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Vicofaro, lettera dei volontari al vescovo di Pistoia Fausto Tardelli
Vicofaro è un sistema che infastidisce le istituzioni e la gente “perbene” perché costringe a guardare. Dopo una comunicazione piccata della curia di Pistoia sulla vicenda dello sgombero di Vicofaro i volontari che per anni hanno lottato con Don Massimo Biancalani e contribuito a fare accoglienza vera, quella fatta di cura e umanità, rispondono al vescovo Fausto Tardelli con questa bellissima lettera…. Vicofaro, 27 Luglio 2025 Egregio Vescovo Tardelli, abbiamo letto la risposta inviata dalla Sua cancelleria alle numerose persone ed associazioni che le avevano scritto riguardo a quanto successo a Vicofaro. Pensiamo che Lei condivida quanto scritto nella mail non firmata, ma ci permetta alcune considerazioni che, per chiarezza, elencheremo per punti: Da molti anni conosciamo e cerchiamo di aiutare il lavoro portato avanti da don Massimo Biancalani. Molte volte ci siamo recati nei locali della parrocchia e conosciamo bene le difficoltà che quotidianamente don Massimo e i ragazzi ospiti dovevano affrontare.  Sappiamo bene anche quante volte da Vicofaro siano giunte richieste di aiuto alla pubblica amministrazione e al mondo ecclesiastico. Appelli, come anche il Suo di pochi mesi fa, rimasti come Lei sa bene, senza risposta.  Come poteva e sapeva fare, don Massimo ha risposto all’invito di Papa Francesco di aprire le Chiese ai poveri e ai migranti. E non è stata solo accoglienza, ma anche un percorso di integrazione che ha permesso a tanti ragazzi di trovare un’occupazione e di tornare la sera in un posto dove si sentivano accolti. Aver avuto più “Vicofaro” sul territorio, avrebbe permesso di non arrivare a numeri consistenti di ragazzi ospitati, con i problemi che ne conseguivano. Ci permetta una domanda: se la situazione di sicurezza e igieniche presentavano carenze gravi, si doveva aspettare l’ordinanza del sindaco per trovare una sistemazione ai ragazzi? Non si sarebbe potuto trovare prima quelle soluzioni che in così breve tempo sono state messe in campo? Non possiamo credere che Lei non abbia mai constatato le difficoltà presenti e così evidenti a chiunque si fosse recato a Vicofaro. Perché chiudere Vicofaro? Imbullettarla? Poteva rimanere un presidio, magari per i più fragili? Perché togliere la rappresentanza legale a don Massimo? A quale scopo? Perché non si sono mai ricordate le centinaia di persone salvate da Vicofaro? Mai una parola è stata spesa per ringraziare il sacrificio fatto da tanti volontari che hanno speso tempo e risorse per i ragazzi! Non ritiene che l’irruzione della polizia in tenuta antisommossa sia stata dettata da un mero calcolo di convenienza elettorale, di cui anche Lei – non sappiamo quanto consapevolmente – si è reso responsabile?  I sei ragazzi rimasti in canonica dopo il trasferimento della grande maggioranza dei presenti e che presentavano notevoli fragilità, anziché essere prelevati con la forza avevano necessità di un aiuto invece che di un’azione di polizia. Il modo con cui Lei ha trattato don Massimo noi lo viviamo come una punizione ingiustificata che colpisce una persona che in dieci anni ha messo tutto se stesso per stare dalla parte dei più deboli. Non riusciamo ad accettare la Sua affermazione “Farci vivere i poveri, dicendo che visto che son poveri, è meglio di niente, questo si, è tradire il Vangelo”.  Noi crediamo che lasciare persone in difficoltà senza un tetto, senza cibo, senza alcuna tutela legale e sanitaria, senza un aiuto per imparare la lingua italiana (tutti servizi che a Vicofaro erano garantiti da don Massimo e dai volontari) e – non ultimo – senza sentirsi rifiutati, ma accettati ed amati, sia rispondere oltre che al Vangelo anche a un minimo di umanità. Nessuno può negare che l’attuale situazione di accoglienza dei ragazzi sia decisamente migliore rispetto a quella che per lunghi anni hanno vissuto a Vicofaro e di questo non possiamo che compiacercene, ma Lei è sicuro che la nuova accoglienza sia stata rivolta a tutti i ragazzi, anche a quelli che leggi  come le attuali hanno riportato in una situazione di invisibilità? E’ stato tenuto conto delle possibilità di integrazione nel mondo del lavoro e della possibilità di mezzi per raggiungere il luogo dove diversi di loro sono occupati? E quanti dei 140 mancano all’appello, finiti per strada o rinchiusi nei CPR? Che ne sarà di quei ragazzi che, finiti in carcere per piccoli reati commessi per cercare mezzi di sopravvivenza e che, finita di scontare la pena, non sapranno più a chi rivolgersi per tentare di ricostruire una nuova vita? Resteranno fuori dalla porta del carcere per essere di nuovo riassorbiti nel mondo della criminalità? Non crede che aver escluso don Massimo da qualsiasi ruolo nel rapporto con i ragazzi, rinunciando alla sua conoscenza delle persone ospitate e al carisma che gli deriva da anni di sacrificio ed impegno sia la dimostrazione di voler affossare e rinnegare quanto è stato fatto in questi anni a Vicofaro? Sappiamo anche che il progetto di ristrutturazione è presso il Comune. Che tempi ci sono per le autorizzazioni e per l’inizio dei lavori? E non le sembra strano che don Massimo, i parrocchiani e altri cittadini che sono vicini all’esperienza di Vicofaro non possono vedere tale progetto e sapere quando inizierà? Per quel che ci riguarda, continueremo a seguire e ad aiutare e sorveglieremo la gestione dei migranti e la loro sorte. Speriamo vivamente che, come da Lei più volte affermato, l’esperienza di accoglienza di Vicofaro possa continuare e che non si perda questa testimonianza di umanità di cui abbiamo sempre più bisogno. I volontari di Vicofaro Come associazione Mesa Popular siamo stati più volte a Vicofaro per portare aiuti concreti e solidarietà a Don Massimo, ai volontari e ai ragazzi ospiti e continueremo a seguire e sostenere questo progetto di accoglienza, per ora schiacciato dalla forza di chi non riesce a vedere più la bellezza di azioni umane, ma vive solo di odio e pregiudizio. Redazione Italia
L’Adunata degli Alpini di Biella e l’idiozia della guerra
Biella, la piccola città del Piemonte che conta poco più di quaranta mila abitanti (40.000) e il Biellese, il territorio che circonda la città, che invece ne ha poco meno di centosettanta mila (170.000) è pronta per accogliere quattrocento mila (400.000) alpini che il 9/10/11 maggio si riverseranno nella città e in tutto il territorio circostante. La cittadina laniera piemontese è infatti la sede dell’Adunata Nazionale degli Alpini. Un’occasione di rilancio per un territorio provato da anni di crisi del settore tessile, così la stanno vivendo la maggioranza degli abitanti. Ma è solo un’occasione di incontro goliardico tra vecchi commilitoni? Si sa che quando si passa da fase storica a fase storica cambiano le narrazioni. E il cambiamento in atto negli assetti politici e ideologici nazionali e internazionali stia trasformando l’adunata degli Alpini a Biella definendo nuove verità sulle quali fondare i nuovi miti. Esemplare la frase del Presidente della Regione Piemonte Cirio che, meno di un mese fa e proprio a Biella durante la presentazione della Adunata degli Alpini, ha sostenuto che l’invasione della Russia durante la seconda guerra mondiale fu un sacrificio per la nostra libertà. Tralasciando di dire, nella affermazione, che in realtà fu un invasione di un altro stato sovrano, ordinata da Mussolini per seguire i deliri di onnipotenza di Hitler. Risulta essere evidentemente una frase, poi smentita, per sostenere una leggenda, quella degli Italiani brava gente, funzionale alla reintroduzione della necessità e ineliminabilità della guerra nella storia dell’uomo. D’altra parte neanche una settimana prima nel Buongiorno de La Stampa, il quotidiano più letto in Piemonte, Mattia Feltri ironizzava sullo slogan “fuori la guerra della storia” sancendone la idiozia. Su questo sono già intervenuto a Lace il 25 aprile, spiegando che la guerra non è storicamente la medesima cosa nei secoli e che il progresso tecnico-scientifico l’ha portata, sempre di più, a compiere stragi di civili usando la tecnologia e aumentando in efficacia – leggasi numero di morti – fino a rappresentare la punta più avanzata del dominio delle macchine sul genere umano. Altro che slogan idiota, porre la guerra fuori dalla storia è una necessità per la nostra sopravvivenza. Tralascio, nella costruzione della leggenda Alpina, l’inno appositamente composto per l’Adunata di Biella dove si sostiene che portarono il loro vessillo per giustizia sia in Libia che in Russia, e mi concentro sull’ultimo episodio avvenuto a Biella. Lunedì comincia a circolare nelle chat una lettera di genitori che protestano contro gli interventi degli Alpini nelle scuole biellesi. “Siamo genitori di persone che frequentano istituti medi, scuole primarie e scuole dell’infanzia nel territorio biellese.” così inizia la lettera. Mi concentro su un aspetto, la nuova narrazione necessaria alla accettazione della guerra come fatto ineliminabile dalla storia umana, il resto potete leggerlo sulla pagina FB delle Parole Fucsia. “Alcuni Alpini hanno potuto parlare nelle aule, narrando in mondo soggettivo (e a volte antistorico) alcune vicende della storia del nostro paese, proponendo canti bellici, illustrazioni di divise fatte colorare nelle scuole dell’infanzia, mitizzando gesta e azioni, contribuendo a rafforzare il clima sovranista e nazionalista che pare essere l’unico possibile nel nostro Paese. “ Questo è il nocciolo della questione. Cari Alpini, vi state prestando a questa operazione che tramuta la storia in leggenda funzionale alla retorica del nuovo impegno bellico. Questa è, ovviamente, la mia opinione, ma corroborata dai fatti. Fatti che mancano totalmente nei racconti sulla Russia e sulla Libia e che, mancando, fanno di questi racconti delle narrazioni leggendarie e non delle ricostruzioni storiche. Anni fa a un mio amico – tra l’altro alpino – che ammirava un manifesto della Lega Nord che raffigurava l’immagine di un indiano americano, sostenendo che i nativi in America fossero finiti a vivere nelle riserve perché non si erano difesi dall’immigrazione, dissi che c’è una certa differenza tra colonialismo e immigrazione. Ecco è la stessa che passa tra guerra per la libertà e invasione della Russia per ordine del Ducee tra portare la giustizia in Libia e commettere crimini coloniali, sempre per volere di Mussolini. Insomma a narrare leggende si finisce per costruire disastri e crimini, la storia dovrebbe insegnarcelo. Cari alpini, non fatevi trascinare in questo fervore neo patriottico, forse siete in tempo a fermarvi e rimanere fedeli alla goliardia dei vostri ritrovi– ma senza molestie, per favore. Ettore Macchieraldo
Uno spazio in RAI per l’informazione indipendente
Lettera inoltrata agli indirizzi Pec delle Istituzioni pubbliche, alla dirigenza Rai, e, p.c., alle principali testate giornalistiche e televisive. Illustrissimi Presidenti, Magistrati, Senatori, Deputati, Ministri, Direttori, Con profondo rispetto per le Vostre cariche istituzionali, consapevoli del servizio che, nel presente drammatico, potete rendere al Paese, avanziamo una proposta concreta di collaborazione: Individuiamo insieme all’interno del servizio pubblico, uno spazio televisivo autogestito dedicato all’informazione indipendente. Chi siamo Siamo editori indipendenti, giornalisti e produttori di contenuti, cittadini testimoni di esperienze sociali importanti. Non rappresentiamo partiti, comitati o singole imprese. Siamo realtà autonome, nate spontaneamente, che da anni portano avanti un lavoro di informazione libera, spesso con risorse limitate ma con forte senso di responsabilità civile. Perché questa proposta Viviamo un’epoca in cui è urgente ricostruire la fiducia tra cittadini e istituzioni, indebolita dal lungo processo di svuotamento dei corpi sociali intermedi. La qualità dell’in-formazione, che dà forma all’opinione pubblica, è oggi un punto chiave per favorire questo riavvicinamento. Nella nostra realtà, convivono tre mondi informativi che raramente dialogano: le grandi reti televisive private, dominate da capitali sovranazionali potenti, in grado di determinare l’ordine del giorno e l’opinione “mainstream”, che privilegiano l’audience a scapito della profondità; il servizio pubblico, espressione delle Istituzioni ma segnato da dinamiche politiche interne e dalla tendenza a adeguarsi ai format del mainstream; l’informazione indipendente, espressione di una società civile attiva, creativa, ma spesso marginalizzata o ostacolata nei canali che può usare. Le difficoltà oggettive I canali di informazione accessibili a chi dispone di fondi limitati sono poco efficienti. Lo spazio delle frequenze televisive periferiche è penalizzato da carenze tecniche nella trasmissione del segnale, oltre che dalla “lontananza” dai telecomandi. Internet è solo apparentemente libero. In realtà i social più importanti sono controllati dagli stessi interessi che influenzano le TV mainstream e che, sul Web, non esitano a imporre forme di censura: a volte subdole (shadow banning); a volte esplicite, fino alla rimozione selettiva dei contenuti. Il ruolo della RAI La RAI, in quanto servizio pubblico, è deputata a diventare il luogo dell’incontro. Luogo in cui coltivare insieme l’armonizzazione delle opinioni diverse che, grazie all’ascolto, alla conoscenza e al rispetto, smettono di essere fonte di contrasto e diventano ricchezza e profondità di Pensiero. Insieme, rendiamo coerenti le chiavi di lettura con cui la popolazione interpreta gli accadimenti drammatici che stiamo vivendo. Il tempo presente Non sembrano cadere come birilli, in un mondo un po’ meno globale, certezze che sembravano eterne? Mutano gli equilibri geopolitici, le forme della produzione e del commercio internazionale. Si aprono opportunità, o minacce. Il nuovo che viene sarà plasmato dall’abilità a negoziare, a mediare, più che da muscoli e bombe atomiche. Quale contributo di pensiero e di esperienza può dare l’Italia? La cultura italiana viene ancora percepita nel mondo quale faro luminoso del Pensiero: letterario e artistico, ma anche spirituale, storico, politico. Uniti, possiamo dare orientamento all’Europa, che nel contesto globale appare spaesata e lacerata dal pensiero di guerra, trasformando la paura dell’ignoto in desiderio di conoscenza, dialogo, coesione. Perché uno spazio autogestito Proponiamo uno spazio autogestito, come segno concreto di apertura verso la cittadinanza attiva, non per isolarci, ma per poter esprimere con linguaggi e tempi alternativi il racconto del presente, visto da un’altra angolatura. Desideriamo infatti collaborare con giornalisti e professionisti RAI e anche con il mainstream, se disponibile, ma fuori da format e schemi attuali, poco adatti alle nuove esigenze. Condivideremo con orgoglio i contenuti autentici, gli esempi di impegno civile, le esperienze che fioriscono nella società italiana, spesso invisibili. Creano fiducia. Evidenzieremo bisogni che non hanno espressione. Siamo abituati a fare molto con poco: quando si lavora per passione, il risultato è spesso sorprendente. Vogliamo dare vita a un esempio virtuoso, che possa contagiare anche il mainstream, portando aria nuova, formati nuovi, uno stile nuovo. Ci auguriamo infatti che questo spazio, raggiunto l’obiettivo, possa diventare superfluo. La proposta Chiediamo un’opportunità concreta: uno spazio settimanale, autogestito, su ognuno dei tre canali principali della RAI (Rai 1, Rai 2, Rai 3), in tre giorni differenti, in fascia tardo-pomeridiana e serale. Conclusione Incontriamoci. Creiamo l’occasione di confronto sincero, civile e aperto. Portiamo senza indugio l’opinione pubblica italiana all’altezza delle sfide dei tempi. Con fiducia e spirito di collaborazione Per firmare: https://forms.gle/ijKqXwygq93mtPmWA Redazione Italia