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Genocidio israelo-statunitense a Gaza: 660° giorno. 132° dalla fine unilaterale del cessate il fuoco. Morte per fame. Bambini disperati
Gaza-InfoPal. Le forze nazi-sioniste di occupazione israeliane (IOF) hanno continuato la loro guerra genocida sulla Striscia di Gaza per il 132° giorno consecutivo dopo aver posto fine unilateralmente al cessate il fuoco, sostenuti politicamente, economicamente e militarmente dagli Stati Uniti, dall’Europa e da parte del mondo arabo. Decine di attacchi aerei e raffiche di artiglieria hanno colpito tutto il territorio, prendendo di mira case, tende e rifugi civili, e centri di distribuzione aiuti. Si tratta di una campagna sistematica di sterminio contro la popolazione civile di Gaza. Il ministero della Salute di Gaza segnala 14 decessi nelle ultime 24 ore dovuti a fame e malnutrizione, tra cui due bambini deceduti per fame estrema. Ciò avviene nel contesto di un blocco totale israeliano e di una campagna di carestia in corso contro 2 milioni (i restanti di 2,2 milioni) di palestinesi nella regione. Palestinesi affamati, compresi bambini, si affannano per procurarsi cibo di cui hanno disperatamente bisogno in una mensa di beneficenza a Gaza, nel mezzo della guerra per la fame in corso sul territorio da parte di Israele. (Fonti: Quds Press, Quds News network, PressTv, PIC, Wafa, The Cradle, Al-Mayadeen; ministero della Salute di Gaza; Euro-Med monitor, Telegram; credits foto e video: Quds News network, PIC, Wafa, ministero della Salute di Gaza, Telegram e singoli autori). Per i precedenti aggiornamenti: https://www.infopal.it/category/genocidio-e-pulizia-etnica-a-gaza
Il capo dell’UNRWA: i lanci aerei non fermeranno la carestia a Gaza, urge aprire i valichi di frontiera
New York – PIC. Philippe Lazzarini, Commissario Generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi (UNRWA), ha affermato sabato che i lanci aerei di aiuti umanitari su Gaza sono una distrazione inefficace e pericolosa rispetto all’urgente necessità di revocare l’assedio e aprire i valichi di frontiera. «I lanci aerei su Gaza sono solo una distrazione e una cortina fumogena», ha dichiarato Lazzarini in un comunicato stampa, avvertendo che tali operazioni «non fermeranno il peggioramento della carestia» nella Striscia assediata. Ha sottolineato che queste operazioni sono costose, inefficienti e potenzialmente letali per i civili, sollecitando invece la consegna degli aiuti via terra, che ha definito «più facile, più efficace, più rapida, più sicura e più dignitosa per la popolazione di Gaza». Lazzarini ha rivelato che 6.000 camion carichi di aiuti umanitari essenziali sono attualmente in attesa in Giordania ed Egitto, pronti a entrare a Gaza non appena sarà concesso il permesso. Ha quindi chiesto la revoca immediata dell’assedio, l’apertura di tutti i valichi e la possibilità per le agenzie delle Nazioni Unite e i partner umanitari di operare liberamente nella Striscia. Le sue dichiarazioni arrivano mentre aumentano le discussioni sugli aiuti lanciati dal cielo. Un funzionario israeliano ha detto alla CNN venerdì che Tel Aviv consentirà a paesi stranieri di effettuare lanci aerei nei prossimi giorni, menzionando Giordania ed Emirati Arabi Uniti come partecipanti. Tuttavia, molte fazioni palestinesi e organizzazioni umanitarie internazionali hanno criticato il piano, sottolineando che i lanci aerei non possono sostituire un accesso continuativo e sostenibile degli aiuti via terra. I precedenti lanci aerei autorizzati da Israele si sono rivelati pericolosi e tragici, con decine di palestinesi uccisi dopo che i pacchi di aiuti sono caduti su di loro o sono atterrati in zone pericolose. Sabato mattina, l’Ufficio Stampa del Governo di Gaza ha lanciato un allarme per una catastrofe umanitaria senza precedenti: oltre 100.000 bambini, tra cui 40.000 neonati, rischiano la vita a causa del blocco. Il bilancio complessivo delle vittime per fame e malnutrizione è salito a 122, tra cui 83 bambini, e si prevede che aumenterà drasticamente con il protrarsi dell’assedio e la chiusura dei valichi. Nel frattempo, le agenzie delle Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie hanno lanciato avvertimenti urgenti: il cibo terapeutico per i bambini gravemente malnutriti sta per esaurirsi, mettendo a repentaglio la vita di migliaia di persone tra le più vulnerabili. Dal 7 ottobre 2023, Israele sta conducendo una guerra genocida contro Gaza, caratterizzata da uccisioni di massa, fame deliberata, sfollamenti forzati e distruzione delle infrastrutture civili, il tutto con il pieno appoggio degli Stati Uniti e in violazione del diritto internazionale e delle sentenze della Corte Internazionale di Giustizia.
La fame miete cinque vittime a Gaza
Gaza – PIC. Cinque cittadini palestinesi, tra cui due bambini, sono morti di fame e malnutrizione nella Striscia di Gaza nelle scorse 24 ore, secondo una dichiarazione rilasciata sabato sera dal ministero della Salute di Gaza. Secondo il Ministero, la campagna israeliana di fame deliberata a Gaza ha causato finora la morte di almeno 127 palestinesi, tra cui 85 bambini. Nel frattempo, il dottor Ahmed al-Farra, direttore dell’ospedale pediatrico presso il Nasser Medical Complex, ha avvertito che i bambini affamati di Gaza non possono resistere a lunghi periodi senza cibo, rendendoli estremamente vulnerabili a gravi rischi per la salute. “Stiamo affrontando la situazione più dolorosa degli ultimi 22 mesi”, ha dichiarato il dottor al-Farra.
Il bilancio delle vittime della fame a Gaza sale a 122 a causa del blocco israeliano in corso
Gaza. Il numero di palestinesi morti a causa dell’attuale guerra della fame condotta da Israele nella Striscia di Gaza è salito a 122, dopo il decesso di altre nove persone nelle scorse 24 ore, secondo fonti mediche. Tra le vittime della crisi alimentare in corso, causata dal blocco israeliano, si contano 83 bambini. L’ultima vittima è un bambino deceduto venerdì mattina per fame e grave malnutrizione. Le stime attuali indicano che 900.000 bambini nell’enclave assediata soffrono la fame, e che 70.000 di loro hanno raggiunto uno stadio di malnutrizione acuta. L’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi (UNRWA) aveva già avvertito che i tassi di malnutrizione tra i bambini sotto i cinque anni sono raddoppiati tra marzo e giugno di quest’anno. L’agenzia attribuisce questo allarmante aumento al blocco israeliano in corso, che ha gravemente limitato l’accesso a cibo, forniture mediche e aiuti umanitari. Le organizzazioni per i diritti umani e i gruppi di aiuto umanitario hanno lanciato l’allarme per la catastrofe umanitaria in atto a Gaza, sollecitando un intervento internazionale immediato per porre fine al blocco e fornire assistenza salvavita alla popolazione. (Fonti: Wafa, Quds News).
Genocidio in Palestina: le tecniche con cui i media normalizzano l’orrore
Gaza-L’Antidiplomatico.it. Di Maylyn López. La Striscia è sprofondata in una catastrofe umanitaria di proporzioni bibliche. Secondo i dati più aggiornati delle Nazioni Unite, oltre 50.000 palestinesi hanno perso la vita e circa 115.000 sono rimasti feriti nel massacro che Israele ha messo in scena dal 7 ottobre 2023. 1,9 milioni di persone – praticamente l’intera popolazione di Gaza – risultano sfollate, mentre intere porzioni del territorio sono state rase al suolo. Città come Rafah semplicemente sono state cancellate dalla mappa.  Mentre le bombe e le privazioni mietono vittime, l’indignazione internazionale resta attenuata, intermittente, quasi anestetizzata. Come è possibile? Quali meccanismi comunicativi e cognitivi permettono al mondo di assistere, perlopiù impassibile, a questa tragedia? La dissonanza cognitiva è quel malessere psicologico che insorge quando credenze e realtà confliggono. Nel caso della Palestina, chi da un lato crede nei diritti umani universali ma dall’altro supporta o giustifica le azioni militari indiscriminate di Israele, si trova in una tensione interna. Per ridurla, inconsciamente può attuare strategie mentali: ad esempio convincersi che “in fondo Hamas usa i civili come scudi umani, quindi quelle morti non sono colpa nostra”, oppure che “è una guerra al terrorismo, i civili sono vittime inevitabili”. Si sposta l’attenzione dalla sofferenza umana al quadro narrativo che la giustifica.  Un ruolo rilevante lo gioca anche il bias empatico di gruppo. Studi neuroscientifici hanno dimostrato che gli esseri umani provano più empatia per chi percepiscono come simile o appartenente al proprio gruppo, mentre l’empatia cala verso l’“altro”, soprattutto se intervengono paure e pregiudizi. In situazioni di conflitto etnico-nazionale, i media e la propaganda enfatizzano le differenze, seminano paura dell’altro (dipinto magari come fanatico, barbaro o terrorista), con l’effetto di ridurre biologicamente la nostra capacità di provare compassione.  Questo vale in maniera evidente nel caso dell’attacco da parte di Israele contro la Palestina. Nei media occidentali, la sofferenza di questo popolo è filtrata attraverso frame o cornici che riducono o omettono:  si parla di “conflitto”, “operazione militare”, “risposta difensiva”. Raramente si usano parole come “massacro”, “occupazione”, “pulizia etnica”. Il lessico anestetizza l’orrore. Le vittime israeliane vengono descritte come “brutalmente uccise”; i palestinesi, semplicemente, “muoiono”. Le responsabilità svaniscono dietro il passivo verbale: “sono stati trovati morti”. Dietro l’indifferenza di parte della comunità internazionale verso la tragedia palestinese, agiscono potenti meccanismi psicologici. Judith Butler, filosofa, si chiede provocatoriamente: “Chi è considerato umano? Quali vite contano come vite? Che cosa rende una vita degna di lutto?” . Nel suo saggio Frames of War, Butler sostiene che nei nostri apparati cognitivi e culturali esiste una cornice che decide quali vite siano “piangibili” (grievable) e quali no. Se una vita non rientra nel quadro di ciò che la nostra società considera degno di cordoglio, la sua perdita non ci scuote né ci indigna allo stesso modo. Per risolvere l’incongruenza fra i nostri valori umani dichiarati e l’indifferenza di fatto verso certe vittime, tendiamo ad adattare la percezione – minimizzando la sofferenza altrui, giustificando l’ingiustificabile come “necessario”. Come aveva brillantemente anticipato Carl von Clausewitz, il fenomeno comunicativo è diventato il vero centro di gravità della guerra: guida la percezione, la modifica e adatta alle necessità di chi ha il potere dell’informazione. Lo conferma anche Bernard Cohen, secondo cui “se un governo perde il controllo sulla narrazione mediatica, può perdere il potere di usare la forza militare”. Framing mediatico: vittime “degne” o vittime invisibili. Nel suo saggio The Press and Foreign Policy (1963), il politologo Bernard Cohen formulò una massima tuttora illuminante: i media “possono non riuscire sempre a dire alla gente cosa pensare, ma sono sorprendentemente abili nel dire alla gente a cosa pensare”. Questa funzione di agenda-setting diventa cruciale nei conflitti. Già Edward Said denunciava che ai palestinesi è stata a lungo negata perfino la “permission to narrate”, ovvero il permeso di raccontare la propria storia. La narrazione dominante del conflitto israelo-palestinese nei media occidentali tradizionali è spesso improntata a un frame squilibrato: gli attacchi che colpiscono civili israeliani ricevono una copertura mediatica immediata, dettagliata, personalizzata; al contrario, le sofferenze palestinesi – pur numerose e collettive – tendono a essere raccontate in modo vago, impersonale, talvolta giustificate con il lessico asettico delle “rappresaglie” o dei “danni collaterali”. Con le più avanzate tecniche nel campo della persuasione di massa, la comunicazione sceglie cosa inquadrare e di mostrare. Come spiega il politologo Robert Entman, “inquadrare significa selezionare alcuni aspetti della realtà percepita e renderli più salienti nel testo comunicativo”. Così, i media possono decidere se mostrare le macerie di un ospedale bombardato a Gaza o piuttosto le immagini del terrore in un kibbutz israeliano; se usare parole come “massacro” oppure “operazione di sicurezza”, stabilendo implicitamente, per esempio, chi merita empatia e chi invece può essere ignorato. Le neuroscienze e la psicologia cognitiva confermano che le persone sono più inclini ad agire quando vedono e comprendono la sofferenza di un individuo identificabile. È il cosiddetto identifiable victim effect. Le storie personali attivano il sistema limbico, sede delle emozioni. I gruppi anonimi, invece, generano distacco, specialmente quando le immagini vengono oscurate con l’etichetta “contenuto sensibile”. In questo scenario, i media decidono cosa si può vedere, cosa no. Questa dicotomia alimenta un doppio standard empatico, che crea una gerarchia morale tra le vittime. È su questa base che si costruisce — e si legittima — l’accettazione silenziosa di un genocidio. I teorici della comunicazione, Edward Herman e Noam Chomsky, già negli anni ’80 analizzarono questo fenomeno con il concetto di worthy and unworthy victims – vittime degne e indegne. Nel modello di Herman e Chomsky, i media nelle società occidentali tendono a dare ampia visibilità e umanità alle vittime di regimi nemici o di cause “utili” alla propria agenda, mentre minimizzano le vittime di regimi alleati o “amici” .  In questo modo, le vittime degne monopolizzano l’empatia pubblica, diventano “persone come noi”; le “vittime indegne”, al contrario, rimangono numeri senza nome. Dissonanza cognitiva e bias empatici. La conseguenza è duplice. Da un lato, l’opinione pubblica occidentale è incoraggiata a immedesimarsi nelle paure e nel dolore di una parte (tipicamente, “gli israeliani colpiti da attacchi terroristici”), riconoscendo loro pienamente lo status di vittime umane innocenti. Le vittime dell’altra parte (i palestinesi sotto le bombe, le famiglie decimate a Gaza) vengono, al contrario, spersonalizzate. Questa sproporzione narrativa alimenta un bias empatico: l’empatia collettiva si attiva selettivamente, guidata non tanto dall’entità oggettiva della sofferenza, quanto dal frame mediatico e politico in cui quella sofferenza è presentata. Chi muore “dalla parte sbagliata” rischia di non entrare nemmeno nel cerchio della nostra compassione.  Questo meccanismo rientra perfettamente nel modello di Manufacturing Consent elaborato da Noam Chomsky ed Edward Herman: l’informazione passa attraverso filtri che la rendono compatibile con gli interessi dominanti. La sofferenza palestinese è oscurata, la sua legittimità negata e per questo motivo le narrazioni alternative vengono screditate o tacciate di antisemitismo. Un esperimento citato su Psychological Science ha rilevato che basta esporre le persone a immagini spaventose (collegate all’altro gruppo) per sopprimere la risposta empatica quando vedono membri di quel gruppo soffrire. La paura e la propaganda sono molto efficaci: attivano l’amigdala e altre strutture cerebrali legate all’allarme e all’aggressività, disattivando le connessioni empatiche. In altre parole, se siamo bombardati di notizie che dipingono un popolo intero come minaccioso, arretrato o diverso, finiamo con il “sentire” meno il dolore di quel popolo. Si instaura quella che alcuni psicologi definiscono “morte dell’empatia” verso l’esterno. Parallelamente, l’eccesso di immagini di violenza può avere un duplice effetto: mobilitare le coscienze oppure, al contrario, intorpidire i sentimenti. La scrittrice Susan Sontag, in Regarding the Pain of Others, rifletteva su come la visione continua di atrocità in fotografia e video possa servire a “rafforzarsi contro la debolezza, a rendersi più insensibili” .   Se ci limitiamo a consumare passivamente immagini rischiamo di costruirci una corazza emotiva per sopravvivere all’orrore, specialmente se percepiamo di non poter fare nulla per cambiarlo. Sontag però aggiungeva che non è la quantità di immagini in sé a desensibilizzarci, bensì la passività con cui le assorbiamo.  La compassione è un’emozione instabile: senza un’azione, senza una risposta etica, finisce per appassire. Così, l’opinione pubblica– esposta a un flusso costante di violenza in Medio Oriente – rischia di cadere in una sorta di shock del reale: o volta lo sguardo per non soccombere alla sofferenza altrui, oppure la osserva come attraverso un vetro, senza più reagire. In entrambi i casi, la conseguenza è micidiale: l’agonia di un popolo perde la capacità di interpellare le coscienze, diventa rumore di fondo. La comunicazione mediatica non è solo veicolo di notizie: è uno strumento di potere.  Gli errori cognitivi – come il bias di conferma, omissione e illusione della simmetria – agiscono a livello inconscio e determinano il modo in cui percepiamo la realtà. La dissonanza cognitiva nasce proprio dal conflitto tra i nostri valori dichiarati, per esempio, giustizia, diritti umani, e l’accettazione di pratiche disumane: fame, uccisioni di bambini e vittime innocenti, bombardamenti su scuole. Come scriveva Susan Sontag, nessun “noi” può essere dato per scontato di fronte al dolore degli altri. E come ci insegna l’eredità di Edward Said, ai popoli oppressi va restituito il diritto di raccontarsi: ascoltare le voci palestinesi, le loro storie quotidiane di resilienza oltre che di sofferenza, è il primo passo per restituire loro dignità e per ricalibrare il nostro stesso senso di giustizia. Di fronte alla tragedia palestinese, l’urgenza è duplice: agire per fermare l’ecatombe, e raccontare con verità ciò che sta accadendo. In gioco c’è la nostra stessa umanità.  Maylyn López Responsabile delle Relazioni Internazionali e Coordinatrice della BRNN “Belt and Road News Network” per l’AD. Docente universitaria. Specialista in Comunicazione Strategica e Istituzionale, giornalista, mediatrice internazionale. Certificazione in programmazione Neurolinguistica. 20 anni di esperienza nell’ambito diplomatico e multilaterale. 
Morti per fame: il massacro silenzioso di Gaza sotto gli occhi del mondo
 Gaza – PIC. In un mondo che continua a restare inerte, con gli occhi chiusi e il cuore intorpidito, indifferente al rintocco della campana che echeggia da Gaza – una terra martoriata da una brutale guerra di fame sionista e da un genocidio in stile nazista – la fame miete vittime. Bambini e anziani, giovani e deboli muoiono uno dopo l’altro, vittime della carestia. Centinaia, se non migliaia, attendono un imminente “tsunami” di morte, i loro corpi crollano sotto il peso della fame, incapaci di sostenerli oltre. Soffrono di malnutrizione di quinto grado, una carestia catastrofica, mentre il mondo resta in attesa che una scintilla di umanità si risvegli e salvi ciò che resta dalle fauci della fame, deliberatamente imposta dall’occupazione criminale in uno sforzo calcolato per annientare la volontà di un intero popolo, sotto gli occhi della comunità internazionale. Centinaia di storie documentate, catturate in suoni e immagini, raccontano del più orribile massacro umanitario della storia moderna. Mentre le Nazioni Unite continuano a lanciare allarmi sulla catastrofe umanitaria a Gaza, i numeri descrivono una realtà crudele: la fame è diventata una politica mortale che colpisce bambini e adulti sotto un assedio serrato e un blocco sistematico di cibo e medicine. Dati recenti delle Nazioni Unite rivelano che oltre un milione di bambini a Gaza sono minacciati dalla fame, con tassi di malnutrizione acuta in rapido aumento. Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione (UNRWA), i bambini sono i più vulnerabili e gravemente colpiti dalla crisi, poiché gli aiuti non riescono a raggiungere la maggior parte delle zone di Gaza a causa delle rigide restrizioni militari imposte da Israele. L’UNICEF ha dichiarato che la fame è diventata una “terrificante realtà” che minaccia la vita di centinaia di migliaia di bambini. Oltre 70.000 bambini a Gaza soffrono di malnutrizione acuta, e più di 5.000 bambini sotto i cinque anni sono stati ufficialmente diagnosticati solo nel mese di maggio. L’agenzia ha avvertito che Gaza è vittima di una politica sistematica di carestia imposta da Israele, che finora ha causato 86 morti per fame, di cui 76 bambini, e si prevede che tali numeri continueranno a salire a causa della mancanza di nutrizione terapeutica e del perdurare dell’assedio. Rapporti sul campo hanno documentato casi strazianti di neonati deceduti dopo aver sopravvissuto per giorni solo con tisane, a causa dell’assenza di latte artificiale e alimenti essenziali per le madri che allattano. Il Programma Alimentare Mondiale stima che un terzo della popolazione di Gaza sia rimasta senza cibo per giorni consecutivi, mentre un quarto vive in condizioni simili a una carestia, compromettendo gravemente la salute dei bambini e spingendoli sull’orlo del baratro. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha avvertito che la crisi potrebbe aggravarsi rapidamente se non verrà consentito immediatamente l’ingresso di aiuti alimentari e medici. Ha confermato che oltre 100.000 bambini e donne incinte a Gaza soffrono di livelli critici di malnutrizione, mettendo le loro vite in costante pericolo. Israele è accusato di usare la fame come arma. Organizzazioni internazionali, tra cui Amnesty International, hanno documentato prove di una campagna sistematica volta ad affamare la popolazione civile: una palese violazione del diritto internazionale e un crimine di genocidio. In assenza di una soluzione politica o di un intervento internazionale concreto, la sofferenza dei bambini di Gaza si aggrava, mentre il mondo continua a lanciare appelli vuoti. Mentre emergono immagini di bambini emaciati o di piccoli che esalano l’ultimo respiro tra le braccia delle loro madri, il grido della fame a Gaza diventa più assordante del silenzio del mondo, e più devastante di qualsiasi discorso.
Genocidio nella Striscia di Gaza: 101 persone sono morte di malnutrizione e fame, tra cui 80 bambini
Gaza-Quds News. Nelle scorse 24 ore, nella Striscia di Gaza, 15 palestinesi sono deceduti a causa della fame, portando il numero totale di morti per fame e malnutrizione a 101, tra cui 80 bambini, mentre Israele continua a bloccare l’ingresso degli aiuti umanitari nell’enclave da oltre quattro mesi. Il ministero della Salute ha aggiunto che, in totale, 101 persone, tra cui 80 bambini, sono morte per fame e malnutrizione dall’inizio del genocidio, nell’ottobre 2023. “Questo è un massacro silenzioso. Il ministero della Salute ritiene l’occupazione israeliana e la comunità internazionale pienamente responsabili. Chiediamo con urgenza l’apertura immediata di tutti i valichi per consentire l’ingresso di cibo e medicine”, ha aggiunto. Domenica, in Gaza, è morto almeno un palestinese di fame ogni 80 minuti, poiché “Israele mantiene una sistematica politica di carestia contro 2 milioni di residenti”, ha dichiarato Euro-Med Monitor. Il Programma Alimentare Mondiale (PAM) ha avvertito che migliaia di palestinesi a Gaza sono “sull’orlo di una fame catastrofica”, con una persona su tre nell’enclave che rimane senza cibo per giorni. I funzionari sanitari di Gaza hanno recentemente lanciato un duro allarme: centinaia di palestinesi gravemente deperiti sono vicini alla morte, i loro corpi sono troppo deboli per resistere oltre. Il direttore dell’ospedale Al-Shifa ha detto che gli ospedali stanno assistendo centinaia di persone che soffrono di fame grave e malnutrizione. “Non abbiamo abbastanza posti letto o medicine”, ha spiegato. “Stiamo assistendo a sintomi come perdita di memoria, esaurimento e collasso a causa della fame estrema”. Ha aggiunto: “Abbiamo 17.000 bambini che soffrono di malnutrizione grave. Questa è una generazione che muore di fame”. Secondo l’Ufficio stampa del Governo di Gaza, oltre 650.000 bambini di età inferiore ai cinque anni, su un totale di 1,1 milioni di bambini nella Striscia di Gaza, affronteranno un rischio imminente e grave di malnutrizione acuta nelle prossime settimane. Attualmente, circa 1,25 milioni di persone a Gaza vivono in condizioni di fame catastrofiche, mentre il 96% della popolazione, inclusi oltre un milione di bambini, soffre di gravi livelli di insicurezza alimentare, secondo l’Ufficio. Domenica, l’UNRWA ha avvertito: “Le autorità israeliane stanno facendo morire di fame i civili a Gaza. Tra loro ci sono 1 milione di bambini”. Jagan Chapagain, segretario generale della Federazione internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, ha avvertito che i palestinesi a Gaza affrontano “un rischio acuto di carestia”. “Nessuno dovrebbe rischiare la vita per ottenere assistenza umanitaria di base”, ha affermato. Il 2 marzo, Israele ha annunciato la chiusura dei principali valichi di frontiera di Gaza, interrompendo l’accesso a cibo, medicinali e forniture umanitarie, aggravando la crisi umanitaria che affligge 2,3 milioni di palestinesi, secondo quanto riportato da organizzazioni per i diritti umani che lo accusano di usare la fame come arma di guerra contro i palestinesi. Un rapporto dell’Integrated Food Security Phase Classification (IPC) di maggio ha avvertito che quasi un quarto della popolazione civile avrebbe dovuto affrontare livelli catastrofici di insicurezza alimentare (IPC Fase Cinque) nei prossimi mesi. Dopo oltre 80 giorni di blocco totale, carestia e crescente indignazione internazionale, aiuti limitati sarebbero stati distribuiti dal GHF, un’organizzazione coinvolta da scandali e sostenuta da Stati Uniti e Israele, creata per aggirare l’infrastruttura di distribuzione degli aiuti delle Nazioni Unite nella Striscia di Gaza. La maggior parte delle organizzazioni umanitarie, tra cui le Nazioni Unite, ha preso le distanze dal GHF, sostenendo che il gruppo viola i principi umanitari limitando gli aiuti alla parte meridionale e centrale di Gaza, costringendo i palestinesi a percorrere lunghe distanze per raccogliere gli aiuti e fornendone solo di limitati, tra le altre critiche. Hanno inoltre sottolineato che questo modello potrebbe aumentare gli sfollamenti forzati a Gaza. Le Nazioni Unite hanno confermato che Israele sta ancora impedendo al cibo di raggiungere i palestinesi affamati, dato che solo pochi camion di aiuti sono arrivati a Gaza. Inoltre, le uccisioni di massa di persone in cerca di aiuti vicino ai siti del GHF da parte di Israele sono diventate una tragica realtà quotidiana in mezzo a scene caotiche, poiché ai palestinesi disperati viene concesso solo un breve lasso di tempo per correre in cerca di cibo e vengono presi di mira dalle forze israeliane. I palestinesi di Gaza e le Nazioni Unite hanno descritto questi siti come “trappole mortali di massa” e “macelli”. Da quando il GHF ha iniziato le sue operazioni a Gaza il 27 maggio, oltre 900 persone in cerca di aiuti umanitari sono state uccise dalle forze israeliane e dai mercenari americani e oltre 60.000 sono rimaste ferite, secondo il ministero della Salute palestinese. Inoltre, altre 46 persone sono state dichiarate disperse dopo essersi recate presso i siti del GHF per procurarsi cibo. Medici Senza Frontiere (MSF) ha avvertito che “militarizzare gli aiuti in questo modo può costituire crimine contro l’umanità”. “Ogni giorno i palestinesi si scontrano con una carneficina nel tentativo di ricevere rifornimenti dall’insufficiente quantità di aiuti che arriva a Gaza”, ha dichiarato MSF.
Funzionario ONU: la situazione a Gaza è orribile, con una carestia mai vista in tempi moderni
Gaza. Il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo, Michael Fakhri, ha definito la situazione a Gaza “orribile”, affermando che livelli di carestia simili non si erano mai visti nella storia moderna. In dichiarazioni rilasciate alla stampa lunedì, Fakhri ha affermato che Israele blocca l’ingresso degli aiuti a Gaza da oltre 20 mesi. Ha inoltre osservato che Israele sta attaccando le Nazioni Unite e sfidando il Consiglio di Sicurezza, aggiungendo che l’attacco di Israele all’ONU è al mondo intero. Dal 2 marzo di quest’anno, l’occupazione israeliana ha chiuso i valichi di Gaza agli aiuti umanitari, medici, alimentari, nonché ai beni e al carburante, causando un grave deterioramento delle condizioni umanitarie. Con il sostegno degli Stati Uniti, l’esercito israeliano continua a commettere atti di genocidio a Gaza dal 7 ottobre 2023. Questi attacchi hanno causato oltre 195.000 tra morti e feriti, la maggior parte dei quali donne e bambini, e più di 11.000 dispersi. (Fonti: MEMO e Quds News).
UNRWA: Israele sta deliberatamente affamando Gaza, un milione di bambini soffre di malnutrizione
Gaza – PIC. L’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi (UNRWA) ha dichiarato che Israele sta deliberatamente affamando i civili nella Striscia di Gaza, inclusi un milione di bambini, molti dei quali soffrono di malnutrizione e sono a rischio di morte. In un post pubblicato domenica sulla piattaforma X, l’UNRWA ha spiegato di avere scorte alimentari sufficienti per tutti i residenti di Gaza per oltre tre mesi, attualmente conservate nei magazzini situati sul lato egiziano del valico di Rafah. L’Agenzia ha chiesto la revoca dell’assedio su Gaza e l’autorizzazione a consegnare cibo e medicinali, affermando: “Togliete il blocco: permettete all’UNRWA di portare cibo e medicine”. Ha esortato Israele a “revocare il blocco, consentire all’UNRWA di svolgere il proprio lavoro e aiutare chi è nel bisogno, incluso un milione di bambini”. Secondo l’Ufficio stampa governativo della Striscia di Gaza, il numero di bambini morti per malnutrizione è salito a 70. Sabato, l’UNRWA ha ribadito di disporre di scorte alimentari sufficienti per oltre tre mesi per l’intera popolazione di Gaza, ma Israele ne impedisce l’ingresso. Ha precisato che tali scorte, comprese quelle immagazzinate nella città egiziana di Arish, sono pronte per la distribuzione, sottolineando che i sistemi logistici sono già operativi. Due milioni di persone a Gaza stanno affrontando una crisi umanitaria totale, poiché Israele ha chiuso i valichi di frontiera dal 2 marzo 2025, impedendo l’accesso a cibo e aiuti medici, provocando una carestia in tutta l’enclave. Traduzione per InfoPal di F.L.
Le IOF arrestano diversi pescatori al largo della costa di Gaza
Gaza. Sabato sera, le Forze di occupazioneisraeliane (IOF) hanno arrestato diversi pescatori palestinesi al largo della città di Gaza mentre cercavano di pescare, in un contesto di carestia crescente e di fame senza precedenti che sta colpendo la Striscia di Gaza. Secondo fonti locali, i pescatori si trovavano nel bacino del porto di Gaza, a circa 100 metri dalla riva, quando una nave da guerra israeliana si è avvicinata e li ha arrestati. Zakaria Bakr, coordinatore dei Comitati dei Pescatori presso l’Unione dei Comitati del Lavoro Agricolo, ha riferito che imbarcazioni navali israeliane hanno arrestato cinque pescatori palestinesi mentre si trovavano a bordo delle loro barche vicino alla costa. Bakr ha aggiunto che i militari israeliani hanno gettato alcuni pescatori in mare dopo averli trattenuti, mentre altri sono stati portati in una località sconosciuta. Ha inoltre sottolineato che le forze israeliane hanno sparato pesantemente verso la costa. L’esercito israeliano ha imposto un blocco marittimo totale su Gaza, dal confine nord al confine sud, impedendo ai pescatori di accedere al mare. Questa misura ha già provocato la morte di decine di persone dall’inizio della campagna genocida nel mese di ottobre 2023. Una settimana fa, un portavoce dell’esercito israeliano ha annunciato la completa chiusura della costa di Gaza ai palestinesi, ormai nel 21º mese consecutivo di guerra, citando “ragioni di sicurezza”. Rivolgendosi alla popolazione della Striscia, ha dichiarato: “Ricordiamo che sono state imposte rigide restrizioni di sicurezza nell’area marittima adiacente alla Striscia di Gaza e che l’accesso al mare è proibito”. La costa di Gaza è ora pesantemente pattugliata da navi da guerra israeliane, che compiono quotidianamente operazioni di tiro e bombardamento contro i palestinesi lungo la fascia costiera. Alcune imbarcazioni si avvicinano pericolosamente alla riva, soprattutto nell’area portuale di Gaza, dove decine di migliaia di sfollati hanno trovato rifugio. Sostenuto da un appoggio incondizionato da parte degli Stati Uniti, Israele sta conducendo un genocidio contro la popolazione di Gaza che, secondo il ministero della Salute, ha già provocato oltre 58.765 martiri, più di 140.485 feriti di varia gravità e oltre 11.000 persone disperse. La carestia ha già causato decine di vittime, mentre più di due milioni di palestinesi affrontano uno sfollamento forzato in condizioni catastrofiche.