Strage di Ferragosto a LampedusaRiceviamo e pubblichiamo dalla ASGI (Associazione Studi Giuridici
sull’Immigrazione)
18 agosto 2025. Strage di Ferragosto a Lampedusa: la diretta conseguenza di
politiche che negano il diritto alla vita e alla protezione
Il 13 agosto, un’imbarcazione partita dalla Libia si è ribaltata a circa 14
miglia da Lampedusa.
60 i sopravvissuti e 23 i corpi finora recuperati (13 uomini, 7 donne e 3
minori).
Dalle informazioni emerse e dai racconti dei sopravvissuti, a bordo c’erano
circa 100 persone, tra cui alcune che erano precedentemente su un’altra barca
che aveva iniziato ad imbarcare acqua.
Egiziani, somali, eritrei, etiopi, sudanesi.
Impossibile sapere quante con esattezza le persone disperse.
Nella giornata del 16 agosto le bare di 10 vittime sono arrivate a Porto
Empedocle mentre il trasferimento di altre 10 salme è previsto per la giornata
di oggi.
Non sappiamo con esattezza quanti corpi potranno essere identificati da
familiari e amici e quanti invece resteranno dispersi o senza nome, quale sarà
la loro destinazione finale e quanti saranno sepolti con dignità e con il rito
funebre che avrebbero scelto.
Così come accaduto con Roccella Ionica e con altri eventi, dal Governo sono
arrivate solo parole di condanna verso coloro etichettati in modo generico come
trafficanti di uomini, senza considerare che molto spesso sono persone migranti
con la medesima storia di abusi e violenza delle altre persone imbarcate.
Nessun gesto di vicinanza alle vittime e ai superstiti o ai familiari ma, anzi,
una chiara volontà di far passare tutto sotto traccia, di renderlo invisibile.
Parlare di tragedie, l’ennesima, non restituisce l’esatta dimensione politica e
non richiama le responsabilità dell’Italia e dell’Europa.
Queste morti non sono tragedie ma stragi annunciate: sono la conseguenza
dell’assenza di canali d’ingresso regolari, delle politiche di respingimento,
della criminalizzazione dei movimenti e della solidarietà, dei tentativi di
bloccare l’attività delle navi di soccorso nel Mediterraneo ritardandone il
ritorno in mare e rendendo di fatto impossibile la loro piena funzionalità.
Ancora una volta non possiamo che porre precise domande: da quanto le due
imbarcazioni vagavano alla deriva in mare? Erano state fatte richieste di aiuto?
come è possibile che nessuno si sia accorto della presenza di due barche nei
pressi delle coste italiane in una delle zone più controllate al mondo?
In nome della difesa dei confini, continuiamo a contare morti: in mare ma anche
in terra.
A Cutro, a Roccella Jonica, nel mare Egeo, al largo della LIbia o della Tunisia,
Ventimiglia, etc.
In questi stessi giorni, ricorre il decennale di un’altra strage, durante la
traversata dalla Libia a Lampedusa, quando 49 persone morirono asfissiate nella
stiva di una piccola barca sovraccarica.
Le dinamiche possono essere differenti ma un filo comune lega tutte le stragi e
le morti alle frontiere ed è l’assenza di politiche migratorie.
Oggi guardiamo a queste ennesime morti, chiediamo che non si smetta di cercare i
dispersi e che venga dato un nome a tutte e tutti.
Pretendiamo che si indaghi e che si accertino le responsabilità effettive, da
quelle di chi gode dei proventi di un sistema che vede complicità diffuse a
quelle di chi ha guardato o era a conoscenza dei possibili rischi e non ha
ritenuto di intervenire tempestivamente.
Denunciando l’ennesima strage annunciata, continuiamo a chiedere verità e
giustizia per i dispersi in terra e in mare e per le loro famiglie e il rispetto
del diritto di asilo e del diritto a migrare.
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Sul diritto alla verità: sta allo Stato assicurare che siano attivate tutte le
procedure necessarie a garantire la ricerca dei dispersi, l’identificazione
delle vittime nonché, anche a distanza di tempo, tutelare il diritto delle
famiglie a ritrovare i propri congiunti e restituire un’identità alle vittime.
Per maggiori informazioni si veda la pagina dedicata al diritto alla verità.
https://www.asgi.it/il-diritto-alla-verita/
ASGI Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione