L’esercito statunitense è il più grande nemico della Terra> Nella scena di apertura del nuovo documentario di Abby Martin e Mike Prysner,
> Earth’s Greatest Enemy (Il più grande nemico della Terra), un veterano
> senzatetto suona il pianoforte in una tendopoli a Brentwood, in California.
> Vive nell’accampamento popolarmente noto come “Veterans Row”, dove le tende
> sono drappeggiate in bandiere statunitensi e le persone che vi passano accanto
> ricordano quanto spesso l’esercito americano rovina le persone e poi le
> rifiuta. L’uomo inizia a recitare le battute di una vecchia pubblicità di
> reclutamento dell’esercito; poi il film fa vedere la pubblicità stessa, con lo
> stesso veterano. Lui ne ricorda tutte le battute.
Earth’s Greatest Enemy è un documentario sulla crisi climatica e l’imperialismo:
su come l’esercito americano sia la più grande istituzione che ci spinge verso
il collasso ecologico. A prima vista, la scena di apertura di un veterano che
vive per strada potrebbe sembrare non correlata. Nel corso del film, Martin, con
attenta precisione, illustra che i danni al clima da parte dei militari
statunitensi non vengono inflitti solo all’ambiente che ci circonda, ma a tutti
noi, come viene mostrato nelle scene che evidenziano l’acqua contaminata a Camp
Lejeune.
Il più grande nemico della Terra cattura l’ampiezza insondabile della sofferenza
ecologica e umana causata dal militarismo. Evidenzia il costo della guerra per
gli oceani, la vita animale e vegetale, l’acqua dolce e altro ancora. Se
qualcuno vive nel ventre di questa bestia militare, dovrebbe assolutamente
guardare questo documentario.
Un segmento del film si concentra sull’impatto delle forze armate statunitensi
sugli oceani della Terra, in particolare durante i giochi di guerra guidati
dagli Stati Uniti, RIMPAC, la più grande esercitazione militare marittima del
mondo. Fanno volare jet Growler sull’oceano e praticano esercizi di
affondamento, facendo esplodere navi dismesse in mare aperto. Sparano proiettili
vivi e inquinano l’oceano per cinque o sei settimane consecutive. Martin
documenta i militari statunitensi che fanno esplodere le montagne di Okinawa e
prendono la terra per riempire le barriere coralline in modo che i militari
possano usare il terreno così creato per ampliare la base militare.
Una delle rivelazioni più sorprendenti del film è che l’esercito americano
determina quanti mammiferi marini possono uccidere. Tutto ciò, ovviamente,
influisce sulla pesca e sulla biodiversità che sostiene gli oceani e la vita
umana e animale in tutto il mondo, più direttamente le persone del Pacifico, che
si tratti delle Hawaii, di Okinawa o di altre isole in cui gli Stati Uniti hanno
istituito avamposti militari permanenti.
Earth’s Greatest Enemy esplora anche l’inquinamento delle acque causato
dall’esercito americano. A metà del film, sentiamo Kim Ann Callan, che ha
trascorso gli ultimi 15 anni a scoprire l’impatto dei rifiuti tossici dei
militari a Camp Lejeune negli Stati Uniti. Per anni, i militari hanno avvelenato
le acque sotterranee che, a loro volta, hanno avvelenato le famiglie dei
militari. Di conseguenza, intere famiglie si ammalarono di cancro; l’esercito
americano cercò di coprire questa situazione. Il film mostra Callan che cammina
attraverso un cimitero con file di lapidi di bambini con la scritta “nato e
morto” nella stessa data. Molte famiglie hanno perso più di un bambino per le
malattie causate dall’inquinamento dei militari.
> Callan riflette: “All’inizio avevo una visione completamente diversa
> dell’esercito. E avevo molto rispetto per l’esercito… Ora non ho più rispetto
> né per il governo né per l’esercito”.
L’avvelenamento delle famiglie militari nella base non è accaduto solo a Camp
Lejeune: il film espone quanto siano tossiche le basi militari statunitensi in
tutto il mondo, con storie altrettanto devastanti in ciascuna delle oltre 800
basi militari a livello globale in oltre 80 paesi e in centinaia in tutti gli
Stati Uniti
Martin, ovviamente, discute dell’impatto che la guerra convenzionale ha sul
pianeta, come quando gli Stati Uniti o uno dei suoi delegati, come Israele,
bombardano incessantemente la terra per un lungo periodo di tempo. Il risultato
è spesso un ecocidio totale, in cui i sopravvissuti non hanno quasi più nulla di
cui crescere e vivere.
Il film rivela l’impatto cumulativo dei proiettili sparati in Iraq. Stime
prudenti suggeriscono che, per ogni persona uccisa nelle guerre statunitensi in
Iraq e Afghanistan, sono stati usati più di 250.000 proiettili. Ogni proiettile
inietta piombo, mercurio e uranio impoverito in aria, acqua e terra. Inoltre,
studi hanno trovato titanio nei polmoni dei soldati statunitensi nelle basi e
nei capelli di bambini in Iraq e Afghanistan. Gli Stati Uniti dichiarano guerra
non solo all’aria, all’acqua e alla terra, ma anche ai corpi e alle generazioni
di esseri umani.
L’esercito americano sta distruggendo tutte le forme di vita. E per cosa, poi?
Anche coloro che combattono le guerre alla fine vengono lasciati per strada
quando tornano a casa.
Alla fine del film, è abbondantemente chiaro: l’esercito americano è davvero il
più grande nemico della Terra. Controlla e minaccia tutta la vita sulla Terra.
Come organizzatori all’interno del movimento contro la guerra, ci è molto chiaro
quanto la lotta contro di essa possa essere isolata dal resto del movimento
ambientalista. Per lottare a favore del futuro del pianeta, noi del movimento
contro la guerra dobbiamo unire le forze con il movimento per il clima. I nostri
nemici sono gli stessi: gli speculatori di guerra e i politici che ci spingono
verso il collasso climatico. Gli organizzatori in prima linea nella lotta contro
questa crisi planetaria del militarismo — dalle Hawaii a Okinawa ad Atlanta — lo
capiscono. La lotta per la terra è indissolubilmente legata alla lotta contro il
militarismo. Non abbiamo altra scelta che tagliare le linee rosse politiche,
filantropiche e organizzative che ci separano. Perché, come spiegano Martin e
Prysner, attraverso una narrazione umana compassionevole e un giornalismo
radicalmente onesto, la macchina da guerra alla fine colpirà tutti noi. Dobbiamo
intervenire ora.
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Aaron Kirshenbaum è attivista della campagna War is Not Green (La guerra non è
verde) di CODEPINK e organizzatore regionale della costa orientale. Originario
di Brooklyn, New York, dove risiede, Aaron ha conseguito un master in Sviluppo e
pianificazione comunitaria presso la Clark University. Ha inoltre conseguito una
laurea in Geografia umana-ambientale e urbana-economica presso la stessa
università. Durante gli studi, Aaron ha lavorato all’organizzazione di programmi
internazionali per la giustizia climatica e allo sviluppo di programmi
educativi, oltre che all’organizzazione di iniziative a favore della Palestina,
degli inquilini e dell’abolizionismo.
Danaka Katovich è co-direttrice nazionale di CODEPINK. Si è laureata in Scienze
Politiche alla DePaul University nel 2020. È una voce di spicco contro
l’intervento militare degli Stati Uniti, sostenendo il disinvestimento dai
produttori di armi e contestando il crescente budget del Pentagono. I suoi
scritti sono pubblicati su Jacobin, Salon, Truthout, CommonDreams e altri.
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TRADUZIONE DALL’INGLESE DI FILOMENA SANTORO. REVISIONE DI THOMAS SCHMID.
Codepink