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Una Schengen militare europea@0
Un mese dopo la presentazione della roadmap per una difesa UE a prova di aggressioni esterne entro il 2030, la Commissione europea fa un salto di qualità nella mobilità militare dell’Unione, che si scontra oggi con la realtà di 27 Stati nazionali che limitano gli attraversamenti di truppe e mezzi sui loro territori. L’obiettivo è creare una ‘Schengen militare’ entro il 2027, perché – come affermato dal commissario UE per la Difesa, Andrius Kubilius, prendendo in prestito le parole di un generale statunitense – “la fanteria vince le battaglie, la logistica vince le guerre”. Che Bruxelles faccia sul serio, si evince dalle presenze dei commissari europei alla presentazione del pacchetto sulla mobilità militare: oltre a Kubilius, la vicepresidente esecutiva Henna Virkkunen, l’Alta rappresentante per gli Affari esteri Kaja Kallas, il commissario per i Trasporti, Apostolos Tzitzikostas. Il dato di partenza è inesorabile: alcuni Paesi membri “richiedono ancora un preavviso di 45 giorni prima che le truppe di altri Paesi possano attraversare il loro territorio per svolgere esercitazioni”, ha affermato Kallas. Nel regolamento proposto dalla Commissione, l’obiettivo è ridurre i tempi burocratici ad un massimo di tre giorni. Eliminando barriere normative e semplificando le procedure doganali, Bruxelles vuole introdurre le prime norme armonizzate a livello UE per i movimenti militari transfrontalieri. Alcuni esempi pratici li ha indicati Tzitzikostas: “Semplificare le norme sul trasporto di merci pericolose”, o ancora “consentire i movimenti militari nei fine settimana e nei giorni festivi”. Attraverso l‘istituzione di un quadro di emergenza poi, verrebbe dedicato l’accesso prioritario alle infrastrutture agli apparati militari, e le procedure per lo spostamento di contingenti potrebbero essere ulteriormente accelerate. Sarebbe facoltà della Commissione, con l’approvazione degli Stati membri, formalizzare le situazioni di emergenza. Su un binario parallelo alla semplificazione delle normative, corre il potenziamento delle infrastrutture. “Se un ponte non è in grado di sostenere un carro armato da 60 tonnellate, se una pista è troppo corta per un aereo cargo, abbiamo un problema”, ha sottolineato l’Alta rappresentante UE. Lo scheletro esiste già, è l’infrastruttura della rete TEN-T. Su quella, la Commissione europea ha identificato 4 principali corridoi militari e 500 punti nevralgici da rafforzare. “Nella maggior parte dei casi – ha confermato Tzitzikostas – si tratterà di potenziare le infrastrutture esistenti”. In un ottica dual use, civile-militare, perché “nel 99,9 per cento dei casi” la rete servirà per cittadini e merci”. Un ruolo chiave nella rete TEN-T è stato assunto dall’Italia: quattro dei nove corridoi attraversano lo stivale, il Baltico-Adriatico, lo Scandinavia-Mediterraneo, il Reno-Alpi e il Mediterraneo. Dal punto di vista geostrategico e militare è particolarmente rilevante il corridoio Mediterraneo che collega i porti della penisola iberica con l’Ucraina, passando per il sud della Francia, l’Italia settentrionale, la Slovenia e la Croazia. Abbiamo contattato Fabrizio, del movimento no tav, per parlarci del TAV all’interno della mobilità militare europea, come snodo del corridoio strategico che unisce la penisola iberica all’Ucraina. Abbiamo poi chiesto a una compagna antimilitarista genovese di parlarci del progetto di ampliamento dei binari a Sampierdarena e del porto di Genova all’interno della mobilità militare europea, nel corridoio Reno-mediterraneo. Con una compagna di Messina abbiamo commentato l’inserimento del ponte sullo stretto all’interno del corridoio TEN-T ‘Scandinavo-Mediterraneo’. Citati nella puntata. Il Tav all’interno dei corridoi di mobilità militare europea Sulle ferrovie di Sampierdarena e del Porto di Genova Sull’operazione Ipogeo
Una Schengen militare europea@1
Un mese dopo la presentazione della roadmap per una difesa UE a prova di aggressioni esterne entro il 2030, la Commissione europea fa un salto di qualità nella mobilità militare dell’Unione, che si scontra oggi con la realtà di 27 Stati nazionali che limitano gli attraversamenti di truppe e mezzi sui loro territori. L’obiettivo è creare una ‘Schengen militare’ entro il 2027, perché – come affermato dal commissario UE per la Difesa, Andrius Kubilius, prendendo in prestito le parole di un generale statunitense – “la fanteria vince le battaglie, la logistica vince le guerre”. Che Bruxelles faccia sul serio, si evince dalle presenze dei commissari europei alla presentazione del pacchetto sulla mobilità militare: oltre a Kubilius, la vicepresidente esecutiva Henna Virkkunen, l’Alta rappresentante per gli Affari esteri Kaja Kallas, il commissario per i Trasporti, Apostolos Tzitzikostas. Il dato di partenza è inesorabile: alcuni Paesi membri “richiedono ancora un preavviso di 45 giorni prima che le truppe di altri Paesi possano attraversare il loro territorio per svolgere esercitazioni”, ha affermato Kallas. Nel regolamento proposto dalla Commissione, l’obiettivo è ridurre i tempi burocratici ad un massimo di tre giorni. Eliminando barriere normative e semplificando le procedure doganali, Bruxelles vuole introdurre le prime norme armonizzate a livello UE per i movimenti militari transfrontalieri. Alcuni esempi pratici li ha indicati Tzitzikostas: “Semplificare le norme sul trasporto di merci pericolose”, o ancora “consentire i movimenti militari nei fine settimana e nei giorni festivi”. Attraverso l‘istituzione di un quadro di emergenza poi, verrebbe dedicato l’accesso prioritario alle infrastrutture agli apparati militari, e le procedure per lo spostamento di contingenti potrebbero essere ulteriormente accelerate. Sarebbe facoltà della Commissione, con l’approvazione degli Stati membri, formalizzare le situazioni di emergenza. Su un binario parallelo alla semplificazione delle normative, corre il potenziamento delle infrastrutture. “Se un ponte non è in grado di sostenere un carro armato da 60 tonnellate, se una pista è troppo corta per un aereo cargo, abbiamo un problema”, ha sottolineato l’Alta rappresentante UE. Lo scheletro esiste già, è l’infrastruttura della rete TEN-T. Su quella, la Commissione europea ha identificato 4 principali corridoi militari e 500 punti nevralgici da rafforzare. “Nella maggior parte dei casi – ha confermato Tzitzikostas – si tratterà di potenziare le infrastrutture esistenti”. In un ottica dual use, civile-militare, perché “nel 99,9 per cento dei casi” la rete servirà per cittadini e merci”. Un ruolo chiave nella rete TEN-T è stato assunto dall’Italia: quattro dei nove corridoi attraversano lo stivale, il Baltico-Adriatico, lo Scandinavia-Mediterraneo, il Reno-Alpi e il Mediterraneo. Dal punto di vista geostrategico e militare è particolarmente rilevante il corridoio Mediterraneo che collega i porti della penisola iberica con l’Ucraina, passando per il sud della Francia, l’Italia settentrionale, la Slovenia e la Croazia. Abbiamo contattato Fabrizio, del movimento no tav, per parlarci del TAV all’interno della mobilità militare europea, come snodo del corridoio strategico che unisce la penisola iberica all’Ucraina. Abbiamo poi chiesto a una compagna antimilitarista genovese di parlarci del progetto di ampliamento dei binari a Sampierdarena e del porto di Genova all’interno della mobilità militare europea, nel corridoio Reno-mediterraneo. Con una compagna di Messina abbiamo commentato l’inserimento del ponte sullo stretto all’interno del corridoio TEN-T ‘Scandinavo-Mediterraneo’. Citati nella puntata. Il Tav all’interno dei corridoi di mobilità militare europea Sulle ferrovie di Sampierdarena e del Porto di Genova Sull’operazione Ipogeo
Una Schengen militare europea@2
Un mese dopo la presentazione della roadmap per una difesa UE a prova di aggressioni esterne entro il 2030, la Commissione europea fa un salto di qualità nella mobilità militare dell’Unione, che si scontra oggi con la realtà di 27 Stati nazionali che limitano gli attraversamenti di truppe e mezzi sui loro territori. L’obiettivo è creare una ‘Schengen militare’ entro il 2027, perché – come affermato dal commissario UE per la Difesa, Andrius Kubilius, prendendo in prestito le parole di un generale statunitense – “la fanteria vince le battaglie, la logistica vince le guerre”. Che Bruxelles faccia sul serio, si evince dalle presenze dei commissari europei alla presentazione del pacchetto sulla mobilità militare: oltre a Kubilius, la vicepresidente esecutiva Henna Virkkunen, l’Alta rappresentante per gli Affari esteri Kaja Kallas, il commissario per i Trasporti, Apostolos Tzitzikostas. Il dato di partenza è inesorabile: alcuni Paesi membri “richiedono ancora un preavviso di 45 giorni prima che le truppe di altri Paesi possano attraversare il loro territorio per svolgere esercitazioni”, ha affermato Kallas. Nel regolamento proposto dalla Commissione, l’obiettivo è ridurre i tempi burocratici ad un massimo di tre giorni. Eliminando barriere normative e semplificando le procedure doganali, Bruxelles vuole introdurre le prime norme armonizzate a livello UE per i movimenti militari transfrontalieri. Alcuni esempi pratici li ha indicati Tzitzikostas: “Semplificare le norme sul trasporto di merci pericolose”, o ancora “consentire i movimenti militari nei fine settimana e nei giorni festivi”. Attraverso l‘istituzione di un quadro di emergenza poi, verrebbe dedicato l’accesso prioritario alle infrastrutture agli apparati militari, e le procedure per lo spostamento di contingenti potrebbero essere ulteriormente accelerate. Sarebbe facoltà della Commissione, con l’approvazione degli Stati membri, formalizzare le situazioni di emergenza. Su un binario parallelo alla semplificazione delle normative, corre il potenziamento delle infrastrutture. “Se un ponte non è in grado di sostenere un carro armato da 60 tonnellate, se una pista è troppo corta per un aereo cargo, abbiamo un problema”, ha sottolineato l’Alta rappresentante UE. Lo scheletro esiste già, è l’infrastruttura della rete TEN-T. Su quella, la Commissione europea ha identificato 4 principali corridoi militari e 500 punti nevralgici da rafforzare. “Nella maggior parte dei casi – ha confermato Tzitzikostas – si tratterà di potenziare le infrastrutture esistenti”. In un ottica dual use, civile-militare, perché “nel 99,9 per cento dei casi” la rete servirà per cittadini e merci”. Un ruolo chiave nella rete TEN-T è stato assunto dall’Italia: quattro dei nove corridoi attraversano lo stivale, il Baltico-Adriatico, lo Scandinavia-Mediterraneo, il Reno-Alpi e il Mediterraneo. Dal punto di vista geostrategico e militare è particolarmente rilevante il corridoio Mediterraneo che collega i porti della penisola iberica con l’Ucraina, passando per il sud della Francia, l’Italia settentrionale, la Slovenia e la Croazia. Abbiamo contattato Fabrizio, del movimento no tav, per parlarci del TAV all’interno della mobilità militare europea, come snodo del corridoio strategico che unisce la penisola iberica all’Ucraina. Abbiamo poi chiesto a una compagna antimilitarista genovese di parlarci del progetto di ampliamento dei binari a Sampierdarena e del porto di Genova all’interno della mobilità militare europea, nel corridoio Reno-mediterraneo. Con una compagna di Messina abbiamo commentato l’inserimento del ponte sullo stretto all’interno del corridoio TEN-T ‘Scandinavo-Mediterraneo’. Citati nella puntata. Il Tav all’interno dei corridoi di mobilità militare europea Sulle ferrovie di Sampierdarena e del Porto di Genova Sull’operazione Ipogeo
Piani di pace per l’Ucraina, militarizzazione della logistica, guerra ibrida@1
Il ministro della difesa tedesco Boris Pistorius, che nel 2024 sosteneva che saremo in guerra con la Russia nel 2029, adesso dice che succederà forse nel 2028, anzi che “alcuni storici militari ritengono addirittura che abbiamo già avuto la nostra ultima estate di pace”. Venerdì scorso, il Generale Fabien Mandon, Capo di Stato Maggiore delle forze armate francese, ha parlato esplicitamente del rischio di “perdere i propri figli” in un futuro conflitto con la Russia e ha esortato la Francia a prepararsi a sacrifici — umani o economici — vista la crescente ambizione russa di un confronto con la NATO entro la fine del decennio. «Siamo sotto attacco: il tempo per agire è subito»: così riporta il documento redatto dal ministro della Difesa Guido Crosetto, ora al vaglio del Parlamento. A minacciare l’Occidente e l’Italia sarebbe la «guerra ibrida» portata avanti, in particolare, da Russia, Cina, Iran e Corea del Nord, combattuta tanto a colpi di disinformazione e pressione politica quanto di minacce cibernetiche. Per questo, l’Italia avrebbe bisogno della creazione di un’arma cyber, composta di almeno cinquemila unità tra personale civile e militare. Solamente due settimane fa, Crosetto aveva dichiarato che l’esercito italiano avrebbe bisogno di almeno trentamila soldati in più. In Polonia, in risposta agli atti di sabotaggio che hanno colpito le infrastrutture strategiche della Paese, il premier Donald Tusk ha lanciato un’operazione su larga scala, l’operazione Horizon, per aumentare i controlli sulle infrastrutture del Paese, dispiegando 10mila soldati che lavoreranno insieme a polizia, Guardia di frontiera, Servizio di protezione delle ferrovie e ad altri enti responsabili della sicurezza dello Stato. Appena una settimana fa, un mese dopo la presentazione della roadmap per una difesa UE a prova di aggressioni esterne entro il 2030, la Commissione europea dichiara di voler incrementare fortemente la mobilità militare dell’Unione, che si scontra oggi con la realtà di 27 Stati nazionali che limitano gli attraversamenti di truppe e mezzi sui loro territori. L’obiettivo è creare una ‘Schengen militare’ entro il 2027, perché – come affermato dal commissario UE per la Difesa, Andrius Kubilius, prendendo in prestito le parole di un generale statunitense – “la fanteria vince le battaglie, la logistica vince le guerre”. Nei primi 15 minuti, parliamo del non paper di Crosetto sulla guerra ibrida, dei piani di riarmo europeo delle infrastrutture, della logistica di guerra facendo un po’ di rassegna stampa. Successivamente approfondiamo gli stessi temi, a partire dagli ultimi sviluppi nella guerra tra Russia e Ucraina, con la bozza di Trump per un piano di pace che ha contrariato l’Europa, con lo storico Francesco Dall’Aglio, saggista, esperto di est Europa e di questioni strategico-militari, gestore del canale Telegram «War Room».- Russia, Ucraina, NATO. Citati nella puntata: Non-paper sul contrasto alla guerra ibrida di Crosetto Libro bianco europeo per il 2030 Il Piano Rearm Europe
Piani di pace per l’Ucraina, militarizzazione della logistica, guerra ibrida@0
Il ministro della difesa tedesco Boris Pistorius, che nel 2024 sosteneva che saremo in guerra con la Russia nel 2029, adesso dice che succederà forse nel 2028, anzi che “alcuni storici militari ritengono addirittura che abbiamo già avuto la nostra ultima estate di pace”. Venerdì scorso, il Generale Fabien Mandon, Capo di Stato Maggiore delle forze armate francese, ha parlato esplicitamente del rischio di “perdere i propri figli” in un futuro conflitto con la Russia e ha esortato la Francia a prepararsi a sacrifici — umani o economici — vista la crescente ambizione russa di un confronto con la NATO entro la fine del decennio. «Siamo sotto attacco: il tempo per agire è subito»: così riporta il documento redatto dal ministro della Difesa Guido Crosetto, ora al vaglio del Parlamento. A minacciare l’Occidente e l’Italia sarebbe la «guerra ibrida» portata avanti, in particolare, da Russia, Cina, Iran e Corea del Nord, combattuta tanto a colpi di disinformazione e pressione politica quanto di minacce cibernetiche. Per questo, l’Italia avrebbe bisogno della creazione di un’arma cyber, composta di almeno cinquemila unità tra personale civile e militare. Solamente due settimane fa, Crosetto aveva dichiarato che l’esercito italiano avrebbe bisogno di almeno trentamila soldati in più. In Polonia, in risposta agli atti di sabotaggio che hanno colpito le infrastrutture strategiche della Paese, il premier Donald Tusk ha lanciato un’operazione su larga scala, l’operazione Horizon, per aumentare i controlli sulle infrastrutture del Paese, dispiegando 10mila soldati che lavoreranno insieme a polizia, Guardia di frontiera, Servizio di protezione delle ferrovie e ad altri enti responsabili della sicurezza dello Stato. Appena una settimana fa, un mese dopo la presentazione della roadmap per una difesa UE a prova di aggressioni esterne entro il 2030, la Commissione europea dichiara di voler incrementare fortemente la mobilità militare dell’Unione, che si scontra oggi con la realtà di 27 Stati nazionali che limitano gli attraversamenti di truppe e mezzi sui loro territori. L’obiettivo è creare una ‘Schengen militare’ entro il 2027, perché – come affermato dal commissario UE per la Difesa, Andrius Kubilius, prendendo in prestito le parole di un generale statunitense – “la fanteria vince le battaglie, la logistica vince le guerre”. Nei primi 15 minuti, parliamo del non paper di Crosetto sulla guerra ibrida, dei piani di riarmo europeo delle infrastrutture, della logistica di guerra facendo un po’ di rassegna stampa. Successivamente approfondiamo gli stessi temi, a partire dagli ultimi sviluppi nella guerra tra Russia e Ucraina, con la bozza di Trump per un piano di pace che ha contrariato l’Europa, con lo storico Francesco Dall’Aglio, saggista, esperto di est Europa e di questioni strategico-militari, gestore del canale Telegram «War Room».- Russia, Ucraina, NATO. Citati nella puntata: Non-paper sul contrasto alla guerra ibrida di Crosetto Libro bianco europeo per il 2030 Il Piano Rearm Europe
[Da Roma a Bangkok] Cina, prestiti, e dedollarizzazione
Questa trasmissione vuole dimostrare che la Cina ha cambiato negli ultimi trenta anni le politiche monetarie del mondo, il modo in cui i soldi vengono gestiti e in cui vengono fatti i prestiti. Dopo aver ricapitolato accordi e istituzioni di Bretton Wood, nella prima parte descriviamo come la Cina è diventata prestatore per lo sviluppo di infrastrutture prendendo il posto, in molti casi, della Banca Mondiale; nella seconda parte come ancora la Cina è divenuta prestatore di ultima istanza soppiantando il Fondo Monetario Internazionale (Fmi). Per costruire la trasmissione sono state usate tra le altre, le seguenti pubblicazioni gratuite: - China and Global Economic Order dell'Università di Cambridge - How China collateralizes di AIDDATA - China Bri Investment Report del Green Finance and Development Center di Shangai
[Da Roma a Bangkok] Cina: le ferrovie e la torta sempre più grande
L'espansione dei sistemi di trasporto ha un impatto diretto sulla crescita economica: attivando una nuova rete di collegamento e trasporto, si crea una nuova economia che prima non c’era. Non è tanto che le aree in cui vengono costruiti nuovi sistemi di trasporto riescono ad accaparrarsi una fetta più grande della – per così dire – torta economica bensì che i collegamenti e i trasporti creano una torta più grande, come ripetono i governanti cinesi. La Cina, economia pianificata, ha deciso di darci dentro su questo concetto di espandere la torta e negli ultimi anni ha ricostruito e sviluppato la sua rete ferroviaria interna in un modo che non ha precedenti a livello mondiale costruendo più chilometri di ferrovie, specialmente ad alta velocità, di qualsiasi altro paese nel mondo. Ha poi reinvestito il  surplus di capacità acquisito nella costruzione di ferrovie in altri paesi connettendo la propria rete ferroviaria  alla Belt and Road Initiative, con collegamenti merci tra Cina ed Europa e altri paesi asiatici, rafforzando il ruolo della Cina nel commercio globale.
Infrastrutture: un universo parallelo alla nostra vita
> Il mese scorso si sono verificate delle criticità all’aeroporto di Newark (New > Jersey, USA), dei seri guai. Il 28 aprile, i controllori del traffico aereo > hanno perso completamente il contatto con i voli in arrivo e in partenza. > Niente radar. Niente radio. Nessuna comunicazione. Un blackout totale. La motivazione è interna all’Amministrazione federale dell’aviazione (FAA). Il personale è da anni sotto pressione, con il pensionamento obbligatorio a 56 anni e un numero troppo basso di assunzioni. Guasti alle apparecchiature come questo dimostrano quanto il sistema sia diventato fragile. La FAA ha cercato di alleggerire la pressione spostando le operazioni da Long Island a Philadelphia, struttura che allo stesso modo non dispone di risorse sufficienti. Il governatore del New Jersey chiede urgentemente investimenti federali, avvertendo che se non cambierà nulla prima dei Mondiali di calcio del 2026, ci saranno gravi disagi (la regione metropolitana di New York è attualmente al primo posto al mondo per le cancellazioni dei voli). Lo stesso giorno, il 28 aprile, un enorme blackout ha colpito la Spagna, il Portogallo e parte della Francia meridionale. Non funzionava nulla, né i treni, né il servizio telefonico. Un completo fallimento dell’infrastruttura. Considerate ora questa breve intervista della CNBC a Paul Tudor Jones, che parla dell’intensa competizione nell’IA e della totale mancanza di sforzi coordinati per mettere in sicurezza l’infrastruttura che la circonda. È come avere auto che vanno a 300 km orari su autostrade prive di guardrail. Una delle più grandi capacità dell’umanità è l’abilità a collaborare, a rimanere connessi e a mantenere la complessa infrastruttura che tocca miliardi di vite. Ma nella mia vita quotidiana, quanto tempo viene trascorso davvero a pensare alle infrastrutture? È una nostra preoccupazione? Le persone che fanno funzionare i sistemi spesso sembrano esistere in un universo parallelo, non visto e non riconosciuto. Quando si perde la connessione domestica ad Internet, si chiama il provider. Arriva qualcuno, fa una magia e il gioco è fatto. Se il vostro viaggio mattutino è interrotto da lavori stradali, fate una deviazione e andate avanti. L’infrastruttura rimane perciò invisibile, finché non subisce un guasto. L’ironia della sorte è che dipendiamo più dalle infrastrutture che dal denaro. Anche con la ricchezza, non si può avere acqua pulita senza un intricato sistema di tunnel, tubi, controllo della pressione e monitoraggio dell’igiene che arrivi al rubinetto. Il nostro sviluppo come specie dipende dalla nostra capacità di gestire e sostenere questi sistemi. Ma la verità è che non stiamo facendo un buon lavoro. Questa lotta per mantenere i nostri sistemi critici riflette una tensione fondamentale della società moderna. Mentre le nostre strutture sociali hanno sempre più enfatizzato i risultati individuali e i bisogni personali, la nostra capacità collettiva di valorizzare e investire nelle risorse condivise si è indebolita. Le infrastrutture, per definizione, servono al bene comune – rispondono a bisogni universali al di là dei divari economici – ma i nostri quadri politici ed economici spesso non riescono a dare priorità a questi investimenti comuni. In Occidente ci troviamo di fronte a una duplice sfida. In primo luogo, la manutenzione delle infrastrutture esistenti è diventata politicamente difficile, in quanto la spesa pubblica si scontra con la resistenza dei movimenti no-tax e con calcoli politici a breve termine che danno priorità ai ritorni immediati. In secondo luogo, e forse più preoccupante, è la nostra diminuita capacità di pianificare le infrastrutture a lungo termine. A differenza delle generazioni precedenti, che hanno avviato progetti plurisecolari come la Cattedrale di Colonia – ben sapendo che non sarebbero vissuti per vederne il completamento -, noi sembriamo incapaci di immaginare qualcosa che vada oltre la nostra stessa vita. Abbiamo perso la visione intergenerazionale che un tempo guidava le opere pubbliche ambiziose. Questa sfida si manifesta in modo diverso nei vari contesti politici, ma riguarda fondamentalmente la nostra mentalità verso il futuro. Consideriamo l’esperienza dell’Ecuador sotto il presidente Rafael Correa (2007-2017), dove investimenti sostanziali nei trasporti, nell’energia e nei servizi pubblici hanno dimostrato di ridurre i tassi di povertà e di migliorare la qualità della vita. Tuttavia, le amministrazioni successive hanno abbandonato queste priorità, illustrando come le infrastrutture richiedano un impegno prolungato al di là dei singoli mandati di leadership. Allo stesso modo, movimenti come la Brexit hanno rappresentato non solo un riallineamento politico, ma anche un arretramento rispetto a decenni di sviluppo collaborativo delle infrastrutture attraverso i confini europei. Negli Stati Uniti, il fenomeno Trump incarna un simile sentimento anti-infrastrutturale: la sua attenzione è rivolta verso l’interno, una visione a breve termine e divisiva. Un’umanità con un futuro conferisce priorità alle infrastrutture per tre ragioni molto semplici: una visione chiara di ciò di cui ha bisogno il domani, un forte senso di condivisione e un impegno profondo e trascendente a fare non solo per noi stessi, ma per le generazioni a venire. Le comunità che prospereranno nei prossimi decenni saranno quelle che riconnetteranno le loro decisioni immediate con questi orizzonti più lunghi. Traduzione dall’inglese di Martina D’amico. Revisione di Thomas Schmid. David Andersson
Emilia-Romagna, infrastrutture, energia e il prezzo della militarizzazione. Seconda parte
La Regione Emilia-Romagna nel 2020 aveva lanciato il Patto per il Lavoro e per il Clima, presentato come un modello di sviluppo sostenibile per coniugare crescita economica e decarbonizzazione. Una retorica green, però, che si è scontrata con la realtà dei fatti: gli investimenti concreti della giunta Bonaccini prima e De Pascale poi hanno puntato su grandi opere logistiche e infrastrutturali, le quali sono andate a costituire un ecosistema ideale per  un’economia sempre più militarizzata, in piena contraddizione con gli obiettivi climatici dichiarati. Ma quali sono i progetti e le infrastrutture, frutto di precise scelte politiche da parte dell’amministrazione regionale e quelle locali, che hanno fatto sì che fosse così conveniente per le industrie meccaniche pensare di inserirsi all’interno del mercato della difesa? L’allargamento del porto di Ravenna, il rigassificatore, l’inserimento di Piacenza nel retroporto di Genova e la creazione di Zone Logistiche Semplificate rivelano un approccio preciso, descritto dalla Rete Emergenza Climatica e Ambientale dell’Emilia-Romagna (RECA ER) come “protezionista nei confronti dell’industria non sostenibile, senza obiettivi concreti di breve e medio periodo, che lascia libertà di scelta ai privati negli obiettivi e nelle strategie[1]”. Questi progetti non solo consumano suolo e aggravano l’inquinamento, ma dimostrano come la Regione, nonostante il linguaggio ufficiale, stia di fatto creando un ambiente che si sposa perfettamente con la corsa europea al riarmo, trasformandosi in un hub strategico per la logistica, ideale anche per il transito di materiale bellico, e l’energia fossile. Il Patto per il Lavoro e per il Clima, in questo contesto, appare più come un’operazione di facciata che come un reale cambio di rotta. Le Zone Logistiche Semplificate: il collegamento tra il porto di Genova e quello di Ravenna Inizialmente pensate come spazi destinati all’esportazione, le Zone Logistiche sSmplificate (ZLS) sono diventate veri e propri laboratori di sperimentazione politica, amministrativa e normativa, che hanno comportato, nei territori in cui sono state istituite (compresa l’Emilia-Romagna) industrializzazione rapida e sfruttamento del lavoro. Le ZLS sono innanzitutto spazi di deregolamentazione economica, ma anche nodi logistici fondamentali per garantire efficienza e prontezza nell’approvvigionamento di materiali, funzionando in modo efficace anche nel supporto alle aziende che decidono di riconvertire la propria produzione in senso militare: flussi di componenti meccanici, elettronici e materiali dual-use transitano in deroga a vincoli ambientali e fiscali. Studiosi come Aiwa Ong[2], Saskia Sassen[3] e Sandro Mezzadra[4] hanno offerto letture differenti, ma convergenti nel riconoscere come le zone producano forme di sovranità frammentata o “graduata”, contribuendo alla ridefinizione del ruolo dell’attore statale, o regionale in questo caso, moderno, che non scompare ma si riconfigura, oscillando tra il ruolo di facilitatore del capitale globale e quello di garante residuale della legittimità politica. Il caso dell’Emilia-Romagna è paradigmatico: una delle regioni più colpite dalla crisi climatica, con eventi estremi continui e un’enorme perdita di suolo, nel 2024 ha approvato la creazione della Zona Logistica Semplificata (ZLS), che destinerà mille ettari di terreno all’espansione della logistica. Questo progetto prevede incentivi fiscali e semplificazioni burocratiche per attrarre investimenti, soprattutto stranieri: l’obiettivo è sviluppare il settore logistico aggirando i vincoli sul consumo di suolo. La ZLS dell’Emilia-Romagna parte dal porto di Ravenna e si estende fino a Piacenza, città inclusa sempre nel 2024 nell’altra Zona Logistica Semplificata presente in Emilia-Romagna, ovvero quella del retroporto di Genova, e comprende 28 Comuni e 25 aree produttive; le imprese che si insediano nelle “aree libere” godono di incentivi fiscali[5]. La creazione, dunque, di spazi in cui le regole fiscali e di organizzazione del lavoro sono differenti rispetto al resto del territorio regionale fa emergere il tema della trasformazione radicale del ruolo svolto dal potere politico ed economico e dunque quello della democraticità della gestione del territorio. Questa riconfigurazione del territorio, però, riguarda anche un’altra infrastruttura che nel tempo ha assunto sempre più importanza all’interno degli equilibri economici e geopolitici del Nord Italia: il porto di Ravenna. Il progetto enorme di allargamento e potenziamento del porto di Ravenna rappresenta un salto in avanti infrastrutturale che si colloca esattamente lungo questa scia, con l’obiettivo di consolidare il ruolo del porto come un hub logistico strategico per il Mediterraneo. Oltre a servire l’espansione del traffico commerciale, l’ammodernamento del porto di Ravenna risponde anche alla necessità di garantire un’infrastruttura portuale in grado di accogliere flussi di materiali sensibili, inclusi armamenti o componentistica strategica. In un contesto in cui le linee tra logistica civile e militare si fanno sempre più sfumate, Ravenna si propone come snodo marittimo duale per l’economia di guerra europea, come dimostra l’avvenimento di pochi mesi fa, in cui il Tribunale di Ravenna ha ordinato il sequestro in porto di un carico di 14 tonnellate di componenti di armi dirette a Israele provenienti da una ditta di Lecco e destinate alla IMI System, principale produttore di armi e munizioni per l’esercito israeliano[6]. A promuovere e sostenere l’iniziativa di allargamento del porto di Ravenna, con un forte impegno istituzionale, sono stati in particolare l’ex presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini e l’ex sindaco di Ravenna, ora non a caso presidente della regione, Michele De Pascale. Bonaccini e De Pascale hanno fatto del potenziamento del porto una priorità politica, puntando a rafforzare la competitività dell’Emilia-Romagna nel contesto europeo e globale, con dichiarazioni chiare sull’importanza di questi interventi per il futuro del sistema logistico regionale. Il progetto ha visto lo scavo dei fondali e la costruzione di nuove banchine; proprio per garantire la sicurezza anche digitale durante il transito di materiale dual-use, sono state potenziate le misure di sicurezza contro i cyberattacchi, con Itway e Radiflow, aziende strettamente intrecciate con lo Stato e l’esercito israeliani, a fornire protezione digitale. Il rigassificatore di Ravenna e il gasdotto adriatico Se la logistica è il sistema circolatorio di questa trasformazione, l’energia ne è il carburante. Il rigassificatore rientra nella nuova strategia dell’Unione Europea di riduzione della dipendenza dal gas russo, che include anche la sicurezza degli approvvigionamenti per industrie critiche, come ad esempio quella aerospaziale; la sua localizzazione a Ravenna lo rende funzionale al polo logistico regionale. Il rigassificatore di Ravenna, sostenuto da Stefano Bonaccini, ex presidente di regione, e Michele De Pascale, ex sindaco di Ravenna e attuale presidente della regione, non si configura soltanto come un impianto per la riconversione del gas naturale liquefatto, ma anche come un tassello strategico di un nuovo paradigma economico che risponde a logiche emergenziali, in un’Europa tornata a ragionare in termini di guerra e sicurezza, sacrificando tutti gli obbiettivi di transizione ecologica[7]. In un’economia di guerra che si struttura anche attorno alla sicurezza energetica, il rigassificatore diventa parte integrante della logistica militare invisibile, assicurando continuità operativa agli impianti industriali riconvertiti e riconvertibili in senso bellico e proteggendo i flussi energetici dai rischi geopolitici legati alla dipendenza da attori non allineati agli interessi NATO. Reso operativo in tempi record grazie a procedure straordinarie, fuori dai normali iter di valutazione ambientale, l’impianto è stato classificato “opera di interesse nazionale”, a testimonianza di una virata decisa verso un’economia dove energia, industria e Stato si preparano per un’eventuale “resilienza”, in uno scenario geopolitico che l’Unione Europea ha contribuito a rendere instabile. Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e a causa della nuova strategia europea di azzeramento delle forniture energetiche dalla Russia, l’Italia ha rimodulato le sue priorità, abbracciando una strategia di presunta indipendenza energetica attraverso il GNL importato da Paesi allineati agli interessi euro-atlantici, come Stati Uniti e Qatar. Il gasdotto adriatico gestito da SNAM Sulmona–Minerbio completa il disegno di una nuova infrastruttura energetica nazionale che, dietro la facciata della transizione e della resilienza, risponde a una logica pienamente integrata nell’economia di guerra. Il gasdotto, che attraversa l’Appennino abruzzese per connettere il Centro Italia con l’Emilia-Romagna, costituisce l’asse portante della cosiddetta dorsale adriatica: un corridoio energetico strategico che consente al gas rigassificato sulla costa adriatica di alimentare i poli industriali del Nord, oltre che di interfacciarsi con la rete europea. È grazie a questa infrastruttura, come chiarisce anche la stessa SNAM[8], che il gas proveniente dagli alleati NATO può fluire stabilmente verso i distretti produttivi riconvertiti in ottica dual-use, garantendo la continuità operativa delle industrie che sempre più si avviano alla riconversione in senso militare. Come il rigassificatore, anche il gasdotto è stato imposto ai territori con una procedura straordinaria e commissariale, eludendo il confronto democratico e ambientale in nome dell’interesse nazionale. In questa convergenza tra energia, industria e sicurezza, la dorsale Sulmona–Minerbio non è semplicemente un’infrastruttura civile, ma una linea logistica invisibile al servizio anche di una riconversione bellica del Paese, che trasforma l’Italia, ma soprattutto l’Emilia-Romagna, in un hub energetico-militare dell’Europa. Emilia-Romagna avamposto militare? Davanti a questa accelerazione, una domanda si impone: l’Emilia-Romagna sta diventando un avamposto dell’industria militare europea? I progetti infrastrutturali, gli incentivi pubblici e le partnership industriali suggeriscono dei passi in questa direzione, ma a quale prezzo? In questo scenario, la transizione ecologica sembra sempre più sacrificata sull’altare della difesa e della competitività militare e l’Emilia-Romagna, invece di rappresentare un modello di sostenibilità e giustizia climatica, va sempre più consolidandosi come avamposto industriale dell’economia di guerra europea. Link alla prima parte dell’articolo [1] Si veda il Patto per il Clima e per il Lavoro della Rete Emergenza Climatica e Ambientale dell’Emilia-Romagna, nell’intento della rete “un manifesto per aprire e allargare alla società civile la discussione che lega i temi del clima e del lavoro”. [2] Ong A. (2006), Neoliberalism as Exception. Mutations in Citizenship and Sovereignty, Duke University Press, Durhan-London. [3] Sassen S. (2014), Expulsions. Brutality and Complexity in the Global Economy, Belknap Press, Cambridge-London. [4] Sandro Mezzadra, Brett Neilson (2021), Operazioni del capitale. Il capitalismo contemporaneo tra sfruttamento ed estrazione, manifestolibri, Roma. [5] https://altreconomia.it/limpatto-delle-zone-logistiche-semplificate-sui-territori-il-caso-dellemilia-romagna/. [6] https://ilmanifesto.it/pezzi-di-armi-italiane-a-israele-il-carico-bloccato-a-febbraio-non-e-un-caso-isolato [7] https://ilmanifesto.it/ravenna-il-rigassificatore-divide-il-centrosinistra. [8] https://www.snam.it/it/noi-snam/chi-siamo/le-nostre-infrastrutture/la-rete-di-trasporto/la-linea-adriatica.html. Emiliano Palpacelli