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Madagascar: la Generazione Z ha vinto, ma non è lei a riscrivere le regole
Abbiamo assistito di recente a una svolta storica in Madagascar, che ha visto protagonisti i giovani della Generazione Zeta. A distanza di poco tempo rimangono molti interrogativi e sfide. Tra il 25 settembre e il 14 ottobre scorsi, il Madagascar ha vissuto una svolta storica. La Generazione Z, nata e organizzata sui social network, è riuscita a far cadere il regime di Andry Rajoelina. Ora però i ragazzi della Gen Z tra i 15 e i 25 anni, arrabbiati, connessi e determinati, si trovano di fronte a un interrogativo cruciale: come evitare che il loro sogno di cambiamento venga neutralizzato? Il rischio principale per la Generazione Z malgascia è che il “momento rivoluzionario” venga normalizzato dentro logiche militari, clientelari e internazionali che non controlla, trasformando una vittoria di piazza in una riconfigurazione del vecchio sistema con volti nuovi. La specificità della Generazione Z malgascia è il suo nucleo motore: una galassia di gruppi urbani connessi che ha usato piattaforme cifrate per coordinare scioperi, sit-in, occupazioni, manifestazioni e presidi in spazi simbolici come la Place de la Démocratie, aggirando partiti e notabili. Questa “rivoluzione digitale” ha prodotto due effetti ambivalenti: ha mostrato che una generazione con poco da perdere può rovesciare rapidamente un presidente, ma ha anche aperto spazio a un arbitraggio di potere da parte dei militari, delle élite economiche e degli attori esterni che ora cercano di incanalare l’energia giovanile in una transizione controllata. Un governo senza consultazione La scelta del primo ministro e la formazione del nuovo governo sono avvenute senza il diretto coinvolgimento dei giovani protagonisti della rivolta. I 29 membri dell’esecutivo odierno includono qualche nuovo volto e alcuni esperti, ma l’insieme resta un sapiente dosaggio di vecchi politici, oppositori storici e persino rappresentanti del regime appena cacciato come Christine Razanamahasoa già presidente dell’Assemblea Nazionale ed ex ministro con Andry Rajoelina, che oggi nel nuovo governo ha ottenuto lo strategico Ministero degli Esteri. Sariaka Senecal, giovane attivista malgascia (poco più che ventenne) descrive così al settimanale francese Le Point il rapporto ambivalente con le nuove autorità: “E’ vero, siamo stati ricevuti dalla presidenza e al Ministero della Gioventù. Da questo punto di vista c’è stato ascolto. Ma sulle nomine politiche non siamo stati minimamente consultati. Dalla scelta del premier a quella dei ministri, non siamo mai stati coinvolti. Stiamo assistendo a una rifondazione di facciata. Non è prevista alcuna revisione costituzionale, nessuna riforma strutturale. Cambiano le facce, non le logiche. Ci ascoltano, fingono di prenderci sul serio. Ma hanno già i loro piani”. Dal movimento orizzontale alla struttura organizzata La difficoltà di questa “rivoluzione della Generazione Z” era prevedibile. Nata in modo spontaneo e orizzontale, la mobilitazione giovanile manca, come in altri contesti simili, di rappresentatività formale. Per acquisire maggior peso, il movimento starebbe valutando di modificare la pura orizzontalità e organizzarsi in una struttura più tradizionale, con portavoce, comitati e leader riconoscibili. La Generazione Z dispone oggi di reti e strumenti che le danno un’influenza senza precedenti, ma oscilla ancora tra la forma organizzata di un movimento e quella assembleare e fluida di un organo consultivo. L’obiettivo comunque resta invariato: influenzare le decisioni del potere. Per ora una delle sfide principali per il nuovo governo è mantenere il sostegno finanziario della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, da cui dipendono numerosi progetti in corso per migliorare l’accesso all’acqua e all’energia: solo il 36% della popolazione malgascia ha accesso all’elettricità, quando c’è. Un brief “Poverty and Equity” su Madagascar dell’ottobre 2025 stima che nel 2024 circa l’80% dei malgasci viva sotto la soglia internazionale di povertà di 2,15 dollari al giorno Intanto la Russia in queste settimane ha manifestato ufficialmente la volontà di rafforzare la cooperazione con il Madagascar in questa fase di transizione. Una mossa sostenuta dal nuovo Presidente dell’Assemblea Nazionale malgascia, Siteny Randrianasoloniaiko, noto per la sua vicinanza a Mosca. “I russi sono specialisti nella risoluzione di problemi urgenti. possono fornirci carburante. La scelta è nelle nostre mani se vogliamo davvero trovare soluzioni ai nostri problemi” ha dichiarato lunedì 24 novembre, durante la discussione sulla legge finanziaria per il 2026. Il giorno seguente ha convocato i fornitori della Jirama, la società pubblica di distribuzione di acqua ed elettricità sostenendo che il supporto tecnico russo sarebbe il benvenuto dato che nella capitale sono già ripresi i tagli di corrente. Non è la prima volta che Mosca prova a esercitare la sua influenza sul Madagascar. Nel 2018, pochi mesi prima delle presidenziali, un’indagine di BBC Africa Eye aveva rivelato come una squadra di consulenti politici russi (entrati nel Paese come “turisti” o “osservatori”) avesse offerto denaro e supporto tecnico ad almeno sei candidati. L’obiettivo era influenzare l’esito del voto sostenendo più candidati in parallelo. Da allora gli attori esterni non hanno smesso di cercare spazio a Antananarivo, tra contratti minerari e offerte di ‘cooperazione strategica’. Ma sette anni dopo, quel copione non funziona più: per i ragazzi della Generazione Z la vera battaglia comincia adesso.   Africa Rivista
UCRAINA: PROSEGUONO I NEGOZIATI TRA RUSSIA E STATI UNITI (SENZA UE E UCRAINA)
Ieri, martedì 2 dicembre, l’inviato speciale Usa Witkoff ha incontrato Putin al Cremlino, a Mosca. Il segretario di Stato Usa Rubio ha parlato di “alcuni progressi” nei colloqui con la Russia, tuttavia oggi Witkoff avrebbe dovuto vedere Zelensky a Bruxelles, ma l’incontro è saltato, ufficialmente per il “necessario rientro a Washington”, in modo da riferire a Trump sull’esito non particolarmente positivo del viaggio moscovita, da dove Putin fa sapere: “non abbiamo bocciato il piano in toto, ma alcune sue parti”, nello specifico quelle sui territori ucraini da inglobare e – soprattutto – al ruolo di Nato e pure della Ue. Proprio la Ue incassa il niet della sull’uso di 140 miliardi di euro da girare a Kiev dagli asset congelati di Mosca, oggi all’ordine del giorno alla riunione dei Rappresentanti permanenti. Pure il Belgio, dove sono congelati i beni russi, ribadisce la propria contrarietà; in caso infatti di causa da parte di Mosca e di – probabile – vittoria russa, lo Stato belga ha fatto sapere alla Commissione Ue di rischiare concretamente la bancarotta. Per ora su questo non replica la Von der Leyen, che incassa invece l’ok di Consiglio e Parlamento europei sul regolamento per eliminare le importazioni di gas russo: stop graduale da fine 2026, totale dall’autunno 2027. “Colpirà soprattutto l’Europa”, la replica di Mosca a Bruxelles. Sul campo intanto si continua a combattere. Due persone uccise e tre ferite in un attacco russo sulla città di Ternivka (Dnipropetrovsk) dove è anche scoppiato un vasto incendio, che ha coinvolto diverse abitazioni private. Vasto incendio, per droni ucraini, pure sull’altro fronte, in un deposito di petrolio nella regione russa di Tambov. Droni a segno pure in un’altra regione russa, quella di Voronezh, su serbatoi di carburante. Due giorni fa – ma la notizia è stata diffusa solo oggi dai Servizi segreti ucraini – quinto attacco all’oleodotto Druzhba, l’Oleodotto dell’Amicizia, la più grande arteria per il trasporto di petrolio russo in Europa: in passato riforniva Bielorussia, Polonia, Slovacchia, Rep. Ceca, Ungheria, Germania e Ucraina, sebbene Ungheria e Slovacchia siano ora gli unici paesi dell’Ue a ricevere ancora petrolio russo. L’attacco all’altezza Kazinsky – Vysilky Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, il commento e l’analisi di Alberto Negri, editorialista de Il Manifesto Ascolta o scarica
UCRAINA: “SEGUIRE IL DENARO, LA VERA POSTA IN GIOCO”. IL COMMENTO DI EMILIANO BRANCACCIO
La Russia apre a negoziati di pace con l’Ucraina. Secondo Mosca “è in corso un processo serio per trovare una soluzione negoziata al conflitto e molti cercheranno di farlo fallire”. Lo ha detto il portavoce del Cremlino Peskov commentando le trattative in corso a partire dal piano presentato la scorsa settimana dall’amministrazione Usa e modificato dagli emissari di Washington insieme al governo ucraino e a rappresentanti dell’Ue. Il presidente ucraino Zelesnky, però, non si fida e – dopo una telefonata con la presidente della Commissione Ue von der Leyen – chiede agli alleati del Vecchio continente di continuare a esercitare pressione sulla Russia. “Nessun territorio occupato sarà mai riconosciuto come russo”, afferma il Parlamento europeo nella relazione sul piano Usa approvata la mattina di giovedì 27 novembre 2025 a Strasburgo. La relazione riconosce gli sforzi negoziali degli Usa, ma critica “l’ambivalenza di Washington”, ritenuta “dannosa ai fini di una pace duratura”. Negli Stati Uniti d’America intanto è bufera sull’inviato speciale della Casa Bianca Steve Witkoff: sono trapelate le parole che avrebbe pronunciato durante una telefonata con il mediatore russo Ushakov. Nel dialogo Witkoff suggerisce ai russi il modo in cui Putin avrebbe dovuto presentare a Trump la proposta di pace. Per Mosca si tratta di una “fuga di notizie per far saltare l’accordo”. “Dietro i massacri di questo tempo c’è il denaro, c’è il capitale”, commenta su Radio Onda d’Urto l’economista Emilano Brancaccio, autore di un commento su Il Manifesto di sabato 22 novembre 2025 dal titolo Seguire il denaro: la vera posta in gioco. “Lo sviluppo delle guerre di questo tempo ci fa capire che sono guerre definibili capitaliste, se non si parte da qui non si può capire nulla del sangue che viene sparso in questo tempo”, aggiunge Brancaccio. L’intervista di Radio Onda d’Urto all’economista Emiliano Brancaccio, docente di Politica economica all’Università del Sannio. Ascolta o scarica.  
Riemergono repubbliche imperiali
Nei regni della proprietà privata, si va a testa bassa contro la giustizia separata e dis-persa nelle domande senza risposte, e c’è una sovrana assoluta che sa usare il suo vittimismo odioso e sfuggente, e i nostri pensieri galleggiano nelle certezze avanzate su tutti i fronti… senza prove. Nei regni della proprietà privata ri-emergono le repubbliche imperiali, dove il ricco-metro del più forte spezza il grido sociale dei popoli e tiene i salariati diurni e notturni colonizzati e rafforzati dal populismo che non vede e non sente. Nei regni della proprietà privata l’Europa paga un prezzo elevato e mostruoso per essere amata e asservita, per essere consumata e gettata nel bel mezzo di un croce-via con i morti annunciati giorno dopo giorno e con i vivi sotto-posti a misure e mezzi restrittivi. Nei regni della proprietà privata, i primi ministri petulanti e serpentini cantano, alzano la testa e ballano, battendo i piedi pesanti come piombo sul vecchio mondo che soffre e sopporta una pace dissanguata e calpestata dalla NATO e dalla Russia anti-comunista con furore senza confini.   Pino Dicevi
Cronistoria dei piani per la pace
-------------------------------------------------------------------------------- Marcia Perugia-Assisi, 12 ottobre 2025. Foto di Riccardo Troisi per Comune -------------------------------------------------------------------------------- È stato presentato ufficialmente l’ennesimo “piano per la pace”, in tal caso redatto dal governo di Trump in consultazione con Putin e i suoi sodali. In altre parole, un soggetto terzo o presunto tale, il quale si arroga la responsabilità di fare da mediatore tra due contendenti in conflitto, annuncia di avere una proposta per terminare quest’ultimo realizzata in collaborazione con quello che tra essi ha la grave colpa di averlo iniziato… Lo so, è talmente ridicolo da risultare complicato anche da scrivere. Ciò mi ha spinto a stilare una sintetica cronistoria dei principali “piani di pace” del passato, dalle due guerre mondiali a oggi. Ok, cominciamo. Nell’autunno del 1917 l’esercito tedesco era sull’orlo del collasso e la Germania stessa era in subbuglio dal punto di vista politico. Rendendosi conto che la guerra era persa, i tedeschi contattarono il presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson e gli chiesero di mediare tra le parti in conflitto per arrivare a un cessate il fuoco con le potenze alleate. Il piano di pace di Wilson, suddiviso in quattordici punti, fu proposto per la prima volta nel gennaio 1918 e avrebbe dovuto costituire la base per i negoziati. Nondimeno, sappiamo tutti che tale cosiddetta pace fu soltanto una parentesi tra ben due guerre mondiali. Difatti, i successivi accordi di mediazione non furono esenti da obiezioni. Le critiche principali evidenziarono i fallimenti delle varie politiche di pacificazione, come l’Accordo di Monaco, che fu visto come un incoraggiamento per Hitler, e le carenze del Trattato di Versailles, reo di creare risentimento e instabilità. Gli appunti dei detrattori si concentrano sul fallimento di questi piani nel raggiungere una pace duratura e sulle loro conseguenze negative per specifici gruppi o regioni. Per quanto riguarda la Seconda Guerra mondiale, i principali piani di pace furono l’Accordo di Potsdam (luglio 1945), incentrato sulla smilitarizzazione e la divisione della Germania, e i Trattati di pace di Parigi (febbraio 1947), che posero formalmente fine alla guerra con Italia, Romania, Ungheria, Bulgaria e Finlandia. L’Accordo di Potsdam  concordò la divisione della Germania in quattro zone di occupazione, la sua smilitarizzazione e il suo disarmo, mentre i Trattati di pace di Parigi  stabilirono aggiustamenti territoriali, riparazioni di guerra e il ritorno delle nazioni sconfitte negli affari internazionali, con la risoluzione definitiva della questione tedesca che avvenne in seguito attraverso accordi separati. Anche in tal caso, emersero numerose criticità. Riguardo al trattato di Potsdam, furono identificate significative controversie nella divisione postbellica di Germania e Polonia, la mancanza di accordi chiari sulle riparazioni e il deterioramento delle relazioni tra l’Unione Sovietica e gli alleati occidentali, che molti sostengono abbiano contribuito all’inizio della Guerra Fredda. I critici sottolineano inoltre che l’Unione Sovietica abbia approfittato delle incongruenze per rafforzare la propria posizione nell’Europa orientale ed espandere il proprio territorio, spesso a discapito degli accordi concordati. Per quanto concerne invece gli accordi di pace di Parigi, tra gli errori individuati vi sono la migrazione forzata e lo sfollamento di milioni di persone, l’aggravarsi dei problemi economici nelle nazioni vinte e l’incapacità di affrontare questioni di fondo come il nazionalismo, che ha portato a una continua instabilità. Inoltre, gli aggiustamenti territoriali previsti dai suddetti trattati e le riparazioni imposte risultarono in seguito molto discussi e causarono risentimenti e difficoltà a lungo termine. Che peraltro si fanno sentire ancora oggi a distanza di quasi un secolo. La Guerra di Corea (1950-’53) non si concluse con un vero e proprio trattato di pace, ma con un armistizio. Si istituì il cessate il fuoco e fu stabilita la Zona Demilitarizzata come area cuscinetto tra la Corea del Nord e quella del Sud. L’assenza di un trattato di pace formale è difatti indicata tra le cause per cui le due Coree tecnicamente restarono in guerra e ancora oggi hanno relazioni tese e fragili. Il trattato di pace per la Guerra del Vietnam (1950-’75) fu l’Accordo di Pace di Parigi, firmato il 27 gennaio 1973 dagli Stati Uniti, dal Vietnam del Nord, dal Vietnam del Sud e dal Governo Rivoluzionario Provvisorio. L’accordo mirava a porre fine al conflitto prevedendo un cessate il fuoco, il ritiro delle truppe statunitensi, il ritorno dei prigionieri e l’eventuale riunificazione del Vietnam attraverso mezzi politici. Tuttavia, ennesimo fallimento, gli accordi non riuscirono a portare una pace duratura poiché i combattimenti continuarono e il Vietnam del Nord alla fine invase quello del Sud nel 1975. Anche il conflitto tra Iran e Iraq (1980-’88) non fu degno di un vero e proprio piano di pace.  La guerra fu interrotta con un cessate il fuoco mediato dalle Nazioni Unite, seguito da un accordo formale il 16 agosto 1990, che normalizzò le relazioni e pose fine del tutto al conflitto. Le critiche in questo caso si concentrarono sulla sua tempistica, sul costo in vite umane e sulla mancanza di una vittoria decisiva percepita da entrambe le parti, con alcuni che criticarono l’Iran per aver prolungato inutilmente la guerra dopo che una potenziale pace era stata possibile nel 1982. I detrattori sostengono anche che il conflitto si sia concluso senza significativi guadagni territoriali o riparazioni per entrambe le nazioni, nonostante otto anni di guerra devastante, che hanno portato a un immenso numero di vittime e difficoltà economiche sia per l’Iran che per l’Iraq. Nessun trattato di pace neppure per la prima Guerra del Golfo (1990-’91). La fine del conflitto fu segnata da diverse risoluzioni ONU e da un armistizio. Il processo iniziò con l’accettazione da parte dell’Iraq delle decisioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, tra cui il cessate il fuoco il 28 febbraio 1991, e culminò con la firma di un armistizio l’11 aprile del 1991. Tra i termini chiave figuravano il riconoscimento da parte dell’Iraq della sovranità del Kuwait, l’impegno a distruggere le sue presunte “armi di distruzione di massa” e il pagamento delle riparazioni di guerra. Gli aspetti controversi in tal caso furono moltissimi, oltre a quelli relativi alle motivazioni della guerra in sé. Le critiche principali furono rivolte alle risoluzioni delle Nazioni Unite, le quali determinarono la delega del potere militare alla coalizione guidata dagli Stati Uniti, che alcuni sostengono abbia violato i principi della Carta delle Nazioni Unite, minando l’autorità del Consiglio di Sicurezza e creando un precedente discutibile. Altre critiche sottolinearono l’eccessiva aggressività delle risoluzioni, l’insufficiente ricerca di soluzioni pacifiche e le conseguenti sanzioni, che hanno causato gravi danni umanitari alla popolazione irachena. Tra i vari conflitti che hanno dilaniato l’ormai ex Jugoslavia, mi limito a citare il trattato con cui fu sancita la fine della Guerra del Kosovo, ovvero l’Accordo di Kumanovo firmato il 9 giugno 1999, che imponeva il ritiro delle forze jugoslave dal territorio conteso, e dalla Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che istituiva un Kosovo amministrato dalle Nazioni Unite con sostanziale autonomia pur rimanendo all’interno della Jugoslavia. Ci furono forti critiche anche al suddetto accordo. I rilievi furono fatti in relazione alla sua mancata piena attuazione, in particolare per quanto riguarda la protezione delle minoranze, il disarmo dell’UCK (Esercito di Liberazione del Kosovo) e il ritorno degli sfollati. I critici sostengono che si sia trattato di una tregua tecnica che ha posto fine alla guerra, ma non ha stabilito una pace duratura, priva di disposizioni per la stabilità a lungo termine, la riconciliazione e lo status politico definitivo del Kosovo. Alcuni inoltre ritengono che l’accordo sia stato il risultato di pressioni e di un’applicazione selettiva dei suoi termini, piuttosto che di una risoluzione di principio. Di recente, l’Accordo di Ohrid del 2023 è stato siglato con lo scopo di normalizzare le relazioni tra Kosovo e Serbia, prevedendo il riconoscimento reciproco dell’indipendenza e dei simboli, sebbene quest’ultimo sia ancora oggetto di contesa. Riguardo al millennio in corso, quale corollario al tale lista aggiungo il modo a dir poco discutibile con cui si è conclusa la cosiddetta seconda Guerra del Golfo, la Guerra d’Iraq (2003-’11). Non esiste alcun “trattato di pace” che abbia posto fine al conflitto, mentre il ritiro delle forze statunitensi – gli invasori, ricordiamolo, è stato regolato dall’Accordo sullo Status delle Forze del 2008, che ha fissato il 31 dicembre 2011 come data entro la quale tutte le truppe combattenti statunitensi avrebbero dovuto lasciare l’Iraq. In precedenza, gli Stati Uniti avevano anche firmato l’Accordo Quadro Strategico e l’Accordo di Sicurezza con l’Iraq nel dicembre 2008, che formalizzavano la futura cooperazione ma non ponevano fine al conflitto. Come si evince da questo elenco, la nefasta pratica che prevede l’interpretazione del ruolo di mediatore (ovvero per definizione super partes) da parte del responsabile principale dell’inizio del conflitto e, soprattutto, del soggetto che ha proprio per questa ragione intenzione di giovare dei frutti della sua azione criminale, viene da molto lontano. E non ho neppure menzionato il famigerato piano di pace per Gaza… -------------------------------------------------------------------------------- Per ricevere la Newsletter di Alessandro Ghebreigziabiher -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Cronistoria dei piani per la pace proviene da Comune-info.
Il Piano Usa-Russia per la “pace” in Ucraina, l’ennesima messinscena
La Casa Bianca conferma che il presidente Trump sta lavorando al piano per “la fine della guerra in Ucraina, buono per entrambe le parti”. Il nuovo Piano Usa-Russia per la “pace” in Ucraina, proposto da Donald Trump, si dice sia stato creato da un gruppo di funzionari americani e russi, tra cui l’inviato statunitense Witkoff e l’inviato russo Dmitriev. Si dice che Dmitriev sia soddisfatto dell’accordo, asserendo che Putin probabilmente lo accetterà. Un piano con Mosca che il tycoon ha fatto recapitare dai suoi generali del Pentagono a Kiev, ha dichiarati l’ANSA. E Volodymyr Zelensky, pur non sbilanciandosi sui contenuti dell’iniziativa che appare fortemente penalizzante per gli ucraini, si è detto ‘pronto a collaborare’: ‘Ne parlerò con Trump’, ha detto mentre alcune fonti ucraine bollavano il piano come “assurdo e irricevibile”. Mosca ha affermato di non aver ricevuto alcuna informazione dagli USA attraverso i canali ufficiali sul piano di pace in Ucraina di cui hanno scritto diversi media internazionali. Lo ha detto la portavoce del ministero degli esteri, Maria Zakharova, al media russo RBC: “se la parte americana avesse una qualsiasi proposta, l’avrebbero comunicata attraverso i canali in uso tra i ministeri degli esteri dei due Paesi”, ma il ministero degli esteri di Mosca “non ha ricevuto niente di simile dal Dipartimento di Stato”. Interessanti anche le dichiarazioni dell’Alta Rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza Kaja Kallas arrivando al Consiglio Affari Esteri, precisando di “non essere a conoscenza” di un coinvolgimento degli europei alla costruzione del piano di pace degli USA. In tutto ciò non si capisce per quale motivo reale a trattare per la pace in Ucraina manchino proprio gli ucraini. Forse è l’ennesima prova – come dichiarato da analisti geopolitici e storici del calibro di Franco Cardini, Luciano Canfora e, all’epoca, Giulietto Chiesa – che la guerra in Ucraina è lo specchio di uno scontro geopolitico ed economico tra Russia e USA. Resta quindi il mistero sulla veridicità del piano di Trump: se sia una proposta seria o un’ennesima messinscena americana. Il famigerato piano Usa-Russia consisterebbe in 28 punti che ieri Axios, che ne aveva rivelato l’esistenza, ha diffuso integralmente. Ecco di seguito i punti focali: * La sovranità dell’Ucraina sarà confermata; * promulgazione di un accordo di non aggressione tra Russia, Ucraina ed Europa che metta fine a tutte «le ambiguità degli ultimi trent’anni». * «Ci si aspetta che la Russia non invada Paesi vicini e che la Nato non si espanda ulteriormente».  Comprende «garanzie di sicurezza certe» per l’Ucraina, che però si impegna (punto 7) a scrivere nella Costituzione che non entrerà nella Nato. La quale a sua volta  E ancora: l’esercito di Kiev dovrà essere limitato a 600 mila uomini e caccia europei saranno dislocati in Polonia per proteggere l’Ucraina. * L’Ucraina si ritirerebbe dalle zone di Donetsk e Lugansk ancora controllate dall’Ucraina. Gli ucraini dovrebbero ritirarsi dall’intero Donbass e riconoscere la piena sovranità russa. Il Donbass passerebbe così sotto la sovranità di Mosca, però sarebbe una regione demilitarizzata, dove le truppe russe non potrebbero venire dispiegate. * Le forze russe congeleranno le linee lungo Kherson e Zaporozhye, rinunciando alle rivendicazioni per il resto delle regioni. * Le forze russe si ritireranno da Kharkov e Sumy. * È prevista anche la riapertura della centrale nucleare di Zaporizhzhia, occupata dai russi, la cui energia dovrebbe venire divisa in parti uguali tra Russia e Ucraina. * Il piano stabilisce anche che tutti i prigionieri di guerra e i corpi dei caduti saranno scambiati; tutti i civili detenuti, inclusi i bambini, verranno rilasciati. * L’Ucraina ridurrà il suo esercito a metà dei suoi attuali effettivi. l’esercito di Kiev dovrà essere limitato a 600 mila uomini e caccia europei saranno dislocati in Polonia per proteggere l’Ucraina. * L’Ucraina cederà sull’accesso alle armi a lungo raggio. * Nessuna unità straniera sarà schierata in Ucraina, inclusa la forza di pace della Coalizione dei Volenterosi guidata da Regno Unito e Francia. * L’Ucraina non entrerà in alleanze militari, inclusa la NATO, rimanendo neutrale. * La NATO includerà nei suoi statuti «una disposizione secondo la quale l’Ucraina non sarà ammessa» nell’organizzazione atlantica. * Alla voce «garanzie» il piano spiega: «se l’Ucraina invadesse la Russia perderebbe tutte le garanzie»; se la Russia invadesse l’Ucraina «oltre a una risposta militare coordinata sarebbero ripristinate tutte le sanzioni globali»; se l’Ucraina lanciasse missili verso Mosca o San Pietroburgo senza motivo «le garanzie di sicurezza saranno invalidate». * Kiev si impegna a essere «Stato non nucleare» in accordo con i trattati di non proliferazione. * il rientro della Russia nel G8 e la cancellazione delle sanzioni, con il reintegro di Mosca nell’economia globale. * la Russia non ostacolerà l’uso del fiume Dnipro da parte dell’Ucraina per le attività commerciali e saranno raggiunti accordi per il libero trasporto di grano attraverso il Mar Nero. * All’Ucraina sarà permesso di aderire all’Unione Europea. * La lingua russa sarà riconosciuta come lingua ufficiale in Ucraina, al pari dell’ucraino. * L’Ucraina concederà uno status formale alla Chiesa Ortodossa Ucraina. * Necessità di «denazificare» l’Ucraina dai battaglioni paramilitari d’estrema destra, autori di pulizie etniche contro la popolazione civile del Donbass russofono. * Il punto 25 prevede che in Ucraina si tengano le elezioni «entro cento giorni dalla firma degli accordi». L’accordo sarà «legalmente vincolante» e «la sua attuazione», come previsto da quello su Gaza, «sarà monitorata e garantita dal Consiglio di Pace, guidato da Trump». Una volta che le parti avranno accettato il memorandum e si saranno ritirate «il cessate il fuoco entrerà in vigore». Il piano Trump – sebbene non si capisca chi siano gli attori coinvolti – ha le sembianze di un accordo economico tripartito tra Stati Uniti, Europa e Russia, nel quale vengono utilizzati 100 miliardi di beni russi congelati nelle banche europee, cui si aggiunge una somma simile che dovrebbe arrivare dall’Europa per la ricostruzione dell’Ucraina. Il 50% dei proventi dovrebbe andare agli Usa. Altre somme non specificate dei beni russi congelati dovrebbero essere investite in progetti bilaterali tra Washington e Mosca. Lorenzo Poli
Mykolaiv: non si può dimenticare come il sole di agosto tramonta sulla città
Mykolaiv si è trasformata da soffocante città industriale a simbolo della resilienza del Sud ucraino. La guerra su vasta scala, (iniziata con l’invasione delle truppe della Federazione Russa N.d.T.) ha trasformato sia la città che i suoi abitanti, diventati un vero e proprio scudo per la propria patria, resistendo alla minaccia dell’occupazione e dei bombardamenti quotidiani. Oggi la città sta tornando a vivere: gli sfollati stanno tornando, le strade vengono ristrutturate, la musica jazz riempie l’aria e un rinnovato senso di unità e solidarietà sta crescendo. Mykolaiv sembra un monolocale spazioso in cui ho lasciato tutte le parti migliori di me. Le ho sistemate con cura sugli scaffali e negli angoli, ho chiuso la porta a chiave e me ne sono andata, solo con l’idea di tornare un giorno. Come potrebbe essere altrimenti? Mi sono trasferito a Mykolaiv quando ho compiuto 20 anni, nel 2015, da Lutsk, dove studiavo. Volevo vivere in una città più grande, con più opportunità, un ritmo più veloce e persone che fossero sulla mia stessa lunghezza d’onda. Prime impressioni della città Quando scesi dal treno e guardai la stazione, vidi vernice scrostata, architettura in stile sovietico, polvere e calore. Mi sentii inquieta. Rispetto alla tranquilla Lutsk, Mykolaiv sembrava un’enorme padella rovente, una città dove la gente, e persino i loro cani, avevano gli occhi stanchi e cercavano di sopravvivere tra l’erba bruciata. Non riuscivo a capire perché una città così grande non avesse un centro commerciale decente, perché ci fossero così tanti rifiuti e così tanti edifici abbandonati. Ovunque mi girassi, sentivo una pesantezza, a partire dall’aria calda che mi faceva male al petto, fino ai resti in bronzo e cemento dell’era sovietica. Un’altra scoperta per me è stato il comportamento delle persone. Avevo sempre creduto che il conflitto fosse una cosa indesiderabile, che esprimere le emozioni ad alta voce fosse maleducato e che la maleducazione fosse segno di cattiva educazione o mancanza di istruzione. Eppure, in un certo senso, mi sbagliavo. Le persone a Mykolaiv sono molto schiette; dicono esattamente quello che pensano, senza abbellimenti. A volte questa qualità, unita al loro ardore, può sembrare aggressività, ma in seguito è diventato chiaro che non lo è. A Mykolaiv, era normale litigare con qualcuno sui mezzi pubblici mentre si andava al lavoro. Urlare contro un collega e dieci minuti dopo bere un caffè e lavorare insieme era perfettamente accettabile. Ho scoperto che tutto questo fa parte del temperamento del sud: focoso e passionale, ma per nulla malizioso. Mykolaiv durante la pandemia: una nuova scoperta Il ritmo della città è cambiato durante la pandemia di COVID-19. Molte persone hanno perso il lavoro, me compresa. I locali di intrattenimento sono diventati club privati ed esclusivi o hanno chiuso a tempo indeterminato. La gente ha iniziato a trascorrere più tempo all’aperto e il ritmo della città è diventato più misurato. È stato più o meno in quel periodo che ho preso in mano una macchina fotografica. Le strade della città diventarono il mio campo di allenamento; quasi ogni giorno uscivo di casa con la macchina fotografica in mano. Non pianificavo mai i miei itinerari in anticipo e questo mi permetteva di esplorare l’intera città. Fu così che iniziai a vedere ciò che prima mi era sfuggito: la bellezza austera e selvaggia di Mykolaïv. Le navi dell’Approdo di Kabotažnyj, le gru del Cantiere Navale di Chornomorskij, capaci di sollevare carichi di 900 tonnellate, l’innalzamento del Ponte Inhul’skij e l’andamento orizzontale del Ponte Varvarivskij. Vidi i luoghi in cui durante la Seconda Guerra Mondiale sorgeva un campo di concentramento nazista e scoprii che Mykolaïv è una città molto più antica di quanto si creda comunemente. La prova della guerra e l’unità del popolo di Mykolaiv  E poi iniziò l’invasione russa su vasta scala dell’Ucraina. Pochi giorni prima, imbarcazioni militari erano approdate nel porto della città. Mentre io e mio marito assistevamo a quell’impresa, chiesi: “Pensi che inizierà presto?” Non rispose, perché la tensione aleggiava nell’aria da molto tempo, ma quasi nessuno voleva credere all’inevitabile. L’invasione su vasta scala cambiò tutti. Paura per la vita, paura dell’occupazione russa, paura del blocco totale, bombardamenti continui, scarsità di cibo, mancanza d’acqua: questo era ciò che l’invasione russa aveva portato. Le strade si svuotarono. La gente aveva paura di uscire di casa se non era assolutamente necessario. Su richiesta dell’Amministrazione Regionale, i residenti della città hanno portato pneumatici a ogni incrocio in modo che, in caso di avanzata russa, potessero essere incendiati per creare una cortina fumogena. Mykolaiv, Ucraina, 18 marzo 2022. Le barricate: simbolo di protezione e di sicurezza Su richiesta dell’Amministrazione Regionale, i residenti della città hanno portato pneumatici a ogni incrocio in modo che, in caso di avanzata delle truppe russe, potessero essere incendiati per creare una cortina fumogena. Non dimenticherò mai nemmeno l’elicottero nemico che volteggiava proprio sopra di me, così basso che potevo vedere il volto del pilota. E non dimenticherò mai le code dopo che i russi distrussero la rete idrica. Era aprile, faceva un freddo cane e la gente stava in piedi per tre o quattro ore solo per riempire qualche contenitore con l’acqua che riusciva a trovare. Né dimenticherò la mattina dopo i bombardamenti, quando i russi colpirono un hotel a soli 400 metri da casa mia. Stavo bevendo un caffè in un bar che, sorprendentemente, era ancora aperto. Una delle strade principali della città gli passava accanto. Quella strada quasi deserta era inondata dalla luce del sole. Guardai fuori e vidi un furgone bianco con la scritta “200” sul parabrezza. Fu in quel momento che capii che potevo morire. [Nota del traduttore: Un veicolo contrassegnato con “200” indica che sta trasportando i corpi dei soldati caduti.] In lontananza, dopo il bombardamento russo, si intravede un ponte ucraino distrutto. Il fumo si alza sulla città. Mykolaiv, Ucraina, 24 marzo 2022. Tuttavia, le persone rimaste in città ne divennero lo scudo difensivo. Alcune presero le armi per difendere Mykolaïv, mentre altre si offrirono come volontari. Ogni richiesta dell’Amministrazione Militare veniva accolta con un’azione immediata. Tutti si unirono come un unico organismo vivente con un solo obiettivo: salvare Mykolaïv dall’occupazione russa. Ritorno a casa dopo la liberazione di Kherson La città iniziò a tornare alla vita solo dopo la liberazione di Kherson. I bombardamenti diminuirono e la gente, nonostante la paura, iniziò a tornare a casa. Oltre ai residenti della città, arrivarono molti sfollati interni dalle regioni di Mykolaïv e Kherson. La gente del posto accolse chiunque cercasse aiuto. Si impegnò per fornire tutto, dall’acqua potabile al cibo, fino all’alloggio gratuito. Anche coloro che non erano tornati in città aiutarono, inviando denaro e sostenendo le imprese locali. Naturalmente, nei momenti più difficili, gli aiuti arrivarono da tutto il Paese. L’acqua fu consegnata in cisterne da diverse regioni, furono inviati sistemi di depurazione e aiuti umanitari e vennero forniti beni essenziali all’esercito. Mykolaïv divenne lo scudo del sud, una città che resistette. Alla fine di aprile 2022, io e mio marito ci siamo trasferiti a Kropyvnytskyi. È stata una decisione difficile per entrambi. A quel punto, eravamo già disoccupati da tre mesi e il nostro fondo di emergenza si stava esaurendo. C’erano poche speranze di trovare un nuovo lavoro. Mia madre e mia nonna, affetta da Parkinson in fase avanzata, erano rimaste a Mykolaiv. Kropyvnytskyi era un’opzione ideale per il trasferimento perché era vicino a Mykolaiv e la situazione relativamente tranquilla ci permetteva di lavorare. Viviamo ancora qui, ma ho continuato a recarmi regolarmente a Mykolaiv nel corso degli anni. Quando tornai in città nel settembre del 2025, volevo piangere di felicità, perché casa per me non è il luogo dove qualcuno ti bacia su entrambe le guance. La mia casa è  un tappeto consumato che ti ricorda come sei cresciuto. E, in senso lato, Mykolaiv è proprio questo. Sento un calore provenire da ogni casa, non importa quanto trascurata possa essere. È ancora lì, nello stesso posto di dieci anni fa. Non è stata distrutta dai bombardamenti. Mykolaiv, Ucraina, 9 settembre 2025 Le strade di Mykolaiv sono piene di vita, nonostante in gran parte della città vi siano scavi per sostituire le infrastrutture danneggiate dall’acqua salata. Bambini sorridenti con nastri tra i capelli e camicie tradizionali ucraine ricamate vanno a scuola; sulla “piazza grigia”, come gli abitanti chiamano la piazza centrale della città, la gente si riposa vicino alle fontane e le spiagge sono affollate di persone venute ad ammirare il tramonto, il bagliore rosso che porta pace all’anima. Mykolaiv non si era mai sentita così accogliente e aperta alle novità, nemmeno negli anni precedenti l’invasione su vasta scala. Ogni sguardo trasmette un silenzioso senso di solidarietà e forza. La gente qui è così eclettica, eppure vive come un unico organismo: la mattina partecipa alle manifestazioni a sostegno dei prigionieri di guerra, a mezzogiorno lavora e la sera ascolta jazz in riva al fiume. Sembra che ogni problema possa essere risolto, perché questa città è la patria di persone libere e laboriose che salvaguardano il Sud ucraino. Viale Centrale, con il traffico bloccato per il minuto di silenzio nazionale. Mykailov, Ucraina, 7 settembre 2025 Mykolaiv è diventata una casa per molti. Io sono tra coloro che hanno le chiavi di una casa sulle rive del Bug Meridionale, dove è custodito tutto il meglio di me. Autore: Oleksandra Rakhimova Adattato da: Irena Zaburanna Frontliner, media ucraino indipendente 9 novembre 2025 Non sempre e non necessariamente le opinioni dei reporter di Frontliner corrispondono alle nostre, ma raccontano con intensa partecipazione la guerra per come è vissuta dalla gente comune nella sua drammatica quotidianità che contempla un numero impressionante di giovani vite spezzate. (Mauro Carlo Zanella) Redazione Italia
UCRAINA: L’ESERCITO RUSSO AVANZA A POKROVSK, ZAPORIZHZHIA E KUPYANSK. PER KIEV “LA SITUAZIONE È DIFFICILE”
Aumenta la pressione dell’esercito russo sul fronte ucraino, con Kiev sempre più in difficoltà: le truppe di Mosca sono riuscite a entrare nella città di Pokrovsk, nel Donetsk, mentre l’esercito ucraino annuncia di essersi ritirato da 5 insediamenti nella regione meridionale di Zaporizhzhia. Mosca, inoltre, afferma di aver preso il controllo anche di tutta la parte est di Kupyansk, nel Kharkiv. “La situazione è difficile”, ammette Zelensky, alle prese tra l’altro con l’ennesima inchiesta sulla corruzione di alcuni funzionari del suo governo. Nel frattempo, il ministro degli Esteri russo Lavrov apre alla ripresa dei negoziati con gli Stati Uniti a Budapest. Su Radio Onda d’Urto il punto della situazione con il giornalista Fulvio Scaglione, direttore di Inside Over. Ascolta o scarica.
Euromissili 2026, la Germania riceverà i nuovissimi Dark Eagle americani e saranno ipersonici
Ritorna in forma nuova lo spettro che Reagan e Gorbaciov cancellarono alla fine degli anni Ottanta. Fra pochi mesi infatti potrebbe essere compiuto un passo verso l’abisso, con il dispiegamento in Germania dei missili ipersonici Dark Eagle e simmetrica dislocazione degli Oreshnik russi. Durante un incontro con i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa presieduto da Vladimir Putin, il Ministro della Difesa russo Andrei Belousov ha pubblicamente richiamato l’attenzione sul possibile schieramento, da parte degli Stati Uniti, di sistemi missilistici a medio raggio come il Dark Eagle sia in Europa che nella regione Asia-Pacifico. Belousov ha manifestato la convinzione che gli Stati Uniti intendano rendere operativo il missile ipersonico Dark Eagle entro la fine del 2025, con successivo dispiegamento in Germania nel corso del 2026. Secondo le sue dichiarazioni pubbliche, riportate anche dalla stampa e dall’agenzia Tass, il missile Dark Eagle, grazie a una velocità superiore a Mach 5 e una gittata di oltre 5.000 km, potrebbe colpire obiettivi nella Russia centrale in sei-sette minuti dal territorio tedesco. La Russia interpreta la possibile presenza permanente di questi sistemi sul suolo tedesco come una minaccia diretta, assimilabile a una nuova corsa agli armamenti a medio e corto raggio. Di conseguenza, il governo russo ha annunciato di aver sospeso la moratoria sul dispiegamento di missili a medio e corto raggio sul proprio territorio. Queste informazioni sono state riportate da testate nazionali e agenzie specializzate. L’eventuale schieramento del Dark Eagle in Germania è dunque attualmente un tema dibattuto e ritenuto credibile dai media russi e occidentali, anche se la decisione definitiva e la tempistica operativa potrebbero dipendere da evoluzioni politiche e militari tra la fine del 2025 e il 2026. Ritorna in forma nuova lo spettro che Reagan e Gorbaciov cancellarono con il loro storico accordo sugli euromissili alla fine degli anni Ottanta. Oggi con i missili ipersonici (che in pochi minuti possono colpire qualunque città europea o russa) la situazione appare molto più grave di quella di allora. Una crisi non sarebbe gestibile in una manciata di minuti e aumenta esponenzialmente il rischio di una guerra per errore, per un malfunzionamento tecnico o per un malinteso. Il dispiegamento dei Dark Eagle avrebbe un simmetrico dispiegamento degli Oreshnik, i nuovissimi missili ipersonici russi. In un primo tempo gli euromissili che gli USA avevano annunciato per il dispiegamento in Germania nel 2026 erano del tipo cruise (Tomahawk con velocità di 880 km/h). Ora cambia completamente lo scenario. E’ urgente che il movimento pacifista sia informato e si mobiliti. Già da tempo è stata lanciata una raccolta di adesioni a un appello firmato, fra gli altri, da Alex Zanotelli: https://www.peacelink.it/euromissili, ma oggi la situazione sta rapidamente cambiando e il 2026 si sta avvicinando pericolosamente. Ogni passo verso la “sicurezza” europea con i missili ipersonici è un azzardo verso l’abisso. Mai come ora la sicurezza militare deve essere costruita in modo condiviso e concordato, come seppero fare Reagan e Gorbaciov. Note: Il Dark Eagle è progettato e annunciato come sistema per testate convenzionali, non come vettore nucleare. Non ci sono indicazioni pubbliche che il Dark Eagle sia stato progettato e certificato o come vettore di armi nucleari. Le autorità USA lo presentano esplicitamente come arma convenzionale. Tuttavia dal punto di vista tecnico, un vettore per testate convenzionali in teoria potrebbe essere adattato per testate nucleari. Va tuttavia aggiunto che velocità ipersonica, accelerazioni, vibrazioni, riscaldamento aerodinamico, decelerazioni al rilascio — tutto questo influisce su sicurezza e funzionamento della testata. Pertanto l’introduzione di una capacità nucleare su un nuovo vettore richiederebbe test estensivi (che coinvolgono prove e infrastrutture) e la dimostrazione della sicurezza.   Anna Polo
Otto tesi sulla via cinese alla modernizzazione e nuove forme di civiltà umana
Nell’ambito del Forum accademico internazionale su “La modernizzazione cinese e un nuovo modello di progresso umano”, tenutosi a Hangzhou (Cina) il 7 novembre 2025, ho tenuto la seguente relazione. 1) La civiltà umana a livello mondiale sta attraversando una profonda transizione che ha messo in crisi gli equilibri che caratterizzavano la fase precedente. 2) Questo cambiamento riguarda in primo luogo un fatto assolutamente positivo e cioè il venir meno della posizione di dominio del capitalismo occidentale sul resto del mondo. 3) Il declino dell’Occidente capitalistico si riassume nella fine di tre grandi cicli storici: a) In primo luogo è finito il ciclo politico breve, cominciato nel 1989 con il crollo dell’Unione Sovietica, che aveva reso possibile un dominio unipolare degli Stati Uniti, ed era fondato sul dominio incontrastato della grande finanza nel quadro del progetto politico ed ideologico neoliberista. La globalizzazione neoliberista, nel suo sviluppo, ha dialetticamente eroso le basi su cui si reggeva questo dominio unipolare: l’esito della guerra in Ucraina come il fallimento delle sanzioni economiche ad essa connesse ne hanno sancito la fine. b) In secondo luogo è finito il ciclo finanziario di dominio del dollaro cominciato nel 1944 con Bretton Woods e accentuato nel 1971 con la fine della convertibilità del dollaro in oro. Oggi il dollaro continua ad essere la valuta più importante a livello mondiale ma non è più in grado di esercitare il ruolo dominante e disciplinante che ha avuto fino a pochi anni fa. Lo sviluppo dei paesi del Sud del mondo e quello cinese in particolare hanno rovesciato questa situazione. c) In terzo luogo è finito il lungo ciclo storico iniziato a fine del 1400 con la nascita del capitalismo e del colonialismo occidentali. Senza aprire qui una valutazione generale sui sistemi sociali che caratterizzano oggi l’economia mondo, mi pare evidente che la fine di questo lungo ciclo non possa essere descritta unicamente come una transizione all’interno del capitalismo, ma piuttosto come un processo dialettico di mutamento dei rapporti di forza tra aree e paesi e nel contempo di crisi dei rapporti sociali capitalistici stessi. 4) Questo grande sommovimento ha i suoi fondamenti nelle secolari lotte del movimento operaio mondiale e nel processo di decolonizzazione che i popoli del Sud del mondo hanno realizzato nel corso dell’ultimo secolo. All’interno del contesto determinato dalla lunga lotta anticapitalista e antimperialista, quattro sono state le cause scatenanti specifiche che hanno oggi reso possibile la rottura degli equilibri mondiali. a) La prima è la difficoltà del capitalismo di riprodurre il rapporto di valore, il lavoro salariato e conseguentemente la merce come forma universale di soddisfacimento dei bisogni umani. La vera e propria crisi organica che ha investito le società occidentali dopo la mancata risposta alle domande di libertà insite nel ciclo di lotta degli anni 68/69 ci parla di questa difficoltà. Il neoliberismo – una sorta di estremismo capitalistico caratterizzato dal supersfruttamento, dalla superfinanziarizzazione e della dissoluzione di ogni legame comunitario a livello sociale – con la globalizzazione dei rapporti sociali capitalistici ha nei fatti aggravato questa crisi organica. b) La seconda è la modernizzazione cinese, che a partire dalla vittoria della rivoluzione nel 1949, ha perseguito l’obiettivo di costruire una vera autonomia e indipendenza politica del paese. La modernizzazione, intrecciandosi con la globalizzazione neoliberista se da un lato ha incorporato elementi propri dello sfruttamento capitalistico, dall’altra è stata in grado di far derivare dallo sviluppo economico uno sviluppo tecnologico, militare, finanziario, umano. Questa capacità ha fortemente rafforzato l’autonomia complessiva e l’indipendenza politica del paese. In questo modo la Cina è diventata una grande potenza ed ha sconvolto gli equilibri preesistenti. c) La terza è la ripresa da parte della Russia di un proprio ruolo autonomo ed indipendente dopo la fase di asservimento successiva al crollo del muro di Berlino. La Russia, non solo ha evitato il tentativo occidentale di disgregare la sua unità statuale ma ha ricostruito un proprio reale potere politico, militare, economico. d) La quarta causa scatenante del declino occidentale, è la nascita dei BRICS che negli ultimissimi anni hanno svolto un importante ruolo di contrappeso alle élites occidentali a livello mondiale e di punto di riferimento per molti paesi del Sud del mondo. I BRICS hanno saputo indicare una strada universalistica, proponendo soluzioni utili e praticabili a livello mondiale in un’ottica di pace e coesistenza pacifica fondata sulle regole e non sulla sopraffazione. 5) Siamo quindi all’interno di una vera e propria transizione epocale che riguarda gli assetti sociali e mondiali. Il punto oggi in discussione non è solo quale sia la potenza egemone nell’ambito capitalistico ma complessivamente il ridisegno delle relazioni tra gli individui, le classi, i popoli e le nazioni a livello globale. 6) I tentativi delle classi dominanti occidentali di impedire questo passaggio determinano una situazione gravida di rischi tra cui quello di arrivare ad una vera e propria guerra mondiale distruttiva dell’umanità. Il declino dell’occidente capitalista e la non volontà delle classi dirigenti occidentali di accettare – e di gestire – questa nuova situazione è all’origine del caos mondiale e dei rischi di Terza Guerra Mondiale. 7) In questo quadro il ruolo che la Cina è chiamata a svolgere è molto rilevante. Ritengo infatti che la possibilità di evitare la terza guerra mondiale dipenda principalmente da tre fattori. a) La ricostruzione in occidente di una tendenza storica, di un movimento reale che – nella scia del movimento operaio e comunista e rappresentando gli interessi dei popoli occidentali – riprenda con forza la lotta per l’eguaglianza e si ponga l’obiettivo di costruire un mondo multipolare fondato sulla pace e sulla cooperazione. Oggi le principali correnti politiche occidentali organizzate attorno al sistema elettorale bipolare – centrodestra e centrosinistra – sono inutilizzabili a tal fine perché, pur con le evidenti differenze, sono complessivamente espressione delle classi dominanti. La ricostruzione su una base di massa di questa coalizione contro la guerra e il neoliberismo non è per nulla semplice ma rappresenta lo snodo fondamentale affinché il movimento comunista occidentale possa tornare a svolgere un ruolo positivo nel processo di liberazione delle classi subalterne a livello nazionale e globale. b) La capacità da parte dei paesi del Sud globale di costruire un percorso fermo ma dialogante nei confronti dell’occidente, al fine di gestire pacificamente la transizione, proponendo vie di uscita anche a chi non le riconosce e non le vuole praticare. Da questo punto di vista la politica estera cinese e complessivamente le proposte e la pratica dei BRICS si muovono in questa positiva direzione. c) La capacità di mantenere una stretta alleanza tra Cina e Russia è la condizione per rendere non conveniente – e quindi difficilmente praticabile – alle élites occidentali la strada della guerra come mezzo per cercare di conservare i propri privilegi. La realizzazione di queste tre condizioni – di cui due riguardano in prima persona la Cina – può a mio parere oggi impedire alle élites occidentali l’uso della guerra mondiale come strada per tentare di conservare i propri privilegi. Si tratta di un obiettivo decisivo ed importantissimo ma insufficiente perché darebbe luogo ad una situazione comunque instabile, fondata sull’equilibrio del terrore, che non impedirebbe la spartizione del mondo in aree di influenza e la pratica di guerre regionali. 8) Per determinare un nuovo equilibrio e quindi una nuova forma di civiltà umana è necessario fare un passo in avanti e arrivare ad un reale multipolarismo fondato sulla giustizia e sulla cooperazione. A tal fine servono a mio parere due condizioni ulteriori. a) Che le lotte dei popoli, rafforzate dal meccanismo della deterrenza e del dialogo internazionale, riescano ad impedire la spartizione del mondo in aree di influenza autoritariamente determinate. In primo luogo si tratta oggi di impedire che gli Stati Uniti possano esercitare un dominio arbitrario e dispotico sul complesso del continente americano. Nella logica della riedizione da parte del governo statunitense della dottrina Monroe, le minacce militari al Venezuela costituiscono la prima tappa della restaurazione di un arbitrario dominio statunitense su tutti gli altri paesi dell’America Latina e del Caribe. Per impedire questa pratica predatoria, in tutto il mondo, il ruolo che possono svolgere le nazioni che operano per il multipolarismo, a partire dalla Cina, non è piccolo. b) Che il movimento europeo contro la guerra e il neoliberismo, oltre a combattere le attuali classi dominanti europee, sia in grado di conquistare l’indipendenza politica, economica e militare dell’Europa dagli Stati Uniti. Solo su questa base è possibile determinare uno sviluppo europeo egualitario, autonomo dagli interessi delle classi dominanti degli Stati Uniti e nel contempo porre le basi per la realizzazione di una Europa che vada dall’Atlantico agli Urali. Una Europa che liberandosi dal fardello della NATO, sia in grado di declinare la costruzione della sicurezza come garanzia indivisibile, che riguardi tutta l’Europa, Russia compresa. Un’altra Europa che sia in grado – a partire dalla propria storia di lotta per la libertà e l’eguaglianza – di operare per un mondo multipolare di cooperazione e di pace. Costruendo queste convergenze confido si possano porre le condizioni per nuove forme di civiltà umana, per una nuova tappa per la lotta per il socialismo a livello mondiale a cui la modernizzazione cinese possa dare un contributo significativo. Paolo Ferrero