Tag - Russia

UCRAINA: 1.300 GIORNI (E MIGLIAIA DI MORTI) DOPO, COSA E’ CAMBIATO NEL CONFLITTO IN EUROPA ORIENTALE?
Da una decina di giorni, il quadrilatero tra Ucraina, Polonia, Romania e Bielorussia è al centro di un’ulteriore, pericolosissima escalation tra Nato e Russia. A Varsavia, però, è maretta tra il presidente Nawrocki e l’esecutivo del premier Tusk, dopo che il quotidiano locale Rzeczpospolita ha sostenuto che l’abitazione di Wyryki, Polonia orientale, danneggiata dai droni russi il 10 settembre sarebbe in realtà stata colpita da un missile polacco. Il giornale polacco, citando fonti della Procura di Lublino, sostiene che le analisi compiute in queste ore hanno portato a identificare i resti di 17 droni russi, ma non quelli di Wyryki. In questo caso, infatti, a cadere sull’abitazione sarebbe stato un missile aria-aria Aim-120 di un F-16 polacco, alzatosi in volo per abbattere i droni russi. Il missile, sbagliato l’obiettivo, è precipitato a terra pur senza esplodere. Da qui la reazione del presidente polacco Karol Nawrocki, che ha chiesto al governo Tusk di “chiarire immediatamente l’accaduto”, facendo filtrare di “non essere stato informato” dalle autorità nazionali dei primi esiti dell’indagine. Sul fronte della guerra in Ucraina, intanto, Mosca – incassata la prova di forza delle esercitazioni congiunte con la Bielorussia (Zapad 25) – sostiene con il proprio Ministero della Difesa di “stare avanzando in tutti i settori… i combattimenti più intensi snella zona di Krasnoarmeysk“. Da entrambi i lati del fronte di guerra partono, quotidiani, decine di missili e droni, come quelli transitati – e caduti – nei giorni scorsi anche sui Paesi vicini, come Romania e Polonia. 1.300 giorni – e migliaia di morti – dopo l’inizio dell’invasione militare russa dell’Ucraina, nulla pare tuttavia davvero cambiare sul quadrante orientale d’Europa e le opzioni diplomatiche sembrano su un binario morto. L’intervista di Radio Onda d’Urto al giornalista Fulvio Scaglione, direttore di InsideOver, già vicedirettore di Famiglia Cristiana, per cui è stato a lungo corrispondente da Mosca. Ascolta o scarica
Che cos’è il Golden Dome, lo scudo spaziale di Donald Trump
Immagine in evidenza da White House.gov, licenza Creative Commons Raggi laser sparati dai satelliti. E altri satelliti “sentinella” a sorvegliare il cielo statunitense, oltre a batterie antimissile in allerta 24 ore su 24. Il Golden Dome Shield – la “Cupola d’oro” di Donald Trump — sarà una rivoluzione per la Difesa a stelle e strisce. E potrebbe anche sancire l’avvio di una nuova Guerra Fredda, questa volta combattuta in orbita. Il faraonico scudo spaziale del presidente degli Stati Uniti sta però dividendo il Paese, con una battaglia su un budget da 175 miliardi di dollari e con una raffica di critiche sull’efficacia militare di questo arsenale che “proteggerà la nostra patria”, come ha detto Trump a metà maggio dagli hangar della Al Udeid Air Base, nel deserto del Qatar. Per poi aggiungere, prima dallo Studio Ovale e poi al vertice Nato dell’Aja, che “avremo il miglior sistema mai costruito”. La Cupola d’oro intercetterà i missili “anche se vengono sparati dall’altra parte del mondo” e persino dallo spazio. Trump mira a realizzare oggi il sogno delle Star Wars di Ronald Reagan negli anni ’80: un “ombrello spaziale” che protegga gli Stati Uniti dalla grande paura di un attacco missilistico sferrato dai suoi nemici: Iran, Corea del Nord, Cina o Russia. Oltre al programma del suo predecessore, la Cupola d’oro ha un’altra fonte di ispirazione: l’Iron Dome, lo scudo di Israele che – nonostante i dubbi sollevati sulla sua reale efficacia – ha intercettato razzi e missili dall’Iran e dalle milizie proxy filo-iraniane. Secondo Jeffrey Lewis, esperto di Difesa del californiano Middlebury Institute, la differenza tra quest’ultimo e la proposta di Trump sarebbe pari a quella tra “un kayak (l’Iron Dome) e una corazzata (Il Golden Dome)”. L’ALLARME DEL PENTAGONO Da anni, il Pentagono sostiene che gli Stati Uniti non abbiano tenuto il passo con gli ultimi missili sviluppati da Cina e Russia, che tradotto vuol dire: sono necessarie nuove contromisure. I generali statunitensi hanno rivelato che Mosca e Pechino possiedono centinaia di missili balistici intercontinentali, oltre a migliaia di missili da crociera in grado di colpire la terraferma da New York a Los Angeles. I sistemi di difesa missilistica a terra statunitensi, in Alaska e in California, hanno fallito quasi la metà dei test. All’inizio dell’anno, un alto ufficiale ha avvertito che – in caso di conflitto, magari legato a un’invasione di Taiwan – i missili cinesi potrebbero colpire la base aerea di Edwards, in California. In un’analisi dettagliata sulla rivista Defense News, gli esperti Chuck de Caro e John Warden hanno spiegato perché la Cupola d’oro non è sufficiente per fermare un attacco cinese contro gli Stati Uniti: “Oggi gli Stati Uniti potrebbero trovarsi in una situazione simile a quella della Corea nell’ottobre 1950: sebbene il presidente Donald Trump stia compiendo sforzi intensi per rafforzare la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, con iniziative che vanno dall’F-47 e dal B-21 Raider alla promessa di un sistema di difesa aerospaziale denominato Golden Dome, questi sistemi non sono ancora operativi”. Comunque, proseguono gli analisti, “la Cina ha costantemente aumentato il proprio potere offensivo sotto la guida del presidente Xi Jinping”. GOLDEN DOME: COME FUNZIONA Il Golden Dome Shield, sfruttando una costellazione di centinaia di satelliti e grazie a sensori e intercettori sofisticati, potrebbe neutralizzare i missili nemici in arrivo anche subito dopo il loro decollo e prima che raggiungano gli States. Un esempio? Proviamo a immaginare che un giorno la Cina decida di lanciare un missile contro gli Stati Uniti. Grazie al Golden Dome, i satelliti americani rileverebbero le sue scie luminose. E, mentre il missile sarebbe ancora nella sua fase di “spinta”, uno degli intercettori spaziali sparerebbe un laser, o una munizione alternativa, per far esplodere il missile ed eliminare la minaccia. Il nuovo sistema di difesa si estenderà su terra, mare e spazio. Servirà per neutralizzare un’ampia gamma di minacce aeree “di nuova generazione”, tra cui missili da crociera, balistici e ipersonici. Questi ultimi, in particolare, sono i più difficili da abbattere per la loro manovrabilità ad alta velocità.  Il Golden Dome dovrebbe fermare i missili in tutte e quattro le fasi di un potenziale attacco: rilevamento e distruzione prima di un’offensiva, intercettazione precoce, arresto a metà volo e arresto durante la discesa verso un obiettivo. E lo farà grazie a una flotta di satelliti di sorveglianza e a una rete separata di satelliti d’attacco. La “Cupola d’oro” fermerà anche i sistemi di fractional orbital bombardment (Fob, Sistema di Bombardamento Orbitale Frazionale) in grado sparare testate dallo spazio. IN CAMPO I GIGANTI DELLE ARMI Fiutando un’opportunità di business senza precedenti, i giganti dell’industria militare americana – L3Harris Technologies, Lockheed Martin e RTX Corp – si sono già schierati in prima fila. L3Harris ha investito 150 milioni di dollari nella costruzione di un nuovo stabilimento a Fort Wayne, nell’Indiana, dove produce satelliti per sensori spaziali che fanno parte degli sforzi del Pentagono per rilevare e tracciare le armi ipersoniche. Al 40esimo Space Symposium di Colorado Springs, Lockheed Martin ha invece diffuso un video promozionale che mostra una Cupola d’oro che scherma le strade deserte e notturne delle città americane. Per 25 miliardi di dollari, la Booz Allen Hamilton, società di consulenza tecnologica della Virginia, sostiene di poter lanciare in orbita duemila satelliti per rilevare ed eliminare i missili nemici. Mentre dall’US Space Force, in qualità di vicecapo delle operazioni, il generale Michael A. Guetlein, a cui Trump ha affidato la regia del mega progetto, ha assicurato che il Golden Dome sarà operativo entro la fine del suo mandato nel 2030. Il finanziamento di quest’opera, però, è una sfida enorme. Per ora sul piatto ci sono 25 miliardi di dollari: un settimo della spesa totale ipotizzata. Il governo stima infatti che la Cupola d’oro possa costare fino a 175 miliardi di dollari, una cifra che il Congressional Budget Office punta a far rientrare nel più corposo bilancio da 542 miliardi che gli Stati Uniti intendono spendere in progetti spaziali nei prossimi vent’anni. Un’iniziativa cara come l’oro, dunque. Anche perché Trump, sembra ossessionato dal prezioso metallo (il suo ufficio alla Casa Bianca è stato del resto letteralmente dorato: dalle tende al telecomando della Tv). UOMINI D’ORO E CONFLITTO DI INTERESSE Mentre i colossi della difesa e dello spazio fiutano l’affare, nel resto degli Stati Uniti divampano gli scontri su costi e appalti. Perché a costruire la Cupola d’oro si sono candidati uomini d’oro: in pole position c’è il miliardario Elon Musk, proprietario di SpaceX e della costellazione Starlink, ex braccio destro di Trump prima che la loro liaison finisse, con il magnate che ha lasciato la Casa Bianca sbattendo la porta.  Un voltafaccia che il presidente non ha digerito: sebbene SpaceX rimanga il frontrunner del settore, l’amministrazione USA è a caccia di nuovi partner spaziali da imbarcare nel progetto, a cominciare dal Project Kuiper di Amazon di Jeff Bezos, insieme alle startup Stoke Space e Rocket Lab, mentre la Northrop Grumman sta alla finestra consapevole di poter essere il vincitore nel lungo periodo. Siccome il Golden Dome sarà un concentrato tecnologico, in campo ci sono anche Palantir, società di analisi dei big data del tycoon conservatore Peter Thiel, e Anduril di Palmer Luckey, azienda specializzata in sistemi autonomi avanzati, dall’intelligenza artificiale alla robotica. Intanto un gruppo di 42 membri del partito Democratico ha scritto all’ispettore generale del Pentagono per aprire un’indagine, dopo che si è saputo che SpaceX potrebbe aggiudicarsi un maxi contratto per la costruzione del Golden Dome. Con in testa la senatrice Elizabeth Warren, i democratici chiedono trasparenza ed esprimono timori per possibili “conflitti di interesse” tra l’amministrazione Trump, Musk e le altre aziende americane. LO SCETTICISMO DEI MILITARI Passando dal fronte economico a quello militare, più di un esperto è scettico sull’efficacia del Golden Dome Shield: malgrado Trump continui a dire che frenerà le minacce al 97%, sul progetto aleggia più di un interrogativo. Anzitutto, come saranno gli intercettori? È ancora da decidere. Un dirigente della stessa Lockheed non ha nascosto, parlando con il sito Defense One, che intercettare un missile nella sua fase di spinta è “terribilmente difficile” e che si potrebbe metterlo fuori combattimento solo “nelle fasi relativamente lente dopo il suo lancio”.  Per Thomas Withington, esperto di electronic e cyber warfare del Royal United Services Institute, i raggi laser sono preferibili ai missili, pesano meno e riducono il costo di lancio dell’intercettore. Ma ammette che questa tecnologia non è mai stata testata nello spazio. Un gruppo indipendente dell’American Physical Society ha calcolato che servirebbero 16mila intercettori per mettere fuori uso 10 missili intercontinentali simili all’ipersonico Hwasong-18 nordcoreano. Per questo motivo, su The Spectator, Fabian Hoffmann, ricercatore di tecnologia missilistica del Centre for European Policy Analysis, ha definito il Golden Dome un “progetto mangiasoldi”. UNA NUOVA GUERRA FREDDA Negli Stati Uniti non mancano i perplessi. L’ufficio indipendente del bilancio del Congresso ha avvertito che il progetto potrebbe costare fino a 524 miliardi di dollari e richiedere 20 anni per essere realizzato. Ma i dubbi riguardano anche la validità e utilità dello scudo spaziale. Scienziati come Laura Grego, intervistata dal MIT Technology Review, definiscono il progetto, da sempre,  “tecnicamente irraggiungibile, economicamente insostenibile e strategicamente poco saggio”. E poi ci sono le conseguenze geopolitiche, che potrebbero minare gli equilibri delle superpotenze. La Cina ha già espresso la sua preoccupazione su questo progetto. Il Cremlino è pronto a parlare con Washington di armi tattiche e nucleari. Nel prossimo decennio, il pericolo è che si inneschi una spirale incontrollata, con una corsa agli armamenti anti-satellite per bucare il Golden Dome. Come all’inizio di una nuova Guerra Fredda, è possibile che Trump stia cercando di costringere i suoi nemici a investire in tecnologie costose al fine di indebolirne l’economia, così come le “guerre stellari” di Reagan avevano contribuito a mandare in bancarotta l’Unione Sovietica. Ma c’è anche il rovescio della medaglia: se la prossima amministrazione statunitense decidesse di cancellare il Golden Dome, a quel punto a finire in un buco nero sarebbero decine di miliardi di dollari statunitensi. L'articolo Che cos’è il Golden Dome, lo scudo spaziale di Donald Trump proviene da Guerre di Rete.
Ulteriori venti di guerra nel cuore dell’Europa
Il Partito della Rifondazione Comunista-Federazione di Trieste esprime la sua forte preoccupazione per la guerra nel cuore dell’Europa. Da più di tre anni la guerra in Ucraina, portata dal militarismo russo dell’autocrate Putin, distrugge vite e strutture civili in modo sistematico. Il recente “incidente” di frontiera (lancio di droni russi dalla Bielorussia in Polonia) può provocare un’ulteriore escalation, coinvolgendo la NATO che, sin dall’inizio, non è certo innocente per aggressività e militarismo. Come comunisti/e, pensiamo alla necessità di immediate trattative di pace, che dovrebbero essere imposte da ricostruite entità sovranazionali (ONU, soprattutto). I popoli devono sollevarsi contro i propri governi, fra di loro complici, costringendoli alla diplomazia. O adesso o mai più: contro la ferocia del militarismo russo, il pericoloso riarmo UE e la presenza di basi NATO con armamenti nucleari in Italia e, in particolare, nella nostra regione (e nel mondo intero). Ci esprimiamo quindi a favore dell’autodeterminazione dei popoli, ovunque. Si dia voce ai popoli, tacciano le armi. Gianluca Paciucci (3347037783) Partito della Rifondazione Comunista – Trieste. Rifondazione Comunista - Sinistra Europea
Il viaggio della Global Sumud Flotilla e la vergogna dell’Occidente
Stiamo vivendo un momento importante, il corso della storia sta davvero virando, ci sono segni di cedimento di quella continuità plurisecolare che ha visto il cosiddetto occidente egemonizzare il mondo con dosi massicce di colonialismo, genocidi, guerre, razzismo mascherato prima … Leggi tutto L'articolo Il viaggio della Global Sumud Flotilla e la vergogna dell’Occidente sembra essere il primo su La Città invisibile | perUnaltracittà | Firenze.
POLONIA: ABBATTUTI DRONI RUSSI SUL TERRITORIO POLACCO, IL PREMIER INVOCHERÀ L’ARTICOLO 4 DELLA NATO
Droni russi entrati nello spazio aereo polacco e abbattuti durante la notte dalle difese aeree di Polonia e Nato. Riunita da questa mattina l’Alleanza Atlantica. Temporaneamente chiuso l’aeroporto Chopin di Varsavia e posto le difese aeree del Paese in stato di massima allerta. I droni russi sarebbero entrati più volte – almeno 19 secondo le autorità – nello spazio aereo polacco durante un’ondata di attacchi aerei notturni contro l’Ucraina. Il premier polacco Donald Tusk afferma che la Polonia invocherà l’articolo 4 della Nato, richiedendo una consultazione formale all’interno dell’alleanza, una mossa concordata tra lui e il presidente polacco Karol Nawrocki. L’intervista a Francesco Trupia, ricercatore presso la Nicolaus Copernicus University di Torun, Polonia. Ascolta o scarica.
Essere e fare sindacato a Odessa durante la guerra: il Centro di sostegno psicologico
Alle porte di Odessa dopo un viaggio di sei ore iniziato a Kiev, il pullman deve passare lentamente un check point, zigzagando tra militari armati di mitra, le loro guardiole mimetizzate alla bell’e meglio, cavalli di frisia e moduli di cemento spartitraffico che obbligano gli automobilisti a fermarsi. Il pullman invece viene fatto passare a passo d’uomo: i controlli sono già stati fatti prima della partenza. Sul cellulare mi arriva un messaggio dal governo: informa che è vietato l’accesso alla spiaggia e al mare. Come a Leopoli e a Kiev la vita tuttavia sembra scorrere serena, se non addirittura spensierata. Odessa però non può nascondere i segni e le vere e proprie ferite causate innanzitutto dalla guerra, ma anche dall’odio di fazioni minoritarie, ma violente e organizzate, del nazionalismo etnico, filo fascista e banderista, che dall’esterno hanno aggredito e aggrediscono una città di mare, portuale e quindi, per sua natura, aperta al mondo, colta  e cosmopolita. Mercoledì 26 agosto ho un incontro davvero importante con le colleghe dell’Organizzazione Regionale di Odessa del Sindacato dei lavoratori dell’istruzione e della scienza dell’Ucraina. Google Maps non mi aiuta a trovare la sede, chiedo persino alla polizia, che ne sa meno di me. Alla fine Olena Lagunova, la traduttrice, mi viene incontro nella piazza dove si trovava la statua della Zarina di tutte le Russie Caterina la Grande, rimossa dalla furia distruttiva dei nazionalisti seguaci di Stepan Bandera. Rimane solo il piedestallo, sormontata dalla bandiera ucraina. Raggiungiamo quindi la sede del Centro di sostegno psicologico ristrutturato, aperto e attivato dal Sindacato degli Insegnanti grazie al sostegno economico della CGIL, che mi ha messo in contatto con loro. L’accoglienza di tre colleghe insegnanti –  Lyubov Korniychuk, Direttrice dell’Organizzazione Regionale di Odessa del Sindacato, Svitlana Zhekova Direttrice della Casa degli Scienziati di Odessa, Lyudmila Berezovskaya, Direttrice del Dipartimento per il lavoro organizzativo e di massa del sindacato – è davvero calorosa. Con loro ci sono le due psicologhe che lavorano al centro: Nadiya Oksenyuk, Direttice del Centro di Riabilitazione e Assistenza Sociale e Psicologica e Lyudmila Rozkoshna. Il Centro di ascolto e sostegno psicologico è al servizio di tutte le studentesse e gli studenti di ogni età del distretto, dei loro insegnanti e parenti e più in generale di chiunque ne abbia bisogno. Un lavoro quindi immane; se si pensa che interventi di questo tipo sono indispensabili anche nelle nostre scuole in tempo di pace, figuriamoci quanto siano preziosi in una città che di fatto vive sotto assedio, con il suono quotidiano della sirena, gli attacchi di droni e missili, le mine che galleggiano nel mare, padri e fratelli maggiori, ma anche qualche mamma e sorella, al fronte, in trincea, oppure rientrati a casa con invalidità fisiche o traumi psichici. Oltre ad una saletta per i colloqui individuali, c’è una sala per incontri collettivi, di mutuo sostegno psicologico e umano, guidati da una delle due psicologhe del Centro, che sono animate da esperienza, passione ed entusiasmo e hanno tutto il sostegno umanamente ed economicamente possibile del sindacato. Qui, a questo proposito, entra in campo la solidarietà italiana, una solidarietà che viene garantita non dal governo, ma grazie all’impegno dal maggior sindacato italiano e quindi dalle lavoratrici e dai lavoratori organizzati, che hanno scelto di stare al fianco del popolo ucraino nell’unico modo eticamente giusto e concretamente utile possibile: la solidarietà con le vittime della guerra, partendo dai più giovani e da chi si prende cura di loro e deve essere messo nelle condizioni di poter svolgere al meglio il proprio lavoro. Bisogne sottolineare, e non è cosa da poco, la bellezza del luogo ove si è aperto il Centro: un’ala di un palazzo, proprietà del sindacato e uno dei monumenti di maggior pregio del centro storico di Odessa che, insieme al porto, è stato inserito nel 2023 nella lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco e quindi posto sotto la tutela della comunità Internazionale. Il palazzo, attualmente chiamato la Casa degli Scienziati, fu disegnato da un architetto italiano, come del resto molti palazzi di Odessa, sullo stile del classicismo russo. Venne costruito nel 1832 dal Conte Mikhail Mikhailovich Tolstoj, famoso per le sue opere filantropiche e imparentato con Lev Tolstoj, il grande scrittore russo, pedagogista e promotore dell’azione nonviolenta. Dopo la Rivoluzione il palazzo viene acquisito dallo Stato, diventò quindi proprietà del sindacato sovietico e con l’indipendenza del 1991 passò a quello ucraino. Purtroppo nel 2023 un missile russo esplose nel giardino di questo importantissimo monumento, che è uno dei simboli della città e lo spostamento d’aria distrusse completamente le sue vetrate, uniche per la loro bellezza e danneggiò gravemente gli stucchi e le decorazioni delle stanze del palazzo. Per proteggere l’edificio, le sue meravigliose sale, i pavimenti, le scalinate, le decorazioni, gli arredi e i beni artistici qui custoditi, tra cui un antico fortepiano, tutta la palazzina è stata “imballata” con pannelli di compensato. Non è credibile che il missile lanciato nel centro storico, sia caduto proprio qui per errore, e lo stesso vale per un altro, che ha danneggiato gravemente la Cattedrale Ortodossa della Trasfigurazione. In entrambi i casi si sono voluti colpire con modalità terroristiche due simboli della città per fiaccarne la capacità di resistere. Non è però armando l’Ucraina che si porrà fine a questo scempio. Le armi alimentano la guerra e non si può spegnere un incendio con un lanciafiamme, ma solo con vere trattative di pace, sostenute e favorite dall’intera comunità internazionale attraverso la mediazione delle Nazioni Unite. Nel frattempo l’unico vero aiuto è quello di soccorrere la popolazione civile ucraina, come si fa qui a Odessa in questa meravigliosa oasi di pace, dove io e le colleghe ci godiamo un piacevole rinfresco e conversiamo tra insegnanti sui nostri comuni problemi, alternando, grazie all’interprete, le lingue ucraina, italiana e russa: tre nazionalità che hanno costruito la storia e l’identità di Odessa.   Mauro Carlo Zanella
Venezia 2025. “Il mago del Cremlino”, ritratto di Vladimir Putin e della sua Russia
“Il mago del Cremlino”, con taglio da thriller, riassume un trentennio delle vicende socio-politiche russe, dall’inizio degli anni ’90, focalizzandosi in particolare sull’ascesa di Vladimir Putin dal 1999, anno dell’abdicazione di Eltsin, fino al 2020. E’ l’ultimo lavoro del regista francese Olivier Assayas, in corsa a Venezia per il Leone d’oro, basato sull’omonimo romanzo ispirato a fatti reali di Giuliano da Empoli, vincitore nel 2022 del Grand Prix du  roman de l’Academie francaise. “Il mago del Cremlino” è in sintesi un identikit di Vladimir Putin filtrato attraverso il racconto della vita privata e della carriera di Vadim Baranov (interpretato da un bravissimo Paul Dano), ex artista ed esperto di comunicazione televisiva assurto a consigliere dello zar e influencer politico nella nuova Russia. Vadim Baranov nel film è la voce narrante che, accettando di confidarsi con un giornalista americano interessato alla ricostruzione storica della nuova dittatura, ripercorre gli avvenimenti e delinea un ritratto di Putin e della sua Russia. Baranov si configura come colui che con altri rese possibile a Putin di divenire il nuovo zar: il personaggioè ispirato all’ esistente Vladislav Surkov, abile stratega della comunicazione, a lungo braccio destro del Presidente. Interpreta Vladimir Putin un Jude Law che sorprende per la capacità di evocare le espressioni e la camminata del vero ex agente segreto, al punto che quando attraversa sparato i  corridoi del Cremlino sui tappeti rossi, viene da chiedersi se siano filmati di repertorio o scene del film. L’attore esalta la maschera di gelo propria del presidente russo, abituato ad agire nelle retrovie, fatto capo del governo perché sottovalutato dai suoi fautori, ai quali nascose la sua insaziabile sete di potere attraverso un’astuta e distaccata implacabilità manipolatoria. Altro personaggio è importante la moglie di Vadim Baranov, a cui presta il corpo una Alicia Vikander molto convincente. Il suo ruolo di affascinante seduttrice completa il quadro della Russia di quel tempo: un Paese dove in nome del denaro tutto è diventato lecito, gli oligarchi come squali fiutano il sangue della ricchezza e la vittoria è del più  spietato. “Il mago del Cremlino” è un film che saprà accattivarsi lo spettatore medio e illuminarlo sulla figura di Putin e su quanto sta accadendo in Russia. Pregio non da poco, visto quanto è difficile nella stessa Europa far sì che la gente si informi con serietà. Una storia attuale, modello del totalitarismo delineato in tutti i suoi dettagli, compreso quelli in cui un esercito di gregari favorisce l’incoronazione del capo supremo, il quale una volta insediato fagocita i suoi stessi fautori e diventa un pericolo per la libertà e la sopravvivenza di milioni di persone. Regia di Olivier Assayas. Un film con Paul Dano, Jude Law, Alicia Vikander, Jeffrey Wright, Tom Sturridge Titolo originale: The Wizard of the Kremlin. Genere: Drammatico, Thriller, Francia, 2025,  Durata: 120 minuti.  Distribuito da 01 Distribution.  Bruna Alasia
Ci sarà la pace in Ucraina? Chi ha vinto? Chi ha perso?
Andiamo con ordine. Dopo gli incontri in Alaska e a Washington ci sarà la pace in Ucraina, una vera pace, intendo? No. Si stanno facendo trattative per la spartizione dell’Ucraina, la sua fine come Stato unitario, binazionale, neutrale, ponte tra Occidente e Oriente. Si pensa non alla pace, ma al congelamento armato della guerra, come da decenni si protrae la fine delle ostilità tra le due Coree, senza nessuna pace e riconciliazione. Una vasta area super militarizzata e invalicabile chiude oggi le due Coree e domani, nei piani dei signori della guerra, spaccherà l’Ucraina, forse per sempre o per i prossimi decenni. Le trattative in corso non vanno nella direzione del disarmo e di una vera distensione: il riarmo europeo continuerà per garantire con la forza la fine delle ostilità, anzi il loro congelamento a tempo indeterminato. Per avere la pace si dovrebbe procedere a trattative vere, promosse dall’ONU, unica istituzione sovranazionale legittimata a trovare e promuovere soluzioni sulla base del diritto internazionale e del pieno rispetto dei diritti umani sia come singoli individui, sia come comunità, popoli, nazioni, Stati. Si dovrebbe partire dal sanare una ferita tuttora aperta e cioè dal riconoscimento dell’indipendenza dell’Ucraina, di uno Stato sovrano da cui andrebbero ritirate le truppe straniere, compresi addestratori e mercenari. Una volta data la possibilità ai profughi di rientrare, possono anche essere ridiscussi i confini sulla base del diritto all’autodeterminazione dei popoli. Attraverso nuovi referendum, tenuti sotto il controllo delle Nazioni Unite, saranno i popoli di quelle regioni a stabilire il destino del  Donbass e della Crimea su due opzioni fondamentali: regioni autonome parte di un’Ucraina federalista o della Federazione Russa. Sarebbe un nuovo grave precedente, uno sfregio del diritto internazionale accettare che i confini siano modificati non per volontà delle popolazioni dei territori interessati, sulla base del principio di autodeterminazione, ma da accordi tra Trump e Putin e per di più sulla base di una conquista militare. Dopodiché vale per l’Ucraina ciò che dovrebbe valere per ogni Stato del mondo, Palestina in primis: pieno rispetto dei diritti umani individuali, civili, sociali, politici e nazionali. Nel concreto uno Stato autenticamente democratico, laico sulle questioni religiose, pienamente binazionale, nel pieno rispetto della lingua e cultura ucraina e della lingua e cultura russa, che qui in realtà non indicano due popoli separati, perché binazionali sono gran parte delle famiglie e quindi delle persone.  Do per scontato il pieno rispetto e riconoscimento delle minoranze nazionali presenti su questo complesso e articolato Paese: rom, bielorussi, ungheresi, polacchi, rumeni, tatari di Crimea, greci, armeni… Un tempo erano presenti sia una vasta comunità tedesca, che ha lasciato il Paese, sia gli ebrei, in gran parte sterminati dai nazisti e dai nazionalisti suprematisti ucraini, attivi soprattutto nella parte occidentale, quella che mai fece parte dell’Impero Russo. Essi furono, e sono tuttora, i seguaci di Stepan Bandera, per loro un eroe nazionale, che aspirava a un’Ucraina etnicamente pura.  Odiavano a tal punto i russi che non si fecero scrupoli ad allearsi con i nazisti tedeschi, anche se questi ritenevano tutti i popoli slavi, e pertanto pure i suprematisti ucraini, gente inferiore da sottomettere. Tutt’altro che nazista, la maggior parte della popolazione dell’Ucraina fece la propria parte nella guerra antinazista, sia come partigiani sia nelle file dell’Armata Rossa. Tutti o quasi qui parlano e capiscono il russo, soprattutto nelle città, tanti sono di madrelingua (o padrelingua) russa o sono perfettamente binazionali, perché di famiglie “miste” da più di una generazione. Infine molti sono di famiglie originarie dei territori della Russia vera e propria, la cosiddetta “grande Russia”, venuti a lavorare nel distretto minerario e industriale del Donbass, oppure a ripopolare, nella seconda metà degli anni Trenta del Novecento, moltissimi villaggi ucraini spopolati a seguito della terribile carestia causata dalla folle politica staliniana di collettivizzazione forzata, eliminazione dei kulak e sequestro di ogni derrata alimentare prodotta nei villaggi per sfamare le città. Espropri condotti senza pietà fino a lasciar morire la gente di fame. Gli ucraini lo considerano il loro genocidio e lo chiamano Holodomor, uccisione per fame. Dopo l’invasione russa iniziata il 24 febbraio del 2022 (che sia stata una gravissima violazione del diritto internazionale lo dice Francesca Albanese) molti russofoni abbandonarono le regioni conquistate; alcuni di loro hanno persino smesso di parlare russo, almeno pubblicamente, anche come forma di “protesta” e di affermazione della propria identità, non etnica, ma nazionale. Tuttavia il russo è tuttora la lingua principale per tantissime persone che, almeno da questa parte della linea del fronte, sono diventate ostili a Putin, alle sue armate e spesso anche al popolo che lo ha votato e che lo sostiene. Il basamento della statua della zarina Caterina, rimossa dagli ultranazionalisti ucraini in odio alla Russia, nonostante l’importante ruolo da lei svolto nella storia di Odessa. Non posso parlare di ciò che accade di là dal fronte se non per i racconti che mi fanno i profughi. Riporto dunque quello che pensano i moltissimi profughi interni, praticamente tutti di madrelingua russa.  Vogliono un’Ucraina indipendente e sovrana, entro i confini della Repubblica Sovietica di Ucraina e dello Stato pienamente indipendente nato nel 1991 dalla disgregazione dell’Urss. Le mie riflessioni nascono anche dalle “interviste” che ho fatto per strada a tanta gente comune, soprattutto giovani e giovanissimi, quelli più disposti a raccontare il loro punto di vista, dall’incontro con le insegnanti e le psicologhe del Sindacato degli insegnanti di Odessa, affiliato alla Cgil, dalle conversazioni con l’italiano Ugo Poletti, direttore del giornale in lingua inglese Odessa Journal e con l’ex ambasciatore Enrico Calamai, con cui mi sono confrontato circa il Diritto Internazionale. Ugo Poletti ha avuto il coraggio di non lasciare Odessa, che è diventata la sua città, anche nelle fasi più cruente del conflitto, quando le armate russe tentarono di conquistarla, ma furono fermate a est della città di Mykolaïv da una strenua e inaspettata resistenza. Chi ha vinto la guerra, dunque? Nessuno. I russi erano convinti di arrivare perlomeno a Kiev accolti come liberatori e così non è stato. Gli ucraini erano fiduciosi di riprendersi, con l’aiuto militare degli Usa e dei Paesi della Nato, il Donbass e persino la Crimea, e così non è stato; anzi, hanno perso alcune porzioni dei loro territori orientali ora annessi unilateralmente alla Federazione Russa. Chi ha perso veramente, quindi? I due popoli che hanno perso centinaia di migliaia di uomini, soprattutto civili in divisa, ma anche tantissimi civili delle città a ridosso del confine, martoriate e devastate dalla guerra, a cui vanno aggiunti i civili morti in numero assai minore nelle città più lontane, colpite dai droni e dai lanci di missili. Chi ha vinto? I produttori e i trafficanti di armi e i politici guerrafondai e corrotti, che nulla hanno fatto per prevenire e fermare la guerra e trattare per una pace vera e non per la spartizione del Paese. Solo i popoli possono costruire un’umanità fraterna e solidale, fermare il genocidio del popolo palestinese e le “inutili stragi” in Ucraina, Somalia e ovunque si combatta oggi.  La pace vera può nascere soltanto dal basso, con un immenso lavoro che deve impegnare tutte e tutti noi, ma che non può perdere più un istante di tempo, perché l’orrore divora ogni giorno troppe vittime innocenti.   Mauro Carlo Zanella
Un raggio di sole a Kiev
Martedì 19 agosto ho incontrato a Kiev, nella sede della Ong Arca, Sofia Torlontano, venticinquenne di Pescara, responsabile di un progetto della cooperazione italiana. Sofia si è laureata in Cooperazione internazionale e ha fatto un master sul tema della Risposta umanitaria in emergenza. Ha lavorato nel marketing/fundraising per Save the children, poi ha fatto un tirocinio in Comunicazione alle Nazioni Unite a Copenaghen e la sua prima esperienza sul campo è stata in Kenya con ActionAid Kenya. Ora il suo ruolo è davvero importante: è Project Manager in Ucraina con un progetto dell’Ong Arca, che ha vinto un bando della Cooperazione Italiana. Il progetto su cui ha lavorato Sofia e che ha diretto nell’ultima fase si è concluso in questi giorni e riguardava la situazione di emergenza delle persone più fragili. E’ un progetto multisettoriale con interventi a Kiev e focus geografico su Sumy, Kharkiv e Mykolaïv, a ridosso della linea del fronte e con diverse aree di attività: * Costruzione di rifugi per le scuole e per gli istituti di formazione professionale. Attività con i bambini. * Acquisto di materiali e attrezzature mediche per gli ospedali delle città interessate dal progetto. * Distribuzione di cibo, prodotti per l’igiene e stufe elettriche ai civili delle cittadine e dei villaggi a ridosso del fronte e vicini a tal punto che l’insieme dei villaggi della Comunità di Yunakivka, una hromada, nell’oblast (si tratta di nomi di entità territoriali e amministrative) di Sumy, dove Arca stava portando aiuti, è stata da poco occupata dalle armate russe. * Installazione di filtri per la purificazione delle acque per renderle potabili, problema serissimo a seguito dei bombardamenti sulle infrastrutture (centrali elettriche, impianti idrici…) * Distribuzione di cibo a Kiev a persone senza fissa dimora. Queste esistono in Ucraina, come in Italia e in qualsiasi città del mondo, ma tra loro vi sono tanti sfollati interni che hanno perso tutto e non sono ancora riusciti a integrarsi, trovando un lavoro e una abitazione decente, come invece molti altri sono riusciti a fare avendo maggiori possibilità economiche  professionali. Molti di loro sono scappati prima dell’arrivo dell’Armata Russa dalle regione del Donbass e dalla Crimea, altri dalle città fantasma semidistrutte ed evacuate a ridosso del fronte, oppure dalle città spesso colpite dai droni e anche da missili di vario tipo e potenza. Gran parte degli sfollati interni, che provengono ovviamente dalle regioni orientali, se non la quasi totalità, sono di madrelingua russa o di famiglie linguisticamente russo-ucraine. Il progetto non è terminato, ma esaurito il supporto italiano proseguirà grazie ai partner locali di Arca, e cioè Remar e Hope Ukraine, a cui resterà ad esempio la tensostruttura dove vengono serviti i pasti, montata accanto alla stazione centrale di Kiev. Il secondo progetto che Sofia dirigerà e che partirà a breve, con focus geografico su Rivne e Kiev, si ripromette di creare opportunità di lavoro a lungo termine, attraverso corsi di formazione professionale e microcredito, ad alcune donne e in particolare a quelle che, dopo anni di guerra al fronte, necessitano di un reinserimento sociale. Durante la nostra lunga conversazione Sofia mi spiega che sono stato molto fortunato, perché l’ultimo attacco è stato il missile della strage del 31 luglio; dal mio arrivo a Kiev in poi non ci sono stati attacchi di nessun tipo. In effetti alla mia partenza più d’uno mi aveva fatto capire che la situazione di Kiev era molto più pericolosa di quella di Leopoli. Mi dice che in effetti la situazione è stata per giorni e giorni veramente drammatica, con continue esplosioni che hanno colpito anche zone centrali della città, che mi indica sulla mappa e che proverò a raggiungere perché non sono troppo distanti da dove alloggio. Per lei, come per tutti gli abitanti di Kiev, ci sono state notti di vera paura, passate insieme ad amici con i sacchi a pelo nei rifugi. Poi, tra un attacco e l’altro, mazzi di splendidi fiori ricevuti per festeggiare di essere ancora vivi, il lavoro che deve riprendere con il massimo della concentrazione possibile e serate a ballare in luoghi frequentati da tanti giovani e a offerta libera, perché divertirsi è un modo di distrarsi, riprendere energia e resistere. Mi chiedo e le chiedo se non vi sia ancora il rischio di un’escalation disastrosa, che potrebbe essere addirittura causata dall’incertezza sul fatto che un missile in arrivo sia dotato di un ordigno nucleare. Sofia mi dice che il problema permane, che del resto lei da anni (mi dice “fin da giovane” e a me viene da ridere perché ha, come ho già detto, venticinque anni e quindi mi vien da pensare “fin da bambina”) è attiva e impegnata a favore del trattato per la messa al bando delle armi nucleari (TPAN), di cui abbiamo parlato tante volte su Pressenza. Sofia, come tutti del resto quelli con cui ho parlato, è molto scettica sui colloqui di questi giorni in Alaska e a Washington: troppe volte si era ad un passo dalla pace e poi tutto è saltato. Sono stato fortunato a incontrarla perché l’indomani era in partenza per rientrare, per un paio di settimane di vacanza, nella sua Pescara. “Vai al mare?” le chiedo. “A dire il vero vado in montagna in un campo organizzato dalla Croce Rossa… Mi “diverto” così, lì ci saranno i miei amici più cari… Altrimenti restavo qui” mi risponde. Sofia tornerà dopo le ferie per coordinare il nuovo progetto di sostegno all’imprenditoria femminile. Questa ragazza, nata nel 2000(!), attiva sui social, a cui piace andare a ballare e divertirsi con gli amici, non è diversa dai ragazzi della sua generazione, ma come molti di loro vive quotidianamente, come attività professionale, come volontariato o come nel suo caso entrambi le cose, l’impegno a favore di un mondo migliore, diverso, altro. La mia generazione ha fallito e abbiamo poco da insegnare; possiamo soltanto metterci con grande umiltà al loro servizio, perché se non altro evitino di ripetere i nostri errori. Loro ci insegnano la concretezza sociale e umana indissolubilmente legata all’impegno politico. Il sorriso con cui mi congeda mi sembra un piccolo raggio di sole che illumina questo mondo “vasto e terribile”.   Mauro Carlo Zanella
Comico e straziante
VEDERE UNA RAGAZZA CHE PIANGE PER LA MORTE DEL SUO COMPAGNO, UN GIOVANE SOLDATO UCRAINO, È STRAZIANTE. COMICO INVECE, SCRIVE BIFO, È STATO IL SUMMIT DI WASHINGTON, DOVE TRUMP HA RICEVUTO GLI SCONFITTI CON UN SORRISETTO SARDONICO. COMICO È ZELENSKYY CHE PER L’OCCASIONE HA COMPRATO UN COMPLETO SCURO ABBANDONANDO LA SUA MAGLIETTA GRIGIO VERDE DA FINTO COMBATTENTE. PER GLI USA LA GUERRA RUSSIA-UCRAINA SERVIVA A DISTRUGGERE L’EUROPA E A INDEBOLIRE LA RUSSIA: IL PRIMO OBIETTIVO È STATO RAGGIUNTO, IL SECONDO NO. ALMENO MEZZO MILIONE DI UCRAINI SONO MORTI PER DIFENDERE LE SACRE FRONTIERE DELLA PATRIA E FARSI FREGARE DAL NAZIONALISMO DEI PAGLIACCI pixabay.com -------------------------------------------------------------------------------- CNN mostra le immagini del funerale di un giovane soldato ucraino. La sua compagna piange davanti alla bara e depone dei fiori. Bandiere rosso-nere, una grande A cerchiata in primo piano. Ricordo che fin dai primi giorni di questa guerra Vasyl, un amico ucraino che si definisce anarco-socialista mi scrisse: Se vince Putin il fascismo vince in tutto il mondo. Aveva ragione e oggi lo vediamo. Il problema è che il fascismo avrebbe vinto in tutto il mondo anche se la guerra l’avesse vinta Zelenskyy. Ma vedere le immagini di un ragazzo anarchico che avrebbe potuto essere un mio studente se avessi insegnato a Kiev, è straziante, vedere il pianto di quella ragazza che era la sua compagna è straziante. Comico invece è il summit di Washington, dove Trump ha ricevuto gli sconfitti con un sorrisetto sardonico sulle labbra. Comico è Zelenskyy che per l’occasione ha comprato un completo scuro abbandonando la sua maglietta grigio verde da finto combattente. Seduto sulla stessa poltrona su cui sedeva a febbraio quando Vance lo insultò e Trump lo umiliò davanti a un miliardo di spettatori, il perdente ringrazia ringrazia e ringrazia. Per cosa ringrazia non s’è capito. Il Mammasantissima ringraziatissimo è appena tornato da un incontro con il criminale ricercato Putin, in Alaska dove si sono accordati su questioni relative alla spartizione dell’Artico, e anche, marginalmente, sulla resa incondizionata dell’Ucraina. Perché di questo si tratta, anche se i comici d’Europa (zio Macron, zia Meloni, nonna Ursula e gli altri parenti dell’ucraino bastonato) fingono di parlare delle garanzie da fornire al nipotino. Nessuno cita la parola: “Donbas”, né la parola “Crimea”: sarebbe di cattivo gusto. Quella che passerà alla storia (se ci saranno storici nel futuro, cosa di cui dubito) come la guerra “ucraina” cominciò come un colpo di genio dell’amministrazione Biden. Provocare una carneficina alla frontiera orientale d’Europa serviva contemporaneamente a distruggere l’Europa e a indebolire la Russia. Il primo obiettivo è stato centrato perfettamente. Per capire quanto oggi conti l’Europa basta osservare Macron seduto accanto a Trump, che lo ha recentemente trattato pubblicamente come un idiota che parla di cose di cui non sa niente, e farebbe meglio a stare zitto. Eppure Macron fa finta di niente, e con un’espressione piuttosto tirata dice qualcosa di irrilevante mentre il Mammasantissima assente con uno sprezzante sorrisino. Il primo obiettivo è stato perfettamente centrato: sono state rotte le relazioni economiche tra Russia e Germania, interrotto il North Stream 2. L’Unione declassata da Vance: prima eravate sudditi, ora siete nemici – disse a Monaco il numero 2. Mazziati con i dazi che presto affonderanno l’economia europea, i sudditi diventati nemici devono ora investire i loro capitali nel paese che li umilia e acquistare armi da chi li ha traditi per rifornire l’Ucraina dimezzata. La guerra inter-bianca si avvia verso una (provvisoria) conclusione col seguente risultato: la civiltà bianca è dominata dalle potenze nucleari artiche (Usa e Russia), l’Unione Europea è un morto che cammina, l’Ucraina è un paese distrutto, impoverito, spopolato, costretto a consegnare le sue risorse a chi l’ha prima spinta in guerra, poi ingannata infine tradita. Quanto al secondo obiettivo, indebolire la Russia, non è stato centrato per niente, perché gli statunitensi, si sa, sono volubili. Iniziano guerre in luoghi lontani come l’Afghanistan per poi dimenticare per quale ragione l’hanno fatto, e lasciano i loro protetti (e soprattutto le loro protette) in mano ai tagliagole. Ecco allora che al posto di Biden, nemico dei russi, è arrivato l’amico del cuore di Vladimir Putin, e mezzo milione di ucraini (di più? Di meno? Non lo sapremo mai) sono morti per niente. Ossia per difendere le sacre frontiere della patria e farsi fregare dal nazionalismo dei pagliacci. -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI RAUL ZIBECHI: > La guerra organizza l’accumulazione del capitale -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Comico e straziante proviene da Comune-info.