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Il Fatto Quotidiano: Stop al corso contro la militarizzazione, i sindacati: “Gravissimo”. Valditara: “Nessun divieto, iniziativa propagandistica”
DI REDAZIONE SU IL FATTO QUOTIDIANO DEL 2 NOVEMBRE 2025 Ospitiamo sul nostro sito l’articolo di Redazione pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 2 novembre 2025 in cui viene commentato l’annullamento del corso di formazione e aggiornamento “La scuola non si arruola” organizzato dal CESTES in collaborazione con l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. «La polemica – in questi tempi di guerre vicine e lontane – era dietro l’angolo. Sta creando malumori e poteste l’annullamento dal parte del ministero dell’Istruzione del corso che il Cestes-Proteo insieme all’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università aveva organizzato per il 4 novembre – ricorrenza in cui si celebra la Giornata dell’unità nazionale delle forze armate – con il titolo: “4 novembre la scuola non si arruola“…continua a leggere su www.ilfattoquotidiano.it.
Il Fatto Quotidiano: “Non coerente con la formazione professionale”: il ministero boicotta il convegno anti riarmo dei prof. La protesta: “Limitata la nostra libertà”
DI ALEX CORLAZZOLI SU IL FATTO QUOTIDIANO DEL 2 NOVEMBRE 2025 Ospitiamo sul nostro sito l’articolo scritto da Alex Corlazzoli pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 2 novembre 2025 in cui viene commentato l’annullamento del corso di formazione e aggiornamento “La scuola non si arruola” organizzato dal CESTES in collaborazione con l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. «L’evento online era previsto per il 4 novembre: era stato organizzato dal Cestes (Centro studi trasformazioni economiche sociali, accreditato da viale Trastevere) in collaborazione con l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. Più di mille insegnanti si erano già iscritti…continua a leggere su www.ilfattoquotidiano.it.
#lascuolavaallaguerra Il mio "ringraziamento" personale a Peppe #Valditara ministro della distruzione e del demerito. Il suo golpe ignobile ha consentito di quadruplicare il numero dei partecipanti al Corso di formazione antimilitarista che lui non voleva far fare al personale della scuola, di quella Scuola che non si arruola e che diserta la cultura di morte. Ecco integrale il Convegno : “La scuola non va alla guerra. L’educazione alla pace risponde alla repressione” https://www.youtube.com/watch?v=hDRJ__CI2Vs
#lascuolavaallaguerra GOLPE #MILITARISTA nella #scuola ITALIANA armi in mano ai bambini e VIETATO PARLARE DI #PACE Il ministro #Valditara ha deciso che un corso dal titolo “La scuola non si arruola” non è formazione ma “propaganda politica”. https://www.youtube.com/watch?v=t35kJ7TJWH0
#nowar Vietato il convegno “La #scuola non si arruola”. No alla censura! La formazione è libera! - Firma la petizione! Io ho firmato. #Valditara mandiamolo a casa... https://c.org/9J8L4XC6dy via @ChangeItalia
Milano: giovane soldato IDF svolge lezione in una scuola ebraica
Quello che è accaduto a Milano qualche giorno fa ha davvero dell’incredibile. Studenti e studentesse di una scuola ebraica davanti a un ragazzo di 22 anni militare dell’IDF combattente nella striscia di Gaza che spiega come funziona quella che è a suo avviso «È una lotta contro il terrorismo» (clicca qui per l’articolo). Si tratta di un’operazione smaccatamente propagandistica, si chiama Hasbarà, come viene sottolineato nell’articolo: «Adi è un ragazzone con un gran sorriso, orgoglioso di difendere il suo paese, consapevole dell’importanza dell’Hasbarà», nella quale la morte di decine di migliaia di persone e decine di migliaia di bambini viene completamente sottaciuta per dare spazio solamente alla narrativa israeliana di propaganda, ma l’Hasbarà non è altro che una grandissima mistificazione della realtà. Quella andata in scena non è che un’operazione che tende a far familiarizzare gli studenti e le studentesse del triennio a Milano, in Italia, con le azioni militari per le quali i tribunali internazionali si sono espressi in termini di crimini di guerra e crimini di genocidio. Il militare che afferma davanti a studenti e studentesse: «Siamo lì perché vogliamo vivere in pace e in sicurezza, non perché vogliamo uccidere come provano a farvi credere tutte le fake news che sentite» cerca di convincerli che tutto il mondo dei media, delle istituzioni internazionali, tra cui l’ONU, delle ONG, tra cui Medici senza Frontiere che lascia Gaza City per la pericolosità della situazione, siano produttori di fake news. E che tutto ciò sia cominciato solo con l’attacco del 7 ottobre 2023. Come tutto ciò si possibile in una scuola, in Italia, ci lascia esterrefatti e contrariati. Le scuole dovrebbero insegnare i valori del dialogo, della nonviolenza, della pace, non idealizzare soldati che commettono atrocità contro i bambini e le bambine, atrocità che hanno addirittura toccato la sensibilità di Guido Crosetto, come egli stesso ha ammesso nelle sue dichiarazioni al Senato. Stiamo denunciando da tempo il processo di israelizzazione della società italiana nell’ambito del più ampio contesto della militarizzazione e apprendiamo con preoccupazione di questo pericoloso episodio propagandistico in una scuola italiana. Abbiamo tutti e tutte presenti le immagini e i video dei soldati israeliani che all’interno delle case palestinesi deridono le morti dei bambini giocando con i loro giocattoli. Abbiamo tutti presenti soldati israeliani travestiti da donne palestinesi in modo da deriderne il dolore. Abbiamo tutti presenti le risate dei soldati israeliani mentre aprono il fuoco sulle macerie di Gaza. Vogliamo che con questa propaganda partano anche ragazzi e ragazze italiane per associarci a questa barbarie sionista perpetrata ai danni di una popolazione stremata da decenni di oppressione? Come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle società chiediamo immediatamente che le forze parlamentari sensibili a questo tema procedano con una interrogazione parlamentare per chiedere conto al Governo e al ministro dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara di questa terribile propaganda di guerra nelle scuole italiane, che, sebbene siano private godono di fondi pubblici, quelli sottratti alle nostre scuole pubbliche, pluralistiche, nonviolente e antifasciste. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
C’è qualcosa di nuovo oggi a scuola… anzi d’antico
Proprio nel giorno in cui a decine di migliaia studenti e docenti, in più di 80 città d’Italia, scendono in piazza insieme a tanti altri lavoratori, pensionati, gente comune, per gridare la loro indignazione contro il genocidio palestinese con i sindacati di base, proprio oggi desideriamo pubblicare una riflessione accurata sulla scuola modello Valditara È iniziato un nuovo anno scolastico all’insegna di quella che il Ministro dell’ Istruzione (e del merito) definisce una vera “rivoluzione culturale”. Da mesi si susseguono infatti proclami sulle novità varate dal governo e sul nuovo corso a cui le scuole dovranno adeguarsi. La prima novità sarà sicuramente quella sul voto di condotta che tornerà ad essere centrale nella valutazione tanto da prevedere esami di recupero e la bocciatura con l’insufficienza; anche le sanzioni disciplinari saranno inasprite con sospensioni e svolgimento di lavori “socialmente utili”. Quindi attenzione al comportamento e addio alle usuali occupazioni che potrebbero compromettere la promozione. E a proposito di ribellioni, il rifiuto di poch* student* nel sostenere la prova orale degli esami di stato ha scatenato questa estate l’ira funesta del ministro che, a dire il vero, non vedeva l’ora di mettere mano ad una riforma della “maturità” (così dovrà infatti chiamarsi nuovamente l’esame dal prossimo anno); anche in questo caso è bastato riavvolgere il nastro e tornare indietro nel tempo. La riforma prevede infatti un colloquio con solo 4 discipline, scelte dal ministero e comunicate già a gennaio, tra le quali, naturalmente, non potranno mancare le materie base come italiano e matematica, con buona pace delle altre discipline del curricolo che, facile scommetterci, verranno abbandonate al loro destino di sopravvissute (e, con esse, i poveri docenti che già vedo vagare nei corridoi nel vano tentativo di acciuffare una pur minima interrogazione entro la fine dell’anno). Ma la vera novità è la sicura bocciatura per chi decida di sottrarsi all’ orale, una vendetta, promessa e mantenuta dopo i casi che tanto hanno fatto infuriare il povero ministro. Nel contestare il colloquio orale, in realtà, gli studenti hanno solo messo a nudo un sistema d’esame che negli anni è stato peggiorato da vari interventi ministeriali tanto da renderlo incongruente dal punto di vista valutativo. Se un esame ti dà la possibilità di raggiungere il punteggio minimo anche senza la prova orale non è certo colpa degli studenti, ma di chi ha via via modificato i criteri e i punteggi del credito e delle prove con superficialità. L’introduzione inoltre del sorteggio di un documento per iniziare l’esame, voluta senza alcun motivo ragionevole dal ministro leghista Bussetti, ha reso ancor più iniquo il colloquio, il cui giudizio finale non di rado stravolge quello dei docenti e le aspettative di chi ha affrontato con impegno lo studio e la preparazione. Con il loro rifiuto quest* ragazz* hanno semplicemente fatto notare che “ il re è nudo” e il sistema non funziona perché “non premia il merito ma l’azzardo e l’improvvisazione” come li definisce una alunna. Non si comprende altrimenti come mai quei pochi casi abbiano scatenato un dibattito su giornali e social, dibattito nel quale ogni categoria ha sentito il dovere di dire la sua, tanto da costringere il povero ministro a correre ai ripari nella probabile eventualità che si possa trasformare in un vero e proprio movimento di protesta nel prossimo autunno. A dire la verità, la passione nel metter mano alla scuola è sempre stata una regola per ogni governo in carica, quasi un sigillo da apporre per lasciare un segno indelebile del proprio passaggio nel panorama politico. Perché, si sa, è facile inventarsi qualcosa di nuovo spesso senza avere alcuna idea della scuola e dei bisogni di chi ci vive e lavora, ma estremamente difficile è smaltire nel tempo le scorie dannose di queste riforme. Così è stato per i tagli dell’allora ministra Gelmini, i cui effetti di risparmio (taglio di ore e materie, “classi pollaio”) non sono stati mai stati superati, o per la famosa “Buona scuola” di renziana memoria, rimasta nella storia soprattutto per quell’alternanza scuola-lavoro di cui non riusciamo ancora a liberarci. Il buon Valditara non si sottrae certo a questa consuetudine, anzi il marchio della destra sovranista e reazionaria dovrà essere ancor più profondo, una pietra tombale, come lui stesso ha affermato, su quella scuola erede del lassismo sessantottino che tanti danni ha provocato nei giovani, rendendoli irresponsabili, ribelli alle regole e poco inclini al senso del dovere. Così è bene cominciare dal primo ciclo, con la modifica dei giudizi valutativi e il ritorno ad un sintetico marchio, da insufficiente a ottimo, anche per i più piccoli, perché fin da quell’età inizi una sana e rigida educazione; e pazienza per il lavoro e l’impegno dei docenti nel mettere a punto un sistema valutativo adeguato all’età e ai criteri pedagogici innovativi, e pazienza anche per l’inevitabile confusione nelle famiglie. Il secondo tassello sono i programmi per la scuola primaria e secondaria di primo grado (scuola media), riscritti da una commissione ministeriale senza alcun confronto con il mondo della scuola (se non una sorta di sondaggio inviato ai vari istituti, che però non prevedeva alcuna possibilità di modifica del testo ritenuto definitivo) e con le associazioni disciplinari, le cui critiche sono state considerate solo un effetto della presunta posizione ideologica di sinistra. Leggere questi nuovi programmi è come fare un tuffo nel passato e tornare indietro di mezzo secolo, dallo studio del latino e della grammatica normativa, della storia europea in chiave identitaria e nazional-risorgimentale, allo studio dei classici della tradizione occidentale. Non riusciamo ad immaginare quali altre succose novità prevedranno i programmi delle superiori che il ministro ha promesso saranno presto pronti. Nel frattempo niente più tecnologie deleterie per i nostri ragazzi, sconsigliato anche l’uso del registro elettronico per i compiti con il ritorno al diario cartaceo, d’altronde, vuoi mettere l’antica emozione della scelta del diario al rientro a scuola? Non contento delle tante novità, il ministro ha pensato bene di introdurre un’ultima chicca che aumenterà, se mai ce ne fosse bisogno, il livello di conflittualità nelle scuole: il divieto assoluto dell’uso dei cellulari durante l’orario scolastico. Detto così sembrerebbe che gli studenti e le studentesse italiane abbiano potuto utilizzare finora con assoluta libertà lo smartphone in classe, cosa che invece non accade ormai da anni in tutte le scuole (il divieto dell’uso dei cellulari risale al 2007) dotate, con maggiore o minore flessibilità, di regolamenti più o meno rigidi che ne consentono un uso limitato, magari durante l’intervallo. E allora perché tanta solerzia da parte del Ministro? E soprattutto, perché costringere le scuole, già cariche dei loro problemi quotidiani, a gestire il controllo, la custodia dei telefoni e le sanzioni disciplinari che inevitabilmente scatteranno? La circolare prevede infatti alcuni casi in cui l’uso sarà consentito, alunn* con bisogni speciali o uso didattico in alcuni istituti tecnici, ma è chiaro che questi casi si moltiplicheranno a dismisura con richieste tra le più disparate da parte di genitori e ragazz*; l’ampia casistica sarà un ulteriore stress test per le scuole con un aumento inevitabile dei conflitti tra alunn* e docenti. Ancora una volta il ministro dimostra di non tenere in alcuna considerazione il parere di pedagogisti ed esperti che ritengono più utile intraprendere percorsi di uso consapevole di cellulari e social, piuttosto che vietarli solo per alcune ore. Ma tant’è, il modello repressivo non prevede gradualità, si punisce per educare e la (nuova ) scuola di Valditara non dovrà certo sfigurare nei confronti di un governo che deve mantenere alta l’attenzione sull’enfasi propagandistica delle scelte repressive a cui ormai ci ha abituato. Resta da chiedersi quale sarà la risposta delle associazioni studentesche che hanno già manifestato la loro contrarietà alle riforme e al modus operandi di un ministro che evita ogni confronto con il mondo della scuola; ma certo occorre anche chiedersi se questa riforma in senso autoritario e sovranista sarà veramente la pietra tombale della nostra scuola democratica. Intanto il nostalgico Valditara gioisce perché finalmente i ragazzi che si comportano male verranno severamente puniti e continua a sognare la bella scuola del passato severa e dirigista, in cui anche chi aggredisce docenti o personale scolastico verrà denunciato e punito. La stretta punitiva riguarderà anche i docenti, per i quali è previsto il divieto di manifestare critiche nei confronti dell’amministrazione, come ci insegna il caso recente del professore Christian Raimo, sospeso per avere criticato il ministro ad un evento pubblico. Ma intanto nulla è cambiato per gli insegnanti, con salari tra i più bassi d’Europa e senza speranza di risorse per l’ormai scaduto contratto; per i precari, la cui stabilizzazione si è trasformata in un percorso ad ostacoli; per le scuole fatiscenti ridotte al lumicino tra accorpamento e taglio di personale, mentre raddoppiano i finanziamenti alle scuole private. Coerentemente in linea con il passato e nonostante i proclami su una restituita dignità professionale, le riforme si fanno a costo zero per i docenti, come sempre. Pina Catalanotto
Studiare l’occidente ma contro chi?
“Solo l’Occidente conosce la Storia”. La dichiarazione con cui si apre una sezione della bozza presentata al “dibattito pubblico” dalla commissione nominata dal ministro Valditara per definire le “Nuove Indicazioni per la Scuola dell’infanzia e il Primo ciclo di istruzione”, va messa in relazione con il progetto conservatore che ha per baricentro gli Stati Uniti di Trump. -------------------------------------------------------------------------------- “Solo l’Occidente conosce la Storia”. La dichiarazione con cui si apre una sezione della bozza presentata al “dibattito pubblico” dalla commissione nominata dal ministro Valditara per definire le “Nuove Indicazioni per la Scuola dell’infanzia e il Primo ciclo di istruzione”, va messa in relazione con il progetto conservatore che ha per baricentro gli Stati Uniti di Trump. Continui rimandi all’Occidente costellano le linee guida abbozzate dalla sottocommissione “Storia”, coordinata da Ernesto Galli della Loggia. “La storia”, si legge nel testo, “costituisce il principale strumento tanto per conoscere come si è formata la nostra civiltà, per comprenderne le caratteristiche di fondo e i valori, che per inquadrare al tempo stesso le vicende della scena mondiale e i rapporti di questa con l’Occidente”. In un recente volume, pubblicato assieme alla coordinatrice scientifica della commissione, la pedagogista Loredana Perla, nonché in interviste e articoli, Galli della Loggia ha ribadito la necessità di una “grande narrazione” che privilegi la storia d’Italia, dell’Europa e dell’Occidente, rivendicando il carattere “ideologico” della riforma. Vale la pena chiarire che il concetto di Occidente è un prodotto culturale e politico relativamente recente, entrato nel lessico comune dopo la carneficina della Prima guerra mondiale. I corsi sulla “Storia della civiltà occidentale” (ribattezzati colloquialmente “from Plato to Nato”) si diffusero nelle università americane nella seconda metà degli anni Cinquanta, in piena Guerra fredda, con il dichiarato intento di consolidare un’alleanza politica, culturale e militare tra le “nazioni libere” in contrapposizione all’Unione sovietica e al movimento comunista. Tuttavia, la storia “from Plato to Nato” ha avuto vita breve, sostanzialmente quella di una generazione dal 1950 al 1970. Pur avendo attinto a sintesi pregevoli (si pensi alla History of Western Civilization di William McNeill, la cui prima edizione apparve assieme alla nascita della Nato nel 1949), questi corsi sono diventati obsoleti dopo l’emergere dei paesi del cosiddetto “Terzo mondo” a seguito della decolonizzazione, con i suoi riverberi di terzomondismo e anti-imperialismo diffusi nella generazione dei “sessantottini”, nonché per le pretese di ampi settori della classi dirigenti dell’Europa occidentale di elaborare un’identità differente rispetto a quella degli Usa. Dopo la fine della Guerra fredda intellettuali come Samuel Huntington, autore de Lo scontro delle civiltà, o Niall Ferguson, storico e saggista neoconservatore, hanno tentato di rilanciare il progetto di “civiltà occidentale”. Ferguson, in Civilization: The West and the Rest, apparso nel 2011 con il titolo Occidente. Ascesa e crisi di una civiltà, ha attribuito l’ascesa europea a sei “killer app” (competizione, scienza, proprietà privata, medicina, consumismo ed etica del lavoro). Sulle due sponde dell’Atlantico, prevaleva però una storiografia critica del colonialismo, aperta a misurare l’influenza di civiltà e popoli non europei nel plasmare le vicende delle stesse nazioni europee e un’attenzione, fin troppo dogmatica, verso le “minoranze svantaggiate”, anche a scapito dei sempre più rari insegnamenti e dipartimenti di “studi classici” e di storia europea. Una novità recente è rappresentata dall’emergere del “nuovo conservatorismo” che ha sospinto la campagna elettorale di Donald Trump verso il secondo mandato. Questo movimento culturale e politico si è rafforzato nella feconda contaminazione con il conservatorismo europeo, di cui Fratelli d’Italia è componente importante. Figura carismatica di quella che definisce una “contro-rivoluzione culturale conservatrice” (nel 2023 ha pubblicato il suo manifesto La rivoluzione culturale americana. Coma la sinistra radicale ha conquistato tutto) è Christopher Rufo, secondo il New York Times “il più importante attivista della politica americana dai tempi di Ralf Nader”. Rufo, un passato nella sinistra radicale, ha contribuito a spingere il Trump II ad attaccare frontalmente le istituzioni educative del Paese. Trump ha firmato un decreto per sciogliere il ministero dell’Istruzione e sforbiciato i finanziamenti federali alle università, partendo dai 400 milioni di dollari alla Columbia University, uno degli epicentri delle proteste studentesche contro il massacro dei palestinesi a Gaza.Rufo si è scagliato contro le politiche di “discriminazione positiva” (affermative action) che avrebbero imposto selezioni basate su criteri di razza e genere, nonché contro la “critical race theory”, i cui esponenti più radicali promuoverebbero “la redistribuzione di terra e ricchezza su basi razziali”. I nuovi conservatori mettono in discussione l’intero impianto della legislazione sui diritti civili degli anni Sessanta che nessun presidente repubblicano prima di Trump avrebbe avuto il coraggio di scalfire. Rufo considera vitale introdurre criteri selettivi puramente meritocratici (“un sistema spartano indifferente al colore”) e smontare le istituzioni che supportano il “woke”, le “teorie gender” e il “marxismo razziale”. Una specifica attenzione è riservata alle università. “Un mio obiettivo di medio o lungo termine”, dice Rufo al NYT, “è adottare una formula di finanziamento del governo federale che le metta addosso un terrore esistenziale, portandole a dire ‘a meno che non cambiamo quel che stiamo facendo, non potremmo pareggiare il bilancio per il prossimo anno”. Columbia, dopo i tagli, ha infatti modificato in senso restrittivo le norme sulla gestione delle proteste studentesche e “commissariato” il Dipartimento di studi mediorientali, noto nel mondo anche perché vi aveva insegnato il palestinese Edward Said, autore di Orientalism, uno dei testi chiave degli studi post-colonali. In parallelo, con il supporto del governatore della Florida DeSantis, Rufo ha inaugurato un nuovo modello di università, il New College, che promette di incoraggiare nelle discipline umanistiche “un impegno condiviso a una cultura del dibattito civile che tenda verso il vero, il bene e il bello, che costituiscono la grande tradizione della Civiltà occidentale”. La guerra all’ordinamento scolastico e universitario americano, pur elitario e fortemente diseguale, viene portata dal nuovo conservatorismo in nome del decentramento e di ulteriori privatizzazioni, e si combina con il rilancio di un discorso sull’Occidente. Se questo ha confini geografici mutevoli come lo sono gli umori della diplomazia internazionale, estendendosi dal Canada al Giappone, per inglobare l’Australia e l’Argentina di Milei (ma non il Brasile di Lula), ha il vantaggio di poter essere plasmato in un progetto politico reazionario. Alla fine degli anni cinquanta il progetto era quello della lotta al comunismo internazionale. Oggi il progetto sembra, nella sua dimensione esterna, quello di contrapporsi al Sud globale (in primo luogo alla Cina), proprio nel momento in cui i BRICS hanno superato i Paesi del G7 per prodotto interno lordo, e la Cina non solo è la principale potenza industriale del pianeta, ma sfonda la frontiera tecnologica, dall’intelligenza artificiale alle rinnovabili. Nella sua dimensione interna, il “progetto Occidente” incarna invece una battaglia sociale e culturale contro quelle componenti della società, cresciute anche assieme a flussi migratori mal governati, che vedono nella critica alla natura coloniale dell’espansionismo europeo un elemento chiave della propria identità – e non si ritrovano in definizioni che stigmatizzano come “antisemita” chiunque critichi lo stato di Israele e i crimini contro l’umanità perpetrati dalla sua attuale leadership. Un Occidente contro il Sud, sia fuori che dentro le stesse società occidentali. Se dunque la riforma dell’insegnamento della storia dovrà valorizzare, alla luce delle ricerche più recenti, l’evoluzione storica dell’Italia e dell’Europa, inquadrandole, come sostiene la commissione, nelle “vicende della storia mondiale”, è opportuno che ciò avvenga tenendosi debitamente alla larga da riferimenti ad un progetto così ideologicamente connotato e divisivo come quello di Occidente. (Pubblicato su Il Fato Quotidiano)