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Che succede a Mondeggi? Facciamo il punto
Pubblichiamo l’intervista che Ornella De Zordo ha fatto a Roberto Checcucci, storico attivista di Mondeggi già intervistato nell’aprile 2022, all’inizio del percorso che ha portato Mondeggi Bene Comune a partecipare al bando di manifestazione di interesse della Città metropolitana di … Leggi tutto L'articolo Che succede a Mondeggi? Facciamo il punto sembra essere il primo su La Città invisibile | perUnaltracittà | Firenze.
Contadini in Cisgiordania, tenere ad ogni costo
Ottobre 2025 Le Monde Diplomatique dai nostri inviati speciali LÉONORE AESCHIMANN e PIERRE CASAGRANDE * giornalisti Dall’inizio dell’anno, l’esercito e i coloni israeliani hanno provocato il trasferimento forzato di  cinquantamila palestinesi della Cisgiordania. Imponendo leggi inique ed esercitando violenze quotidiane, Tel Aviv prosegue un’annessione rampante che punta innanzi tutto all’appropriazione delle terre agricole e alla costruzione di nuove colonie, illegali sul piano del diritto internazionale Ali M. rovista tra le rovine di una casa distrutta nell’inverno 2024 dai bulldozer israeliani per estrarne sbarre di ferro con cui rafforzare la recinzione delle sue capre. Questo allevatore sui vent’anni è interrotto dalla consegna di acqua da parte di un vecchio camion Citroën arrugginito su cui sobbalza una gigantesca cisterna che sta risalendo il sentiero. Ali accoglie il conducente, che divide la sua vita tra il lavoro di professore di biologia a Gerico e le consegne, vitali per le famiglie della regione. Siamo nel villaggio di Al-Maleh, nell’estremo nord della Cisgiordania, in una piccola vallata rocciosa che scende verso il fiume Giordano. Sotto la staccionata, uno strato di sassi testimonia l’esistenza passata di un ruscello che scorreva ancora vent’anni fa. Ormai, nella valle, si spinge solo il vento carico di polvere. «I coloni sono arrivati nel 1967 e hanno cominciato a pompare acqua nel 1973 a oltre 100 metri di profondità», spiega Ali. Le cinque fonti che alimentavano il corso d’acqua si sono progressivamente prosciugate. Questo rifornimento in camion basterà per il consumo dei villaggi e del bestiame ma, sfortunatamente, non permetterà di irrigare gli appezzamenti. La colonizzazione israeliana colpisce duramente l’agricoltura palestinese. «Dal 1967 e con l’inizio dell’occupazione, il contributo del settore al prodotto interno lordo della Cisgiordania è andato costantemente a calare», spiega Taher Labadi, ricercatore in economia all’Istituto francese del Medioriente (Ifpo) di Gerusalemme. Eppure, il lavoro della terra ha una lunga storia in Palestina. L’agricoltura è caratterizzata da una prevalenza di piccole aziende familiari inferiori all’ettaro, che rappresentano più del 70% delle terre agricole (1). La loro produzione è destinata in primo luogo all’autoconsumo, quindi al mercato locale. In un territorio semi arido e collinare, la coltura a terrazza appartiene a un ricco patrimonio agricolo, il cui simbolo è l’ulivo (2). «100.000 famiglie dipendono parzialmente o totalmente dagli ulivi, all’origine di un rapporto molto speciale tra i palestinesi, la loro terra e gli alberi. È un’identità nazionale che diventa anche identità economica», spiega Moayyad Bsharat, coordinatore di progetto all’Unione dei comitati del lavoro agricolo (Uawc), la principale organizzazione non governativa (Ong) agricola palestinese. Calata la sera, Ali è amareggiato perché non può offrire ai suoi ospiti delle vere camere in cui passare la notte. A causa delle continue distruzioni, la famiglia abita in parte nelle tende. Al-Maleh, che risale all’epoca ottomana, è stato devastato dall’esercito nel 1967, e tutti i suoi abitanti sono dovuti fuggire. Circa sessanta famiglie sono tornate, ma il villaggio non ha potuto recuperare le sue dimensioni di un tempo. Gli agricoltori che, come Ali, scelgono di restare, di lavorare la loro terra o di allevare bestiame sono chiamati samidin, ossia coloro che tengono duro nonostante le crescenti difficoltà poste dalla vita rurale. Con la loro presenza, proteggono la terra dall’annessione dei coloni israeliani – un obiettivo cruciale della resistenza palestinese. Nella famiglia di Ali, le coppie con figli hanno preferito trasferirsi a Tubas, la città più vicina. «Quando vengono costruite delle case, qui, sono distrutte dalle forze d’occupazione», spiega. Dopo gli accordi di Oslo del 1993, la Cisgiordania (5 860 km²) è stata divisa in tre zone A, B e C. La zona A (18%)è sotto l’autorità palestinese, la zona B (22%) sotto controllo misto e la zona C (il 60% della Cisgiordania) sotto controllo diretto israeliano, l’esercito non concede alcun permesso di costruzione nella zona C e commette regolarmente distruzioni di edifici. A maggio, un nuovo regolamento sul censimento fondiario e sulla creazione di un catasto emanato da Tel Aviv ha rafforzato ulteriormente questo controllo, facilitando l’accaparramento delle terre palestinesi da parte dei coloni. Nella valle del Giordano, i palestinesi subiscono una vera e propria annessione, con la confisca delle loro terre coltivabili, mentre l’80% di queste è già nelle mani dei coloni e dell’esercito. Anas H., un osservatore della situazione dei diritti umani nella zona, sospira: «La guerra a Gaza fa rumore, ma qui ci hanno dichiarato una guerra silenziosa». Questa «guerra» indebolisce una sovranità palestinese già compromessa dal passaggio dall’agricoltura di sussistenza a un’agricoltura volta verso l’esportazione. Dagli anni 1990, l’Autorità Palestinese e i donatori internazionali hanno incoraggiato le colture da destinare ai mercati esteri. L’emblema è quella del dattero medjool nella valle del Giordano. «Il dattero è l’agrobusiness  che fa irruzione in Palestina», riassume Julie Trottier, idrologa al Centro nazionale della ricerca scientifica (Cnrs), che lavora sulla Cisgiordania. Con Anas, sulla strada 90, che costeggia il Giordano in direzione del villaggio di Bardala, possiamo constatarlo: immensi appezzamenti di monocultura di dattero si susseguono per chilometri, inframmezzati da alcuni grandi magazzini agricoli. Sebbene sia impossibile distinguere a prima vista i frutteti israeliani da quelli palestinesi, il 70% dei palmeti, secondo Anas, sarebbe coltivato dai coloni. «Un classico caso di economia coloniale». All’epoca, la scelta era ricaduta sulla palma da dattero per diverse ragioni: il basso consumo di acqua e la sua compatibilità anche con acqua leggermente salata. Essendo adatta ai vincoli climatici, rende molto e rapidamente, grazie alle esportazioni, dal momento che le aziende israeliane e alcuni grandi proprietari palestinesi hanno firmato contratti con gli attori dell’agroindustria mondiale. «All’inizio dello sviluppo del dattero, sono state coltivate parcelle da seicento dunum (sessanta ettari), un dato inedito in Palestina», testimonia Trottier. Ma i soldi guadagnati hanno provocato l’aumento delle disuguaglianze all’interno della società palestinese. Prima di questa coltura, le pianure del Giordano erano volte verso la sussistenza e il mercato locale. «I proprietari, solitamente, risiedevano in città, una piantagione di banane di un dunum dava da vivere a una famiglia grazie alla mezzadria», spiega la ricercatrice. I mezzadri ora sono sostituiti da stagionali e operai. Ogni anno, i primi raccolgono per due mesi, mentre i secondi lavorano al confezionamento per 5 mesi. Questo contesto economico, insieme alle violenze coloniali, spiega l’entità dell’esodo rurale. In Palestina la proporzione dei lavoratori del settore agricolo è passata dal 37% del 1975 al 5% del 2023 (3). I beni necessari alla popolazione non sono più prodotti sul posto. La maggior parte di quelli consumati dai palestinesi sono importati attraverso Israele, che può decidere di bloccare la merce. «È un classico caso di economia coloniale: la produzione viene orientata verso le esportazioni, e l’economia del territorio occupato diventa completamente vincolata e dipendente dallo Stato colonizzatore», analizza Labadi. Strutture come l’Uawc si battono per la sovranità alimentare. «L’Autorità palestinese non destina neanche l’1% del suo bilancio al ministero dell’agricoltura, contro il 35% al sistema di sicurezza e ai suoi agenti, che non hanno mai protetto un solo ulivo e una sola contadina contro gli attacchi dei coloni o dell’esercito, afferma con disappunto Bsharat. Gli stanziamenti per l’agricoltura  dovrebbero raggiungere il 10% per essere adeguati ai bisogni dei contadini.» Quest’uomo sui quarant’anni, agronomo di formazione, ha dedicato la sua vita a sostenere i samidin. Conosce perfettamente le comunità rurali della valle del Giordano e porta avanti il suo lavoro presso agricoltori e contadini nonostante le intimidazioni dell’esercito israeliano. La sua Ong, creata nel 1986, è composta da centoventi comitati in Cisgiordania e nella striscia di Gaza. Offre formazione, aiuto materiale o consigli tecnici alle famiglie contadine per emergere dalla dipendenza dagli input chimici importati e adattarsi alla mancanza di acqua. L’Uawc lavora solo con piccoli agricoltori e prevalentemente con comunità guidate da donne. «Al contrario dell’Autorità palestinese e dei donatori occidentali, non vogliamo focalizzarci sul 5% della popolazione con grandi aziende agricole, dimenticando la maggioranza, che vuole produrre il proprio cibo. Non vogliamo solo produrre, vogliamo giustizia sociale», prosegue il nostro interlocutore. Tuttavia, non è sempre facile far adottare i metodi ecologici. «Cerchiamo di far capire agli agricoltori che, se vogliono produrre di più, perderanno anche più rapidamente le terre, perché i metodi industriali esauriscono il suolo dopo alcuni anni», aggiunge, citando il caso della coltura intensiva di datteri che massacra il terreno e aumenta il grado di salinità. L’agroecologia come via verso la sovranità alimentare è un presupposto per cui si batte anche Forum Palestinese di Agroecologia (Fpa) dalla sua creazione nel 2018: «Il nostro rapporto con la terra è cambiato. I nostri metodi tradizionali erano vicini ai principi agroecologici; oggi, non sappiamo neanche quali input chimici siano presenti nel suolo e quante varietà di Ogm (organismi geneticamente modificati) ci siano imposte, spiega Lina Ismaïl, membro dell’Fpa. L’occupazione israeliana ha imposto i suoi semi. Ora, ci sono varietà autoctone di prodotti ormai introvabili nei nostri mercati». Per ovviare a queste mancanze, l’Uawc aveva fondato, nel 2003, una banca di sementi autoctone a Al Khalil – il nome palestinese della città di Hebron. Qui, venivano moltiplicate, stoccate e distribuite con il passare delle stagioni 76 varietà locali. Nelle sale decorate con piante essiccate, Jannat D. accoglieva calorosamente i contadini. Dopo aver ascoltato i loro bisogni, forniva consigli e consegnava sacchetti contenenti le preziose sementi. Secondo Bsharat, la protezione della biodiversità agricola era solo uno dei numerosi benefici di questa iniziativa: «I semi industriali sono più produttivi, a condizione che siano associati a  pesticidi, fertilizzanti chimici e un’abbondante irrigazione. Non è possibile riprodurli e quindi  devono essere acquistati ogni anno. I nostri semi evitano tutte queste insidie. Sono rustici, più  resilienti di fronte al cambiamento climatico e alle malattie, e permettono inoltre un’alimentazione più sana». Quando l’esercito israeliano sradica gli ulivi Tuttavia, per Israele, la sovranità alimentare dei palestinesi è una minaccia. Il 31 luglio scorso, i bulldozer seguiti da uomini incappucciati e soldati israeliani hanno saccheggiato la banca di sementi e demolito l’edificio. Secondo l’Uawc, questo attacco era mirato a «impedire ai palestinesi di rimanere sulle loro terre (4)». Una settimana prima di questa spoliazione, il Parlamento israeliano aveva approvato una mozione simbolica sull’annessione totale della Cisgiordania e convalidato un piano di 275 milioni di dollari a beneficio delle colonie. A fine agosto, in reazione a uno scambio di colpi d’arma da fuoco tra contadini e coloni, l’esercito israeliano ha sradicato 10.000 ulivi – molti dei quali secolari – nel villaggio di Al-Mughayyir, vicino a Ramallah. Dal 1967, in totale, il governo israeliano ha sradicato più di 800.000 di questi alberi e rasato al suolo con i bulldozer centinaia di chilometri di terre agricole in Palestina (5). Ma ad Al-Maleh, quando la giornata volge al termine, Ali continua a scherzare, con il sorriso sulle labbra. Accende un braciere per scaldare il pasto e l’acqua con cui lavarsi. Dietro di lui, la sagoma in filo spinato dell’avamposto militare che domina la valle si staglia nel cielo. Si siede vicino al fuoco, immobile come i massi attorno. Le pietre non lasciano la valle, dice un proverbio palestinese.   (1) Jacques Marzin, Jean-Michel Sourrisseau e Ahmad Uwaidat, «Study on small-scale agriculture in the Palestinian territories», Centro di cooperazione internazionale nella ricerca agronomica per lo sviluppo (Cirad), Parigi, 2019. (2) Si legga Aïda Delpuech, «En Israël, l’arbre est aussi un outil colonial», Le Monde diplomatique, ottobre 2024. (3) Bashar Abu Zarour, Amina Khasib, Islam Rabee e Shaker Sarsour, Economic Monitor, n° 73, Palestine Economic Policy Research Institute – MAS, Ramallah, 2023. (4) Philippe Pernot, «Israël attaque une banque de semences paysannes en Cisjordanie occupée», 2 agosto 2025, https://reporterre.net (5) Qassam Muaddi, «Israël voulait punir un village palestinien. Il a donc détruit 10 000 de ses oliviers», 28 agosto 2025, https://agencemediap Le Monde Diplomatique
Manifestazione No OGM a Parma di “Cambiare il Campo”
Riportiamo il comunicato verso la manifestazione di questo sabato e ai nostri microfoni Luca dell’ Associazione Solidarietà Campagna Italiana.  Cambiare il Campo è un gruppo di attiviste e attivisti, contadine e contadini, di diverse zone d’Italia, provenienti da diverse realtà, gruppi, collettivi e associazioni, rurali e cittadine che lavorano per unire le forze e per […]
Parma, 14 giugno Corte Stop OGM per l’agroecologia NO TEA – NGT – NBT
E’ possibile anche solo immaginare di coltivare un qualche spazio di libertà e autonomia quando anche la produzione di ciò che ci è primariamente necessario, come il cibo, rischia seriamente di diventare totalmente asservita ai giganti della chimica, delle manipolazioni genetiche/genomiche e della digitalizzazione? Questa battaglia non riguarda solo chi vive di lavoro contadino, tocca anzi molto da vicino tutte e tutti: per questo è importante partecipare il 14 giugno a a Parma al corteo STOP OGM, PER L’AGROECOLOGIA! Di seguito il comunicato stampa. Cambiare il Campo è un gruppo di attiviste e attivisti, contadine e contadini, di diverse zone d’Italia, provenienti da diverse realtà, gruppi, collettivi e associazioni, rurali e cittadine che lavorano per unire le forze e per difendere e sviluppare i sistemi agroecologici di produzione, distribuzione e consumo del cibo. Ci rivolgiamo a contadine e contadini, consumatrici e consumatori, associazioni, gruppi d’acquisto, comunità di supporto dell’agricoltura, empori solidali, aziende e cooperative, tecnici agricoli, ricercatrici e ricercatori responsabili, per costruire un’opposizione comune contro l’avanzare dei nuovi OGM (TEA, NBT, NGT). Diciamo SÌ all’agricoltura contadina agroecologica, diffusa sui territori, di prossimità e svincolata dal capitale finanziario, che produce un cibo sano, non inquina e non distrugge l’ambiente. Diciamo SÌ al favorire la rigenerazione naturale della biodiversità, alla conservazione del suolo e dell’acqua, vere ricchezze delle comunità ed efficaci difese dalle avversità. SÌ al fondamentale diritto dei contadini e delle contadine di conservare, riprodurre, selezionare partecipativamente e scambiare liberamente le proprie sementi. Diciamo SÌ all’autodeterminazione alimentare, alla costruzione di reti di piccola scala basate su relazioni di solidarietà e mutualismo, a sostegno dell’agricoltura contadina, col lavoro della terra in autogestione collettiva, non schiava delle leggi di mercato. Sosteniamo le realtà contadine, preservandole dalla scomparsa ed incentivando il ritorno alla terra per l’agroecologia in contrapposizione alle multinazionali dell’agricoltura e dell’alimentazione industriale. Diciamo NO all’agricoltura 4.0 e alle altre soluzioni tecnoindustriali per la sperimentazione, la coltivazione e la deregolamentazione degli organismi geneticamente modificati: TEA (Tecniche di Evoluzione Assistita), NBT (New Breeding Techniques) o NGT (New Genetic Techniques), tutti nuovi nomi per nascondere quel che già ci fu propinato e contro i quali lottammo con successo 30 anni fa, i vecchi OGM. Diciamo NO al cibo prodotto in laboratorio, non vogliamo essere le cavie di questa deriva scientista! Diciamo NO al saccheggio e alla distruzione dei beni ambientali, alla “digitalizzazione” dell’attività agricola, sempre più dispendiosa, inquinante ed energivora. Non possiamo rimanere indifferenti al perpetrarsi dell’ennesima soluzione tecnologica per risolvere problemi provocati proprio da tecnologie e metodi chimico-industriali. Forti interessi lobbistici condizionano la politica, l’informazione e i grandi sindacati agricoli, le molteplici agenzie per la sicurezza alimentare, ambientale e per lo sviluppo agricolo, nonché gran parte della ricerca pubblica e privata. La violenza operata dai sistemi di potere e la loro indifferenza per la salute pubblica è sempre più evidente e opprimente sulle nostre vite. Ci ritroveremo a Parma, dove ha sede l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA), che sta giocando un ruolo importante nei processi di deregolamentazione dei nuovi OGM e di manipolazione genetica di piante e animali. A Parma dove ha sede l’azienda biologica Podere Stuard, attualmente al centro dell’allarmante situazione che la vede protagonista della sperimentazione in campo di pomodori geneticamente modificati. Vi invitiamo ad una partecipazione popolare: fermare l’avanzata dei nuovi OGM che minacciano ambiente, sistemi alimentari e salute pubblica è cosa urgente ! SABATO 14 GIUGNO 2025, VIENI A PARMA! Faremo un corteo e ci sarà cibo, musica, teatro e performaces. Ritrovo alle ore 15:30 davanti alla Stazione FS, piazza Carlo Alberto Dalla Chiesa, per muoversi attraverso la città fino al Parco Ex Eridania. CAMBIARE IL CAMPO! Per la Convergenza Agroecologica e Sociale Per informazioni, passaggi ed eventuale ospitalità a Parma scrivi a no-ogm@cambiareilcampo.org Scarica qui l’immagine web (295 KB) Scarica qui il volantino ad alta risoluzione per stampa poster 50x70cm (5 MB) Scarica qui il volantino ad alta risoluzione per stampa fronte/retro o 2 pagine con immagine e testo (7 MB) Scarica qui l’appello in formato PDF (16 KB) Redazione Italia
L’agroecologia da vedere
IL FESTIVAL SI TERRÀ A ROMA, PRESSO IL NUOVO CINEMA AQUILA DAL 21 AL 23 MAGGIO. LA GIORNATA DEL 24 MAGGIO SARÀ INVECE ORGANIZZATA PRESSO IL GIARDINO DI TORRICOLA. PREVISTI 11 DOCUMENTARI E 8 TRA INCONTRI TEMATICI E PRESENTAZIONI DI LIBRI. LA RASSEGNA CONTINUERÀ DURANTE IL 2025 CON EDIZIONI LOCALI IN DIVERSE CITTÀ Dal 21 al 24 maggio il Centro Internazionale Crocevia lancia una nuova edizione del Festival delle Terre, la rassegna del documentario indipendente su agroecologia, ambiente e diritti.  Il Festival, organizzato con in collaborazione con Ecologia Unione Buddhista Italiana e il supporto dei fondi 8×1000 UBI, si svolgerà durante i primi tre giorni al Nuovo Cinema Aquila (via L’Aquila, 66/74), per migrare il 24 al Giardino di Torricola, oasi naturale sull’Appia Antica (via A. M. Simonetti). In totale, sarà possibile assistere alla proiezione di 11 documentari che affrontano temi come la giustizia climatica, la pesca insostenibile, i diritti umani e l’agroecologia.In programma anche 8 incontri tra presentazioni di libri, dibattiti con autrici e autori e riunioni aperte di attiviste/i ambientali. “I lavori presentati al Festival arrivano da diversi paesi – spiega Danilo Licciardello, direttore artistico del Festival delle Terre – Accanto a film selezionati dai migliori festival internazionali, proponiamo lavori di piccole produzioni indipendenti, che faticano a trovare posto nel circuito commerciale. Promuoviamo incontri con gli autori dei film, che spesso partecipano in prima persona alle giornate del Festival”. L’edizione 2025 vede tra i titoli più interessanti un’anteprima italiana. Si intitola “Il prezzo che Paghiamo” ed è un lavoro di Sara Manisera (FADA Collective), in programmazione venerdì 23 maggio alle 21. Il documentario, realizzato dalla giornalista di inchiesta membra del collettivo FADA, racconta come fin dagli anni Settanta le multinazionali del petrolio e del gas conoscessero l’impatto devastante delle loro attività sul clima del pianeta, ma abbiamo messo in atto ogni sforzo per nasconderlo. Il lancio italiano del documentario sarà accompagnato da un incontro pubblico organizzato da Crocevia insieme a due organizzazioni da sempre impegnate nella lotta contro le fonti fossili: Greenpeace e Re:Common. Parteciperanno il giornalista di Report Luca Chianca e la giornalista e scrittrice Stella Levantesi. Il Festival proseguirà durante il 2025 in modo “diffuso” con diverse edizioni locali,come parte di un progetto più ampio dal titolo “Carovana Contadina per la Sovranità Alimentare. “Il cinema, come forma d’arte visiva e narrativa, è uno strumento potente per raccontare l’interdipendenza alla base delle relazioni ecologiche – dichiara Silvia Francescon, responsabile di Ecologia Unione Buddhista Italiana – Spesso è grazie all’arte cinematografica che veniamo mossi nel profondo e portati all’azione. Felici di questa collaborazione che ci vede coinvolti per il secondo anno, ringraziamo il Centro Internazionale Crocevia per aver creato il Festival delle Terre e per portarlo anche oltre la città di Roma, per aver, di fatto, realizzato un cinema diffuso sull’ecologia profonda e sui diritti che unisce le comunità”. Questa edizione cade a poco più di un anno dalla scomparsa di Maurizio Paffetti, compagno e amico di Crocevia. “Maurizio ha costruito e fatto vivere la nostra Mediateca delle Terre, un archivio cartaceo e audiovisivo che racconta decenni di cooperazione internazionale in tutto il mondo – spiega Licciardello – Un archivio a lui intitolato che oggi è riconosciuto come bene di particolare interesse storico e culturale dal Ministero della Cultura”. Il programma completo del Festival è consultabile al link www.festivaldelleterre.it L'articolo L’agroecologia da vedere proviene da Comune-info.