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“Fiori dai cannoni”. Dalla riflessione all’azione: la parola si fa aiuto concreto per la Palestina
COME OSSERVATORIO CONTRO LA MILITARIZZAZIONE DELLE SCUOLE E DELLE UNIVERSITÀ SIAMO SENSIBILI ALLE INIZIATIVE CULTURALI CHE POSSANO ESSERE ADOTTATE IN AMBITO SCOLASTICO PER COSTRUIRE PERCORSI DI PACE, ACCOGLIENZA E SOLIDARIETÀ CON I POPOLI, SOPRATTUTTO CON IL MARTORIATO POPOLO PALESTINESE, CHE SUBISCE UN GENOCIDIO DA PARTE DELLO STATO SIONISTA D’ISRAELE. PER QUESTO MOTIVO ABBIAMO DECISO DI CONDIVIDERE L’APPELLO DELLA CASA EDITRICE ANOTHER COFFEE STORIES, CHE STA CERCANDO DI CONDURRE IN ITALIA ALCUNI STUDENTI E STUDENTESSE PALESTINESI. INOLTRE, INVITIAMO I COLLEGHI E LE COLLEGHE AD RACCONTARE A SCUOLA LE STORIE DEL POPOLO PALESTINESE ATTRAVERSO LE OPERE PUBBLICATE DALLA CASA EDITRICE. Fiori dai cannoni è un’iniziativa promossa dalla casa editrice Another Coffee Stories (ACS) col supporto dell’avvocatessa Nanna e una rete di attivisti. Il 5 agosto 2025 il progetto è stato presentato presso la Camera dei Deputati dall’On. Gilda Sportiello per promuovere l’attivazione diplomatica per visti con priorità di “emergenza educativa” e un’autorizzazione ufficiale che qualifichi l’operazione come missione umanitaria urgente. A Gaza non esistono più università, il diritto allo studio è negato e ogni essere umano è un bersaglio secondo una logica genocidaria e di pulizia etnica. Grazie alla collaborazione con le università italiane, è possibile concedere borse di studio a ragazzi e ragazze cui viene negata ogni istruzione e che rischiano la loro vita ogni giorno. Decine di studenti e studentesse sono stati ammessi da parte di università italiane ma sono attualmente bloccati a Gaza sotto un brutale assedio. Il governo italiano è quindi chiamato a concedere visti per motivi di studio e a preparare con un’urgenza una missione umanitaria sul campo per evacuare le persone in sicurezza. Rammentiamo che il diritto allo studio risulta normato dalla nostra Carta Costituzionale, che con gli Art. 33 e l’Art. 34 sancisce la intangibilità ed irrinunciabilità del diritto all’istruzione e che le istituzioni hanno il dovere di garantirlo; dalla “Carta dei diritti fondamentali” dell’UE, il cui art. 14 ribadisce che “Ogni persona ha diritto all’istruzione e all’accesso alla formazione professionale e continua”; dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani con l’art. 26 e che alla luce della nota situazione emergenziale al momento in atto a Gaza, la permanenza forzata nella Striscia non solo non consente ai suddetti studenti di usufruire del beneficio conseguito, ma li espone a rischio immediato e concreto per la vita e l’incolumità personale, in violazione del diritto internazionale umanitario. E ancora, considerato che ai sensi dell’art. 25 del Regolamento (CE) 810/2009, il Governo ha la possibilità di rilasciare visti umanitari in deroga alle condizioni ordinarie; la IV Convenzione di Ginevra del 1949 (art. 24) impone protezione speciale per studenti e civili in contesto di conflitto armato; la Direttiva 2001/55/CE consente misure straordinarie di protezione in favore di persone provenienti da zone di guerra. Pertanto, chiediamo che il Governo italiano: 1. provveda all’immediata attivazione di un trasporto sicuro e protetto per l’evacuazione dalla Striscia di Gaza degli studenti vincitori di borse di studio presso le università italiane; 2. emetta autorizzazione ufficiale qualificando l’operazione come missione umanitaria a fini educativi; 3. provveda, tramite il Ministero degli Esteri e l’Ambasciata, al rilascio prioritario dei visti di emergenza educativa, come già indicato nella ordinanza del Tar Lazio del 5.6.2025 (N.05482/2025 REG.RIC.); 4. garantisca il coordinamento operativo con i Rettori degli Atenei coinvolti, al fine di consentire l’ingresso in Italia entro l’inizio del semestre accademico 2025–2026 e più nello specifico entro il 15 settembre 2025. Il 18 agosto 2025 è stata inviata formalmente una pec di diffida da attuare entro il 15 settembre 2025. La stessa istanza è stata inoltrata dalle singole università italiane coinvolte. Se non si intraprenderanno azioni concrete entro quella data, si adirà ai gradi più alti di giurisdizione. Fra i beneficiari ci sono Asem Al Jerjawi (corrispondente di Al-Jazeera e autore per ACS del libro Il silenzio è resa: Storie di sopravvivenza, vita e morte a Gaza) and Naim Abu Saif (corrispondente per Filastiniyat e autore per ACS di L’ultimo respiro di Gaza). Qui il manifesto dell’iniziativa. Sulla homepage di Fiori dai cannoni è disponibile anche il video completo della conferenza stampa. Per ulteriori info e contatti stampa, si prega di scrivere a anothercoffeestories.bookshop@gmail.com. QUI ALCUNI TESTI DELLA COLLANA VOCI DALLA PALESTINA DI ANOTHER COFFEE STORIES CHE CONSIGLIAMO DI ADOTTARE NELLE SCUOLE COME NARRATIVA PER SOSTENERE IL POPOLO PALESTINESE. L’ULTIMO RESPIRO DI GAZA IL SILENZIO È RESA – STORIE DI SOPRAVVIVENZA, VITA E MORTE A GAZA DIARIO DI UN SOGNO INTERROTTO – LA VOCE DI MIRA, STUDENTESSA DI GAZA FREE PALESTINE
Libertà per Mehmet Çakas e tutti i prigionieri politici curdi
Nostro fratello Mehmet Çakas, poiché la sua richiesta di asilo politico in Germania non è stata accolta, è andato in Italia e ha presentato lì la sua richiesta di asilo politico. Mentre era in Italia, è stato arrestato a causa del mandato di arresto internazionale (Red Notice) emesso dalla Germania. Dopo circa quattro mesi di detenzione in Italia, il tribunale italiano ha deciso di estradarlo in Germania con la condizione che non fosse estradato in Turchia. I tribunali tedeschi, con l’accusa di essere un “dirigente del PKK”, hanno condannato nostro fratello a 2 anni e 10 mesi di carcere. A due mesi dalla fine della pena, lo Stato tedesco ha deciso di espellerlo e consegnarlo alla Turchia con la motivazione che la sua richiesta di asilo politico in Germania non era stata accettata. Durante il periodo in cui era detenuto in Italia, Mehmet ha espresso chiaramente la sua opposizione all’estradizione in Germania, affermando che temeva di essere successivamente estradato in Turchia. Il tribunale italiano, accogliendo questa preoccupazione, lo ha consegnato alla Germania solo con la garanzia che non sarebbe stato estradato in Turchia. Mehmet era stato costretto a recarsi in Italia per presentare una nuova richiesta di asilo a causa del rifiuto della Germania. Tuttavia, è stato arrestato una settimana prima della sua prima udienza in Italia e quindi non ha potuto partecipare al processo di asilo, che è rimasto in sospeso. La Germania, sostenendo che Mehmet non ha un permesso di soggiorno né in Germania né in un altro paese europeo, ha deciso di espellerlo e consegnarlo alla Turchia. Come famiglia, riteniamo che questa situazione rappresenti una tragica violazione sia del diritto tedesco che di quello italiano. Lo Stato tedesco, da un lato, ha interrotto il processo di asilo in Italia emettendo un Red Notice, e dall’altro, pur non avendo prove di attività illegali di Mehmet secondo le leggi tedesche, lo ha condannato basandosi sull’inclusione del PKK nella lista delle organizzazioni terroristiche dell’UE e su una lunga sorveglianza, concludendo che fosse un “dirigente del PKK”. Con questa condanna, ha violato il suo diritto alla libertà e ora, con l’intenzione di estradarlo in Turchia, cerca di condannarlo a passare il resto della sua vita nelle carceri turche, trasformando la nostra vita in un incubo. Noi, come famiglia, ci siamo affidati al diritto e ai valori europei, credendo che l’Europa fosse un porto sicuro per i diritti umani e le libertà. Siamo stati costretti a lasciare il nostro paese, il nostro popolo, la nostra lingua e la nostra cultura. Tuttavia, la situazione che stiamo vivendo oggi getta un’ombra amara sull’immagine dell’Europa come porto sicuro. L’ingiustizia subita da molti curdi di fronte al diritto europeo dimostra che questi diritti e libertà non sono sempre validi per gli “stranieri” e che le norme giuridiche europee possono essere facilmente ignorate quando si tratta di loro. Come curdi e “stranieri”, chiediamo che le norme giuridiche europee siano applicate equamente a tutti coloro che cercano rifugio. Rifiutiamo fermamente che i curdi diventino oggetti di scambio politico ed economico tra gli stati europei e la Turchia. Mehmet ha attualmente cinque fascicoli di processo in Turchia, con mandati di arresto pendenti, e ha un’udienza prevista a Erzincan nel settembre 2025. Viene processato secondo l’articolo 302 del codice penale turco (ergastolo aggravato). Durante la sua detenzione in Italia, lo Stato turco aveva già richiesto la sua estradizione attraverso un Red Notice. Considerando la mancanza di un processo equo in Turchia, la sua scarsa reputazione in materia di diritti umani e la sua politica repressiva contro i prigionieri politici curdi, l’estradizione di Mehmet sarebbe una chiara violazione del diritto europeo. Questo è particolarmente grave quando si tratta di un’accusa ai sensi dell’articolo 302. Come famiglia, ci stavamo preparando ad accogliere nostro fratello all’uscita dal carcere la prima settimana di ottobre, pronti a vivere finalmente in libertà dopo 2 anni e 10 mesi di detenzione. Tuttavia, la decisione della Germania di estradarlo in Turchia ci ha posto di fronte a una realtà terribile: nostro fratello rischia di passare il resto della sua vita nelle carceri turche. Questa prospettiva è per noi una fonte di dolore immenso e una tragedia che oscura il nostro futuro. L’estradizione di Mehmet creerebbe un precedente per altri casi simili, aprendo la strada a nuove espulsioni di curdi verso la Turchia da parte della Germania e di altri paesi europei. Anche se all’apparenza questa questione può sembrare riguardare solo i curdi, in realtà tocca tutti gli stranieri in Europa e, nel tempo, può coinvolgere anche i cittadini europei. Perché quando l’illegalità inizia ad essere applicata come eccezione agli “altri”, col tempo questo concetto si allarga fino a minacciare l’intera società europea. Per questo motivo, noi, la famiglia di Mehmet Çakas, facciamo appello ai curdi in Italia e in Europa, agli stranieri, agli amici del popolo curdo, alle persone sensibili e coscienti in Europa: uniamoci per fermare questa palese ingiustizia e impedire l’estradizione di Mehmet in Turchia. La libertà prevarrà.Libertà per Mehmet Çakas e per tutti i prigionieri politici detenuti in Europa, siano essi curdi o appartenenti ad altri popoli. La famiglia di Mehmet Çakas Messaggio di Mehmet Çakas: “Prima di tutto, invio i miei saluti e il mio affetto a tutti gli amici, compagni, giornalisti, e ai sostenitori della causa curda che hanno condiviso solidarietà con me durante la mia detenzione, riempiendo la mia cella di colori, lettere e immagini. Anche se è stata presa una decisione di espulsione nei miei confronti, credo nel diritto e nella vostra solidarietà e nella vostra lotta, e penso che l’ingiustizia nei miei confronti finirà. Tuttavia, se la decisione di espulsione non verrà annullata, mi aspetto che le autorità italiane rispettino la condizione posta durante la mia estradizione verso la Germania – cioè la promessa che non sarei stato estradato in Turchia – e che l’Italia mi riprenda. Infatti, prima di essere arrestato su richiesta della Germania, avevo già presentato domanda di asilo in Italia. Chiedo quindi che questo processo venga immediatamente riattivato e che mi venga concesso il diritto di soggiorno. Faccio appello ai curdi in Italia, agli amici del popolo curdo, alle organizzazioni per i diritti umani, agli operatori giuridici e al popolo italiano, che so essere legato ai principi di giustizia, affinché creino un’opinione pubblica per accelerare il mio processo di asilo in Italia e per garantire che la decisione del tribunale italiano di non estradarmi in Turchia venga rispettata.” The post Libertà per Mehmet Çakas e tutti i prigionieri politici curdi first appeared on Retekurdistan.it. L'articolo Libertà per Mehmet Çakas e tutti i prigionieri politici curdi proviene da Retekurdistan.it.
Appello Basile, Bompiani, La Valle, Montanari, Moscone, Ricchiuti: Eleggiamo domicilio a Gaza
Noi, Raniero La Valle e Tomaso Montanari, mons. Giovanni Ricchiuti, vescovo Presidente di Pax Christi e p. Franco Moscone, arcivescovo di Manfredonia, Elena Basile e Ginevra Bompiani, e molti altri qui sottoscritti, nel senso in cui l’ordinamento prevede una distinzione tra la residenza e il domicilio, quale luogo speciale delle proprie cure, dichiariamo Gaza nostro domicilio elettivo, chi presso la parrocchia della Sacra Famiglia, presa a cannonate dall’esercito israeliano benché rifugio di centinaia di profughi, chi presso l’ospedale Nasser di Kan Younis e le sue incubatrici distrutte, chi presso la Moschea al-Faruk di Rafah, fatta tomba di tutte le fedi, chi presso la vitale Biblioteca di Samir Mansour, chi a Deir al Balah e ai valichi dove si viene uccisi nella ricerca di cibo, sia presso ogni altro aggregato, famiglia o indirizzo, e invitiamo a fare altrettanto tutti coloro che intendono agire perché il mondo resti umano, e tutti insieme provvediamo, come a nostro domicilio, alla ricostruzione di Gaza. A Gaza siamo a un limite estremo del versante crudele del potere, che mette a rischio non solo il popolo oggi votato alla fine, pur se attraverso effimere tregue, ma i popoli di ogni cultura e nazione. Tuttavia, da Gaza può venire la salvezza per tutti se il suo martirio susciterà una reazione uguale e contraria a favore della vita, della dignità, della libertà e della riconciliazione della intera comunità umana. Al compito della politica si aggiunge la personale responsabilità di ciascuno. Perciò noi pensiamo che eleggere il domicilio a Gaza significa difendere la nostra casa comune, e idealmente far diventare i figli e abitanti di quella terra numerosi “come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare” (Gen. 22,17), così che diventi impossibile per chiunque pensare di sradicarli, di ucciderli, o di trasformarli in servitori di ricchi bagnanti. Il nostro slogan, il nostro motto identitario tra tanti altri da molti condivisi è “lunga vita a Gaza” a cominciare dalla sua ricostruzione, non per speculazione e per profitto, come fanno quanti guadagnano prima sulle armi e poi sugli scempi da queste compiuti, ma perché dovunque sia in atto la rovina, ogni valle di morte sia riempita e ogni monte di sopraffazione e di dominio sia abbassato (Is. 40,4). Se i nuovi domiciliati a Gaza saranno all’inizio centinaia, poi migliaia, poi innumerevoli in ciascuna delle nostre città e poi in tutto il mondo, essi diverranno quella pietra che rotolando dalla montagna sul campo dell’aggressore, ne rovesci le tende così che cadano a terra divelte, come nel sogno biblico narrato nel libro dei Giudici (7,13-14), e venga così annunziata la sconfitta di tutti i poteri indiscriminati e genocidi. Il nome di chi fa questa elezione di domicilio potrà essere comunicato all’indirizzo mail domiciliatiagaza@primaloro.com e potrà essere liberamente citato da ciascuno col proprio indirizzo su carta da visita o email e in qualsiasi altro documento. Nel sito PRIMA LORO sarà pubblicato un elenco dei nuovi domiciliati, a cui tutti possano accedere. L’iniziativa potrà essere perseguita in molteplici forme, private e pubbliche, mediatiche e politiche, autogestite o organizzate in forme collettive, secondo opportunità e fantasia. Raniero La Valle e Tomaso Montanari, mons. Giovanni Ricchiuti, vescovo Presidente di Pax Christi e p. Franco Moscone, arcivescovo di Manfredonia, Elena Basile e Ginevra Bompiani, Domenico Gallo, Alex Zanotelli, Felice Scalia S.J., Claudio Grassi, Nandino Capovilla, Francesco Comina, Vito Micunco, Paolo e Rosemarie Bertagnolli, Enrico Peyretti, Raul Mordenti, Agata Cancelliere, Stefania Tuzi… P.S. I destinatari di questa newsletter che aderiscono alla proposta di eleggere domicilio a Gaza, ai fini di dare forza a tale iniziativa sono pregati, di rilanciare come possono tale proposta, perché crescendo la protesta e la condivisione ideale delle sofferenze della popolazione palestinese, ne scaturisca una pressione efficace sulla stessa politica del governo israeliano.
Il lavoro ripudia la guerra. Manifesto per un diritto del lavoro della pace
L’umanità sta attraversando un crinale della storia che rischia di essere senza ritorno. La guerra e l’uso della forza armata sembrano costituire sempre di più l’unico mezzo per la risoluzione dei conflitti internazionali e per il perseguimento di miopi interessi nazionali, dimenticando che l’umanità ha un unico comune destino. Il piano di riarmo deciso dall’Unione europea, l’aumento oltre ogni sostenibilità delle spese militari deciso dalla NATO, la folle corsa agli armamenti, costituiscono di per sé una “dichiarazione di guerra”, attraverso la sottrazione di risorse ai diritti fondamentali: la salute, la casa, l’istruzione, la cultura, la salvaguardia dell’ambiente. L’economia di guerra condanna per sempre i lavoratori al precariato e allo sfruttamento ed è incompatibile con un “esistenza libera e dignitosa” (art. 36 Cost.). Essa inoltre comporta una proliferazione delle attività lavorative connesse con la guerra; la produzione, il commercio ed il trasporto delle armi, stanno portando ad un crescente coinvolgimento di lavoratori e lavoratrici in attività connesse direttamente o indirettamente con il settore bellico Riteniamo che il movimento sindacale, con il sostegno delle forze della società civile che hanno a cuore la pace e il disarmo, abbia il dovere di dare una risposta all’altezza dei tempi al desiderio diffuso di tanti lavoratori e lavoratrici di sottrarsi agli ordini dei propri datori di lavoro quando questi sono in esplicito contrasto con i valori di pace e di convivenza umana: oggi più che mai si pone per i lavoratori il tema della “non collaborazione” con una economia di guerra e con un sistema di relazioni internazionali fondato sulla palese violazione del diritto internazionale e del diritto umanitario. Si tratta di andare oltre il motto “non in mio nome” e proclamare con azioni concrete “non con le mie mani, non con le mie conoscenze, non con il mio lavoro”. Se “l’Italia ripudia la guerra” (art. 11 Cost.) e se “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” (art. 1 Cost.), deve ritenersi coerente con il dettato costituzionale la volontà dei lavoratori e delle lavoratrici di non collaborare, di disobbedire, di non effettuare nessuna prestazione lavorativa che abbia un’attinenza diretta o indiretta con l’economia e la cultura della guerra, in ogni settore: industriale, della logistica e del trasporto, della ricerca, dell’istruzione. Questa volontà di disobbedienza deve potersi manifestare anzitutto con il libero esercizio del diritto di sciopero (art. 40 Cost.) e di ogni azione collettiva di lotta (art. 39 Cost) che si opponga alla guerra e alle politiche di riarmo L’esercizio di questo diritto per essere davvero libero deve essere svincolato da ogni controllo del potere esecutivo e della Commissione di garanzia sul diritto di sciopero, dal momento che è di tutta evidenza che il trasporto e la movimentazione di armi dentro e fuori il territorio nazionale (a maggior ragione fuori dal territorio nazionale), non possono essere definiti “servizi pubblici essenziali” non avendo alcuna attinenza con “il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà e alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione” (art. 1 l. 146/1990) . Riteniamo, al contrario, che lo sciopero contro le armi e le azioni collettive sindacali di contrasto alla movimentazione di armamenti costituiscano lo strumento più idoneo a garantire i principi costituzionali di rifiuto della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali ed il rispetto del diritto umanitario ed internazionale. Ad un tempo riteniamo che debba essere garantito il diritto dei singoli lavoratori e delle singole lavoratrici di qualsiasi settore o comparto, di dichiararsi obiettori di coscienza per convincimenti morali, filosofici o religiosi rifiutando di effettuare la propria prestazione lavorativa se questa è connessa direttamente o indirettamente con le armi e la guerra ed essere assegnati a mansioni alternative. Pur auspicando che tale diritto sia garantito da una norma positiva, riteniamo sussista già nel nostro ordinamento un diritto all’obiezione di coscienza che trova la sua fonte in principi di diritto internazionale di diretta applicazione. La coscienza, insieme alla ragione, è ciò che distingue gli esseri umani, come recita l’art. 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”). La Convenzione EDU, all’art. 9, prevede che “ogni persona” ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, senza alcuna eccezione. L’art. 2 della Costituzione “riconosce e garantisce” i diritti inviolabili dell’uomo. Auspichiamo che pertanto venga riconosciuto il diritto di ogni lavoratore e lavoratrice di rifiutare per motivi di coscienza di effettuare la prestazione lavorativa se questa è connessa direttamente o indirettamente all’economia e alla cultura della guerra e di essere assegnato/a ad attività alternative. Siamo convinti che lo sciopero, la disobbedienza, l’azione collettiva ed il rifiuto individuale da parte dei lavoratori e delle lavoratrici possano costituire la più efficace forma di lotta nonviolenta e possano fermare i signori della guerra e la follia del riarmo, consentendo alla Repubblica, fondata sul lavoro, di ripudiare la guerra e bandirla dalla storia. Per aderire: illavororipudialaguerra@gmail.com Firmatari:  Alessandra Algostino (costituzionalista – Università Torino)- Michela Arricale (avv. Co-Presidente CRED) – Olivia Bonardi ( giuslavorista, Università di Milano) – Silvia Borelli (giuslavorista Università di Ferrara) -Marina Boscaino (Portavoce dei Comitati contro ogni Autonomia differenziata) – Piera Campanella (giuslavorista, Università di Urbino) – Giulio Centamore (giuslavorista Università di Bologna) – Chiara Colasurdo (avv. CEING) – Andrea Danilo Conte (avv. CEING) – Antonello Ciervo (costituzionalista) – Giorgio Cremaschi (sindacalista) – Claudio De Fiores (Presidente Centro Riforma dello Stato, costituzionalista) – Aurora D’Agostino (copresidente Associazione Giuristi Democratici) – Beniamino Deidda (magistrato, ex Procuratore generale Firenze) – Antonio Di Stasi (giuslavorista Università Politecnica delle Marche) – Riccardo Faranda (avv. CEING) – Cristiano Fiorentini (Es. Naz. USB) – Domenico Gallo (magistrato, già Consigliere Corte di Cassazione) – Andrea Guazzarotti (costituzionalista Università Ferrara) -Carlo Guglielmi (avv. CEING) – Roberto Lamacchia (copresidente Associazione Giuristi Democratici) – Antonio Loffredo (giuslavorista Università di Siena) – Guido Lutrario (Es. Naz. USB) – ⁹Fabio Marcelli (giurista internazionalista Co-Presidente CRED) – Federico Martelloni (giuslavorista Università Bologna) – Roberto Musacchio (già parlamentare europeo) – Valeria Nuzzo (giuslavorista Università Campania) – Giovanni Orlandini (giuslavorista Università Siena) – Francesco Pallante (costituzionalista Università Torino) – Paola Palmieri (Cons. Cnel per USB) – Alberto Piccinini (Presidente Comma 2) – Giancarlo Piccinni (Presidente Fondazione Don Tonino Bello) – Franco Russo (già parlamentare, CEING) – Giovanni Russo Spena (già parlamentare) – Arturo Salerni (avv. CEING) – Jacobo Sanchez (avv. CEING), Simone Siliani (Direttore Fondazione Finanza Etica) – Carlo Sorgi (magistrato, già Presidente Tribunale Lavoro Bologna) – Francesco Staccioli (Es. Naz. USB) – Anna Luisa Terzi (magistrato, già Consigliere Corte appello Trento) – Associazione Comma 2 – Associazione Giuristi Democratici – Pax Christi Italia
Appello per manifestazione del 6 luglio a Sigonella contro il riarmo e la guerra
FERMIAMO IL GENOCIDIO DEL POPOLO PALESTINESE IMPEDIAMO LA TERZA GUERRA MONDIALE E IL RIARMO EUROPEO SMANTELLIAMO LE BASI USA-NATO – SMILITARIZZIAMO SIGONELLA In questi giorni i ministri degli Esteri dell’UE sono a Bruxelles per decidere, a porte chiuse, se continuare a premiare Israele con un accordo commerciale da 45 miliardi di euro mentre bombarda i civili e affama un’intera popolazione. Dobbiamo imporre all’UE e al governo italiano di fermare il genocidio del popolo Palestinese messo in atto da Israele, e di fare pressione sullo stato sionista per fermare i crimini di guerra, l’apartheid, l’occupazione militare e la pulizia etnica. La Sicilia, con la presenza diffusa delle basi USA e NATO, come Sigonella e il MUOS a Niscemi, da troppo tempo supporta gli interventi militari in Medio Oriente. Ricordiamo, in particolare, l’invio di aerei cargo Globemaster con munizioni per la base di Nevatim, la flotta di velivoli-spia Boeing P-8 Poseidon, che affiancano i droni Global Hawk e Triton, e che transitano e stazionano a Sigonella. Ancora, il recente attacco ai siti nucleari in Iran, è stato eseguito dal sottomarino nucleare USS Georgia sotto il comando navale USA in Europa e Africa NAVEUR-NAVAF, con sede a Napoli. È arrivato il momento che il popolo della pace in Sicilia riprenda la Lotta e la Resistenza – dopo le grandi mobilitazioni contro gli euromissili a Comiso e contro il MUOS a Niscemi – con una nuova, grande mobilitazione popolare per fermare le micidiali spirali guerrafondaie, alimentate dai criminali aumenti delle spese militari e dai paralleli tagli alle spese sociali. LA SICILIA SARÀ PIÙ BELLA SENZA IL MUOS E SENZA SIGONELLA. Domenica 6 luglio, alle ore 10,00, manifestazione regionale a Sigonella Promotori Catanesi Solidali con il Popolo Palestinese; Comitato Giarre/Riposto per la Palestina; Comitato per il sostegno al popolo palestinese della riviera jonica messinese; Comitato provinciale per la Palestina Libera Caltanissetta; Coordinamento Messina/Palestina; Comitato Siracusa per la Palestina; Assemblea Palermitana Solidale con la Palestina Adesioni Alleanza Verdi Sinistra Sicilia; ANPI CT; ANPI Avola; Antudo; ARCI Catania; Assemblea no guerra PA; Associazione Antimafie Rita Atria; Associazione Comunista Olga Benario CT; Associazione Radio Aut PA; Carovane Migranti; Casa del Popolo Peppino Impastato PA; Casa22 CL; Catanesi Solidali con il Popolo Curdo; Circolo Città Futura CT; Circolo Tina Modotti Associazione di amicizia Italia-Cuba CT; Cobas Scuola Sicilia; Comitato di base No Muos PA; Collettivo di studio e ricerca Gabriele Centineo; Comitato Nour Pa; Comitato No MUOS Niscemi; Coordinamento Disarmiamoli PA; Democrazia Sovrana e Popolare CL; FLC CGIL CL, EN; Generazioni Future; Global March to Gaza Italia; La Città Felice CT; LHIVE CT; Fridays For Future CL; Movimento NO MUOS; Movimento Siciliano D’azione; No Riarmo CL; Nuova Unione Popolare EN; Officina Rebelde CT; Palermo Solidale con il Popolo Curdo; Partito Comunista dei Lavoratori; Partito dei Carc-PA; Potere al Popolo Sicilia; Potere al Popolo CT; grazie Sicilia; Rifondazione Comunista Sicilia; Rifondazione Comunista SR/RG; Sinistra Anticapitalista; Sinistra Futura Sicilia; Student X Palestina Catania; SUNIA; UGS Sicilia; USB Sicilia; V.I.S. – Valverdesi per l’Indipendenza della Sicilia; UDU CT; Zona Aut Pa
Bracciano: sit-in e appello contro il Riarmo e la militarizzazione delle scuole
Il 28 giugno alle ore 16,00 si è tenuto a Bracciano un sit-in pacifista alla piazza del comune promosso dall’Assemblea permanente contro la guerra. Tantissime le realtà presenti tra le quali non poteva mancare il nucleo braccianese dell’Osservatorio contro la militarizzazione elle scuole e delle università. Siamo scesi in piazza per denunciare la strada del riarmo scelta dai governi che porterà a aumentare le spese militari con conseguente incremento dei conflitti. Abbiamo ricordato come le spese militari comporteranno un generale peggioramento delle condizioni di vita di tutti i cittadini perché comportano tagli alle spese sociali. Negli interventi che si sono susseguiti è stato ribadito il processo di militarizzazione della società, a partire dalla scuola, la guerra cognitiva che la NATO con gli stati complici sta portando avanti per diffondere la cultura della difesa e della sicurezza. È stata ricordata la presenza sul nostro territorio di caserme, ma soprattutto del MUSAM e del SICRAL, esempi di diffusione della cultura della difesa proprio per la loro sempre più frequente collaborazione con le scuole con il fine di avvicinare i giovani attraverso percorsi “culturali” o “scientifici”. La cultura della difesa e della sicurezza si diffonde con il moltiplicarsi delle guerre e contribuisce a trasformare la paura in profitto per pochi guerrafondai. La piazza ha ribadito come la sicurezza non si costruisca con le armi, ma con la giustizia, la solidarietà, il rispetto dei diritti umani e per evidenziare il suo “NO alla corsa agli armamenti” dettata da Trump, dalla NATO e dall’unione Europea ha preparato e sottoscritto un appello da presentare alle autorità locali che nella sola giornata di sabato ha raccolto centinaia di firme. L’incontro è continuato con una serata, partecipatissima, in musica con gruppi locali in cui oltre a continuare la raccolta firme, siamo intervenuti nuovamente per presentare il nostro Vademecum. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, Bracciano
Staffetta per Gaza. Appello a supporto della Global March to Gaza e alla Carovana Sudoum
In questi tempi bui stringiamoci più forte. Questo è un appello a mostrare il nostro supporto al popolo palestinese, alla Global March to Gaza, alla Carovana Sudoum, agli attivisti della Madleen sequestrati dal governo israeliano e ad alzare la nostra voce per i diritti umani calpestati. Non sentiamoci inutili, non lo siamo, ogni gesto adesso è necessario,ogni nostra parola deve ritornare ad avere peso. Oggi più che mai! Quando: in qualunque momento, a partire dal 13 giugno fino alla fine effettiva del blocco agli aiuti umanitari a Gaza. Dove: ovunque si possa camminare. Lungo qualsiasi tratto di passeggiata a mare, perché il Mar Mediterraneo – oggi strumento di abusi, isolamento e confine – torni ad essere via di unione, fratellanza e cooperazione tra popoli in cammino verso l’autodeterminazione. Nelle città e nei paesi lontani dal mare, la staffetta sarà nelle aree pedonali centrali Chi può partecipare: chiunque e in qualunque momento. Cammina, tutto qui. Cammina per strada – vicino al mare o in città – indossando un simbolo visibile: una kefiah, una bandiera palestinese, un cartello con una frase di solidarietà, una fascia bianca al braccio con i due hashtag: #ALL EYES ON GAZA #ALL EYES ON HUMAN RIGHTS. Fai una foto, pubblicala sulla tua pagina Instagram taggando la pagina IG di Global March to Gaza, aggiungi due hashtag #ALL EYES ON GAZA #ALL EYES ON HUMAN RIGHTS. Ogni passo, anche in momenti e luoghi diversi, sarà parte di un’unica marcia collettiva. Staffetta nautica: hai una barca a motore , a vela, un windsurf, un canotto, Una canoa, un pattino? Partecipa alla staffetta in mare di solidarietà per Gaza e per i diritti umani. Naviga, sotto costa o in mare aperto, in solitaria o in compagnia, sventolando una bandiera bianca con i due hashtag #All eyes on Gaza #ALL EYES ON HUMAN RIGHTS. Gaza ci mostra come sia facile cancellare i diritti umani. Lottare per Gaza significa lottare per noi stessi.
Appello per il 21 giugno ad una sola manifestazione a Roma contro la guerra
PUBBLICHIAMO QUESTO APPELLO LANCIATO DA CATANESI SOLIDALI CON IL POPOLO PALESTINESE CHE L’OSSERVATORIO CONTRO LA MILITARIZZAZIONE DELLE SCUOLE E DELLE UNIVERSITÀ FA PROPRIO IN VISTA DELLA COSTITUZIONE DI UN GRANDE MOVIMENTO DAL BASSO CHE CONTRASTI IL PARTITO DELLE GUERRA E TUTTO IL COMPLESSO MILITAR-INDUSTRIALE. Contro lo sterminio di Gaza, contro la folle corsa alla guerra in tante parti della terra e contro il piano di riarmo della UE sono state convocate due manifestazioni a Roma, in occasione del vertice NATO che si terrà all’Aja dal 24 al 26 giugno, per l’approvazione definitiva di un piano di riarmo generalizzato degli Stati aderenti, con l’obiettivo di incrementare le risorse per gli armamenti oltre l’asticella del 3% del PIL: una promossa dalla Rete Stop Rearm Europe, con l’adesione di centinaia di forze culturali, politiche, sindacali, sociali; l’altra da Pap, Usb, Cambiare rotta e da una cinquantina di collettivi e di movimenti. Come Catanesi solidali con il popolo palestinese, esprimiamo una fortissima preoccupazione qualora venisse mantenuto un atteggiamento rigido dalle organizzazioni promotrici. Siamo, infatti, convinti che due cortei separati avrebbero un impatto negativo sull’insieme delle realtà impegnate contro la guerra e per la pace, che non aiuterebbe concretamente la causa palestinese, e non favorirebbe la costruzione di un grande movimento di massa capace di fronteggiare nell’immaginario collettivo e concretamente “il partito internazionale e trasversale della guerra”. Solo un grande movimento di lotta e di solidarietà può fermare la corsa al riarmo, la militarizzazione dei territori e del sapere, il disegno criminale di una uscita dalla crisi dell’Occidente attraverso la destinazione di enormi risorse, sottratte alla sanita, alla formazione, alla ricerca, al diritto all’abitare, alla sostenibilità ambientale, in direzione del welfare militare e di un modello di sicurezza fondato sulla repressione delle lotte sociali, ambientaliste, pacifiste e per l’autodeterminazione dei popoli. Facciamo appello alle/agli organizzatori dei due eventi simultanei del 21 giugno, in sintonia con le altre realtà che numerose si stanno muovendo con le medesime finalità, affinché si apra da subito un dialogo e un tavolo operativo finalizzati alla confluenza di tutte le iniziative per una unica e unitaria manifestazione nazionale a sostegno del popolo palestinese, contro il genocidio, per l’isolamento di Israele, contro il piano di riarmo, le spese militari, la militarizzazione dei territori, nella quale ogni soggettività possa portare i propri contenuti,  i propri simboli, le proprie parole d’ordine. Già nel novembre 2024 sembrava non modificabile la scelta di due manifestazioni separate a Roma, per bloccare l’invasione israeliana di Gaza. A partire dall’Assemblea del 9 novembre, assieme ad altre/i, riuscimmo nell’intento di costruire un unico corteo, dislocato su due spezzoni, e tuttavia unito nella condanna unanime del genocidio portato avanti da Israele con la complicità dei governi occidentali e nell’appoggio alla Resistenza palestinese. Noi Catanesi solidali con il popolo palestinese, chiediamo che quella modalità sia riproposta. Lo facciamo a partire dalle nostre pratiche unitarie portate avanti da anni, e che hanno visto manifestare, Domenica 25 maggio a Catania, oltre 5000 persone su una piattaforma che, ha sottolineato le gravissime responsabilità del governo Meloni, della coalizione Von der Leyen, della quasi totalità dei governi occidentali, e ha chiesto, un immediato cessate il fuoco, il ritiro di Israele dai territori occupati, lo sblocco degli aiuti umanitari, la liberazione dei prigionieri palestinesi e degli ostaggi israeliani, il blocco delle esportazioni di armi in Israele, l’avvio dello smantellamento delle basi NATO e USA in Italia, la smilitarizzazione della Sicilia e dei percorsi formativi, il boicottaggio dell’economia di guerra israeliana e della collaborazione con essa di tutte le istituzioni del nostro Paese. Lo facciamo, anche, a partire dalla grande mobilitazione cittadina che, per tre giorni, ha accolto e sostenuto la partenza da Catania (1 giugno) verso Gaza della barca Madleen della Freedom Flotilla. Catanesi solidali con il popolo palestinese ANPI; ARCI; Associazione Comunista Olga Benario; Carovane Migranti; Circoli ARCI: CULT APS, Associazione Salmastra e Giustizia Climatica Ora! Catania APS; La Città Felice; CSA Officina Rebelde; Cobas; Collettivo di inchiesta Gabriele Centineo; Generazioni Future; I Siciliani Giovani; La Ragnatela; Le ragioni del sindacato CGIL; LHIVE; Manifesta; Nessuno è Straniero; PCL; Potere al Popolo; Rifondazione Comunista; Risorgimento socialista; Sinistra Italiana; SUNIA Sicilia; Tavolo No AD Sicilia. Chi volesse sottoscrivere può inviare una mail a: catanesisolidali@tiscali.it
Osservatorio aderisce all’appello di CambiareRotta a Unibo per il ritiro delle denunce
Venerdì 30 maggio si è svolta una tavola rotonda nel Rettorato dell’Università di Bologna, promossa da CambiareRotta per la grave vicenda degli studenti e delle studentesse denunciate, una settimana prima delle elezioni studentesche di metà aprile, per l’occupazione di un’aula laboratorio abbandonata da 5 anni: ben 5 mesi dopo che era stata occupata ed intitolata a Shadia Abu Gazaleh (attivista palestinese) e restituita dagli studenti e dalle studentesse alla comunità accademica con attività di studio, dibattiti e iniziative culturali (musica e proiezioni di film e documentari sulla Palestina). Anche l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha aderito all’appello lanciato dagli studenti e dalle studentesse per chiedere al Rettore ed alla governance di UNIBO il ritiro delle denunce ai/alle dieci studenti e studentesse, di cui ben otto candidate/i nelle elezioni studentesche e tutte/i coinvolte/i nella campagna elettorale. Naturalmente, sia per la tempistica sia per l’accanimento speciale, questo grave atto ha il sapore amaro della repressione e della criminalizzazione del dissenso di cui CambiareRotta si è protagonista in questi ultimi anni, denunciando tutto ciò che non va in Ateneo: dal carovita alla mancanza di spazi e democrazia, dal diritto allo studio agli accordi con la filiera bellica (Esercito, NATO, Leonardo, etc.) e con le istituzioni sioniste di Israele.  Nell’economia di guerra nella quale stiamo sprofondando gli studenti e le studentesse di CambiareRotta sono in tutta Italia l’avanguardia del dissenso che il sistema vuole reprimere e censurare, una vera e propria censura di guerra. Alla tavola rotonda hanno partecipato e sono intervenuti diversi docenti dell’Ateneo, ma anche lavoratori del personale tecnico amministrativo e studenti/studentesse ed è stato trasmesso un messaggio in video di Carlo Rovelli (fisico ed ex studente di UNIBO), che ha evidenziato come queste denunce siano un gesto vergognoso e che bisognerebbe invece premiare il contributo degli studenti e delle studentesse. Per l’Osservatorio è intervenuto Giuseppe Curcio, portando solidarietà attiva agli studenti e alle studentesse, confermando come la governance dell’Ateneo col ritiro delle denunce abbia un’occasione unica per smarcarsi dalla repressione del Governo, prendendo così le distanze dal clima repressivo accentuato dal Decreto Sicurezza appena approvato. Ma l’invito dei/delle tante/i docenti e lavoratori/lavoratrici di Unibo, oltre che di alcuni avvocati presenti, è stato ignorato dal delegato del Rettore Prof. Condello (Prorettore degli studenti), il quale per il momento ha solo espresso la volontà di avviare un percorso di dialogo per trovare uno spazio alternativo al laboratorio occupato, ma senza esprimersi rispetto al ritiro delle denunce e rispetto alla possibilità che il Rettore faccia una dichiarazione pubblica a favore degli studenti e delle studentesse denunciate/i. Gli studenti e le studentesse a questo punto mirano a portare le loro rivendicazioni al Senato Accademico nella seduta del 17 giugno. Altri dettagli nell’appello al link di seguito, che invitiamo tutte e tutti a sottoscrivere anche individualmente: https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSfPKj0xl73MZgLdaR44XJDqgO1jIgChS8ZjstLLlVbjQiceLA/viewform Giuseppe Curcio, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Appello rivolto a insegnanti e personale scolastico. Raccolta firme su Change.org
PUBBLICHIAMO L’APPELLO DI DOCENTI PER GAZA AFFINCHÉ SI POSSA FIRMARE UNA PETIZIONE PER CHIEDERE IL CESSATE IL FUOCO A GAZA. COME OSSERVATORIO CONTRO LA MILITARIZZAZIONE DELLE SCUOLE E DELLE UNIVERSITÀ SENTIAMO L’URGENZA STORICA DI CONDIVIDERE QUESTA RICHIESTA E INVITIAMO A FIRMARE SU WWW.CHANGE.ORG. Se lavori nella scuola, firma questa petizione per fermare la pulizia etnica in Palestina e pretendere soluzioni concrete contro l’occupazione, il massacro e lo scolasticidio. Siamo un gruppo di docenti della scuola italiana, di ogni ordine e grado, provenienti dalle più svariate parti del paese. Abbiamo scritto un appello alla fine del novembre del 2023 per chiedere un immediato cessate il fuoco a Gaza, il rispetto del diritto internazionale e azioni concrete da parte del governo a sostegno dei bambini e delle bambine palestinesi. L’appello era stato firmato da 4128 insegnanti. Ad oggi, dopo 600 giorni dall’inizio dell’aggressione israeliana nella Striscia di Gaza e 60 mila morti, di cui 18 mila bambini, il nostro governo non ha ancora compiuto alcuna azione concreta per fermare il genocidio in corso. In questi giorni la narrazione intorno al genocidio sta cambiando: dalla politica ai media, alcune parole finora proibite sono entrate nel vocabolario, gli appelli si moltiplicano, alcune autorità in Occidente stanno valutando soluzioni concrete per porre fine al massacro in corso. Eppure, il nostro governo continua a voler chiudere gli occhi di fronte allo scandalo a cui stiamo assistendo in diretta streaming da 20 mesi. In qualità di insegnanti crediamo che il nostro lavoro non sia confinato alla mera trasmissione del sapere, ma che si estenda alla formazione critica delle nostre studentesse e dei nostri studenti, una formazione attraverso cui ciascuna persona sia in grado di osservare la realtà circostante, riconoscerne le dinamiche interne, assegnare loro il giusto nome e assumersi la responsabilità di prendere posizione e agire. Inutile porre a baluardo le competenze chiave europee se non si ha il coraggio e la coerenza di metterle in pratica come corpo educante. Pertanto, non possiamo tollerare che il nostro paese continui a essere complice del colonialismo, dell’apartheid, dell’occupazione militare e del genocidio in corso contro il popolo palestinese. Agli sgoccioli di quest’anno scolastico, il secondo dall’inizio del massacro, invitiamo quindi tutte le colleghe e i colleghi, il personale scolastico e le dirigenze a prendere posizione contro l’aggressione militare e l’occupazione e a schierarsi a favore della libertà e dell’autodeterminazione del popolo palestinese. Chiediamo a tutti gli insegnanti del paese di dedicare del tempo, nelle ultime ore che ci separano dalla fine delle lezioni, per rompere il muro del silenzio, la paura e il timore che impediscono di rendere il colonialismo israeliano e la liberazione della Palestina oggetto delle nostre lezioni. Chiamiamo la storia che vediamo scandalosamente svolgersi sotto i nostri occhi con il suo nome e mostriamo ai nostri studenti che quanto accadde tanto durante l’età delle conquiste coloniali, quanto durante la seconda guerra mondiale – e che la storia ha definito “genocidi” – sta accadendo di nuovo sotto i nostri occhi, con la stessa efferatezza e con le medesime finalità. Affermate la necessità di parlare di Palestina all’interno dei collegi e dei consigli, costruite alleanze e progetti nelle vostre scuole per insegnare agli studenti cosa è successo dalla Nakba ad oggi e perché è necessario denunciare i crimini compiuti sulla pelle dei palestinesi. Spiegate il valore simbolico che questo paese ha assunto per il mondo intero. Scriveteci, partecipate alle nostre assemblee: dobbiamo essere uniti, nutrire insieme la consapevolezza delle nostre responsabilità di docenti all’interno del periodo storico che stiamo vivendo, essere da esempio per i nostri ragazzi, mostrare che il loro corpo docente non accetta impassibile, ma si mobilita compatto contro l’impunità e lo smantellamento del diritto internazionale. Questa è deontologia professionale intrinseca. Chiediamo, quindi, a tutto il corpo docente, dirigenti e personale scolastico di unirsi e di firmare questo nostro appello rivolto a Ministro dell’istruzione e del merito Giuseppe Valditara Ministro dell’interno Matteo Piantedosi Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Antonio Tajani Ministro della difesa Guido Crosetto Presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni per: * denunciare esplicitamente il genocidio in corso, la pulizia etnica, l’occupazione militare e il regime di apartheid e attuare misure concrete come embargo e sanzioni contro Israele; * fermare l’accordo di cooperazione militare tra Italia e Israele, il cui rinnovo è previsto l’8 giugno; * garantire l’ingresso e la dignitosa distribuzione degli aiuti umanitari in tutta la Striscia e supportare concretamente la salvaguardia e la ricostruzione del sistema scolastico sia a Gaza che in Cisgiordania; * condurre alla definitiva rottura dei legami accademici tra le università italiane e le università israeliane; coadiuvare la pubblicazione di bandi per borse di studio realmente accessibili alle studentesse e agli studenti palestinesi; aprire gemellaggi tra le scuole italiane e le scuole palestinesi a Gaza e in Cisgiordania; * intervenire sulle Indicazioni nazionali unicamente per aprire i programmi scolastici alla storia globale, a prospettive decoloniali, allo sguardo critico nei confronti della nostra storia e per dare voce alle fasce marginalizzate, per dare spazio all’educazione al consenso, all’affettività, alla partecipazione politica, alla cura della collettività e dell’ambiente, al fine di scongiurare la violenza e l’indifferenza che rendono possibili la deumanizzazione di un popolo e il suo genocidio; * salvaguardare la libertà di insegnamento per i docenti che legittimamente portano in classe il tema della Palestina, denunciano i crimini contro l’umanità e il ripetersi di processi storici quali colonialismo, genocidio e apartheid: non possiamo tollerare che il corpo docenti senta minacciata la propria libertà d’insegnamento da un discorso pubblico ostile alla liberazione palestinese, dalle censure e dagli interventi diretti contro altri colleghi che si sono esposti sul tema; * affermare, infine, in completa coerenza con i punti precedenti, una perentoria opposizione al riarmo europeo e alla militarizzazione della società e delle scuole: pretendiamo che il denaro pubblico sia investito nella salute, nell’istruzione, nella tutela ambientale, nel lavoro sicuro, nei diritti – e non nella guerra. Docenti per Gaza