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Dal Gruppo dell’Aia sanzioni contro Israele per fermare il genocidio in Palestina
La definizione di misure concrete di pressione e sanzioni contro Israele per fermare la pulizia etnica, l’apartheid e il colonialismo sono state le principali ed importanti novità emerse dal vertice interministriale della scorsa settimana in Colombia. Il Gruppo dell’Aia, composto da un’alleanza di nove paesi dal Sud globale (Sud Africa, Malesia, Namibia, Colombia, Bolivia, Cile, Senegal, Honduras e Belize), si è costituito nel gennaio del 2025 per coordinare azioni diplomatiche ed economiche contro il governo di Israele: alla convocazione di questo vertice hanno risposto tanti altri paesi, diversi dei quali hanno annunciato l’adesione al Gruppo e la volontà di unire gli sforzi politici comuni. A presiedere la conferenza di Bogotá sono i governi della Colombia e del Sudafrica, che negli ultimi anni hanno assunto un ruolo chiave nella pressione internazionale contro Netanyahu: il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha denunciato nel dicembre 2023 Israele alla Corte Internazionale di Giustizia per il genocidio di Gaza, mentre Gustavo Petro è stato il primo leader latinoamericano a rompere le relazioni diplomatiche con l’esecutivo di Tel Aviv, nel maggio del 2024. Non è un caso che questi due paesi siano in questo momento riferimenti politici internazionali nella lotta contro le azioni di Netanyahu: la loro storia, di guerra, violenza, apartheid, genocidio e colonizzazione, e le lotte contro queste logiche e contro queste politiche che hanno profondamente segnato le vicende degli ultimi decenni dei due paesi, ci indicano oggi possibili traittorie di trasformazione che sfidano la continuità della radice coloniale dei conflitti nei Sud del mondo.   * Tra gli ospiti internazionali invitati alla conferenza di Bogotá, ha destato  una significativa attenzione la presenza della relatrice ONU Francesca Albanese, di recente divenuta la prima funzionaria delle Nazioni Unite a ricevere sanzioni individuali da parte degli Stati Uniti. I giorni più intensi della persecuzione pubblica nei confronti di Albanese, accusata dal Segretario di Stato degli USA Marco Rubio di “antisemitismo sfrontato e sostegno al terrorismo”, sono coincisi con un’intensificazione della solidarietà nei suoi confronti da parte di ampi settori della società civile e dei governi non allineati alle politiche di Netanyahu. Nelle strade e nelle piazze di Bogotà, così come nelle conferenze e al vertice, la piena solidarietà si è unita al sostegno pubblico e politico delle denunce che Francesca Albanese porta avanti da anni.  Nell’incontro inaugurale della conferenza di Bogotà, Albanese ha ribadito le necessità di applicare politiche di pressione nei confronti di Israele attraverso la sospensione dei legami “militari, strategici, politici, diplomatici, economici” sia da parte delle entità statali che dei rispettivi settori privati, quali “le compagnie assicurative, le banche, i fondi pensione, le università e gli altri fornitori di beni e servizi nelle catene di approvvigionamento”. Sulla stessa linea il rappresentante permanente della Palestina all’ONU Riyad Mansour, che ha segnalato come le azioni sui civili del governo di Netanyahu siano permesse da un ordine globale “capovolto, che degrada la nostra umanità comune e annulla il sistema internazionale di leggi e valori che l’umanità ha costruito negli ultimi ottant’anni”. Nel pomeriggio del 15 luglio, Albanese è stata protagonista di un incontro pubblico presso il Museo Nazionale della Colombia, insieme al parlamentare britannico Jeremy Corbyn e all’europarlamentare franco-palestinese Rima Hassan. Durante l’evento, animato dai rappresentanti della comunità di migranti di origine palestinese in Colombia (se ne stimano oltre centomila), Francesca Albanese ha segnalato l’importanza di pensare la questione palestinese in chiave anticoloniale globale, enfatizzando così la rilevanza dell’attività del Gruppo dell’Aia: > “Siamo in un momento definitorio della storia: un momento che ci impone di > affrontare un’eredità coloniale che, riattivata da un capitalismo sfrenato, ha > devastato non solo il popolo palestinese, ma innumerevoli comunità del mondo, > a partire dai popoli indigeni latinoamericani. Per questo è necessario > cambiare paradigmi”. Continua Albanese: “l’orrore sofferto dal popolo palestinese deve spingerci a un cambio globale più che mai necessario: serve un nuovo ordine mondiale multilaterale, guidato dalla ‘maggioranza globale’, come chiamo il Sud Globale. Da paesi come la Colombia, che possono offrire visioni alternative dove viene messa in primo piano la dignità umana rispetto alle alleanze strategiche, la comunità rispetto alla conquista. Dove si possono introdurre valori cruciali per l’umanità nell’ordine legale internazionale: valori come quelli delle cosmovisioni indigene”. * * La densa agenda dei due giorni colombiani di Albanese ha incluso mobilitazioni di piazza, eventi pubblici e un incontro privato con Gustavo Petro, che ha recentemente dichiarato di stare valutando la possibilità di una “presenza militare colombiana a Gaza per frenare il genocidio”. Nell’occasione, oltre ad affrontare la questione palestinese, la relatrice speciale dell’ONU ha consegnato al presidente colombiano una lettera scritta dai genitori di Mario Paciolla, cooperante italiano dell’ONU morto in Colombia il 15 luglio 2020 in circostanze mai chiarite: una richiesta di verità e giustizia che si unisce agli sforzi per difendere i processi costruzione di pace nei diversi contesti del Sud Globale.  Nella giornata del 16 luglio le mobilitazioni in difesa della Palestina sono iniziate di prima mattina di fronte al palazzo della Cancelleria, dove si incontravano i delegati dei governi per il vertice: centinaia di persone hanno affollato il centro storico per chiedere forti sanzioni nei confronti di Israele. Le strade del centro di Bogotà sono state occupate da bandiere, cartelli, la classica batucada che segnava il ritmo dei cori e risuonava nelle vie circostanti della Candelaria, manifesti e volantini che denunciavano le imprese conniventi con il genocidio distribuiti ed esposti nelle strade e nei negozi, slogan che chiedevano sanzioni, fine del genocidio, libertà e autodeterminazione per la Palestina. A seguire, un concerto nella centralissima plaza de Bolívar, che si è concluso in tarda serata, con diverse band che si sono esibite raccogliendo fondi per la solidarietà con il popolo palestinese. * Nel pomeriggio si è tenuta al Senato la conferenza “Il sud globale per la Palestina: giustizia e solidarietà dalla Colombia” organizzata da diversi esponenti del Pacto Histórico, l’attuale partito di governo in Colombia, come la senatrice Clara López Obregón, la senatrice Gloria Flórez Schneider, la deputata Etna Tamara Argote, il deputato Alejandro Toro. Con la partecipazione dell’ex presidente colombiano Ernesto Samper, sono intervenuti anche l’ambasciatore colombiano in Palestina, Jorge Iván Ospina, che ha dichiarato: “faremo fino all’ultimo sforzo possibile per fermare il genocidio”, e l’omonimo palestinese in Colombia, Raouf Almalky. Poi, come ospiti internazionali, Jeremy Corbyn dall’Inghilterra, Baltasar Garzón dalla Spagna e l’ex Cancelliere dell’Ecuador Guillermo Lang, che ha dichiarato la necessità di lottare per “far applicare il diritto internazionale, non rimanere su prese di posizioni retoriche ma compiere atti pratici”, denunciando inoltre minacce e pressioni da parte di Stati Uniti e dell’Unione Europea contro i paesi che hanno partecipato al vertice. Dopo questi interventi, spazio alla partecipazione di tanti e diversi esponenti della società civile palestinese e colombiana, il BSD Movement e altre figure istituzionali, movimenti popolari solidali con la Palestina, assieme alla comunità palestinese. Invitata speciale la relatrice dell’ONU per i territori occupati in Palestina Francesca Albanese, che ha ricevuto applausi, solidarietà e una onorificenza da parte del Senato della Repubblica della Colombia per il suo impegno nella denuncia del genocidio e nella difesa dei diritti umani, in un momento in cui sta affrontando sanzioni, minacce e persecuzioni da parte degli Stati Uniti e di Israele. Visibilmente commossa, Albanese ha chiesto di rinnovare e rilanciare l’impegno di istituzioni, movimenti dal basso e organizzazioni sociali in tutto il mondo per fermare il genocidio, rivendicando l’autodeterminazione del popolo palestinese. In un breve scambio di battute al margine della conferenza, Albanese ha confermato il suo entusiasmo per il dialogo portato avanti in Bogotá: “Ci vorrebbero più attivisti colombiani in Europa”, ha dichiarato la relatrice ONU, segnalando che l’apertura di un dialogo tra le denunce contro il governo di Netanyahu e le lotte sociali colombiane è fondamentale, date le comuni storie di “decolonizzazione e dolore, tanto in guerra come in pace”.  Dal vertice del gruppo dell’Aia la decisione sulle sanzioni ha segnato un primo importante passo avanti nella lotta globale per fermare il genocidio, con l’invito a continuare la lotta e articolare pressione e mobilitazioni dal basso con prese di posizione istituzionali che estendano le sanzioni contro Israele. Albanese ha segnalato l’esito positivo del suo incontro con Gustavo Petro: “I risultati del nostro incontro si sono visti nelle sue dichiarazioni dell’indomani: sicuramente il mio rapporto non lo ha lasciato indifferente”. Dopo l’incontro con Albanese durante il vertice interministeriale, Gustavo Petro, che aveva già interrotto lo scorso anno le relazioni diplomatiche con il governo di Netanyahu, ha confermato il blocco delle esportazioni di carbone verso Israele, annunciando inoltre anche la revoca dello status di paese alleato della Nato (era l’unico stato dell’America Latina ad avere questo status). Inoltre, dodici tra i paesi partecipanti alla conferenza hanno annunciato il blocco immediato delle forniture militari, del passaggio di navi che forniscono combustibile, armi o tecnologie dual use verso Israele. Poco dopo, il Brasile ha annunciato che si unirà alla denuncia alla Corte Internazionale di Giustizia presentata dal Sudafrica per genocidio contro Israele.  > La decisione presa dal vertice del Gruppo dell’Aia rispetto alle pressioni e > alle sanzioni concrete nei confronti di Israele segna un importante inizio, > che diventa un precedente, ed un invito ad altri paesi del sud globale e del > mondo a seguire l’esempio e a contribuire alla lotta per fermare il genocidio, > il colonialismo e l’apartheid.  Negli stessi giorni, l’Unione Europea ha rifiutato di sospendere Israele come stato associato, suscitando durissime critiche da parte di Amnesty International e di altre ONG. Durante il vertice di Bogotá, diverse voci, europee e non solo (Baltasar Garzón ha dichiarato di provare vergogna di appartenere all’Unione Europea per la sua complicità con il genocidio), hanno denunciato questa gravissima, seppur purtroppo non inaspettata, decisione politica, che evidenzia la volontà di mantenere la gravissima complicità con il genocidio da parte dei leader europei. La denuncia di Amnesty International è netta e chiara: “E’ qualcosa di più della codardia politica. Ogni volta che l’Unione Europea non agisce, aumenta il rischio di convertirsi in complice delle azioni di Israele. Questo manda un messaggio assolutamente pericoloso agli autori di questi crimini atroci: non solo resteranno impuniti, ma saranno ricompensati”.   * * Mentre da Bogotá arrivano parole nette e coraggiose, e finalmente anche sanzioni concrete, che esplicitano una presa di posizione politica di una serie di figure istituzionali e non solo, dalla parte dell’umanità e della Palestina, non bastano alcune tardive, limitate e ipocrite dichiarazioni di facciata da parte dell’Unione Europea: senza sanzioni reali, embargo e blocco delle esportazioni e forniture di armi, senza reali pressioni internazionali che possano isolare e fermare Israele, la complicità con il genocidio continuerà ad essere tale.  Il vertice si chiude con delle decisioni nette, e con la speranza che questo gesto di dignità e di coraggio che arriva dal sud del mondo possa rafforzare le lotte popolari e sociali della Palestina globale, le articolazioni tra movimenti e istituzioni, nazionali e sovranazionali, necessarie per costruire un nuovo internazionalismo dentro e contro il regime di guerra globale, cominciando dal mettere in pratica, ed estendere socialmente e politicamente, azioni concrete per fermare il genocidio. Tuitte le immagini nell’articolo sono di Alioscia Castronovo da Bogotá. L'articolo Dal Gruppo dell’Aia sanzioni contro Israele per fermare il genocidio in Palestina proviene da DINAMOpress.
Colombia, al via il vertice internazionale contro il genocidio in Palestina
Mentre l’Europa e gli Stati Uniti continuano, con poche eccezioni e prese di posizioni istituzionali, a essere complici con i crimini di Israele, garantendo l’impunità ai leader israeliani, rispetto alla pulizia etnica, ai ripetuti e continui crimini di guerra e più in generale con il genocidio portato avanti sistematicamente dal governo israeliano, una serie di leader del Sud globale hanno preso parola convocando a costruire posizioni alternative a livello internazionale, in risonanza con la solidarietà popolare con la Palestina. Una solidarietà, capace di cominciare a tessere un nuovo internazionalismo, che si è dispiegata in tutto il mondo a partire da movimenti sociali, studenteschi e società civile, con le proteste, negli ultimi due anni in particolare, della cosiddetta Palestina Globale, duramente repressa e perseguitata negli Stati Uniti e in Europa. Nato nel gennaio del 2025, il Gruppo de L’Aia è guidato dai governi della Colombia e del Sudafrica, e ha visto fin dall’inizio la partecipazione dei governi di Bolivia, Cuba, Honduras, Malesia, Namibia, Senegal, paesi che, come segnalato da Diana Carolina Alfonso su Diario Red, hanno adottato le seguenti importanti e significative misure come prime prese di posizione concrete e condivise: 1) compiere con gli ordini di mandato di arresto emessi da parte della Corte Penale Internazionale nei confronti di Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant per crimini di guerra; 2) rendere effettivo l’embargo di armi e combustibile per evitare che Israele continui nell’offensiva; 3) fermare nei propri porti e territori tutte le navi cargo che siano vincolate al traffico di armi verso Israele. Una iniziativa che «riflette un impegno con la giustizia internazionale e una critica frontale all’impunità di Israele, storicamente sostenuto dai paesi occidentali» La scorsa settimana, con un articolo pubblicato sul “Guardian”, il presidente colombiano Petro, che fin da subito ha preso posizione contro il genocidio, assieme ad altri presidenti (e movimenti) latinoamericani, ha annunciato la convocazione del vertice interministeriale a cui parteciperanno rappresentati di oltre trenta paesi e movimenti sociali, per contreibuire a rafforzare il multilateralismo dal Sud del mondo. Il vertice si terrà oggi e domani a Bogotá, con l’invito ai leader globali di prendere posizione sul genocidio. > Petro ha affermato che «la scelta davanti a cui ci troviamo è dura e > drammatica, è necessario agire subito: per miliardi di persone nel Sud del > mondo che contano sul diritto internazionale per la propria protezione, la > posta in gioco non potrebbe essere più alta. Il popolo palestinese merita > giustizia. Questo momento richiede coraggio. La storia ci giudicherà > severamente se non risponderemo alla loro chiamata». Foto di Alioscia Castronovo > «Se non agiamo ora, non solo tradiremmo il popolo palestinese, ma diventeremmo > complici delle atrocità commesse dal governo di Netanyahu»: l’invito è quello > di espandere tali prese di posizione, ma anche costruire possibilità concrete > di intervenire nello scenario politico internazionale. Ha inoltre ricordato che nel mese di settembre del 2024 centoventiquattro Paesi hanno votato a favore della risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite sulle politiche e le pratiche di Israele nei Territori Palestinesi Occupati. In quella occasione, afferma Petro, «ci siamo assunti obblighi concreti: indagini, procedimenti giudiziari, sanzioni, congelamento dei beni e cessazione delle importazioni e delle armi». Quella risoluzione fissava un termine di 12 mesi affinché Israele «ponesse fine senza indugio alla sua presenza illegale». Centoventiquattro stati «hanno votato a favore, tra cui la Colombia. Il tempo stringe». Non è un caso che paesi come Sudafrica e Colombia siano la guida a livello internazionale di posizione chiare e nette contro il genocidio: la questione di Gaza viene vissuta e sentita in modo particolare da chi ha vissuto la lunga e drammatica storia dell’apartheid sudafricano, ma anche le grandi lotte per sconfiggerlo, così come il lungo conflitto armato colombiano, il genocidio politico delle sinistre (in particolare quello dell’Unión Patriótica) e il massacro continuo contro movimenti sociali, indigeni e leader sociali e sindacali in Colombia. Un paese dove la violenza e gli attori armati in processo di riconfigurazione continuano a dispiegarsi nei territori del paese, dove è in corso una crisi umanitaria nel Catatumbo, che segnala i limiti del processo della Pace Totale del governo Petro, ma anche in altri territori del paese, dove si dispiega la continuità della violenza dei gruppi paramilitari, narcotrafficanti, di diversi tipi di gruppi armati e dissidenze delle guerriglie. La pace come obiettivo, così come la fine di ogni apartheid, è al centro delle sfide politiche in questi paesi e la questione palestinese viene sentita e vissuta in maniera particolare e significativa. > Alle attività del vertice è stata invitata anche Francesca Albanese, relatrice > speciale ONU per i territori occupati in Palestina, sotto attacco da parte > degli Stati Uniti e di Israele per i rapporti che ha curato denunciando le > violazioni dei diritti umani, la pulizia etnica, il genocidio e gli interessi > politici ed economici che lo sostengono. * * * Francesca Albanese sarà ospite di diverse iniziative a Bogotá e sarà accolta da mobilitazioni sociali di piazza, che sono state rilanciate come momenti di articolazione di un nuovo internazionalismo contro il genocidio in Palestina. Martedì 15 sarà ospite del dibattito “Azione collettiva in difesa della Palestina”, organizzato dal Gruppo de L’Aia, che si terrà al Museo Nazionale, con la partecipazione di Yaddai Kadamani Fonrodona, ministra della Cultura del governo colombiano, con Jeremy Corbyn, deputato al parlamento inglese, Rima Assan, eurodeputata de La France Insumise, e Andrés Macías Tolosa, del Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sui Mercenari. Mercoledì 16 ci sarà fin dalla mattina una mobilitazione solidale con la Palestina e contro il genocidio nel centro della capitale colombiana, chiamata proprio in occasione della conferenza interministeriale: «Accogliamo con la nostra mobilitazione la relatrice speciale ONU Francesca Albanese, sotto attacco da parte degli Stati Uniti e delle imprese multinazionali che lucrano con il genocidio», scrivono nell’appello: e poi «andremo con bandiere della Palestina nelle piazze del centro della capitale, dalla Cancelleria alla Plaza de Bolivar, con una parola d’ordine comune: fermiamo il genocidio». La manifestazione è stata convocata da movimenti, organizzazioni sociali e politiche solidali con la Palestina, che invitano a rilanciare una forza transnazionale contro il genocidio. Nel pomeriggio della stessa giornata, mercoledì 16 luglio, Francesca Albanese sarà presente al Senato della Repubblica invitata dalla coalizione di governo del Pacto Historico per intervenire nel forum “Il Sud Globale per la Palestina: giustizia e solidarietà dalla Colombia”.   L’incontro di questa settimana rappresenta un’importante presa di posizione internazionale che rivendica la difesa dei diritti umani a livello globale ed esprime posizioni sul genocidio chiare, nette, coraggiose e decisive in un contesto di totale impunità, con l’obiettivo di estendere ad altri paesi queste prese di posizione politica per contribuire all’urgenza di fermare il genocidio in corso. Immagine di copertina: Presidenza della Repubblica della Colombia (da wikimedia), concerto per la Palestina a Bogotá, 2024 L'articolo Colombia, al via il vertice internazionale contro il genocidio in Palestina proviene da DINAMOpress.
RADIO AFRICA: I (TANTI) IMPERIALISMI CHE COLPISCONO IL CONTINENTE E LE “TRACCE COLONIALI” DELLA REPRESSIONE ANTILIBICA A USTICA
Radio Africa: nuova puntata, lunedì 26 maggio 2025, per l’approfondimento quindicinale dedicato all’Africa sulle frequenze di Radio Onda d’Urto, dentro la Cassetta degli Attrezzi. In questi 30 minuti ci occupiamo di: * Imperialism(i): le tante mani sull’Africa. Il punto della situazione sulle influenze e le intromissioni di Usa, Russia, Cina e paesi del Golfo (Emirati Arabi in testa) tra Sudafrica, Burkina Faso (e l’intera fascia subsahariana), Sudan con Cornelia Toelgyes, vicedirettrice di www.africa-express.info  * Tracce coloniali: il viaggio a Ustica di un folto gruppo di realtà della società civile italiana, per rendere omaggio agli oppositori libici alla colonizzazione italiana deportati nelle piccole isole. Pochi giorni fa la visita al cosiddetto “Cimitero degli arabi” per ricordare una storia, ancora oggi sconosciuta, iniziata nel 1911 quando, dopo la sconfitta di Shara Shatt, in Libia, l’occupante italiano rispose con una “caccia all’arabo” e l’esecuzione sommaria di migliaia di persone. Altre, forse 4000, furono frettolosamente imbarcate senza processo per Favignana, le Tremiti, Gaeta e soprattutto Ustica. Le deportazioni continuarono negli anni seguenti, senza soluzione di continuità tra l’Italia “liberale” e quella fascista, fino ad almeno il 1934.  La puntata di Radio Africa, su Radio Onda d’Urto, andata in onda lunedì 26 maggio 2025 alle ore 18.45 (in replica martedì 27 maggio, alle ore 6.30) con Cornelia Toelgyes, vicedirettrice di www.africa-express.info e con  Fabio Alberti fondatore e presidente onorario di Un ponte per tra le realtà organizzatrici dell’appuntamento di Ustica, tenutosi pochi giorni fa. Ascolta o scarica
STATI UNITI: A 5 ANNI DALL’OMICIDIO FLOYD, “LA POLIZIA HA INTERIORIZZATO LO SPIRITO DEL SUPREMATISMO BIANCO”
A Minneapolis, nel Minnesota, cinque anni fa si verificò l’omicidio razzista e di Stato di George Floyd, soffocato dal ginocchio di un poliziotto. Domenica 25 maggio la morte del 46enne afroamericano è stata commemorata in piazza George Floyd, tra opere d’arte di protesta, rose gialle e un murales con la scritta “Hai cambiato il mondo, George”. L’omicida, il poliziotto bianco Derek Chauvin, condannato nel 2022 a 21 anni di reclusione, potrebbe vedersi concedere la grazia se il Presidente Donald Trump cedesse alle pressioni degli alleati più razzisti. Inoltre i dati raccolti tra il 2017 e il 2024, mostrano un aumento degli omicidi razziali nei confronti delle minoranze statunitensi nere e ispaniche. In calo invece i numeri delle persone bianche uccise dalla polizia. Questo attesterebbe una perdita di slancio del movimento Black Lives Matter a favore del trumpismo e del suprematismo bianco, cui esponenti stanno facendo cancellare tutte le riforme fatte per cercare di arginare il razzismo. Il Presidente Trump sta anche demolendo le politiche in favore di diversità, equità ed inclusione. Nonostante la eco globale delle proteste del movimento Black Lives Matter, il suprematismo bianco è oggi in continua ascesa, facendo arretrare sulle recenti conquiste dei movimenti antirazzisti. Anche le donazioni verso Fondazione Black Lives Matter sono in continuo calo: dai 79,6 milioni di dollari raccolti nel 2021, si è passati l’anno seguente a soli 8,5 milioni. Nel frattempo negli Stati Uniti stanno arrivando i primi cosiddetti rifugiati dal Sudafrica che fuggirebbero dal “razzismo contro i bianchi”. I discendenti dei coloni europei, gli Afrikaner, che imposero la segregazione razziale fino al 1991, possono ottenere l’asilo negli Stati Uniti: lo stesso diritto viene però negato alle persone che scappano da povertà, guerre e persecuzioni, come ad esempio i rifugiati Sudanesi e Congolesi, a cui l’amministrazione Trump ha bloccato le procedure per richiedere l’asilo. Ai nostri microfoni l’analisi dello scrittore Salvatore Palidda, già docente in sociologia presso l’Università di Genova. Ascolta o scarica
Europa, Palestina, Sudafrica: viaggio al termine del colonialismo
Il sito dell’Unione Europea dichiara “Ogni anno il 9 maggio si celebra la Festa dell’Europa, che celebra la pace e l’unità in Europa”. Come ormai la maggior parte delle istanze internazionali l’Unione Europea, da sei anni sotto la direzione di quella che fu la ministra della difesa di Angela Merkel, Ursula von der Leyen, imbarazza e disgusta nella sua mancanza di volontà politica nel prendere una posizione radicale contro il genocidio del popolo Palestinese a Gaza e nella sua insensata – se non alla luce dei profitti che ci stanno dietro – corsa all’armamento.   In Italia la richiesta di manifestare appoggio e indignazione contro il massacro, sia online sia per le strade, risulta quasi sterile. Malgrado ciò, a chi ha ancora la forza di andare in strada, malgrado la stagnante aria di fallimento che si respira in Europa, va tutta la mia stima. Come uno dei partecipanti della manifestazione di Milano del 25 Aprile, ricorda in un video: «È importante ogni tanto stare insieme, e vedere che siamo ancora in tanti». Online si vede circolare un manifesto, portato in corteo in diverse manifestazioni pro-Palestina, in diverse città europee che dice «You know what also died in Gaza? The myth of western Humanity and Democracy» (Sapete cos’è morto anche a Gaza? Il mito dell’umanità e della democrazia occidentale). Quel mito è morto, se mai ha avuto ragione per nascere, da molto tempo. È basato sulla ripetuta incapacità dell’Europa di fare autocritica, di guardare alla propria storia fatta sul sacrificio e lo sfruttamento degli altri, una storia che continua tuttora nella forma che le e i migranti, le donne, coloro che non rientrano nelle regole dei padri fondatori, maschi etero bianchi, sono trattate e perseguitate. Nel suo Discorso sul Colonialismo (1950) Césaire, commentando la differente risposta della società occidentale alle atrocità dell’olocausto e della schiavitù, già lo fece notare parecchio tempo fa: «hanno tollerato quel nazismo prima che fosse loro inflitto, lo hanno assolto, hanno chiuso gli occhi su di esso, lo hanno legittimato, perché, fino ad allora, era stato applicato solo ai popoli non europei». Esistono gradi diversi di applicare le universali europee norme di umanità e democrazia. La guerra in Ucraina, contemporanea alla guerra in Palestina, lo ha reso ancora più palese. Secondo Van Bever Donker, della University of Western Cape, «Ciò che la civiltà [europea] ha raggiunto, il punto a cui è giunta, non equivale ad altro che alla sua morte». E forse per questo tollera la morte ovunque. In contrasto allo stato di asfissia europeo e di reazione programmata come strategia di sopravvivenza, la quotidianità della solidarietà al popolo Palestinese da parte del popolo sudafricano impressiona nella sua naturalezza, nel suo non bisogno di spettacolarità. Innumerevoli sono le iniziative in solidarietà e concreto sostegno. Lo si vede nei muri delle case, dove messaggi in sostegno al popolo Palestinese sono continui, negli adesivi nelle autovetture, nelle molte bandiere presenti nei festeggiamenti di Eid al-Fitr, o semplicemente Eid, la festa in cui musulmani di tutto il mondo celebrano la fine del mese di digiuno dall’alba al tramonto del Ramadan. Domenica 27 aprile in occasione del Freedom Day, una dozzina di nuotatori hanno organizzato una staffetta percorrendo a nuoto il tratto di 7,4 km da Robben Island a Bloubergstrand, nelle acque gelide di Cape Town. Lo hanno fatto per raccogliere fondi necessari per l’assistenza umanitaria a Gaza e per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’impossibile situazione dei palestinesi. «I nuotatori sono semplici sudafricani che si tuffano in acque simbolo della nostra storia di lotta e prigionia in solidarietà con chi soffre sotto l’oppressione», hanno dichiarato gli organizzatori che si proponevano di raccogliere almeno 500mila euro e ne hanno raccolti 600.000, circa 30.000 euro in poche ore. I fondi sono stati ripassati a Gift of the Givers una versione sudafricana di Emergency, fondata nel 1992 da un medico sudafricano, Imtiaz Ismail Sooliman, per offrire soccorso in caso di calamità e assistenza umanitaria in tutto il mondo, a gennaio 2025 l’organizzazione ha dichiarato di impiegare oltre 600 persone con uffici in nove aree, tra cui Somalia, Yemen e Palestina. Con finanziamenti da aziende sudafricane e donazioni private, l’organizzazione ha distribuito oltre 6 miliardi di Rand (319 milioni di dollari) in aiuti in 47 Paesi in 32 anni, ed è la più grande agenzia di risposta ai disastri di origine africana. La prossima settimana a Johannesburg si terrà il Jozi Palestinian Film Festival, due serate di film e dibattiti sulla situazione palestinese organizzate da South Africa BDS Coalition. I biglietti sono esauriti dopo due giorni dall’annuncio del festival, anche quelli delle overflow seating, sedie di plastica, da aggiungere in sala ovunque ci sia spazio. Il documentario Al-Nakba: The Palestinian Catastrophe (2024) di Rawan Damen apre la rassegna il giorno – 15 maggio – in cui la Nakba (catastofe) viene commemorata ogni anno. Tra il 1947 e 1949, 531 città e paesi furono distrutti dalle milizie israeliane. Dei 1,4 milioni di abitanti palestinesi dell’epoca si stima che ci siano oltre 9 milioni di rifugiati palestinesi sparsi in tutto il mondo. Alla luce del genocidio di 2,3 milioni di abitanti della Striscia di Gaza oggi la Nakba assume un nuovo significato. Nel corso del festival verranno presentati Eyes of Gaza (2024) di Mahmoud Atassi, sull’indicibile numero di giornalisti uccisi in un anno nella guerra tra Israele e Gaza, più alto in qualsiasi altro conflitto da quando il Comitato per la Protezione dei Giornalisti ha iniziato a raccogliere dati nel 1992. Mercoledì 21 l’University of Johannesburg insieme alla Birtzeit University Occupied Palestine, ospiterà la terza lezione pubblica , dal titolo Genocidio e apartheid: terra e identità in Palestina e Sudafrica, in memoria di Shireen Abu Akleh, la giornalista palestinese statunitense uccisa nel 2022 da un soldato israeliano mentre seguiva un raid nel campo profughi di Jenin, nella Cisgiordania occupata da Israele nel 2022. Sarà possibile seguire l’evento online. Segue Al-Shifa Hospital: The Crimes They Tried to Bury (2024), un breve documentario prodotto da Al Jazeera che mira a scoprire la verità dietro le atrocità commesse durante l’assedio dell’ospedale Al-Shifa da parte dell’occupazione israeliana. Il documentario funge da contro-narrativa alle distorsioni e garantisce che le voci delle vittime e dei testimoni vengano ascoltate. La proiezione sarà seguita da una sessione di domande e risposte con gli Healtchcare Workers 4 Palestine. HW4P, è stata co-fondata in Inghilterra da un gruppo di medici nel 2023 per combattere la censura e difendere i diritti degli operatori sanitari palestinesi e il diritto dei palestinesi all’assistenza sanitaria. Il sabato Nathi Ngubane, scrittore e illustratore del libro da colorare From the River to the Sea, i cui ricavati della vendita sono devoluti al popolo palestinese tramite Penny Appeal South Africa, terrà un laboratorio per bambine e bambini mentre chiuderà il festival il documentario girato in Libano e nella Palestina occupata, The Last Sky (2024) di Nicholas Hanna’, avvocato libanese-australiano, seguito da una sessione di domande e risposte con il regista. Tutte le immagini sono di Laura Barucco SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. 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