Per una politica della possibilità qui e ora
PROTEGGERE IL SENSO DI ATTIVITÀ MARGINALIZZATE DALL’ECONOMIA CAPITALISTA (IL
LAVORO DI CURA, L’AUTOPRODUZIONE, L’AGRICOLTURA DI SUSSISTENZA, IL VOLONTARIATO,
LE PRATICHE COMUNITARIE), RICONOSCERE L’IMPORTANZA DI UNA “POLITICA DELLA
POSSIBILITÀ” QUI E ORA, VIVERE LA RICERCA COME ESPERIMENTO E NON SOLO MOMENTO
VALUTATIVO, PENSARE IL CAMBIAMENTO SEMPRE A PARTIRE DAL CAMBIAMENTO DI SÉ. SONO
PASSATI OLTRE TRE DECENNI DA QUANDO IL PENSIERO DI J.K. GIBSON-GRAHAM HA
COMINCIATO A SCUOTERE LE FONDAMENTA DELLA RICERCA E DELLA PRATICA MARXISTA DA
UNA PROSPETTIVA FEMMINISTA POST-STRUTTURALISTA. J.K. GIBSON-GRAHAM È LO
PSEUDONIMO ACCADEMICO SCELTO DALLE GEOGRAFE ECONOMICHE KATHERINE GIBSON E JULIE
GRAHAM. OLTRE IL CAPITALOCENTRISMO. PER UNA POLITICA DELLA POSSIBILITÀ QUI E ORA
(MIMESIS ED.) È IL LIBRO CHE RACCOGLIE ALCUNI SUOI SCRITTI PIÙ SIGNIFICATIVI E
INTRODUCE PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA IL PENSIERO DI J.K. GIBSON-GRAHAM.
L’INTRODUZIONE DI OLTRE IL CAPITALOCENTRISMO
Laboratorio di intreccio di materiali naturali presso Cascina Rapello (in una
frazione di Airuno a 15 km da Lecco), un angolo di mondo di cui si prende cura
la cooperativa Liberi sogni
--------------------------------------------------------------------------------
Sono passati ormai oltre tre decenni da quando il lavoro di J.K. Gibson-Graham
ha iniziato a scuotere le fondamenta della ricerca e della pratica marxista da
una prospettiva femminista post-strutturalista. J.K. Gibson-Graham è lo
pseudonimo accademico scelto dalle geografe economiche Katherine Gibson e Julie
Graham. Le due si sono conosciute negli anni Settanta durante il dottorato alla
Clark University, in Massachusetts e sono presto diventate amiche. Da questa
amicizia è nata un’intesa intellettuale profonda che avrebbe dato origine a una
delle collaborazioni più longeve e influenti nell’ambito del pensiero geografico
contemporaneo.
Le tesi dottorali di entrambe si basavano sull’economia politica marxista per
analizzare i processi di ristrutturazione economica che stavano portando al
declino di alcune regioni industriali “tradizionali” in Australia (Gibson) e
negli Stati Uniti (Graham). Dopo il conseguimento del dottorato, Gibson è
tornata a lavorare in Australia (prima all’Università Nazionale Australiana, poi
all’Università di Sydney, alla Monash e infine alla Western Sydney) mentre
Graham ha continuato il suo percorso negli Stati Uniti, all’Università del
Massachusetts ad Amherst, dove è rimasta fino alla sua morta nel 2010, dopo
essere anche stata a capo del Dipartimento di Geoscienze.
Nonostante la notevole distanza fisica in tempi precedenti a Internet, l’impegno
condiviso nei confronti dell’economia politica e della sperimentazione
intellettuale è proseguito senza interruzioni per oltre trent’anni. Come
affermato da loro stesse, “abbiamo percorso un cammino personale che si
arricchisce continuamente, man mano che emergono nuove sfide nel relazionarsi e
nel pensare/scrivere insieme”. Il risultato di questi sforzi è stata una
geografia economica femminista post-strutturalista teoricamente sofisticata che
ha messo al centro il ruolo del soggetto e la capacità trasformativa dei
processi di ricerca, trasformando profondamente il dibattito su economia e
sviluppo all’interno della geografia e delle scienze sociali più in generale.
Il primo articolo co-firmato da Gibson e Graham (ma non ancora con lo pseudonimo
Gibson-Graham) del 1986 era un intervento teorico marxista che sviluppava la
loro teoria sulla ristrutturazione economica includendo nuove forme di
migrazione internazionale di lavoro a contratto. In quegli anni, l’influenza
dell’analisi strutturale marxista stava cominciando a essere messa in
discussione all’interno della geografia economica; per Gibson e Graham,
l’incontro col femminismo post-strutturalista e l’economia marxista
anti-essenzialista di Stephen Resnick e Richard Wolff, colleghi di Graham ad
Amherst, sembra aver rappresentato un punto di svolta fondamentale verso il
tentativo di riteorizzare capitalismo e classe. La firma unica di
“Gibson-Graham” è nata in una stanza di dormitorio durante una conferenza
femminista alla Rutgers University nel 1992. Da qui ha preso vita il loro primo
articolo a firma Gibson-Graham, dal titolo memorabile Waiting for the
revolution, or how to smash capitalism while working at home in your spare time
(“Aspettando la rivoluzione, o come distruggere il capitalismo lavorando da casa
nel tempo libero”), pubblicato sulla prestigiosa rivista Rethinking Marxism nel
1993. È proprio con la traduzione di questo testo che si apre la presente
antologia, il cui obiettivo principale è introdurre il pubblico in lingua
italiana ad alcuni dei principali concetti e contributi analitici proposti da
Gibson-Graham nel corso della sua prolifica produzione teorica. Sebbene il
lavoro di Gibson-Graham abbia avuto un’influenza notevole su numerosi dibattiti
contemporanei in diversi ambiti disciplinari non solo in lingua inglese, ma
anche in italiano (tra i più recenti, si veda ad esempio quello sul pluriverso),
esso non è tuttavia disponibile in traduzione italiana. La presente antologia
rappresenta quindi il tentativo di rimediare a questa mancanza, raccogliendo una
serie di contributi pubblicati tra il 1993 e il 2010, inclusi alcuni dei
capitoli contenuti all’interno delle due monografie che hanno reso Gibson-Graham
maggiormente nota a livello internazionale: The End of Capitalism (As We Knew
It) del 1996 e A Postcapitalist Politics del 2006.
Come la stessa Gibson-Graham osserva nell’introduzione alla seconda edizione, la
prima edizione di The End of Capitalism è stata pubblicata nel pieno
dell’ossessione accademica per la globalizzazione capitalista, e rappresentava
una sfida profonda alle forme accettate di marxismo e neo-marxismo che allora
dominavano la geografia economica. Del resto, come si evince dalla sua
biografia, Gibson-Graham stessa era profondamente immersa in queste tradizioni
intellettuali e disciplinari, e questo si rifletteva nel suo interesse per la
teorizzazione della classe sociale, emerso già nei primi lavori firmati con lo
pseudonimo collettivo. Il libro si proponeva di sfidare i discorsi teorici
basati su forze economiche disincarnate, sull’egemonia capitalista e
sull’omogeneizzazione legata alla globalizzazione. Ispirata in particolare dagli
approcci anti-essenzialisti al marxismo, Gibson-Graham voleva mettere in
discussione l’essenzialismo e il riduzionismo dei discorsi economici sia
tradizionali che marxisti, decostruendo l’economia per dimostrare che non si
tratta di uno spazio chiuso con un’identità capitalista fissa, ma può essere
aperta ad altre interpretazioni.
Per realizzare tale obiettivo, influenzata dalla teoria femminista di Elizabeth
Grosz sul fallocentrismo, Gibson-Graham ha introdotto il concetto di
capitalocentrismo, il quale descrive il binarismo dominante del discorso
economico che tende ad assegnare caratteristiche positive di unità e totalità al
capitalismo, mentre le pratiche economiche non-capitaliste vengono subordinate
al capitalismo, in quanto mancanti o insufficienti e comunque sempre ricondotte
nell’orbita del capitalismo. Secondo Gibson-Graham, il discorso capitalocentrico
finisce per ridurre e cancellare la differenza economica, per cui ogni pratica
viene ricondotta all’unità capitalista. Il capitalocentrismo si presenta quindi
come una modalità, una struttura o una tendenza a organizzare la differenza
economica in un modo tale per cui le categorie, le pratiche, i soggetti e gli
spazi capitalisti (ad esempio, il lavoro salariato, la proprietà privata,
l’impresa capitalista) vengono considerati più reali, centrali, coerenti e
determinanti rispetto ad altri (come il lavoro domestico, l’agricoltura di
sussistenza familiare, il lavoro schiavistico, le cooperative di produzione, la
cura, il mercato nero, i beni comuni, il lavoro forzato). Avvicinarsi a queste
differenze realmente esistenti senza presumere che esse debbano necessariamente
allinearsi secondo logiche predeterminate o identità che le surdeterminano è al
centro dell’ormai celebre strategia di Gibson-Graham di “leggere per differenza
piuttosto che per dominanza” (si vedano i capitoli 4 e 6).
Sfidare il capitalocentrismo significa, quindi, per Gibson-Graham, rendere
visibile la molteplicità di processi di classe capitalisti e non-capitalisti
presenti all’interno di qualsiasi formazione economica. Contestando la coerenza
e la permanenza del capitalismo attraverso la teorizzazione dell’economia come
molteplicità di forme coesistenti — tra le altre, feudalesimi, schiavitù,
produzione indipendente di merci, produzione domestica e varie forme di
capitalismo — il suo lavoro mira ad aprire spazi concettuali non solo per
molteplici letture dell’economia, ma anche per una vasta gamma di lotte
politiche.
Un esercizio intellettuale di tale portata richiede uno sforzo concettuale
importante, che ha portato, forse più di qualunque altro contributo,
all’introduzione di approcci nuovi, combinati in maniera creativa, nell’ambito
della geografia economica. Ciò ha significato andare ben al di là della tendenza
diffusa a confrontarsi con visioni eterodosse dell’economia, promuovendo un
intervento teorico primario radicale. Ecco, quindi, che in The End of
Capitalism, trovano spazio, accanto ad Althusser, Engels e Marx, anche Derrida,
Foucault, Grosz, Irigaray, Haraway e Sedgwick. Se questi nomi potevano essere
familiari a chi si occupava di geografia culturale, essi erano profondamente
lontani dai programmi di studio sull’economia e lo sviluppo. Sulla scia di tali
influenze, la decostruzione era lo strumento metodologico principale adottato
nel libro al fine di rompere le narrazioni consolidate che plasmavano l’analisi
e la politica della sinistra.
Questa fase iniziale segnava l’inizio di un progetto intellettuale più ampio,
culminato nell’ambizione di produrre un linguaggio e una politica della
differenza economica. Ciò ha comportato, innanzitutto, la rottura con le
concezioni egemoniche del capitalismo come descrittore economico e sociale
predeterminato, aprendo la strada alla ridefinizione di concetti chiave del
marxismo come quelli di classe e surplus. Tale progetto si è basato fortemente
sulla “teoria debole” (weak theory) così come concettualizzata da Sedgwick in
opposizione alla “teoria forte” (strong theory). Secondo Gibson-Graham, la
teoria forte rappresenta un approccio distaccato e critico, caratterizzato da
una posizione paranoica in cui la diversità viene appiattita nell’uguaglianza,
spinta dalla necessità di rendere generalizzabile e universale la conoscenza
generata dai processi di ricerca. La “forza” di tale teoria non proviene dalla
sua efficacia ma dall’ampiezza e dal tipo di dominio che essa organizza. Laddove
la teoria debole è vista come “poco più che una descrizione” che si occupa solo
di fenomeni vicini o situati, la teoria forte ordina fenomeni vicini e lontani
in un unico sistema, riconducendoli a un’unica causa comune. Estendendo la
propria portata, la teoria forte assume una posizione sempre più anticipatoria,
finendo per rivelare poco più che i risultati già presunti. Ne consegue che
“tutto finisce per significare la stessa cosa, solitamente qualcosa di grande e
minaccioso”. Nel caso della ricerca sulle pratiche economiche, questo si traduce
nel liquidare come insignificanti le pratiche definite “alternative” solo perché
non rientrano nei modelli dominanti.
Tuttavia, il progetto di Gibson-Graham non si è limitato a decostruire il
capitalocentrismo del linguaggio, portando alla luce la diversità di pratiche e
soggettività economiche che già esistono qui e ora. Esso ha fornito gli
strumenti (pratici) per realizzare quella che Gibson-Graham ha definito
“politica della possibilità”. Tale progetto inizia a essere realizzato appieno
in A Postcapitalist Politics, dove Gibson-Graham propone di abbandonare le
narrazioni cupe di sfruttamento capitalista e impotenza per promuovere pratiche
di pensiero critico che ripensino le economie come multiple e differenziate,
creando nuovi spazi per l’azione collettiva e nuove possibilità di
soggettivazione che conducano alla realizzazione della politica della
possibilità. A Postcapitalist Politics rappresenta quindi l’invito alla comunità
accademica a riconoscere il potere costitutivo dei propri approcci analitici e a
comprendere che, attraverso il proprio lavoro, essa contribuisce a creare e a
mettere in scena i mondi che si abitano. Il progetto ontologico sull’economia
diversa che viene a delinearsi si fonda su un orientamento sperimentale alla
ricerca (nella forma della ricerca-azione). Nelle parole di Gibson-Graham,
quest’orientamento sperimentale si caratterizza per un interesse verso
l’apprendimento piuttosto che verso il giudizio. Trattare qualcosa come un
esperimento sociale significa aprirsi a ciò che esso ha da insegnarci,
un’attitudine molto diversa dal compito critico di valutare se qualcosa sia
buono o cattivo, forte o debole, mainstream o alternativo. L’approccio
sperimentale riconosce che ciò che stiamo osservando è in cammino verso
qualcos’altro, e si interroga su come poter partecipare a questo processo di
divenire. Questo non significa che le nostre raffinate capacità critiche non
abbiano un ruolo nella ricerca, ma che la loro espressione passa in secondo
piano rispetto all’orientamento sperimentale.
In linea con l’influenza del femminismo post-strutturalista e della teoria
queer, tale orientamento sperimentale (alla ricerca e alla pratica politica) non
può che passare per il soggetto, ovvero non esiste cambiamento possibile che non
parta dal cambiamento di sé. Infatti, recita uno dei passaggi del capitolo
Coltivare soggetti per un’economia di comunità: “Se cambiare noi stesse
significa cambiare i nostri mondi, e la relazione è reciproca, allora il
progetto di fare la storia non è mai qualcosa di lontano, ma è sempre qui, ai
margini dei nostri corpi che sentono, pensano, provano emozioni e si muovono”.
Per produrre cambiamento, questo processo di soggettivazione deve essere, per
Gibson-Graham, collettivo e basato sul riconoscimento imprescindibile del nostro
essere in relazione con altri esseri umani e non umani per la difesa e la
riproduzione dei beni comuni. In questo modo, il lavoro di Gibson-Graham offre
strumenti fondamentali per teorizzare e praticare l’alternativa qui e ora
partendo da sé, abbracciando gioia, sperimentazione, ottimismo e possibilità.
--------------------------------------------------------------------------------
[Cesare Di Feliciantonio
e Antonella Clare Vitiello]
--------------------------------------------------------------------------------
Riferimenti bibliografici
Gibson-Graham J.K., The End of Capitalism (As We Knew It), University of
Minnesota Press, Minneapolis 1996.
Gibson-Graham J.K., A Postcapitalist Politics, University of Minnesota Press,
Minneapolis 2006.
Gibson-Graham J.K., Diverse economies: performative practices for ‘other
worlds’, in “Progress in Human Geography”, XXXII, n. 5, 2008, pp. 613-632.
Gibson K., Graham J., Situating migrants in theory: the case of Filipino migrant
contract construction workers, in “Capital and Class”, XXIX, n. 1, 1986, pp.
130-149.
Kothari A., Salleh A., Escobar A., Demaria F., Acosta A. (a cura di),
Pluriverso. Dizionario del post-sviluppo, ed. it. a cura di M. Benegiamo, A. Dal
Gobbo, E. Leonardi, S. Torre, Orthotes, Napoli 2021
Sedgwick E.K., Touching feeling: Affect, pedagogy, performativity, Duke
University Press, Durham 2003.
--------------------------------------------------------------------------------
L'articolo Per una politica della possibilità qui e ora proviene da Comune-info.