Dal Gruppo dell’Aia sanzioni contro Israele per fermare il genocidio in Palestina
La definizione di misure concrete di pressione e sanzioni contro Israele per
fermare la pulizia etnica, l’apartheid e il colonialismo sono state le
principali ed importanti novità emerse dal vertice interministriale della scorsa
settimana in Colombia. Il Gruppo dell’Aia, composto da un’alleanza di nove paesi
dal Sud globale (Sud Africa, Malesia, Namibia, Colombia, Bolivia, Cile, Senegal,
Honduras e Belize), si è costituito nel gennaio del 2025 per coordinare azioni
diplomatiche ed economiche contro il governo di Israele: alla convocazione di
questo vertice hanno risposto tanti altri paesi, diversi dei quali hanno
annunciato l’adesione al Gruppo e la volontà di unire gli sforzi politici
comuni.
A presiedere la conferenza di Bogotá sono i governi della Colombia e del
Sudafrica, che negli ultimi anni hanno assunto un ruolo chiave nella pressione
internazionale contro Netanyahu: il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha
denunciato nel dicembre 2023 Israele alla Corte Internazionale di Giustizia per
il genocidio di Gaza, mentre Gustavo Petro è stato il primo leader
latinoamericano a rompere le relazioni diplomatiche con l’esecutivo di Tel Aviv,
nel maggio del 2024. Non è un caso che questi due paesi siano in questo momento
riferimenti politici internazionali nella lotta contro le azioni di Netanyahu:
la loro storia, di guerra, violenza, apartheid, genocidio e colonizzazione, e le
lotte contro queste logiche e contro queste politiche che hanno profondamente
segnato le vicende degli ultimi decenni dei due paesi, ci indicano oggi
possibili traittorie di trasformazione che sfidano la continuità della radice
coloniale dei conflitti nei Sud del mondo.
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Tra gli ospiti internazionali invitati alla conferenza di Bogotá, ha destato
una significativa attenzione la presenza della relatrice ONU Francesca Albanese,
di recente divenuta la prima funzionaria delle Nazioni Unite a ricevere sanzioni
individuali da parte degli Stati Uniti. I giorni più intensi della persecuzione
pubblica nei confronti di Albanese, accusata dal Segretario di Stato degli USA
Marco Rubio di “antisemitismo sfrontato e sostegno al terrorismo”, sono coincisi
con un’intensificazione della solidarietà nei suoi confronti da parte di ampi
settori della società civile e dei governi non allineati alle politiche di
Netanyahu. Nelle strade e nelle piazze di Bogotà, così come nelle conferenze e
al vertice, la piena solidarietà si è unita al sostegno pubblico e politico
delle denunce che Francesca Albanese porta avanti da anni.
Nell’incontro inaugurale della conferenza di Bogotà, Albanese ha ribadito le
necessità di applicare politiche di pressione nei confronti di Israele
attraverso la sospensione dei legami “militari, strategici, politici,
diplomatici, economici” sia da parte delle entità statali che dei rispettivi
settori privati, quali “le compagnie assicurative, le banche, i fondi pensione,
le università e gli altri fornitori di beni e servizi nelle catene di
approvvigionamento”.
Sulla stessa linea il rappresentante permanente della Palestina all’ONU Riyad
Mansour, che ha segnalato come le azioni sui civili del governo di Netanyahu
siano permesse da un ordine globale “capovolto, che degrada la nostra umanità
comune e annulla il sistema internazionale di leggi e valori che l’umanità ha
costruito negli ultimi ottant’anni”.
Nel pomeriggio del 15 luglio, Albanese è stata protagonista di un incontro
pubblico presso il Museo Nazionale della Colombia, insieme al parlamentare
britannico Jeremy Corbyn e all’europarlamentare franco-palestinese Rima Hassan.
Durante l’evento, animato dai rappresentanti della comunità di migranti di
origine palestinese in Colombia (se ne stimano oltre centomila), Francesca
Albanese ha segnalato l’importanza di pensare la questione palestinese in chiave
anticoloniale globale, enfatizzando così la rilevanza dell’attività del Gruppo
dell’Aia:
> “Siamo in un momento definitorio della storia: un momento che ci impone di
> affrontare un’eredità coloniale che, riattivata da un capitalismo sfrenato, ha
> devastato non solo il popolo palestinese, ma innumerevoli comunità del mondo,
> a partire dai popoli indigeni latinoamericani. Per questo è necessario
> cambiare paradigmi”.
Continua Albanese: “l’orrore sofferto dal popolo palestinese deve spingerci a un
cambio globale più che mai necessario: serve un nuovo ordine mondiale
multilaterale, guidato dalla ‘maggioranza globale’, come chiamo il Sud Globale.
Da paesi come la Colombia, che possono offrire visioni alternative dove viene
messa in primo piano la dignità umana rispetto alle alleanze strategiche, la
comunità rispetto alla conquista. Dove si possono introdurre valori cruciali per
l’umanità nell’ordine legale internazionale: valori come quelli delle
cosmovisioni indigene”.
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La densa agenda dei due giorni colombiani di Albanese ha incluso mobilitazioni
di piazza, eventi pubblici e un incontro privato con Gustavo Petro, che ha
recentemente dichiarato di stare valutando la possibilità di una “presenza
militare colombiana a Gaza per frenare il genocidio”. Nell’occasione, oltre ad
affrontare la questione palestinese, la relatrice speciale dell’ONU ha
consegnato al presidente colombiano una lettera scritta dai genitori di Mario
Paciolla, cooperante italiano dell’ONU morto in Colombia il 15 luglio 2020 in
circostanze mai chiarite: una richiesta di verità e giustizia che si unisce agli
sforzi per difendere i processi costruzione di pace nei diversi contesti del Sud
Globale.
Nella giornata del 16 luglio le mobilitazioni in difesa della Palestina sono
iniziate di prima mattina di fronte al palazzo della Cancelleria, dove si
incontravano i delegati dei governi per il vertice: centinaia di persone hanno
affollato il centro storico per chiedere forti sanzioni nei confronti di
Israele. Le strade del centro di Bogotà sono state occupate da bandiere,
cartelli, la classica batucada che segnava il ritmo dei cori e risuonava nelle
vie circostanti della Candelaria, manifesti e volantini che denunciavano le
imprese conniventi con il genocidio distribuiti ed esposti nelle strade e nei
negozi, slogan che chiedevano sanzioni, fine del genocidio, libertà e
autodeterminazione per la Palestina. A seguire, un concerto nella centralissima
plaza de Bolívar, che si è concluso in tarda serata, con diverse band che si
sono esibite raccogliendo fondi per la solidarietà con il popolo palestinese.
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Nel pomeriggio si è tenuta al Senato la conferenza “Il sud globale per la
Palestina: giustizia e solidarietà dalla Colombia” organizzata da diversi
esponenti del Pacto Histórico, l’attuale partito di governo in Colombia, come la
senatrice Clara López Obregón, la senatrice Gloria Flórez Schneider, la deputata
Etna Tamara Argote, il deputato Alejandro Toro. Con la partecipazione dell’ex
presidente colombiano Ernesto Samper, sono intervenuti anche l’ambasciatore
colombiano in Palestina, Jorge Iván Ospina, che ha dichiarato: “faremo fino
all’ultimo sforzo possibile per fermare il genocidio”, e l’omonimo palestinese
in Colombia, Raouf Almalky. Poi, come ospiti internazionali, Jeremy Corbyn
dall’Inghilterra, Baltasar Garzón dalla Spagna e l’ex Cancelliere dell’Ecuador
Guillermo Lang, che ha dichiarato la necessità di lottare per “far applicare il
diritto internazionale, non rimanere su prese di posizioni retoriche ma compiere
atti pratici”, denunciando inoltre minacce e pressioni da parte di Stati Uniti e
dell’Unione Europea contro i paesi che hanno partecipato al vertice.
Dopo questi interventi, spazio alla partecipazione di tanti e diversi esponenti
della società civile palestinese e colombiana, il BSD Movement e altre figure
istituzionali, movimenti popolari solidali con la Palestina, assieme alla
comunità palestinese. Invitata speciale la relatrice dell’ONU per i territori
occupati in Palestina Francesca Albanese, che ha ricevuto applausi, solidarietà
e una onorificenza da parte del Senato della Repubblica della Colombia per il
suo impegno nella denuncia del genocidio e nella difesa dei diritti umani, in un
momento in cui sta affrontando sanzioni, minacce e persecuzioni da parte degli
Stati Uniti e di Israele. Visibilmente commossa, Albanese ha chiesto di
rinnovare e rilanciare l’impegno di istituzioni, movimenti dal basso e
organizzazioni sociali in tutto il mondo per fermare il genocidio, rivendicando
l’autodeterminazione del popolo palestinese.
In un breve scambio di battute al margine della conferenza, Albanese ha
confermato il suo entusiasmo per il dialogo portato avanti in Bogotá: “Ci
vorrebbero più attivisti colombiani in Europa”, ha dichiarato la relatrice ONU,
segnalando che l’apertura di un dialogo tra le denunce contro il governo di
Netanyahu e le lotte sociali colombiane è fondamentale, date le comuni storie di
“decolonizzazione e dolore, tanto in guerra come in pace”.
Dal vertice del gruppo dell’Aia la decisione sulle sanzioni ha segnato un primo
importante passo avanti nella lotta globale per fermare il genocidio, con
l’invito a continuare la lotta e articolare pressione e mobilitazioni dal basso
con prese di posizione istituzionali che estendano le sanzioni contro Israele.
Albanese ha segnalato l’esito positivo del suo incontro con Gustavo Petro: “I
risultati del nostro incontro si sono visti nelle sue dichiarazioni
dell’indomani: sicuramente il mio rapporto non lo ha lasciato indifferente”.
Dopo l’incontro con Albanese durante il vertice interministeriale, Gustavo
Petro, che aveva già interrotto lo scorso anno le relazioni diplomatiche con il
governo di Netanyahu, ha confermato il blocco delle esportazioni di carbone
verso Israele, annunciando inoltre anche la revoca dello status di paese alleato
della Nato (era l’unico stato dell’America Latina ad avere questo status).
Inoltre, dodici tra i paesi partecipanti alla conferenza hanno annunciato il
blocco immediato delle forniture militari, del passaggio di navi che forniscono
combustibile, armi o tecnologie dual use verso Israele. Poco dopo, il Brasile ha
annunciato che si unirà alla denuncia alla Corte Internazionale di Giustizia
presentata dal Sudafrica per genocidio contro Israele.
> La decisione presa dal vertice del Gruppo dell’Aia rispetto alle pressioni e
> alle sanzioni concrete nei confronti di Israele segna un importante inizio,
> che diventa un precedente, ed un invito ad altri paesi del sud globale e del
> mondo a seguire l’esempio e a contribuire alla lotta per fermare il genocidio,
> il colonialismo e l’apartheid.
Negli stessi giorni, l’Unione Europea ha rifiutato di sospendere Israele come
stato associato, suscitando durissime critiche da parte di Amnesty International
e di altre ONG. Durante il vertice di Bogotá, diverse voci, europee e non solo
(Baltasar Garzón ha dichiarato di provare vergogna di appartenere all’Unione
Europea per la sua complicità con il genocidio), hanno denunciato questa
gravissima, seppur purtroppo non inaspettata, decisione politica, che evidenzia
la volontà di mantenere la gravissima complicità con il genocidio da parte dei
leader europei. La denuncia di Amnesty International è netta e chiara: “E’
qualcosa di più della codardia politica. Ogni volta che l’Unione Europea non
agisce, aumenta il rischio di convertirsi in complice delle azioni di Israele.
Questo manda un messaggio assolutamente pericoloso agli autori di questi crimini
atroci: non solo resteranno impuniti, ma saranno ricompensati”.
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Mentre da Bogotá arrivano parole nette e coraggiose, e finalmente anche sanzioni
concrete, che esplicitano una presa di posizione politica di una serie di figure
istituzionali e non solo, dalla parte dell’umanità e della Palestina, non
bastano alcune tardive, limitate e ipocrite dichiarazioni di facciata da parte
dell’Unione Europea: senza sanzioni reali, embargo e blocco delle esportazioni e
forniture di armi, senza reali pressioni internazionali che possano isolare e
fermare Israele, la complicità con il genocidio continuerà ad essere tale.
Il vertice si chiude con delle decisioni nette, e con la speranza che questo
gesto di dignità e di coraggio che arriva dal sud del mondo possa rafforzare le
lotte popolari e sociali della Palestina globale, le articolazioni tra movimenti
e istituzioni, nazionali e sovranazionali, necessarie per costruire un nuovo
internazionalismo dentro e contro il regime di guerra globale, cominciando dal
mettere in pratica, ed estendere socialmente e politicamente, azioni concrete
per fermare il genocidio.
Tuitte le immagini nell’articolo sono di Alioscia Castronovo da Bogotá.
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