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Masaniello, Spinoza e Negri: il divenire rivoluzionario del desiderio
di FRANCESCO FESTA. Philos Mettere insieme Masaniello, Spinoza e Negri significa dar vita a una genealogia politica coerentemente inscritta nella storia del materialismo moderno e contemporaneo. Tre figure lontane nel tempo e nello spazio, ma accomunate da una medesima tensione. Il pescatore che nel luglio 1647 guidò la rivolta popolare – forse fra le più significative dell’età moderna; il filosofo ebreo olandese del Seicento che fece del desiderio e dell’immanenza il cuore della sua filosofia; e il filosofo marxista del Novecento che, attraversando il ’68, il ’77 e i movimenti globali, vide in Spinoza – insieme a Machiavelli e Marx – un perno per ripensare il materialismo dei suoi giorni e il comunismo a venire. Eppure, se si segue il filo che li lega, ci si accorge che Masaniello, Spinoza e Negri sono momenti di un’unica costellazione rivoluzionaria. Masaniello incarna il corpo plebeo della moltitudine che insorge; Spinoza ne restituisce la forza in termini filosofici, fondando una teoria del desiderio come potenza costituente; Negri ne raccoglie l’eredità per leggere i movimenti di classe del Novecento e del nuovo millennio. Il punto di contatto decisivo è un aneddoto che, lungi dall’essere marginale, diventa cifra filosofica: Spinoza che si autoritrae nei panni di Masaniello. Johannes Colerus, il suo biografo, racconta di aver visto un disegno raffigurante un pescatore con la rete sulla spalla, simile al rivoluzionario napoletano. Van der Spijk, presso cui Spinoza alloggiava, confermò che si trattava di un autoritratto. Il filosofo perseguitato trovava così una maschera adeguata: il corpo plebeo e ribelle di Masaniello, il vinto che continua a vivere come simbolo. In quel travestimento si rivela il legame profondo fra pensiero e azione: la filosofia non si limita a descrivere la libertà, ma la incarna nel volto di chi ha osato guidare i lazzari contro un impero. Perché Masaniello? Masaniello è stato ripreso anche da Gilles Deleuze e Félix Guattari nell’Anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia (1972) quando parlano della “macchina desiderante”, ossia, quando il desiderio si sottrae ai dispositivi di controllo capitalistici – Stato, famiglia e capitale – e diviene produzione sociale di alterità, ossia, “potere costituente” – come ha scritto vent’anni dopo Negri in un saggio essenziale che porta lo stesso titolo, Il potere costituente. Saggio sulle alternative del moderno. “Il vivente veggente – scrivono Deleuze e Guattari – è Spinoza vestito da rivoluzionario”. Bene: perché Masaniello? La biografia di Masaniello ci restituisce, innanzitutto, una figura profondamente radicata nello spazio europeo, assai distante dalla ricostruzione di una rivolta antispagnola dai caratteri locali. La ribellione del 17 luglio 1647, guidata dal pescivendolo alla testa di un esercito di 150 mila lazzari, fu la prima insurrezione dell’età moderna con un’eco europea. Carrettieri, facchini, marinai, pescatori, tessitori, poveri e lazzaroni della seconda o terza città europea misero in scacco il Viceregno di Spagna, in protesta contro una gabella sul pane. Per comprendere l’entità di questa rivolta, durata nove giorni e poi repressa nel sangue, basti leggere un passo de I ribelli dell’Atlantico. La storia perduta di un’utopia libertaria (2004) di Peter Linebaugh e Marcus Rediker: “I rivoltosi misero il mondo a soqquadro: i rematori di galee divennero capitani, gli studenti ricevettero i libri, le prigioni si aprirono, i registri delle imposte vennero bruciati. Fu proibito ai nobili di portare abiti sfarzosi, mentre i loro palazzi furono devastati e gli arredi dati alle fiamme nelle strade. Uno degli insorti gridava: ‘questi beni sono usciti dal sangue del nostro cuore; e mentre bruciano, nel fuoco dell’inferno dovrebbero bruciare anche le anime e i corpi di quelle sanguisughe che li possiedono’. I ribelli decretarono che chi fosse stato sorpreso a saccheggiare poteva essere giustiziato perché ‘tutto il mondo sappia che non abbiamo intrapreso questa faccenda per arricchirci ma per rivendicare libertà comune’. Il prezzo del pane scese a livelli consoni a un’economia morale. Questa era l’essenza della rivolta.” Questa vicenda ebbe una risonanza enorme nei centri della marineria europea, come l’Inghilterra e l’Olanda. I mercanti inglesi, che avevano da poco eclissato i concorrenti italiani nei commerci con l’oriente, inviavano fino a 120 navi e 3 mila marinai a Napoli ogni anno. Furono proprio i marinai una delle principali fonti di informazioni sulla rivolta. Da qui la coniazione di medaglie ad Amsterdam, i drammi messi in scena clandestinamente a Londra e le prime narrazioni tradotte e diffuse: lo scopo era immedesimarsi e riconoscersi nella rivolta napoletana. Un esempio emblematico è la pièce The Rebellion of Naples del 1649: essa combinava eventi di Napoli e di Londra, mostrando la circolazione dell’esperienza insurrezionale e suggerendo l’unità del conflitto di classe nella diversità dei contesti. Il popolo aveva scoperto la propria forza: era un’insurrezione autonoma, fonte di timore per l’emergente Stato borghese e, al tempo stesso, esempio di speranza per i proletari in cerca di giustizia. In questo contesto, in uno dei suoi quaderni del 1649, Spinoza si rappresenta nelle vesti del pescivendolo Masaniello. Lo stesso Deleuze, nella “Prefazione” a L’anomalia selvaggia. Saggio su potere e potenza in Baruch Spinoza (1982) di Negri, sottolinea che “ciò che Negri aveva fatto incisivamente per Marx a proposito dei Grundrisse [si riferisce Marx oltre Marx. Quaderno di lavoro sui Grundrisse del 1979] lo fa ora per Spinoza: la totale rivalutazione del posto che il Breve Trattato e il Trattato teologico-politico occupano nell’opera di Spinoza. In questo senso Negri propone un’evoluzione di Spinoza: da un’utopia progressista a un materialismo rivoluzionario. Egli è probabilmente il primo a conferire pieno senso filosofico all’aneddoto secondo il quale Spinoza si era disegnato nel rivoluzionario napoletano Masaniello”. Spinoza e l’istituzione rivoluzionaria È proprio a partire dal gesto spinoziano di immedesimarsi nelle vesti di Masianello che Negri ha offerto alcune delle sue interpretazioni più radicali. Egli ne parla in due saggi fondamentali, entrambi reperibili in rete. Il primo è Starting from Masaniello… Deleuze and Spinoza, a political becoming (in A. Negri, Spinoza: then and now, a cura di Ed Emery, per i tipi di Polity press nel 2017), in cui Negri scrive che rientra nel “periodo intorno al 1968 (e fino ad oggi), quando la riscoperta del pensiero di Spinoza ha permesso di ristabilire l’idea di democrazia e di bene comune”. E il secondo Deleuze/Spinoza. Un devenir-politique, (pubblicato sulla rivista “Archives de philosophie”, 84/3, 2021, 51-63). Scrive Negri: “questo articolo si interroga sul significato del parallelo tra Spinoza e Masaniello tracciato da Gilles Deleuze e Félix Guattari in L’anti-Edipo. La sfida è quella di concepire una potenza rivoluzionaria irriducibile al modo in cui la rivoluzione era concepita dai partiti o dai gruppuscoli di estrema sinistra al tempo del Maggio ’68”. Dunque, Masaniello e il ’68. Ma, in realtà, Masaniello funge da architrave per il nesso tra rivoluzione e istituzione, desiderio e politica. L’aneddoto è la cifra del divenire rivoluzionario del pensiero: una metafora del modo in cui filosofia e vita si intrecciano. Non a caso, scrive Negri che “il vero problema della rivoluzione, una rivoluzione senza burocrazia, è quello di inventare nuovi rapporti sociali in cui entrano in gioco singolarità e minoranze attive, in uno spazio nomade senza proprietà né recinto”. Qui si apre la possibilità di pensare la rivoluzione non solo come insurrezione, ma come costruzione di istituzioni rivoluzionarie. Spinoza – secondo Negri – offre proprio questo concetto: l’idea di una “istituzione rivoluzionaria” che permetta di organizzare insieme insurrezione e trasformazione, connettendo il desiderio alla vita comune. È questa la “macchina astratta” che Deleuze e Guattari avevano colto e che, con Spinoza, diventa strumento teorico e politico dei movimenti del ’68. L’anti-Edipo si colloca così dentro il grande “rizoma” costruito a partire dal ‘68: un dispositivo che organizza il desiderio e ne fa una forza produttiva, non più subordinata alla logica della mancanza. Spinoza diventa l’autore di una vera “officina del desiderio” che trasforma la teoria delle passioni in linea d’azione. Dal che la formula “Spinoza in veste di rivoluzionario napoletano” non è caricatura, ma segno della sua capacità di incarnare il desiderio come potenza costituente, come istituzione di nuove forme di vita. È una filosofia che si oppone alla riduzione del desiderio a bisogno e alla sua appropriazione capitalistica, restituendolo invece come produzione reale, capace di resistere e trasformare. Spinoza occupa una posizione di comando nello sviluppo dell’anti-Edipo. Prima di tutto, nella lotta contro la mistificazione che Edipo impone – la situazione in cui la produttività del desiderio viene chiusa all’interno di un dispositivo che lo declassa a “bisogno dovuto alla mancanza” e lo considera dominato da una forza miracolosa, che ne espropria la creatività. Come direbbe Spinoza, è il “rifugio dell’ignoranza”: il capitale, infatti, è il corpo senza organi del capitalista, o meglio dell’essere capitalista. Questo corpo senza organi ricade sulla produzione-desiderio, la attrae e se ne appropria, riducendola a una fabbrica di fantasmi. È il trionfo del principio idealista che definisce il desiderio come mancanza, e non come produzione. Ma il desiderio resiste, e continua a produrre realtà. Le pagine dell’anti-Edipo che circondano la frase su “Spinoza in veste di rivoluzionario napoletano” rappresentano una sintesi dei libri III e IV dell’Etica, dove l’apparizione di un atto di repressione sociale non interrompe l’espressione del desiderio, ma ne stimola al contrario la produttività. Ciò che viene proposto è un vero processo di costituzione ontologica: le macchine desideranti si organizzano come macchine sociali e tecniche; la produzione desiderante si trasforma in produzione sociale; in breve, le macchine desideranti sono sia tecniche che sociali. È qui che si trova il loro principio e l’inizio della loro “istituzione del divenire”, perché esse non sono solo scintille isolate del divenire, ma anche tendenze, continuità del loro stesso farsi. Tornando a Masaniello Al decennio della rivolta seguì l’inverno della restaurazione. Masaniello venne sepolto – ucciso. Eppure la macchina astratta resta. E la virtualità del desiderio di rivoluzione è sempre lì. Del “virtuale” non si dirà che è “possibile”, ma che “è”. “Una vita è immanenza assoluta: potenza completa, beatitudine completa” osserva Deleuze nel suo ultimo scritto del 1995. Spinoza e Deleuze elevano questa virtualità come una sfida: Masaniello non scompare mai. Forse ritorna meno grossolano e meno violento. Ma è ancora lì. Come macchina inconscia e insurrezionale del desiderio che si erge sempre contro il padre, il bene e il potere. In questa genealogia, Masaniello, Spinoza e Negri si intrecciano come figure scandalose ed eccedenti. Masaniello, assassinato e vilipeso; Spinoza, scomunicato e perseguitato; Negri, imprigionato e osteggiato. Tutti e tre, in modi diversi, furono percepiti come pericolosi. Ma nessuno di loro è mai stato davvero sconfitto. Il fil rouge attraversa secoli. Dal Mercato di Napoli del 1647 all’Amsterdam spinoziana, fino alle piazze del ‘77 e ai movimenti globali. Sempre ritorna la stessa dinamica: la moltitudine che scopre la propria forza, resiste al dominio, istituisce nuove forme di vita. Le futur antérieur Masaniello–Spinoza–Negri prende forma dentro i conflitti sociali, riflettendo le tensioni di classe che li attraversano. Questo filo suggerisce che la sconfitta non è mai cancellazione: la repressione può soffocare una rivolta, imprigionare i militanti, perseguitare i filosofi, ma ciò che resta è la sedimentazione storica delle esperienze di resistenza, dei concetti prodotti dal conflitto, delle istituzioni nate nella lotta, che riemergono altrove, in altri tempi e in altre forme. Non si tratta di mitizzare né di attribuire ruoli, ma di riconoscere nelle vicende storiche e nelle biografie l’irruzione della materialità delle forze produttive e delle condizioni di vita, e al contempo la brutalità del dominio e del potere che cerca di inseguire e recuperare il passo dello sviluppo dell’intelligenza collettiva tramite la violenza di Stato nel tentativo di ripristinare l’ordine costituito. Ciò che resta, tuttavia, è un’eredità politica composta modi di vita, comunità, giustizia ed emancipazione, che attraversano epoche e territori, depositandosi come memoria di classe. Allo stesso modo, Spinoza e Negri sono attrezzi teorici capaci di svelare la continuità dei rapporti di potere: un intreccio microfisico di comando e resistenza, in cui ogni dispositivo di dominio ha anche e soprattutto le sue linee di fuga. Il potere è un rapporto: chi lo detiene incontra sempre la resistenza di chi lo subisce. E viceversa. È dentro questa tensione materiale che si giocano le possibilità di trasformazione. La rivoluzione, così, è pratica storica concreta, radicata nelle condizioni reali di oppressione e nell’organizzazione delle donne e degli uomini, dei corpi e dei desideri, nella sottrazione che crea nuove istituzioni. È la lotta di classe ed è l’irrompere di nuove forme di vita che spezzano l’ordine costituito. Questo è il materialismo storico all’altezza dei nostri tempi. Il futuro anteriore di una genealogia che interpella il presente. L'articolo Masaniello, Spinoza e Negri: il divenire rivoluzionario del desiderio proviene da EuroNomade.
NEGRI OLTRE NEGRI: A PARIGI UN CONVEGNO INTERNAZIONALE CON INTERVENTI DA TUTTO IL MONDO
Si svolge a Parigi da giovedì 15 a venerdì 16 maggio il convegno internazionale “Negri au-delà de Negri. Subjectivités, travail et critique du capital” (“Negri oltre Negri. Soggettività, lavoro e critica del capitale”) organizzato dal Séminaire Capitalisme Cognitif. Ricercatori, militanti e attivisti da tutto il mondo si ritrovano per ricordare Toni Negri e discutere tra teoria, storia e politica del suo pensiero e della sua eredità. Il convegno “non è un tributo statico”, hanno specificato gli organizzatori nella loro introduzione ai lavori, “ma un rilancio collettivo per continuare a pensare, e a lottare, con Toni Negri”. Il programma, molto ricco, prevede diversi interventi divisi in sessioni tematiche e quattro plenarie, le cui presentazioni sono affidate a Carlo Vercellone, Michael Hardt, Sandro Mezzadra, Veronica Gago, Étienne Balibar e Judith Revel. In totale sono oltre cinquanta gli interventi previsti. Da Parigi il collegamento con Elia della nostra redazione, che sta seguendo i lavori Ascolta o scarica Matteo Polleri, del Séminaire Capitalisme Cognitif, spiega la nascita e gli scopi del convegno e traccia una prima valutazione al termine della prima sessione di lavori Ascolta o scarica Clicca qui per leggere il programma completo del convegno. 
Negri oltre Negri. Lavoro, soggettività e critica del capitale
Militante, intellettuale e interprete innovativo di Marx e del marxismo, Antonio Negri è stato una delle figure più influenti, ma controverse, del pensiero critico contemporaneo. La sua traiettoria ricca e transdisciplinare testimonia la straordinaria vitalità di una riflessione teorica e politica che, da oltre sessant’anni, è mossa da un unico obiettivo: “la ricostruzione di una forza di classe che, quanto prima, rivoluzioni questo folle mondo di sfruttamento e ingiustizia in cui viviamo”. Dalle inchieste operaie condotte negli anni Sessanta all’interno delle riviste operaiste Quaderni Rossi e Classe Operaia alla quadrilogia inaugurata da Impero (2000), passando per i lavori dedicati al formalismo giuridico, a Hegel, Keynes, Cartesio, Lenin, Marx, Spinoza e Foucault, fino ai più recenti sviluppi della sua teoria del “potere costituente” e del “comune”, Negri non ha mai separato l’esigenza di un’analisi materialista della congiuntura storica dalla passione rivoluzionaria. L’eredità teorica e politica del suo lavoro è enorme, molto complessa e in continua evoluzione, proprio come la realtà dei rapporti di sfruttamento e di dominio che ha continuamente cercato di cogliere e sovvertire. Data la sua immensa produzione intellettuale e considerando che qualsiasi selezione di testi sarebbe stata necessariamente arbitraria e incompleta, non forniremo una bibliografia di riferimento per la convegno. Ci proponiamo invece di delineare i principali sviluppi della sua carriera, per facilitare l’individuazione dei temi di discussione. Se ci limitiamo alle dimensioni della sua ricerca appena menzionate – ovvero l’analisi del capitalismo, le trasformazioni del lavoro e delle soggettività politiche – queste ci portano dall’epoca del regime fordista-keynesiano di accumulazione del capitale e della sua crisi alle cosiddette mutazioni “post-fordiste” legate al neoliberismo, all’ascesa del capitalismo cognitivo e al processo di globalizzazione del capitale. 1. La centralità dell’operaio di massa e lo sviluppo del primo operaismo La prima fase corrisponde alla formazione dell’Operaismo italiano, una delle correnti neomarxiste più innovative della seconda metà del XX secolo, con Negri, Raniero Panzieri, Mario Tronti e Romano Alquati tra i suoi principali fondatori. Questo primo Operaismo si struttura come una teoria della lotta di classe articolata su una serie di principi metodologici che, nella prospettiva di Negri, mantengono sempre una persistente validità, portandolo a opporsi con forza all’idea di una rottura tra il primo Operaismo e il cosiddetto “Post-Operaismo” che si sarebbe sviluppato a partire dagli anni Ottanta-Novanta. Quattro proposizioni riassumono il nucleo teorico, o l’invariante strutturale, dell’Operaismo di Negri: Una visione della dinamica del capitalismo che sottolinea la precedenza logica e storica dell’antagonismo del lavoro vivo rispetto alle trasformazioni del capitale. L’adozione di un approccio che adotta deliberatamente il punto di vista del lavoro, facendo del metodo della co-ricerca (cioè dell’indagine condotta con i lavoratori) lo strumento privilegiato per produrre conoscenza critica e organizzare la classe operaia. L’introduzione della nozione di “composizione di classe”, più precisamente di composizione tecnica e politica di classe, che, secondo Negri, costituisce “l’unica base materiale a partire dalla quale si può parlare di soggetto”. Una concezione del lavoro vivo come non-capitale, che Negri sviluppa in una teoria della potenziale “autonomia” del proletariato. Secondo questo approccio, mentre il capitale non può valorizzarsi senza lo sfruttamento del lavoro, il “lavoro vivo”, al contrario, potrebbe organizzare la produzione e la società al di fuori del capitale come relazione sociale. Nel corso degli anni Sessanta e della prima metà degli anni Settanta, questo approccio è stato applicato alla figura del lavoro chiamata dagli operaisti “operaio massa”, e combinato con la rilettura del Libro I de Il Capitale di Marx, e in particolare del capitolo su “Macchinismo e grande industria”, per definire i quadri analitici e i presupposti organizzativi e strategici della lotta di classe nel capitalismo industriale. A partire dai primi anni Settanta, le prospettive aperte dal femminismo marxista italiano, e in particolare dalle pensatrici militanti che collaborarono con la cattedra di Negri all’Università di Padova (come Mariarosa Dalla Costa, Leopoldina Fortunati e Alisa Del Re), giocarono a loro volta un ruolo fondamentale nella rilettura di Marx e nella comprensione delle trasformazioni del lavoro. In questo contesto, uno dei contributi di Negri, nella sua duplice veste di ricercatore accademico e militante rivoluzionario, è stato quello di evidenziare lo spostamento della “composizione di classe” dalla fabbrica alla metropoli. In questo periodo ha anche sviluppato una teoria del contropotere e del doppio potere, proponendo un rinnovamento originale della teoria di Lenin, nonché della teoria marxista del diritto costituzionale e dello Stato. Il lavoro teorico e l’organizzazione politica condotta da Negri e dai gruppi ispirati all’operaismo hanno indubbiamente alimentato l’intensità del conflitto sociale in Italia in quel periodo, quando le lotte portarono alla crisi del “compromesso fordista”. 2. La sconfitta dell’“operaio massa”, l’esperienza della repressione e dell’esilio: Verso l’elaborazione di un nuovo operaismo La prima fase dell’opera di Negri si conclude verso la fine degli anni Settanta ed è seguita dall’esperienza del carcere e dell’esilio in Francia. In quel momento, Negri diagnostica lucidamente l’esaurimento del ciclo di lotte dell’“operaio massa” – dovuto ai processi di robotizzazione e di esternalizzazione della produzione – che metteva irreversibilmente in discussione la centralità della fabbrica fordista. Allo stesso tempo, individua in modo perspicace come lo sviluppo della “fabbrica diffusa”, della terziarizzazione e del precariato vadano di pari passo con una crescente “intellettualizzazione” e “femminilizzazione” dei processi lavorativi. Secondo Negri, queste trasformazioni portano all’emergere di nuove soggettività politiche, che hanno trovato la loro prima e potente espressione nel movimento del ’77 in Italia – un laboratorio di idee e di lotte che è ancora considerato un importante riferimento per pensare il rinnovamento del pensiero e della prassi rivoluzionaria nella seconda metà del XX secolo. In questo contesto, Negri inizia l’analisi del passaggio dalla “composizione di classe” dell’“operaio massa” a quella dell’“operaio sociale”. Negri non ha mai abbandonato questa categoria, ma ha cercato di arricchirla progressivamente con nuove determinazioni, come il lavoro “immateriale”, “cognitivo”, “biopolitico”. Inoltre, da questa analisi della “composizione di classe postmoderna” Negri ha sviluppato il concetto di “moltitudine”, che rappresenta un tentativo di cogliere la soggettività politica della lotta di classe nel capitalismo globalizzato contemporaneo. In questo sforzo teorico, hanno giocato un ruolo essenziale la co-direzione della rivista Futur Antérieur con Jean-Marie Vincent, durante il suo esilio in Francia, e l’intenso dialogo con altre figure intellettuali di spicco dell’epoca, come Étienne Balibar, Giovanni Arrighi, Immanuel Wallerstein, Denis Berger, Félix Guattari, Gilles Deleuze, André Gorz e altri. In questa seconda fase del suo lavoro di ricerca, Negri è gradualmente portato ad avviare un profondo rinnovamento del primo Operaismo, secondo una logica che si sviluppa attorno a cinque assi principali: Il primo si basa sull’inchiesta operaia condotta nell’area metropolitana di Parigi. Analizzando i suoi bacini di “lavoro immateriale”, Negri e i suoi collaboratori si concentrano sulla nuova “composizione” del lavoro al centro dei processi economici che inizialmente hanno chiamato “post-fordismo” e successivamente definito “capitalismo cognitivo”. In questo quadro, l’accento è posto sulla potenziale autonomia e capacità di auto-organizzazione delle nuove figure lavorative, nonché sulla loro natura “biopolitica” e “riproduttiva”. Il secondo asse riguarda lo spostamento dell’asse di lettura dei testi di Marx. La posizione privilegiata occupata dal Capitale nel primo Operaismo viene sostituita dai cosiddetti Grundrisse, in particolare dal famoso “Frammento sulle macchine”, dove Marx sviluppa il concetto di “General Intellect” e l’ipotesi della “crisi della legge del valore”. A questo proposito, uno dei maggiori contributi di Negri rimane innegabilmente il libro Marx oltre Marx (1979). Il terzo asse riguarda l’integrazione della filosofia francese contemporanea nell’approccio dell’operaismo, in particolare le intuizioni di autori come Maurice Merleau-Ponty, Gilles Deleuze, Félix Guattari e Michel Foucault. Il dialogo con questi pensatori ha portato Negri a estendere il percorso aperto in Marx oltre Marx, sviluppando una concezione della storia, delle istituzioni e della soggettività che rompe con il paradigma dialettico hegeliano e con le visioni teleologiche dello sviluppo storico. Dalla lettura dell’opera di Foucault, Negri offre anche un’interpretazione originale della dimensione “biopolitica” insita nella resistenza del lavoro vivo alle tecnologie e ai dispositivi del “biopotere” capitalista. Il quarto asse riguarda il superamento di un approccio al rapporto capitale/lavoro che, nel primo Operaismo, si concentrava sul cosiddetto “centro” dell’economia globale. Nel libro Impero (2000), Hardt e Negri rinnovano l’operaismo attraverso un’analisi dei processi di globalizzazione capitalistica e dei nuovi orizzonti rivoluzionari che essi potrebbero aprire. Il concetto di “moltitudine” serve anche a comprendere meglio la proliferazione e la convergenza delle lotte all’interno dei movimenti di alter-globalizzazione in un orizzonte intersezionale che combina le dimensioni di classe, genere e razza su scala globale. Il quinto asse riguarda il tema del “Comune”, che Negri ha definito sia come espressione ontologica della cooperazione operaia, sia come la forma stessa attraverso cui una soggettività rivoluzionaria si organizza e crea alternative politiche. Questo asse di riflessione ha ispirato una serie di ricerche che hanno portato allo sviluppo della tesi del “Comune” come nuovo “modo di produzione”. Il convegno si propone di riunire studenti, ricercatori e attivisti, di diverse provenienze e generazioni, intorno ai vari temi sopra menzionati. L’obiettivo è proporre contributi che illuminino i concetti, le ipotesi e gli sviluppi del pensiero di Antonio Negri, evidenziandone la rilevanza e la capacità di anticipazione, ma anche le contraddizioni e i limiti che ha incontrato e/o le controversie che ha suscitato. Il programma del convegno, i partecipanti, i vari panel e gli orari della conferenza sono presentati qui sotto: Immagine di copertina tratta dalla locandina dell’evento SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. Vi chiediamo di donare tramite paypal direttamente sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Negri oltre Negri. Lavoro, soggettività e critica del capitale proviene da DINAMOpress.