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Il processo di Budapest
Con la dicitura Processo di Budapest, facciamo riferimento ai diversi procedimenti giudiziari che hanno preso il via in seguito alle contestazioni alle celebrazioni neonaziste in occasione delle cosiddette “Giornate dell’onore”, tra il 9 e l’11 febbraio del 2023. Queste giornate, che ufficialmente celebrano la “resistenza” contro l’Armata Rossa, sono di fatto un insieme di parate e rievocazioni nostalgiche, finanziate direttamente dal governo ungherese, in cui si radunano i partecipanti delle peggiori sigle neonaziste da mezza europa tra cui: Legio Hungaria, Hammerskin, Blood&Honour e Nordic Resistance. Nell’ambito delle contromanifestazioni che si sono tenute in quei giorni sono state denunciate delle aggressioni al alcuni partecipanti ha portato l’11 febbraio 2023  all’arresto a Budapest di Ilaria e due cittadini tedeschi, Tobi e Anna. > Ad oggi ci sono 15 imputati di cui 3 italiani a piede libero e 12 in germania > di cui 2 a piede libero, 8 in varie carceri tedesche e un* in carcare in > Ungheria. Il processo, che in diversi casi ha come perno le dichiarazioni di noti neo-nazisti, ha ben presto acquisito una dimensione europea non solo per effetto del MAE – mandato di arresto europeo – spiccato ai danni delle e degli antifascisti imputati, ma anche per la solerzia delle autorità nazionali dei Paesi coinvolti nel coordinamento della caccia al militante antifascista. Inoltre l’uso del reato associativo ha permesso l’applicazione di lunghissimi periodi di carcerazione preventiva e restrizioni nelle comunicazioni, intercettazioni, pressioni e violenze nei confronti di amici e familiari degli imputati, e accuse che prevedono molti anni di carcere. Difornte a un quadro così complesso e preoccupante la solidarietà deve essere all’altezza di questo apparato repressivo e sempre più si devono moltiplica le azioni di solidarietà e lotta a sostegno dei prigionieri antifa in Ungheria, Germania e ovunque in Europa! ILARIA Dopo 16 mesi di detenzione a Budapest, è stata liberata nel giugno 2024 perché eletta al Parlamento europeo. Il governo ungherese ha chiesto al Parlamento di revocarle l’immunità e la commissione dovrà decidere sul suo caso tra settembre e ottobre. Qualora l’immunità venisse revocata, il processo a suo carico riprenderebbe e Ilaria rischierebbe nuovamente di essere arrestata ed estradata in Ungheria. GABRI È attualmente libero in Italia con divieto di espatrio. Nel marzo del 2024, dopo 3 mesi di domiciliari, la corte d’appello di Milano ha respinto la richiesta di estradizione dell’Ungheria a causa delle condizioni disumane di detenzione nelle carceri magiare. Il suo processo è ripreso insieme a quello per Maja e per ovvi motivi non sta partecipando alle udienze. Per tutte le informazioni sul processo e la campagna di solidarietà segui: www.instagram.com/comitato_antirep_milano GINO Gino è stato liberato. Al momento si trova  piede libero in attesa che il processo a Budapest riprenda anche per lui. Per tutte le informazioni sul processo la campagna di solidarietà segui: https://www.instagram.com/liberez_gino/ MAJA Maja è stat* arrestat* a Berlino nel dicembre 2023 e, dopo aver trascorso sei mesi in prigione a Dresda, è stat* illegalmente deportat* in una prigione di Budapest il 27 giugno 2024. Nel luglio 2025, Maja ha intrapreso uno sciopero della fame durato 40 giorni e ora si trova in un ospedale penitenziario a più di 200 km da Budapest, vicino al confine rumeno. A settembre riprenderanno le udienze del processo, per il quale rischia fino a 24 anni di carcere. Per tutte le informazioni sul processo e la campagna di solidarietà segui: https://www.instagram.com/free.maja/ PAUL, NELE, CLARA, ZAID, MORITZ, LUCA, PAULA ED EMMI Il 20 gennaio 2025, sette compagni che erano in fuga da quasi due anni si sono consegnati alle autorità tedesche. A loro si è aggiunta Emmi, che si è consegnata due mesi dopo. Nel maggio 2025, Zaid è stato rilasciato dal carcere poiché è stato incriminato solo dalle autorità ungheresi e non anche da quelle tedesche.  Gli altri sette compagni sono attualmente detenuti nelle carceri di Lipsia, Amburgo, Chemnitz e Bielefeld, in attesa della decisione delle autorità tedesche sulla richiesta di estradizione dell’Ungheria. I loro processi si terranno a Dresda e Düsseldorf (a centinaia di chilometri dal luogo di residenza delle loro famiglie). Sono accusati di far parte di un’organizzazione criminale (articolo 129 del codice penale tedesco) e di tentato omicidio. A causa della loro giovane età, alcuni potrebbero essere processati come minorenni. Zaid, in particolare, rischia di essere estradato in Ungheria, o addirittura deportato in Siria, perché non è cittadino tedesco. Per tutte le informazioni sul processo e la campagna di solidarietà segui: https://www.instagram.com/budapest.soli.duesseldorf/ ANNA  È stata arrestata a Budapest con Ilaria Salis e Tobi nel febbraio 2023. Ora si trova in Germania con alcune restrizioni. Attualmente è sotto processo a Budapest in contumacia. TOBI Tobi è stato arrestato a Budapest nel febbraio 2023 e condannato a 22 mesi di carcere dopo aver accettato il patteggiamento del pubblico ministero. Dopo aver scontato la pena in Ungheria nel dicembre 2024, è tornato in Germania dove è stato immediatamente arrestato di nuovo. È stato poi trasferito nella prigione di Burg in Germania, dove ora dovrà affrontare il processo per il caso Antifa Ost davanti alla Corte regionale superiore di Dresda. Per tutte le informazioni sul processo e la campagna di solidarietà segui: https://www.instagram.com/free.tobi161/ HANNA È stata arrestata nel maggio 2024, prima imprigionata a Norimberga, poi trasferita nella prigione di Monaco. Il suo processo è iniziato nel febbraio 2025 ed è ancora in corso. Il procuratore ha chiesto per lei una pena di un anno, il suo processo dovrebbe concludersi il 15 settembre.  Per tutte le informazioni sul processo e la campagna di solidarietà segui: https://alleantifa.noblogs.org/ PAUL E JOHANN Johann è stato arrestato nel novembre 2024 a Weimar dopo aver trascorso diversi anni in clandestinità. Johann sarà processato davanti alla Corte d’appello regionale di Dresda a partire da questo autunno, insieme ad altri tre detenuti (Paul, Tobias, KW-Thomas/Nanuk) e tre compagni che non sono in carcere.  INIZIATIVE DI SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE In questi anni si sono tenute decine di iniziative a sostegno degli imputati del processo, sia per raccogliere fondi sia per dimostrare azioni di solidarietà concreta e dibatitto sul tema dell’antifascismo. In Germania il movimento di solidarietà per il caso Budapest è iniziato nel febbraio 2023, quando Tobi e Ilaria sono stati arrestati.  Naturalmente, a causa della repressione estremamente dura che gli antifascisti subiscono nel Paese, le manifestazioni contro la repressione non si limitano a singoli casi giudiziari, ma affrontano un contesto più ampio. Alcune delle più grandi manifestazioni contro la repressione si sono svolte durante il Tag X a Lipsia nel 2023, il giorno in cui il tribunale di Dresda ha pronunciato le sentenze di reclusione per gli attivisti di Antifa Ost, e la manifestazione contro la repressione a Jena nel giugno 2025, dove più di 10.000 persone hanno marciato insieme. Regolarmente vengono organizzate manifestazioni davanti alle prigioni dove sono detenuti gli antifascisti. > In Italia fin dall’arresto di Ilaria ci sono state manifestazioni e iniziative > che si sono intensificate soprattutto a partire da gennaio 2024 con > l’organizzazione di giornate di mobilitazione a Milano che sono iniziate con > il corteo nazionale Free All Antifas del 13 gennaio per concludersi con la > revoca dell’estradizione per Gabri nel mese di febbraio. Per tutto l’anno si sono poi sviluppate inizative di approfndimento e benefit fino all’arresto di Gino a Parigi a dicembre che ha visto iniziative coordinate in Francia e in Italia per opporsi alla richiesta di estrazizione in Ungheria. In Francia si è assistito a una grande mobilitazione dal basso che ha coinvolto personaggi della società civile insieme a collettivi, spazi sociali e squadre di sport popolare in una campagna di pressione sulle autorità che ha portato proprio alla negazione dell’estradizione di Gino. In Italia ricordiamo inoltre il corteo Free All Antifas dell’1 marzo 2025 e le successive mobilitazioni per l’anniversario di Dax che hanno declinato il motto Antifascismo è Anticapitalismo anche attraverso la solidarietà agli imputati e ospitando durante l’assemblea internazionale gli interventi dei comitati da Francia e Germania. CAMPAGNA DI RACCOLTA FONDI La solidarietà ha bisogno anche di impegno concreto, per questo la campagna di raccolta fondi ha pagato gli avvocati.e, viaggi di parenti e amici .he e sostegno diretto ai prigionieri con le donazioni raccolte tramite decine di benefit, un corwfoundig ospitato da Produzioni dal Basso e le vendite del fumetto Questa Notte Non Sarà Breve di Zerocalcare. Tuttavia non si è ancora concluso il primo grado di giudizio e le pene previste sono molto alte, è importante continuare a sostenere la cassa nei mesi a venire! L’associazione Brigate di Solidarietà ha creato un conto dedicato esclusivo per questa causa ed è possibile effettuare donazioni tramite bonifico o pagamento su PayPal. IBAN: IT20Z0623001616000015293082 Beneficiario: Brigate Volontarie per l’Emergenza ODV Paypal: https://www.paypal.com/paypalme/brigatevolontarie Per restare aggiornati sul processo e sulle azioni di solidarietà seguia la Campagna Free All Antifas – Italy Sito: https://freeallantifas.noblogs.org/  Canale telegram: http://t.me/freeallantifas Comitato Antirepressione Milano: www.instagram.com/comitato_antirep_milano/ Mail: freeallantifasitaly@inventati.org Budapest Antifascist Solidarity Committee (in tedesco) Sito: https://www.basc.news/  Instagram https://www.instagram.com/freebudapesttwo/ Questa mappa è stata presentata il 5 settembre 2025 in contemporanea al festival Renoize – in ricordo dell’omicidio di Renato Biagetti (Roma) e al COA T28 (Milano)- in occasione dell’assemblea pubblica cittadina e della cena benefit per il processo. Immagine di copertina di Budapest Antifascist Solidarity Committee L'articolo Il processo di Budapest proviene da DINAMOpress.
Strage ferroviaria di Brandizzo: adesso giustizia!
A due anni dalla strage ferroviaria a Brandizzo, Medicina Democratica aderisce all’iniziativa dei sindacati di base, sabato 30 agosto 2025, dalle ore 14.00 davanti alla Stazione ferroviaria: non solo per non dimenticare, ma anche per chiedere un procedimento giudiziario rigoroso, rapido e che faccia emergere tutte le responsabilità.  “Aderiamo all’iniziativa dei sindacati di base di sabato 30 agosto, ore 14 , davanti alla stazione ferroviaria di Brandizzo (TO), non solo per non dimenticare la strage avvenuta esattamente due anni fa e costata la vita a 5 lavoratori, ma anche e soprattutto per chiedere un procedimento giudiziario rigoroso e rapido, che faccia emergere tutte le responsabilità”, ha dichiarato Marco Caldiroli, Presidente di Medicina Democratica ETS. “Oltre al dovuto ricordo dei lavoratori uccisi da una organizzazione del lavoro criminale – ha aggiunto Caldiroli – sosteniamo qui e altrove ogni iniziativa per l’affermazione del diritto alla salute e alla sicurezza in tutti i luoghi di lavoro”. L’indagine per la strage di Brandizzo è stata chiusa a luglio 2025 con il rinvio a giudizio di 24 persone lungo tutta la filiera, dal committente RFI, alle imprese appaltatrici, per cui si attende un processo in tempi rapidi; c‘è però una lunga catena di eventi che hanno interessato i luoghi di lavoro ferroviari con effetti disastrosi sia nei confronti dei lavoratori così come degli utenti, come a Pioltello (MI) 25 gennaio 2018, che costò la vita a due passeggeri, e/o dei residenti come a Viareggio, 29 giugno 2009, con 32 morti e un centinaio di feriti, ma non sempre si è arrivati a una giustizia. Oltre alla ricorrenza della strage di Brandizzo, occorre ricordare che pochi giorni fa sono state depositate le motivazioni della sentenza per il disastro di Pioltello, in cui i vertici di Rete Ferroviaria Italiana sono stati incredibilmente assolti perché “non potevano sapere” del giunto della rotaia in pessime condizioni, scaricando ogni colpa sul responsabile locale della manutenzione. “Le motivazioni assolutorie non appaiono condivisibili, perché negano il ruolo di garanzia dei datori di lavoro e dei dirigenti, responsabili delle politiche manutentive, scaricando sull’ultima ruota della gerarchia aziendale tutte le responsabilità,” ha sottolineato Marco Caldiroli. “Ma la catena di eventi che ha determinato il disastro di Pioltello – ha aggiunto – è simile, anche nella distribuzione delle responsabilità, a quella di Viareggio, dove, anche se non siamo alla sentenza finale, le responsabilità dei vertici delle singole aziende coinvolte sono state riconosciute. Nel caso di Viareggio, inoltre, vi è da segnalare che Medicina Democratica come altre parti civili associative sono state estromesse dalla Cassazione dal processo nella sua parte finale, dopo aver seguito tutte le udienze, con un danno economico importante per le spese legali sostenute. Sul nostro sito www.medicinademocratica.org sono indicate le modalità per sostenerci per continuare la nostra azione anche in sede giudiziaria”. L’iniziativa per Brandizzo è promossa da Assemblea Nazionale Lavoratori Manutenzione, Assemblea Nazionale PDM & PDB, CUB Trasporti, COBAS; SGB, USB con il sostegno Associazioni Familiari Viareggio “Il mondo che vorrei”, Coordinamento 12 ottobre; Cassa di solidarietà tra ferrovieri; CUB Piemonte, Medicina Democratica Piemonte, FGC, redazioni di Ancora in Marcia e Cub Rail. Medicina Democratica
Naufragio di Cutro, le Ong del soccorso in mare parte civile al processo
EMERGENCY, Louise Michel, Mediterranea Saving Humans, Sea-Watch, SOS Humanity e SOS MEDITERRANEE, parte civile nel processo sul naufragio di Cutro, soddisfatte per il rinvio a giudizio. Le Ong chiedono che le autorità responsabili, a tutti i livelli, siano chiamate a rispondere della deliberata negligenza nelle operazioni di soccorso. Sollecitano infine il pieno rispetto del diritto internazionale nel Mediterraneo. Una tappa importante nel lungo percorso per ottenere verità e giustizia sui mancati soccorsi al caicco Summer Love, naufragato a Steccato di Cutro il 26 febbraio 2023 causando almeno 94 morti e un numero imprecisato di dispersi. Così EMERGENCY, Louise Michel, Mediterranea Saving Humans, Sea-Watch, SOS Humanity e SOS MEDITERRANEE, che si sono costituite parte civile nel processo sul naufragio di Cutro, salutano il rinvio a giudizio dei sei imputati deciso dal giudice ieri sera a conclusione dell’udienza preliminare. Considerata la grave serie di negligenze e sottovalutazioni con cui sono state attivate e portate avanti, ma di fatto mai realizzate, le operazioni di soccorso, ai quattro militari della Guardia di Finanza e ai due della Guardia Costiera che andranno a processo la Procura della Repubblica di Crotone contesta i reati di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo. Le Ong costituitesi parte civile chiedono che sia chiarita la sequenza di eventi e omissioni che hanno portato a uno dei più tragici naufragi della storia italiana. Proprio il processo potrebbe essere l’occasione giusta per fare luce su tutti i passaggi critici, sulle responsabilità dei sei imputati e, auspicabilmente, anche su quelle dei funzionari e delle autorità di livello più alto. “I tempi sono fondamentali per la buona riuscita delle operazioni di soccorso; per questo i ritardi nell’attivare interventi di salvataggio non sono un incidente, ma una negligenza, che non può restare impunita” commentano le Ong. In questo caso specifico le autorità italiane hanno ignorato il loro dovere di soccorso e l’omissione ha avuto conseguenze drammatiche. “Non è accettabile e non si deve più consentire che i responsabili di questo come di altri naufragi restino impuniti mentre le persone continuano ad annegare” dicono ancora le Ong. “Il diritto internazionale, la tutela della vita e il dovere di soccorrere chi è in difficoltà in mare devono essere rispettati sempre, anche nel Mediterraneo”. EMERGENCY, Louise Michel, Mediterranea Saving Humans, Sea-Watch, SOS Humanity e SOS MEDITERRANEE chiedono inoltre di porre immediatamente fine alla criminalizzazione delle persone in movimento e di ripristinare efficaci operazioni di ricerca e soccorso in mare, auspicabilmente anche con una missione europea dedicata.       Redazione Italia
Allarghiamo le braccia
Lo sanno tutti che la Cassazione non entra nel merito, ma esamina la correttezza delle procedure. In pratica, la Cassazione verifica che le leggi siano state applicate correttamente nei gradi inferiori di giudizio, correggendo eventuali errori di diritto o procedurali.  Lo sanno tutti, meno la presidente del Consiglio e uno […] L'articolo Allarghiamo le braccia su Contropiano.
OPEN-ARMS: LA PROCURA DI PALERMO PRESENTA RICORSO IN CASSAZIONE CONTRO L’ASSOLUZIONE DI SALVINI
La Procura di Palermo ha deciso di presentare ricorso direttamente in Cassazione, e non in appello, contro l’assoluzione di Matteo Salvini nel “processo Open Arms“. Il leader della Lega, all’epoca dei fatti ministro dell’Interno (oggi ministro delle Infrastrutture e vice-premier), era accusato di sequestro di persona plurimo per aver impedito – nell’agosto 2019 – lo sbarco di 147 migranti che si trovavano a bordo della nave dell’ong Open Arms dopo essere stati soccorsi nel mar Mediterraneo centrale. Il 20 dicembre 2024, il Tribunale di Palermo aveva deciso per l’assoluzione di Salvini. Secondo la Procura palerminatana, però, la sentenza ha riconosciuto i fatti contestati – l’avere trattenuto a bordo i migranti illecitamente – sbagliando però l’interpretazione delle leggi e delle convenzioni internazionali: secondo l’accusa, insomma, i giudici sbagliano nell’interpretazione della normativa. A suffragio della tesi della Procura, a febbraio 2025 il Ministero dell’Interno è stato condannato per un caso analogo, quello della nave Diciotti a cui le autorità italiane avevano negato lo sbarco. Sulle frequenze di Radio Onda d’Urto è intervenuto Arturo Salerni, avvocato della Open Arms, parte civile nel processo che vede imputato Salvini. Ascolta o scarica.
Saviano: fenomenologia di un eroe di carta
Devo darvi una notizia che vi farà tremare i polsi. A me che Saviano abbia vinto la causa contro Francesco Bidognetti – soprannominato Cicciotto ‘e Mezzanotte, braccio destro di Francesco Schiavone detto Sandokan e uno dei capi sanguinari del Clan dei Casalesi – non frega un’emerita mazza. E non frega […] L'articolo Saviano: fenomenologia di un eroe di carta su Contropiano.
Grecia: il tribunale assolve 11 richiedenti asilo accusati di traffico di esseri umani
Una sentenza destinata a segnare la giurisprudenza europea: il tribunale dell’isola di Samos ha assolto 11 richiedenti asilo dalle accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sollevate contro di loro esclusivamente per aver assunto il controllo dell’imbarcazione che li ha condotti sulle coste greche. Si tratta di una decisione senza precedenti nel contesto delle politiche migratorie europee, da anni caratterizzate da una crescente criminalizzazione dei movimenti migratori autonomi. Una sentenza storica La Corte ha riconosciuto che il semplice atto di guidare una barca – in assenza di scopo di lucro o collegamenti con reti di traffico – non costituisce reato. È una pronuncia che conferma quanto denunciato da tempo da avvocati, attivisti e organizzazioni internazionali: cercare asilo non è un crimine, e guidare un’imbarcazione per salvare se stessi e altri dalla guerra o dalla persecuzione non può essere equiparato al traffico di esseri umani. L’organizzazione Human Rights Legal Project (HRLP), che ha rappresentato 9 degli 11 imputati, ha definito la sentenza “una pietra miliare” e “un passo necessario verso un futuro più giusto”. Gruppi come Aegean Migrant Solidarity e Community Peacemaker Teams che hanno seguito il processo da vicino, fornendo supporto legale, mediatico e umano ai richiedenti asilo coinvolti, hanno sottolineato come questa sentenza “è solo il minimo sindacale”: secondo il diritto internazionale, le persone non devono mai essere punite per essere state trafficate, che si tratti di richiedenti asilo o meno. La criminalizzazione in questi casi non è solo illegittima, ma profondamente immorale. Il principio di protezione: la Convenzione di Ginevra Fondamentale nella difesa è stato il richiamo all’articolo 31 della Convenzione di Ginevra del 1951, che stabilisce che una persona che entra irregolarmente in un paese per chiedere asilo non può essere penalizzata, a condizione che si presenti tempestivamente alle autorità e giustifichi la sua condotta. Nel contesto greco – e più in generale in Europa – questo principio è stato spesso ignorato, con la conseguenza che centinaia di richiedenti asilo sono stati accusati e incarcerati con pene durissime per il solo fatto di aver tenuto il timone durante la traversata del Mar Egeo. La pratica dei “boat drivers”: una strategia di sopravvivenza criminalizzata Negli ultimi anni, migliaia di persone sono state arrestate in Grecia con l’accusa di “traffico di migranti”, nonostante siano esse stesse persone in cerca di protezione. I “boat drivers” sono spesso coloro che, per disperazione o necessità, si offrono di guidare l’imbarcazione in cambio della gratuità del passaggio, oppure lo fanno in condizioni di emergenza, quando il timoniere designato non è in grado di continuare la traversata. Secondo i dati raccolti da Borderline Europe, Watch the Med – Alarm Phone e Refugee Support Aegean (RSA), la Grecia ha il più alto numero di detenuti per reati legati al traffico di migranti in tutta l’UE, con condanne che possono arrivare anche a 100 anni di carcere. La portata della sentenza di Samos è doppia: giuridica e simbolica. Giuridica, perché si tratta di 11 assoluzioni consecutive, un chiaro segnale di discontinuità rispetto alla prassi corrente. Simbolica, perché rappresenta un primo passo verso il riconoscimento ufficiale della non colpevolezza delle persone in movimento, sfidando una narrazione securitaria che vede nella migrazione irregolare un problema di ordine pubblico anziché una questione umanitaria. Ma la giustizia non è (ancora) uguale per tutti Dei dodici imputati iniziali, uno è stato condannato: si tratta dell’unico che non è riuscito a dimostrare la volontà o l’avvio di una procedura di richiesta d’asilo. Questo conferma quanto fragile e soggettivo sia, in molti contesti, il confine tra “migrante da proteggere” e “persona da punire”. Inoltre, tutti gli assolti avevano già trascorso tra i sei e i dieci mesi in detenzione preventiva, spesso in condizioni carcerarie difficili e con accesso limitato a interpreti e difesa legale qualificata. La detenzione preventiva viene spesso usata come forma di deterrenza e punizione anticipata, in violazione del principio di presunzione di innocenza. Verso un cambiamento sistemico? La sentenza di Samos apre la porta a nuove strategie di difesa legale e potrebbe essere usata come precedente giuridico in futuri casi simili. Tuttavia, serve un cambiamento più profondo: un’armonizzazione europea che impedisca l’uso punitivo del diritto penale nei confronti delle persone migranti. Il caso solleva domande cruciali per l’Unione Europea, in particolare sul rispetto dei diritti fondamentali, del principio di non discriminazione, e della proporzionalità della pena nei confronti di chi attraversa le frontiere per salvare la propria vita. Il verdetto di Samos non chiude un capitolo, ma ne apre molti altri. È una vittoria del diritto e della dignità, frutto della tenacia di avvocati, attivisti, osservatori, e delle stesse persone accusate ingiustamente. Ma è anche un promemoria amaro: la giustizia, spesso, va conquistata centimetro dopo centimetro. Guidare una barca per sopravvivere non è un crimine. La lotta per la libertà di movimento continua.  Fonti: @hrlpsamos @aegean_migrant_solidarity @cpt.ams Melting Pot Europa
Cisgiordania d’Abruzzo: il caso Anan
Il procedimento penale che si sta celebrando a L’Aquila, su fatti asseritamente commessi in Palestina, è un vero e proprio processo alla resistenza palestinese in Cisgiordania. L’accusa di terrorismo contro Yaeesh Anan Kamal Afif è la traslazione, a migliaia di chilometri di distanza, di una ingiustizia inaccettabile che chiama a gran voce a una mobilitazione necessaria e di vasta portata Come noto, in Cisgiornadania non è la resistenza a essere illegale ma, pacificamente dal 1967, tale è la condotta di quello Stato di Israele che, pur condannato dal consesso giuridico mondiale a lasciare i territori occupati illegalmente, insiste nel procrastinare indisturbato la sua politica di espansione. Quello che si va compiendo, anche in questi giorni, non è solo la filosofia dello Stato israeliano che, per dirla alla maniera di Alberto Sordi si traduce in “io occupo perché «io so io, e voi nun siete un ….»”, ma una sistematica sopraffazione agita con incendi, assassini, torture e distruzioni. Il tutto all’ombra dello sterminio in Gaza, senza la possibilità qui di invocare Hamas, ma anzi fomentando la costruzione di quell’odio quotidiano che è all’origine della tragedia del 7 ottobre. > Il protagonista imputato Anan è un politico/militare assai noto in > Cisgiordania ed eroe per quella rete resistente tanto da essere assunto a > figura principale anche all’interno di canzoni popolari.  Procedendo come in una sequenza filmica: primo frame, febbraio 2002, Anan ha 14 anni è nel suo paese Tulkarem cammina di poco dietro alla fidanzata vicino al confine militare, vanno a scuola. Secondo frame: Click! Non è questo il rumore che precede lo scatto fotografico di una sequenza che cattura la realtà, ma quello del fucile militare israeliano, reale, che le spara in testa. Terzo frame: per 10 giorni Anan resta attaccato alla tomba della ragazza e decide come tanti giovani palestinesi di aderire alla lotta politico-militare nelle file di Fatah contro il governo nemico. Ottiene visibilità tanto da entrare nella guardia personale del presidente Arafat e venire da lui premiato, giovanissimo, con un titolo onorifico. Entra nei servizi segreti palestinesi occupandosi di sicurezza interna e diventa tra i principali nemici in loco dello stato occupante. Per evitarne l‘uccisone viene consegnato al carcere di Gerico sotto la supervisione di Stati Uniti, Inghilterra, Egitto e Giordania che ne controllano la detenzione.  Quarto frame: nel 2006 elicotteri dell’esercito israeliano si alzano in volo su Gerico e la bombardano; Anan riesce a salvarsi e fuggire. Torna nella propria città dove cade nella trappola di un conoscente, spia dei servizi israeliani, che aprono il fuoco in un bar ferendo lui e uccidendo un amico.  Anan si salva, sventa un altro tentativo di uccisone in ospedale. Quinto frame: tre anni di carcere in 18 prigioni subendo torture. Scarcerato nel 2010 continua la sua attività politica e studia scienze politiche ma nel 2013, vessato dalle continue pressioni anche sulla sua famiglia, decide di trasferirsi in Europa. Vive in Norvegia e Svezia per poi spostarsi in Italia dove gestisce un ristorante a Mestre. Da ultimo si trasferisce a L’Aquila.  La cosa interessante è che quanto fin ora detto sulla vita e sull’attivismo di Anan non è frutto di indagini della Digos abruzzese ma è tratto dalle di lui pacifiche dichiarazioni, rese in sede di richiesta di protezione internazionale alla commissione norvegese prima e italiana successivamente. Ecco che questo primo dato sgombra già da un potenziale equivoco: Anan non era affatto protagonista di un rischio terrorismo, palesandosi come a dir poco insolito che chi entra in un Paese con mire destabilizzanti descriva il suo profilo antagonista alla forza pubblica, verbalizzandolo. Il primo elemento è, quindi, politico. Anan ha militato anche nell’estensione militare del partito Fatah, le Brigate dei Martiri di Al-Aqsa. Questa organizzazione rientra, sotto un profilo amministrativo, nella c.d. Black list che impedisce l’ottenimento dello status rifugiato in Europa (non ostativo ad altre forme di protezione infatti ottenute). La situazione è simile a quella in cui ci si imbatté all’arrivo a Roma Abdullah Öcalan, capo del partito curdo P.K.K. [oramai disciolto, ndr] di cui la Turchia chiese l’arresto. Öcalan fu collocato in una casa protetta e di seguito, ne fu organizzata (dal governo italiano) la fuga con direzione Sud Africa, ai fini dell’ottenimento della protezione internazionale (poi il viaggio non andò benissimo…). L’attuale governo Meloni, invece, non appena ricevuta la richiesta di arresto per Anan da parte di Israele, con conseguente estradizione, si è subito messo prono dando il via all’operazione – con la stessa solerte efficacia dimostrata (all’inverso) nel caso del torturatore libico Almsry… > Fortunatamente la Corte d’Appello ha respinto la richiesta per l’ovvio rischio > (rectius certezza) che una volta estradato avrebbe subito trattamenti inumani > e degradanti. Nelle more della scarcerazione e con tempismo a dir poco sospetto, il Pubblico ministero abruzzese richiede l’arresto chiedendo di giudicare qui fatti accaduti in Cisgiordania, utilizzando impropriamente il terzo comma dell’art 270 bis del codice penale. È passato un anno e mezzo e Anan è ancora in galera col processo ora a dibattimento. È accusato di aver promosso in Palestina un’associazione con finalità di terrorismo denominata “Gruppo di riposta rapida brigate Tulkarem“. Si badi bene che già qui esiste una prima distonia rispetto all’impianto accusatorio che fonda le proprie origini nell’appartenenza di Anan ad un’altra associazione, cioè la sopra richiamata Brigata dei Martiri di Al-Aqsa che è, come detto, nella Black list di alcuni Paesi per terrorismo. Chi saprà diversificare e spiegare se esistono differenze di approccio tra le due fazioni? La Digos abruzzese? Questo è il punto paradosso di questo processo. Si farà sostanzialmente su fonti aperte indagando un fenomeno complesso e non certo nostrano e nelle conoscenze dei nostri inquirenti. Sgomberato il campo dalla impossibile sovrapposizione con gli attentatori di matrice islamica (pronti alla morte in nome di Allah), va chiarito che Anan non è accusato di aver ucciso civili e mai ha rinnegato la sua affiliazione politico/militare, anzi, l’ha palesata sul suo profilo pubblico.  Il punto di caduta processuale è costituito dalla differenza tra terrorismo e resistenza legittima.  Se un esule ucraino avesse cercato di aiutare i suoi connazionali dall’Italia l’avremmo processato? Per venire al caso specifico già il nome della supposta associazione che si indaga “risposta rapida” si pone in chiara connessione con la necessità di tutela dei propri connazionali quotidianamente aggrediti in un contesto che è quello di una guerra/aggressione in corso.  Si chiama diritto umanitario, e nel nostro caso non vi è dubbio che il popolo palestinese dei territori illegittimamente occupati è portatore (Convenzione di Ginevra e allegati) del diritto alla difesa. Tanto più con lo sterminio / genocidio in corso.  > La scriminante si ferma laddove si sia in presenza di un’associazione che > prepara attentati che non hanno una collocazione di destinazione contro il > nemico militare bensì solo contro i civili.  Anan era in Italia all’epoca del 7 ottobre e all’inizio della reazione con triplicata ferocia di Netanyahu. Nessuna e nessuno di noi è rimasto indifferente e mai avrebbe potuto esserlo il nostro imputato portatore del diritto – anzi dovere – di attivarsi per i suoi fratelli e sorelle che anche in Cisgiordania hanno subito la recrudescenza della violenza dei coloni ben tutelati dalla milizia ebraica.  A prescindere dalla fumosità complessiva del processo e di ciò che potrà o non potrà dimostrare, chiaramente, c’è la possibilità che si parli di armi, e di azioni offensive / difensive contro le prevaricazioni e le uccisioni. Del resto una foto con il fucile è davvero in questo contesto la prova di qualcosa? Se emergeranno intercettazioni in cui si discute di armi è cosa ovvia in un contesto in cui non si usano cerbottane, ma si opera nell’ambito della difesa da uno degli eserciti militari più potenti del mondo.  Le eventuali azioni sono contro i presidi dell’esercito dei coloni ed è Israele, semmai, ad aver senza dubbio in plurime occasioni superato la giurisprudenza che individua l’atto terroristico, laddove l’azione è intrapresa pur sapendo di esporre a rischio certo persone non combattenti (anziane, anzini, bambine e bambini, per lo più). Insomma il dato è che, se dobbiamo ricorrere alla c.d. prova aperta (servizi on line ecc…), allora sarebbe efficace pensare al film No Other Land, capolavoro vincitore di Oscar dove, in un misto di tragedia e poesia, ben si comprende la necessità di schierarsi senza tentennamenti. Perché in Cisgiordania si consuma la lotta infinita tra il ricco e potente e il povero e debole; l’esproprio delle e dei pastori, la sottrazione della terra a chi la abita e la coltiva, il furto del sorriso delle bambine e dei bambini, lo spargimento di sangue degli impotenti, tutto si mescola e fa ribollire il sangue a noi spettatrici e spettatori, figurarsi nell’animo di chi ha vissuto nella propria carne la tragedia, come accaduto ad Anan. Ho volutamente tenuto fuori dall’analisi la situazione degli altri due imputati, implicati solo per dare sostanza a un quadro associativo inesistente. I coimputati sono, infatti, a piede libero per mancanza di indizi in accoglimento delle richieste dell’avvocato Flavio Rossi Albertini e dell’avvocata Ludovica Formoso, persone preparate e tenaci che difendono Anan a cui una rete di penalisti da tutta Italia fa sapere che non saranno sole laggiù in Cisgiordania… d’Abruzzo. Immagine di copertina di Openverse SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Cisgiordania d’Abruzzo: il caso Anan proviene da DINAMOpress.
Ultima Generazione: Firenze, ricorso alla Corte Costituzionale
Nel corso del processo per l’imbrattamento della sede regionale del Ministero Economia e Finanza, il giudice ha sollevato la questione della legittimità costituzionale per l’articolo 18 TULPS. Sì è tenuta questo lunedì l’udienza per del processo per l’imbrattamento della sede regionale del MEF a Firenze nel gennaio 2023: Le persone imputate erano accusate di imbrattamento, articolo 639 c.p., concorso in reato (110 c.p.) e manifestazione non preavvisata, articolo 18 TULPS. Nell’udienza in questione il giudice avrebbe dovuto emettere la sentenza, invece è accaduto qualcosa di inaspettato: il giudice ha deciso di sollevare la questione della legittimità dell’articolo 18 TULPS ricorrendo alla Corte Costituzionale.  Il TULPS – Testo unico di leggi per la pubblica sicurezza – è stato emanato nel 1931, in pieno periodo fascista; l’articolo 18 sostanzialmente impone che le manifestazioni in luogo pubblico debbano essere preavvisate alla Questura. Il ricorso non riguarda l’articolo nella sua interezza, ma la sanzione penale prevista, in caso di mancato preavviso (fino ad un anno di carcere o una multa) L’accettazione del ricorso porterebbe ad abrogare la sanzione penale per il mancato preavviso (rimarrebbe l’obbligo di preavviso sancito dall’articolo 17 della Costituzione). Si ritiene che la sanzione penale per la mancata comunicazione alla questura di una manifestazione in luogo pubblico sia sproporzionata e quindi incostituzionale. Il risultato porterebbe a una sanzione amministrativa, molto meno grave di una sanzione penale che criminalizza coloro che esercitano un diritto fondamentale protetto dalla Costituzione. Ovviamente il ricorso può essere respinto e in questo caso il giudice dovrebbe emettere sentenza di condanna. Da notare che lo stesso giudice ha chiesto il ricorso alla Corte Costituzionale in un’udienza svoltasi poco prima della nostra, sempre in merito all’applicazione del 18 tulps (in questo caso si trattava di una manifestazioni di anarchici contro il 41 bis). Questa decisione può rappresentare una svolta per il diritto di manifestare in Italia, eliminando – o ridimensionando – un reato che, fin dalla sua istituzione, tradisce la sua origine repressiva. Una svolta tanto più importante perché arriva a poche settimane dall’approvazione del Dl Sicurezza e dimostra che le azioni dirette nonviolente, dalla strada al Parlamento, passando per le aule dei tribunali, portano alla trasformazione della società. I nostri canali: Aggiornamenti in tempo reale saranno disponibili sui nostri social e nel sito web: * Sito web:https://ultima-generazione.com * Facebook@ultimagenerazione.A22 * Instagram@ultima.generazione * Twitter@UltimaGenerazi1 * Telegram@ultimagenerazione Ultima Generazione è una coalizione di cittadini ed è membro del network A22.   . Ultima Generazione