattito in piazza Sempione: fermiamo il genocidio
Venerdì 27, dalle ore 18:00, in Piazza Sempione, dibattito pubblico sulla Palestina. Di seguito, il comunicato di lancio dell'iniziativa. "Abbiamo lavorato in questi due anni, dal 7 ottobre in poi, per costruire nel nostro municipio un comitato di solidarietà con la Palestina. Siamo partit*, sin da subito, con la convinzione che era in atto un genocidio, ci siamo ritrovat* insieme partendo dal solo desiderio di fare il possibile per raccogliere la voce e la lotta dei palestinesi. Abbiamo mediato le nostre differenze non con inutili appelli all'unità ma direttamente sul terreno delle iniziative e delle proposte. Abbiamo partecipato a decine di manifestazioni e iniziative varie sulla Palestina. Abbiamo assistito all'indifferenza di molti e piano piano ci siamo accorti che il messaggio di libertà che arrivava dalla Palestina cominciava a penetrare la coscienza di tant*. Abbiamo fermato il genocidio? No, ma nel nostro piccolo, insieme ad altri milioni di persone nel mondo, abbiamo smascherato il disegno sionista e siamo riuscit* tutt* insieme ad isolare, nelle coscienze popolari, Israele. Siamo riuscit* a crescere nel tempo ed adesso siamo arrivati a costruire un'assemblea territoriale di solidarietà con la Palestina. Pensiamo di essere la soluzione ai mille problemi che abbiamo? No di certo! Pensiamo, però, di essere una possibilità e proprio per questo lanciamo questo dibattito in piazza e non nel chiuso di qualche aula. Abbiamo assistito, dopo 20 mesi di assordante silenzio, al risvegliarsi di alcune forze politiche nazionali, qualcuna ha cominciato a riconoscere il genocidio in atto, qualcun’altra ha balbettato parole tipo massacro. Abbiamo visto qualche bandiera apparire sui, troppo pochi, balconi istituzionali (ne regaleremo una più grande al nostro municipio). Alcun* hanno detto "meglio tardi che mai" altr* (la maggioranza) l'ha letta come un tentativo tardivo di recuperare il terreno perso sul genocidio in corso. Va chiarito che parlare di genocidio non è un problema linguistico ma è avere il coraggio politico e umano di riconoscere quello che sta avvenendo e chi non lo fa dovrà fare i conti con la storia e con se stesso. Tutt* però ci siamo posti una domanda: “e adesso che faranno i nostri municipi e soprattutto che farà il Sindaco di Roma”? Noi qualche idea in proposito l'abbiamo e vogliamo capire con chi e come poter andare avanti per provare, in tutti i modi possibili, a fermare il tentativo di fare scomparire i palestinesi dalla Palestina. Per questo abbiamo indetto il dibattito in piazza, dibattito che non riguarda ovviamente solo il nostro municipio. Noi, sicuramente, non ci accontenteremo di prese di posizioni verbali ma vogliamo vedere i fatti. Abbiamo invitato tutte le rappresentanze palestinesi della città, la giunta del municipio e le realtà di lotta con cui abbiamo costruito le tante iniziative nella città. La situazione in medio oriente da tragica è diventata ingovernabile, a Gaza continua incessantemente l'opera genocidaria e in Cisgiordania continua l'opera di espulsione e massacro dei palestinesi, i rischi di un conflitto nucleare sono sempre più palpabili, il governo Meloni si inchina sempre di più agli interessi degli USA e di Israele. Il mondo è a un passo dal baratro e noi non vogliamo e non possiamo più vedere solo piccoli passi dettati da necessità di convergenza politica. Per questo ci aspettiamo un dibattito franco e soprattutto che porti ad atti concreti. I confini del conflitto si stanno allargando, il rischio che si ricorra ad ordigni nucleari sempre più incalzante. La scesa, a fianco di Israele, di Trump determina un salto in avanti di tale possibilità. Non è più di balbettii, il tempo stringe, il genocidio del popolo palestinese prosegue indisturbato." Ne parliamo  con un compagno del "Comitato di solidarietà con la Palestina in terzo - Roma".
Una terra in comune: soliderietà alla popolazione di Gaza
Con una ricercatrice della Rete Universitaria per la Palestina (RUP), presentiamo il progetto “Una terra in comune - Un sostegno diretto a famiglie di Gaza”, una campagna partita dal basso per iniziativa di un gruppo di docenti universitari, ricercatrici, ricercatori e personale tecnico-amministrativo di diverse università, italiane e straniere, aderenti alla rete. Si tratta di un progetto ispirato al desiderio di sostenere la popolazione civile di Gaza, ormai ridotta allo stremo, in una situazione umanitaria gravissima e ormai completamente priva di acqua,  cibo ed elettricità. Il progetto mira a fornire sostegno diretto a un gruppo di famiglie, attraverso donazioni ricorrenti e messaggi di solidarietà e vicinanza. E' possibile aderire qui. Il discorso si allarga poi alla altre iniziative di solidarietà con la popolazione di Gaza portate avanti dalla Rete Universitaria per la Palestina tra cui mobilitazioni per la sospensione degli accordi di ricerca con le università israeliane.