No other land, dialoghi possibili. Incontro a MilanoL’incontro del 9 maggio all’Anteo – Palazzo del Cinema in una sala Excelsior
strapiena e super attenta, organizzato da Maiindifferenti – Voci ebraiche per a
pace e LƏa – Laboratorio ebraico antirazzista ha attirato un pubblico che
dall’anno scorso partecipa sempre più numeroso alle iniziative delle due reti.
Nel caso specifico si volevano comprovare le possibilità di dialogo fra ebrei
italiani e palestinesi che vivono in Italia, a partire dalla visione di alcune
clip del film No Other Land, vincitore dell’Oscar 2024 come miglior
documentario.
Organizzatori e ospiti dell’incontro
Dopo la presentazione delle due reti da parte di Jardena Tedeschi per
Maiindifferenti (d’ora in poi, Maii) e Giulia Frova per LƏa, e una breve
introduzione di Eva Schwarzwald sempre di Maii, l’incontro è entrato nel vivo
con l’arrivo sul palco come moderatore di Matteo Pucciarelli di LƏa, giornalista
romano, e di Davide Lerner, anche lui giornalista e autore del libro Il sentiero
dei dieci. Una storia tra Israele e Gaza.
I Territori (West Bank), occupati da Israele, dopo gli Accordi di Oslo
Davide ha illustrato l’assetto della West Bank (conosciuta anche come
Cisgiordania) deciso dalle due parti. Suddivisi in tre zone – A, B, C – la prima
(il 18%) era governata dall’Autorità nazionale palestinese, l’Anp; la seconda
era amministrata dall’Anp, ma con l’apparato di sicurezza e il controllo del
territorio in mano a Israele; la terza era completamente sotto il dominio del
governo israeliano e del suo esercito[1]. Il villaggio di At-tuwani al centro
della vicenda narrata nel film (terminato appena prima del 7 ottobre) si trova
in zona C nella località di Masafer Yatta nei pressi di Hebron, in arabo
Al-Khalil. A tutti gli interlocutori è stato chiesto un commento su alcune clip
del film.
Il primo gruppo e le prime clip: il calore umano degli abitanti
Sul palco vicino a Davide Lerner e Matteo Pucciarelli vengono invitati Noga
Kadman – cittadina israeliana che vive a Milano da qualche anno – editor e
ricercatrice nel campo dei diritti umani e del conflitto israelo-palestinese;
Ali Rashid, esponente politico di spicco, già primo segretario dell’Ambasciata
palestinese in Italia e deputato per Rifondazione comunista; Alrabi Najati dei
Sanitari per Gaza, responsabile dell’Unità operativa di Urologia dell’Istituto
clinico Sant’Anna di Brescia. Le clip prescelte sono in tutto cinque e ad Ali,
Alrabi e Noga è stata proposta quella che documenta l’accoglienza ricevuta dal
regista israeliano Yuval Abraham al suo arrivo ad At-tuwani, villaggio natale
del regista palestinese Basel Adra, e quella sulla vita in una grotta della zona
di una famiglia cui l’esercito ha distrutto la casa. Sia nel primo caso che nel
secondo, emerge il calore umano degli abitanti che accolgono da un lato Yuval a
braccia aperte, dall’altro mostrano un amore incrollabile fra familiari e in
particolare da parte della mamma verso la sua bellissima bambina.
I commenti
Noga e il lavaggio del cervello
E’ piuttosto impressionante; narra di come durante il suo primo incontro con
alcuni palestinesi, vedendo un padre abbracciare il figlio abbia pensato “to’,
anche loro amano i loro figli”. Questo episodio è emblematico del lavaggio del
cervello a cui è sottoposta la popolazione ebraica in Israele.
Ali, la resistenza palestinese e l’avvicinamento all’altro
Afferma che la popolazione palestinese non si farà mai sottrarre la propria
terra, la sua resistenza è indomita. Ha ricordato che è indispensabile
avvicinarsi, andare verso l’altro seguendo l’esempio di Yuval, evitando di
cadere nella trappola del nazionalismo.
Alrabi e lo spiraglio di speranza
Ha espresso la sua emozione nel vedere ebrei che comprendono le condizioni in
cui versano i palestinesi. A Gaza e in Cisgiordania si sentono abbandonati,
tutte le leggi del diritto internazionale sono state annullate. Nel 1993 con gli
Accordi di Oslo era nata una grande speranza, poi sepolta nel 2000 dalla
“passeggiata” di Sharon sulla Spianata delle moschee. Il film però apre uno
spiraglio, lascia intravedere il desiderio di comprendersi e vivere insieme.
Il secondo gruppo: clip sulla distruzione del sistema idrico e l’abbattimento
della scuola elementare
Del secondo gruppo fanno parte Sarah Mustafa, scrittrice, figlia di padre
palestinese e madre italiana, nata a Milano ma poi vissuta in un campo profughi
palestinese per dieci anni; Stefano Levi Della Torre di Maii, noto saggista e
pittore; Widad Tamimi, intervenuta online, figlia di Khader, anche lei
scrittrice, attiva nel programma Restoring Family Link della Croce Rossa
slovena. Le due clip proiettate in questo caso riguardano la questione
dell’acqua e l’istruzione.
Nella prima clip vediamo i soldati, arrivati nel villaggio con betoniera al
seguito, dare ordine all’operaio che la guida di gettare una colata di cemento
sopra al pozzo e ad altri operai di forare i tubi del sistema idrico. Nella
seconda clip invece, vediamo sempre i soldati arrivare alla scuola elementare
del villaggio, ordinarne l’evacuazione e farla distruggere da un bulldozer.
I commenti
Sarah: il trauma e l’umanità violata
La scrittrice sottolinea come le scene che abbiamo visto nei villaggi e città
palestinesi siano la quotidianità, caratterizzata dalla violenza dei soldati e
dei coloni col consenso di uno Stato che l’alimenta e incoraggia. Quale sarà il
trauma di bambini buttati fuori dalla scuola che loro stessi hanno contribuito a
costruire e che viene distrutta davanti ai loro occhi? Riportando
un’osservazione di Stefano Levi della Torre, Sarah evidenzia che da tali scene
emerge la volontà d’Israele d’impedire ai palestinesi l’accesso a beni
essenziali come l’acqua e l’istruzione, in modo da convalidare la narrazione
secondo cui sono un popolo ignorante e incapace di provvedere a se stesso. È in
questi contesti che s’invoca l’umanità, si grida un dolore che è uguale al tuo
se solo lo potessi vedere.
Widad: come uscirà lo Stato d’Israele da questo bagno di sangue?
Intervenuta da Lubiana dove vive, ha innanzitutto sollecitato la diaspora
palestinese ed ebraica a dare contributi significativi per trovare sbocchi a una
situazione che sta raggiungendo conseguenze estreme. Vedendo il soldato
distruggere i tubi del sistema idrico con l’acqua che così si disperde su un
terreno arido, non pensa solo ai palestinesi che assistono a questa scena
straziante, ma anche al soldato: come potrà sopportare le conseguenze della sua
azione? È la domanda che ci siamo posti in molti all’inizio del massacro a Gaza,
e che ancora c’interroga.
Stefano e i brutti ricordi
Risuonano nel suo essere di ebreo di fronte alla scuola distrutta e alla
privazione dell’acqua: il ricordo degli ebrei italiani scacciati dalle scuole
nel ’38 e gli stenti della popolazione ebraica nei lager. Tali immagini forti
che suscitano condanna e ripudio lo inducono ad affiancare ad apartheid il
termine di “pulizia etnica” nei Territori e “sostituzione etnica” a Gaza.
Ultimo gruppo e ultima clip: l’impazienza e la perseveranza
Infine nell’ultima clip mostrata al terzo gruppo, con Khader Tamimi e Gad
Lerner, si vedono i due registi in auto che parlano fra loro. Yuval lamenta,
deluso, che l’ultimo pezzo da lui postato online abbia avuto poche
visualizzazioni. Basel lo rimprovera per la sua impazienza, gli fa notare che
l’occupazione dura da tanti anni e non può pretendere di vedere chissà quale
cambiamento in dieci giorni. La scena vuole evidenziare la maggiore maturità di
un giovane abituato a lottare fin da piccolo, e a perseverare, di fronte a un
altro giovane dalla mentalità occidentale che vive secondo i tempi rapidi della
cultura digitale, con tutta la superficialità che ne consegue.
I commenti
Khader e l’uso delle parole
Il suo intervento denuncia un altro lato della nostra mentalità occidentale, la
pretesa di scegliere anche per altri con quali parole ci si debba esprimere di
fronte a questioni controverse. Nel caso specifico: massacro, strage, pulizia
etnica o l’impronunciabile “g-cidio? Nello stesso tempo, ha lasciato intravedere
quale confusione esista ancora intorno a definizioni quali “ebrei”, “sionisti”,
“israeliani”…
Gad parla di “utopia”
Spera che i perdenti di oggi siano i costruttori del futuro per le popolazioni
di Israele/Palestina, senza altro Paese dove vivere. La chiave è indossare i
panni dell’altro, superare il timore di essere accusati di tradimento se si
parla con “il nemico”, che nemico non è se ci si può parlare.
E infine due outsider, Daria Bignardi e Gabriele Nissim di Gariwo
Daria, appena rientrata dai Territori, ha raccontato episodi di brutalità e
l’incontro con Suad Amiry, scrittrice, architetta, intellettuale palestinese che
ha perso qualsiasi speranza e fiducia in un Occidente rivelatosi cieco e sordo
davanti alla tragedia di Gaza.
Gabriele Nissim ha elogiato l’incontro invitando Maii e LƏa a organizzare
un’altra iniziativa all’aperto, nel Giardino dei Giusti al Montestella di Milano
nei prossimi mesi.
[1] Si sarebbe dovuto superare questo assetto nel giro di cinque anni e invece è
rimasto tale e quale con una sottrazione crescente di territorio da parte dei
coloni israeliani. Il verbo inoltre è al passato perché ormai la differenza fra
le tre zone, nell’ultimo anno, è stata quasi completamente cancellata con Jenin
e Tulkharem sotto assedio, Nablus, Betlemme e altre città vittime di continue
incursioni dell’esercito israeliano, soprattutto nei loro campi profughi.
Redazione Milano