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A Leopoli suona la sirena, poi la vita riprende nella sua apparente normalità
Ieri mattina mi sono svegliato presto e mentre stavo andando in bagno ha iniziato a suonare la sirena. Non era la mia prima volta: l’ho sentita anche negli altri miei due viaggi a Kiev, Odessa e Mykolaïv. Nessuno sembrava curarsene, neppure a Mykolaïv che pure è abbastanza vicino al fronte, anche se non è tra le città devastate, abbandonate da quasi tutti, in pratica delle città fantasma. Non ho avuto né paura né fretta, anche perché dubito che nei rifugi ci siano i bagni. Intanto da potenti trombe poste sulla torre del municipio una voce stentorea sembra dare ordini che io ho immaginato di tradurre più o meno così: “Sbrigatevi ad andare nei rifugi, teste di cavolo, sono dieci minuti che suona la sirena: cosa aspettate? Che vi cada in testa un missile russo?”. Finalmente esco dall’albergo, pensando che potrei scrivere un articolo sulla vita nei rifugi. Appena fuori vedo un uomo che sta sistemando un vaso di fiori. “Dov’è il rifugio dell’albergo?” chiedo. Alza le spalle: non c’è. “Il rifugio più vicino?” chiedo ancora. Mi indica un percorso a zig zag che subito dimentico. Tra il suono della sirena e la voce stentorea che ordina di andare nei rifugi c’è un silenzio irreale. Inizio a preoccuparmi. Vedo una barista fuori dal locale che parla concitata al telefono e con il traduttore automatico le chiedo dov’è il rifugio. Sul cellulare scrive e cancella febbrilmente, poi me lo riconsegna. Sono in ansia, non so dove andare. Chiedo a una giovane donna che beve un caffè seduta. Alza le spalle. A questo punto la cosa più saggia mi sembra entrare in uno dei pochi bar aperti per fare colazione. Evito il primo, che espone una bandiera con un mitra e un serpente attorcigliato e finalmente ne trovo uno normale. La barista non ha l’aria spavalda: tiene aperto perché non sa dove andare. Prendo il cappuccino maxi, servito in una tazza che sembra una scodella e una fetta di torta deliziosa. Mi pare davvero improbabile che un missile russo possa interrompere la mia colazione. Una ragazza entra e si siede con aria serena. Ho un’idea e le porgo il cellulare, ovviamente con la traduzione in ucraino: “Sono un reporter italiano di un’agenzia stampa internazionale che si chiama Pressenza. Vorrebbe scrivere una frase su come vede la situazione attuale in Ucraina –  guerra, crisi economica, corruzione… ?” Con mia grande sorpresa si mette a scrivere: si chiama Sofia e ha circa vent’anni. Sembrerebbe ancora convinta della necessità di difendere in armi il suo Paese, ma non sono sicuro di questo, perché non  esplicita il tipo di aiuto che si aspetta dal mondo. Da notare che non parla di vincere la guerra o di riconquistare i territori del Donbass e la Crimea. Parla di difendere il suo Paese senza esternare sentimenti di odio verso gli aggressori. Sofia scrive dunque: “Questo è il periodo più difficile per l’Ucraina. Mio fratello è in prima linea. Vorrei avere più opportunità per difendere il nostro mondo, affinché il mondo non pensi che questo sia solo un altro conflitto facilmente risolvibile. Spero che la gente in Ucraina dimentichi finalmente cosa siano i bombardamenti e che le famiglie possano riunirsi.  Gli uomini sono molto grati per l’aiuto del mondo e saremo grati per un ulteriore supporto“. Non si sono sentite esplosioni, neppure in lontananza e la vita a Leopoli riprende nella sua apparente normalità. E’ l’unico modo per resistere al quotidiano orrore della guerra, combattuta soprattutto lungo il confine a centinaia di chilometri da qui, ma da fratelli, figli, padri, fidanzati, mariti, amanti: una ferita aperta, che a volte sprofonda nel dolore più grande, la perdita di un proprio caro.   Mauro Carlo Zanella
Perché vado per la terza volta in Ucraina
Un’amica mi ha chiesto tempo fa: “Si può sapere cosa cavolo vai a fare in Ucraina? Vuoi farti ammazzare?” Iniziamo dalla seconda questione: mi piace vivere e non mi sono votato al martirio, anche perché, essendo sostanzialmente agnostico/ateo (pur di cultura cristiana) non avrei paradisi, Valhalla, Valchirie o Vergini ad aspettarmi in un’ipotetica vita eterna in cui, con tutta la buona volontà possibile, non credo né ho mai creduto. Morire per un missile russo a Leopoli, a Kiev o a Odessa?  È possibile tanto quanto morire in un incidente stradale sulla Pontina o sul Grande Raccordo Anulare di Roma, facendo escursioni in montagna o nuotando in uno dei mari italiani. Potrebbe paradossalmente essere maggiore e più “mirata” la possibilità di essere fatto fuori dai servizi segreti ucraini o alleati vari. E’ già successo. Qui confido nel buon senso: perché creare un casino internazionale quando basta non farmi entrare o al limite espellermi? Inoltre confido nella mia irrilevanza: posso scrivere ciò che voglio, ma la potenza di fuoco dei menestrelli di corte, della scorta mediatica dei signori della guerra, del fatto che in “tempo de guera: più bugie che tera” rendono per loro assolutamente irrilevante qualsiasi cosa io possa scrivere. Allora perché vado? Perché le nostre innumerevoli irrilevanze sono semi gettati al vento, brace che sotto la cenere potrebbe tornare a essere fuoco, umile goccia che scava la pietra o meglio ancora goccia che costruisce colonne quando una stalattite si salda con una stalagmite. Ho la stessa ambizione del colibrì che vuole spegnere l’incendio della foresta gettando la sua gocciolina d’acqua o della “piccola pietra” che Emilio Guarnaschelli, comunista torinese vittima del terrore staliniano, decise di portare a Mosca, rifugiandosi là come perseguitato politico italiano durante il regime fascista. Voleva contribuire all’edificazione della città di quella “futura umanità” cantata nelle centinaia di lingue in cui è tradotta l’Internazionale. Io faccio la mia parte, meglio di piangersi addosso o di spargere depressione. Del resto, già ora, centinaia e centinaia di migliaia di persone, se non milioni, in Italia, in Europa e nel mondo, e tra le quali tante e tanti giovanissimi, la loro parte la fanno tutti i giorni, in mille modi diversi e senza il bisogno di scrivere lettere aperte. Questi meritevoli sforzi mi paiono tuttavia poco coordinati per non dire disarticolati o polverizzati, rendendoli poco efficaci politicamente. Perché io vado proprio in Ucraina, quando abbiamo decine di guerre dimenticate e un genocidio ostentato e addirittura rivendicato in diretta? Torno per la terza volta in Ucraina perché lì c’è una guerra tra potenze nucleari, anche se la Nato non invia truppe ma armi, tecnologia e addestratori militari. Una guerra in cui è in corso lo sterminio sistematico di un’intera generazione di giovani maschi ucraini e di altrettanti giovani russi (uguali per numero, ma non certo in termini proporzionali rispetto alle rispettive popolazioni). Una guerra che è sostanzialmente rimossa proprio dalla mia parte politica, perché per mobilitarsi sente l’istintivo bisogno di schierarsi con una delle parti in conflitto secondo l’infantile logica binaria e manichea che ci vuole a fianco dei buoni contro i cattivi. Eppure sembrerebbe tanto facile dire che siamo contro la guerra e contro chi l’ha promossa, non ha voluto impedirla e ora la alimenta. Siamo contro una delle guerre più pericolose per i destini del genere umano. Se Kiev venisse bombardata a tappeto, trasformandola in una sorta di Gaza, allora sì che la mia vita sarebbe in grave pericolo, ma tanto quanto quella degli abitanti di Pietroburgo e Mosca, e di conseguenza Roma, Parigi, Berlino e Londra. (Madrid sarebbe risparmiata insieme a Dublino, a Bratislava e a chi pur tra mille esitazioni ha provato a non farsi trascinare nel bellicismo suicida). In quanto a me i nazionalisti russi (cioè i tre o quattro che mi hanno letto) mi hanno accusato di essere filo ucraino, che per loro significa sostanzialmente essere filonazista, per aver definito “truppe di invasione” i soldati della Federazione Russa che dalla Bielorussia tentarono di arrivare a Kiev (attraversando peraltro la foresta chiusa in quanto iper-contaminata dal plutonio di Chernobyl). Attenzione, non reputo necessariamente invasori i soldati russi entrati in Crimea e nel Donbass! Mentre i nazionalisti ucraini (sempre i tre o quattro che mi hanno letto) si sono stracciati le vesti perché, davanti alla Casa dei Sindacati di Odessa, città da sempre cosmopolita, imponente edificio oramai chiuso, abbandonato e addirittura cancellato da Google Maps, ho definito quella orrenda strage, pianificata dai neonazisti ucraini, il punto di non ritorno che portò alla guerra civile iniziata nel 2014. Sarei quindi filo Putin e giacché Putin sarebbe il nuovo Hitler, sarei di nuovo filonazista. Una guerra civile che ha distrutto uno stato binazionale. Una guerra civile in cui dopo otto anni di sostanziale indifferenza della comunità internazionale, bloccata dai veti incrociati espressi nelle risoluzioni presentate al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, si è inserita con le sue truppe d’invasione la Federazione Russa, che, per quanto provocata dalla Nato, ha anch’essa violato il diritto internazionale (lo dice anche Francesca Albanese). Altri tre o quattro lettori di entrambi gli schieramenti mi hanno detto, bontà loro, che, benché in buona fede, dovrei studiare la Storia (scritta suppongo dagli storici degli opposti schieramenti). Replico rivendicando di essere pacifista, internazionalista e quindi comunista poiché il capitalismo sta alla guerra come i nuvoloni neri stanno alla pioggia. Replico che sto dalla parte dei renitenti alla leva e dei disertori di entrambi gli schieramenti, che ormai sono d’accordo soltanto sul fatto che l’obiezione di coscienza sia il più grave dei delitti… Replico, come sostenne con la sua vita il socialista riformista Giacomo Matteotti, che il nazionalismo porta alla guerra e la guerra porta al fascismo. Infine, come mi ha insegnato il redattore umanista di Pressenza Olivier Turquet, è inutile disperarsi: “Signori della Guerra, vi spazzeremo via con Pace, con Forza, con Allegria!” Mauro Carlo Zanella
La vicenda del maestro Gergiev a Caserta: quando le crociate di regime uccidono la cultura
È stato annullato il concerto, previsto per la prossima domenica 27 luglio alla Reggia di Caserta, del grandissimo direttore d’orchestra russo Valery Gergiev, reo di aver espresso simpatie per l’attuale presidente del suo Paese – almeno secondo i 700 intellettuali che, lo scorso 18 luglio, hanno indirizzato una lettera di protesta al governatore della Campania Vincenzo De Luca. Si tratta di una chiara crociata ideologica in chiave anti-russa più che anti-putiniana – crociata che si era già fatta sentire nel 2022 con l’annullamento di un corso universitario sul grande scrittore Dostoevskij, in quanto considerato un imprescindibile esponente della cultura russa. Apparentemente, per i benpensanti dell’Università Bicocca di Milano andava stigmatizzato tutto ciò che è russo. Così, ieri, lunedì 21 luglio, il governatore De Luca ha dovuto cedere alle «logiche di preclusione» e al «rifiuto di dialogare» dei 700 intellettuali, sorretti da numerosi partiti politici, e ha accettato di allontanare dall’Italia uno dei più grandi direttori d’orchestra al mondo, colpevole di aver espresso l’opinione che la guerra in Ucraina sia stata istigata dalla NATO per destabilizzare la Russia. Punto di vista vietatissimo nella nostra sedicente democrazia, la quale impone, come in un qualsiasi regime autoritario, un Pensiero Unico sui fatti ucraini. Si tratta, tuttavia, di un Pensiero Unico pieno di contraddizioni: eccone una. Tutti sanno (ma molti cercano di dimenticare) che, sotto la presidenza di G.W. Bush, gli Stati Uniti hanno fatto molto di più di quanto la Russia di Putin stia facendo in Ucraina oggi. Infatti, nel 2003, gli USA hanno non solo invaso illegalmente il Paese sovrano dell’Iraq, ma l’hanno occupato per intero, bombardandolo selvaggiamente per ben 10 anni e al costo di oltre un milione di morti civili. Eppure, per quanto all’epoca ci fossero forti proteste dirette contro Bush, non ci sono stati tentativi istituzionali di istigare un clima di odio verso la cultura e la società statunitensi. In Italia, i corsi universitari su Hemingway si sono tenuti regolarmente, nessuno si è sognato di cancellarli e se il maestro statunitense James Levine non ha potuto tenere il suo concerto presso l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia nel 2021, è soltanto perché egli è purtroppo deceduto tre mesi prima. Nessuno chiedeva l’annullamento del suo concerto perché avrebbe messo in buona luce la cultura statunitense – come il concerto di Gergiev metterebbe in buona luce la cultura russa. In pratica, non c’è stata nessuna campagna per estirpare l’influenza statunitense in Italia. Non c’è stata un’«inchiesta sull’utilizzo di fondi pubblici» per fermare eventi filo-americani, come invece hanno chiesto i 700 intellettuali per bloccare ogni evento filo-russo nel territorio dell’Unione Europea. Non c’è stata la richiesta di un «fondo culturale dedicato agli artisti che si oppongono» al regime a stelle e strisce, come invece oggi quei 700 intellettuali vorrebbero che ci fosse contro la Russia. Evidentemente, le invasioni e le occupazioni sono accettabili quando a farle è un Paese alleato, non un Paese competitore. Anzi, per le classi dirigenti occidentali, oggi il Paese di Putin è diventato non solo un concorrente, ma potenzialmente un nemico in guerra. Un nemico da abbattere per eliminare un competitore, certo, ma anche e soprattutto per potersi impadronire delle sue immense ricchezze energetiche. Così, dal momento che non sono bastati 18 pacchetti di sanzioni per far crollare la Russia, né un’estenuante guerra per procura “fino all’ultimo ucraino” (e quindi fino all’ultimo russo), il Regno Unito, la Francia e la Germania hanno deciso di alzare la posta: hanno formato un’alleanza per spingere l’UE a contemplare un conflitto diretto con la Russia per dare il colpo di grazia al suo regime attuale. Quei tre Paesi occidentali si ricordano bene, infatti, come il crollo dell’URSS nel 1989 abbia poi consentito all’UE e agli USA di insediare a Mosca il debole Boris Eltsin, disposto a consentire alle industrie energetiche europee e statunitensi di accaparrarsi buona parte delle enormi ricchezze russe. Così, la Francia, la Germania e soprattutto il Regno Unito vogliono fare oggi. E non solo per il petrolio: infatti, il crollo della Russia consentirebbe all’Europa – insieme agli Stati Uniti – di poter più facilmente aggredire in seguito la Cina, costretta a difendersi da sola. Anzi, per molti osservatori, questo è l’obiettivo principale dietro il tentativo di intrappolare e di indebolire la Russia provocando la guerra estenuante in Ucraina. L’ondata di propaganda antirussa che imperversa in Italia e in Europa da tre anni, dunque, sembrerebbe servire ai tre Paesi occidentali appena menzionati per raccogliere consensi per una guerra anche nucleare dell’Europa contro la Russia. Bisogna combattere questo indottrinamento e contrastare la dilagante propaganda antirussa. Bisogna creare legami e scambi tra il popolo italiano e quello russo a tutti i livelli. Legami d’amicizia che rendano poi più difficili i tentativi del Potere di trascinarci in una guerra demonizzando la Russia. Legami che renderebbero più difficile cancellare le espressioni della cultura russa, come il concerto che Valery Gergiev avrebbe dovuto tenere questa domenica alla Reggia di Caserta.   Patrick Boylan
AL VIA LA CONFERENZA SULLA RICOSTRUZIONE DELL’UCRAINA (A GUERRA IN CORSO). A ROMA I RAPPRESENTANTI DI 100 STATI E 2MILA AZIENDE PRIVATE
Mentre le città ucraine continuano a essere bombardate da missili e droni (anche stanotte, con un bilancio di 2 morti e oltre 13 feriti), a Roma inizia oggi la Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina. Un evento voluto in particolare dal governo Meloni, dalla presidente della Commissione Ue von der Leyen e dal cancelliere tedesco Merz, con l’obiettivo di favorire le speculazioni del capitale transnazionale sulla guerra. Al tavolo dei negoziati siedono rappresentanti di 100 Stati e 2.000 aziende private, tutte pronte a lucrare sulla pelle di chi sta vivendo sotto le bombe. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, il commento dell’economista Emiliano Brancaccio, docente di Economia politica all’Università Federico II di Napoli. Ascolta o scarica. Nel frattempo, a margine del summit, il presidente ucraino Zelensky ha incontrato ieri il presidente della Repubblica italiana Mattarella e il capo del Vaticano, il cardinale Prevost, che ha ribadito la disponibilità ad ospitare i futuri negoziati tra Kiev e Mosca, anche se al momento non è chiaro quando e dove si svolgeranno. Il vertice, inoltre, sarà l’occasione per un nuovo incontro tra i cosiddetti “paesi volenterosi”, quelli che spingono per un approccio più aggressivo nei confronti della Russia. Per la prima volta, gli Stati Uniti sono rappresentati tramite l’inviato speciale Kellogg.
Chi controlla le terre rare controlla il mondo
Quando a fine anni ’80 Deng Xiaoping affermò che “il Medio Oriente ha il petrolio, la Cina le terre rare”, in pochi diedero il giusto peso alla dichiarazione dell’allora leader della Repubblica Popolare cinese. Come invece sempre più spesso accade, il Dragone asiatico dimostrò di avere la capacità di immaginare e mettere in atto strategie di lungo termine: le terre rare, infatti, rappresentano oggi uno dei maggiori motivi di frizione geopolitica nel mondo, a causa dell’elevata richiesta e del loro complesso approvvigionamento, di cui la Cina detiene il monopolio. Praticamente nessun settore industriale ad alta tecnologia può farne a meno, da quello militare – per missili guidati, droni, radar e sottomarini – a quello medico, in cui sono impiegate per risonanze magnetiche, laser chirurgici, protesi intelligenti e molto altro ancora. Non fa eccezione il settore tecnologico e in particolare quello legato allo sviluppo e all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Come spiega Marta Abbà, fisica e giornalista esperta di temi ambientali, le terre rare possiedono qualità magnetiche uniche e sono eccellenti nel condurre elettricità e resistere al calore, e anche per questo risultano essenziali per la fabbricazione di semiconduttori, che forniscono la potenza computazionale che alimenta l’AI, per le unità di elaborazione grafica (GPU), per i circuiti integrati specifici per applicazioni (ASIC) e per i dispositivi logici programmabili (FPGA, un particolare tipo di chip che può essere programmato dopo la produzione per svolgere funzioni diverse). Sono inoltre cruciali per la produzione di energia sostenibile: disprosio, neodimio, praseodimio e terbio, per esempio, sono essenziali per la produzione dei magneti utilizzati nelle turbine eoliche. Senza terre rare, quindi, si bloccherebbe non solo lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, ma anche quella transizione energetica che, almeno in teoria, dovrebbe accompagnarne la diffusione rendendola più sostenibile. Insomma, tutte le grandi potenze vogliono le terre rare e tutte ne hanno bisogno, ma pochi le posseggono. Leggi l'approfondito articolo di Del Monte
Chi controlla le terre rare controlla il mondo
Immagine in evidenza da Unsplash Quando a fine anni ’80 Deng Xiaoping affermò che “il Medio Oriente ha il petrolio, la Cina le terre rare”, in pochi diedero il giusto peso alla dichiarazione dell’allora leader della Repubblica Popolare cinese. Come invece sempre più spesso accade, il Dragone asiatico dimostrò di avere la capacità di immaginare e mettere in atto strategie di lungo termine: le terre rare, infatti, rappresentano oggi uno dei maggiori motivi di frizione geopolitica nel mondo, a causa dell’elevata richiesta e del loro complesso approvvigionamento, di cui la Cina detiene il monopolio. Praticamente nessun settore industriale ad alta tecnologia può farne a meno, da quello militare – per missili guidati, droni, radar e sottomarini – a quello medico, in cui sono impiegate per risonanze magnetiche, laser chirurgici, protesi intelligenti e molto altro ancora. Non fa eccezione il settore tecnologico e in particolare quello legato allo sviluppo e all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Come spiega Marta Abbà, fisica e giornalista esperta di temi ambientali, le terre rare possiedono qualità magnetiche uniche e sono eccellenti nel condurre elettricità e resistere al calore, e anche per questo risultano essenziali per la fabbricazione di semiconduttori, che forniscono la potenza computazionale che alimenta l’AI, per le unità di elaborazione grafica (GPU), per i circuiti integrati specifici per applicazioni (ASIC) e per i dispositivi logici programmabili (FPGA, un particolare tipo di chip che può essere programmato dopo la produzione per svolgere funzioni diverse).  Sono inoltre cruciali per la produzione di energia sostenibile: disprosio, neodimio, praseodimio e terbio, per esempio, sono essenziali per la produzione dei magneti utilizzati nelle turbine eoliche.  Senza terre rare, quindi, si bloccherebbe non solo lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, ma anche quella transizione energetica che, almeno in teoria, dovrebbe accompagnarne la diffusione rendendola più sostenibile. Insomma, tutte le grandi potenze vogliono le terre rare e tutte ne hanno bisogno, ma pochi le posseggono. TERRE RARE, MINERALI CRITICI E AI Le terre rare (REE) sono un gruppo di 17 elementi chimici con proprietà simili e spesso presenti insieme nei minerali: lantanio, cerio, praseodimio, neodimio, promezio, samario, europio, gadolinio, terbio, disprosio, olmio, erbio, tulio, itterbio, lutezio, ittrio e scandio. Le materie prime critiche, di cui possono far parte anche alcune terre rare, sono invece quei materiali identificati dai vari governi come economicamente e strategicamente essenziali, ma che presentano un alto rischio di approvvigionamento a causa della concentrazione delle fonti e della mancanza di sostituti validi e a prezzi accessibili. Nel 2024 il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato il Regolamento europeo sulle materie prime critiche, elencandone 34, di cui 17 definite “strategiche”, il cui controllo o accesso influisce direttamente su obiettivi di sicurezza, sviluppo tecnologico e autonomia industriale. Le terre rare, in realtà, spiega ancora Marta Abbà, non sono rare, ma la loro presenza nel mondo non è omogenea e l’estrazione e la lavorazione risultano molto costose e inquinanti.  Le maggiori riserve sono possedute dalla Cina, in cui ammontano, secondo le stime, a 44 milioni di tonnellate, con una capacità estrattiva che nel 2024 ha toccato la cifra di 270mila tonnellate all’anno. Altri stati che possiedono significative riserve sono il Brasile (21 milioni di tonnellate, attualmente ancora pochissimo sfruttate), l’Australia (5,7 milioni di tonnellate), l’India (6,9 milioni di tonnellate), la Russia (3,8 milioni di tonnellate) e il Vietnam (3,5 milioni di tonnellate).  A questo gruppo di paesi si è aggiunta di recente la Groenlandia, salita alla ribalta delle cronache per i suoi enormi giacimenti di materie prime critiche e per il conseguente interesse mostrato da Stati Uniti, Unione Europea e Cina. Il sito più rilevante, Kvanefjeld, nel sud dell’isola, è considerato uno dei più promettenti a livello globale e, secondo le stime della società che ne detiene la licenza estrattiva, potrebbe contenere fino al 15% delle riserve mondiali conosciute di terre rare. A far gola alle grandi potenze tecnologiche sono in particolare l’alluminio, derivato della bauxite, e il silicio, necessari per la produzione dei wafer (la base di silicio su cui vengono costruiti i microchip) e per l’isolamento dei chip, il niobio, utilizzato nei cavi superconduttori, il germanio, necessario per i cavi in fibra ottica utilizzati per la trasmissione di dati ad alta velocità, cruciale per l’AI, e ancora gallio, tungsteno, neodimio, ittrio, tutti componenti essenziali per l’industria dei microchip.    Per via delle loro applicazioni nell’industria high tech, molti di questi materiali ed elementi sono stati identificati come strategici sia dall’Unione Europea che dagli Stati Uniti e sono per questo oggetto di accordi e trattati bilaterali con i paesi produttori.  Nonostante la presenza di alcune riserve di terre rare in entrambe le regioni, il fabbisogno risulta infatti di gran lunga superiore alla capacità produttiva domestica, obbligando di fatto sia Washington che Bruxelles a importare le materie dall’estero, prima di tutto dalla Cina e in secondo luogo, per quanto riguarda l’Unione Europea, dalla Russia.  Per questo motivo, Dewardric L. McNeal, direttore e analista politico della società di consulenza Longview Global, ha affermato alla CNBC che “gli Stati Uniti devono ora trattare le materie prime critiche non come semplici merci, ma come strumenti di potere geopolitico. Come la Cina già fa”. IL POTERE DEL DRAGONE ASIATICO E LE RISPOSTE USA Dopo settimane di tensioni e accuse reciproche per i dazi imposti dall’amministrazione Trump, il governo di Pechino ha deciso di rallentare l’export di terre rare tra aprile e maggio, come già fatto in precedenza sia nel 2023 che nel 2024, quando alla scrivania dello studio ovale sedeva ancora Joe Biden e il tema caldo di discussione era l’isola di Taiwan. Per farsi un’idea della portata di questa mossa, basti pensare che, come stimato dal Servizio Geologico degli Stati Uniti (USGS), se la Cina imponesse un divieto totale sulle esportazioni dei soli gallio e germanio, minerali utilizzati in alcuni semiconduttori e in altre produzioni high tech, il PIL statunitense potrebbe diminuire di 3,4 miliardi di dollari. Anche per questo, il tono di Washington da inizio giugno è diventato più conciliante e il rapporto tra le due potenze si è andato normalizzando, fino ad arrivare il 28 giugno al raggiungimento di un accordo tra i due paesi. Nonostante i dettagli siano ancora scarsi, il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent, ha dichiarato che la Cina ha accettato di facilitare l’acquisizione da parte delle aziende americane di magneti, terre rare cinesi e altri materiali fondamentali per l’industria tecnologica.  Quella che Trump ha festeggiato come una sua grande vittoria diplomatica, ha però reso ancor più evidente come le catene di approvvigionamento dei minerali critici siano molto concentrate, fragili e soprattutto troppo esposte all’influenza e al controllo di Pechino. Come abbiamo visto, la Cina è il paese in cui si trovano le maggiori riserve mondiali di terre rare, ma non è solo questo elemento a spostare l’ago della bilancia geopolitica a favore del dragone asiatico. L’influenza della Cina abbraccia infatti anche i paesi “amici”, come la Mongolia e il Myanmar, secondo produttore mondiale di terre rare pesanti (più scarse e più difficili da separare), le cui principali operazioni minerarie sono significativamente partecipate da Pechino, estendendo ulteriormente il controllo effettivo della potenza asiatica. La posizione dominante della Cina è determinata anche dal fatto di possedere il monopolio di fatto della raffinazione, cioè la complessa operazione metallurgica per trasformare la materia prima grezza in materiali utilizzabili. Un processo non solo complesso, ma altamente inquinante e di conseguenza quasi impossibile da eseguire in Europa o negli Stati Uniti, a causa dei più elevati standard di compliance ambientale che ne farebbero schizzare il costo alle stelle.  Il processo di raffinazione richiede infatti un uso estensivo di sostanze chimiche, in particolare acidi forti (come l’acido solforico, nitrico o cloridrico) per separare le terre rare dai minerali a cui sono legate, creando delle scorie tossiche molto difficili da smaltire, se si seguono, appunto, standard elevati di tutela ambientale. Un esempio del devastante impatto ambientale di questo processo è particolarmente visibile nella città di Baotou, nella vasta area industriale della regione cinese della Mongolia Interna, dove il panorama è dominato da un lago artificiale del diametro di circa 9 chilometri, composto interamente da fanghi neri e sostanze chimiche tossiche, risultato degli sversamenti di rifiuti di scarto derivanti dall’estrazione e raffinazione delle terre rare. L’Occidente, in pratica, ha scelto di esternalizzare le negatività ambientali derivanti dall’estrazione di terre rare in Cina e questa, da parte sua, ha accettato di buon grado, dando priorità al potere economico e geopolitico che ne deriva rispetto alla salute dei suoi cittadini e alla tutela del proprio ambiente naturale. La dipendenza delle catene di approvvigionamento occidentali diventa ancor più evidente se si prende come esempio la miniera di Mountain Pass in California, una delle maggiori operazioni statunitensi nel settore delle terre rare. Nonostante produca circa il 15% degli ossidi di terre rare a livello globale, si trova a dover inviare l’intera produzione in Cina per le fasi di separazione e raffinazione.  Per questo motivo, il Pentagono nel 2020 ha assegnato 9,6 milioni di dollari alla società MP Materials per la realizzazione di un impianto di separazione di terre rare leggere a Mountain Pass. Nel 2022, sono stati investiti ulteriori 35 milioni di dollari per un impianto di trattamento di terre rare pesanti. Questi impianti, spiega il Center for Strategic and International Studies, sarebbero i primi del loro genere negli Stati Uniti, integrando completamente la catena di approvvigionamento delle terre rare, dall’estrazione, separazione e lisciviazione (un processo chimico che serve a sciogliere selettivamente i metalli desiderati dal minerale) a Mountain Pass, fino alla raffinazione e produzione di magneti a Fort Worth, in Texas. Tuttavia, anche quando saranno pienamente operativi, questi impianti saranno in grado di produrre solo mille tonnellate di magneti al neodimio-ferro-boro entro la fine del 2025 — meno dell’1% delle 138mila tonnellate prodotte dalla Cina nel 2018. Non sorprende, dunque, che gli Stati Uniti, come vedremo, stiano cercando strade alternative in grado di diversificare maggiormente la propria catena di approvvigionamento di questi materiali. Ne è un esempio l’accordo fortemente voluto dall’amministrazione USA con l’Ucraina che, dopo un tira e molla di diverse settimane, culminato con la furiosa lite di fine febbraio nello studio ovale tra Donald Trump e JD Vance da una parte e Volodymyr Zelensky dall’altra, ha infine visto la luce a inizio maggio. L’accordo, in estrema sintesi, stabilisce che l’assistenza militare americana sarà considerata parte di un fondo di investimento congiunto dei due paesi per l’estrazione di risorse naturali in Ucraina. Gli Stati Uniti si assicurano inoltre il diritto di prelazione sull’estrazione mineraria pur lasciando a Kiev l’ultima parola sulle materie da estrarre e l’identificazione dei siti minerari. L’accordo stabilisce infine che la proprietà del sottosuolo rimarrà all’Ucraina, cosa non scontata date le precedenti richieste da parte di Washington in tal senso. Quello con l’Ucraina è solo uno dei tanti tavoli di trattativa aperti dalle diverse amministrazioni statunitensi con paesi ricchi di materie critiche: dall’Australia al vicino Canada, passando per il Cile, ricchissimo di litio, e poi ancora il Brasile, dove si estrae il 90% del niobio utilizzato per la produzione di condensatori, superconduttori e altri componenti ad alta tecnologia, e il Vietnam, con cui l’allora presidente Joe Biden ha siglato un accordo di collaborazione nel settembre 2023. È evidente come gli Stati Uniti, da diversi anni, stiano mettendo in campo tutte le risorse economiche e diplomatiche a disposizione per potersi assicurare il necessario approvvigionamento di materie critiche e terre rare, senza le quali la Silicon Valley chiuderebbe i battenti in pochi giorni. LA GLOBAL GATEWAY EUROPEA In Europa la situazione è anche peggiore rispetto agli Stati Uniti. Non solo l’Unione Europea importa oltre il 98% delle terre rare raffinate, con la Cina ovviamente nel ruolo di principale fornitore, ma è anche sprovvista di giacimenti importanti. Uno dei pochi siti promettenti è stato individuato nel 2023 a Kiruna, nella Lapponia svedese, e secondo l’azienda mineraria di stato svedese LKAB potrebbe arrivare a soddisfare, una volta a pieno regime, fino al 18% del fabbisogno europeo di terre rare.  C’è però un enorme problema, oltre a quello già descritto dell’impatto ambientale: è difficile pensare che possa entrare in produzione prima di almeno una decina di anni. Troppi, considerato che le battaglie per la supremazia tecnologica e per la transizione energetica si stanno combattendo ora. Un discorso a parte merita la Groenlandia, territorio autonomo posto sotto la Corona danese, ricchissima di materie prime critiche, terre rare e anche uranio, ma dove le leggi attuali sono molto restrittive in termini di estrazione e che, per di più, è entrata nel mirino dell’amministrazione Trump, diventando oggetto di forti frizioni politiche.  L’interesse dell’Unione Europea nei confronti della grande isola artica è sancito dall’accordo firmato nel novembre del 2023 tra le due parti, che dà il via a un nuovo partenariato strategico tra i due soggetti, il cui cuore pulsante è rappresentato dallo sfruttamento congiunto delle materie prime. Anche in questo caso, però, come per il giacimento di Kiruna, si tratta di un progetto a lungo termine che difficilmente potrà vedere la luce e dare risultati concreti in tempi brevi. L’Unione Europea ha quindi deciso di muoversi sulla scia degli Stati Uniti e della “Nuova Via della Seta” cinese, cercando di chiudere accordi bilaterali di investimento e scambio commerciale con diversi paesi ricchi di materie prime critiche. La strategia “Global Gateway” lanciata nel 2021 rappresenta uno dei più grandi piani geopolitici e di investimento dell’Unione, che ha messo sul tavolo oltre 300 miliardi di euro fino al 2027, con l’obiettivo dichiarato, tra gli altri, di diversificare le fonti di approvvigionamento delle materie critiche. La Global Gateway, a cui si è aggiunto nel 2023 il Critical Raw Material Act, che pone obiettivi specifici di approvvigionamento al 2030, ha portato a diversi accordi fondamentali per la sopravvivenza dei piani di transizione digitale ed energetica del continente: Argentina, Cile e Brasile in America Latina; Kazakistan, Indonesia e Mongolia in Asia; Namibia, Zambia, Uganda e Rwanda in Africa sono alcuni dei paesi con cui la Commissione Europea ha già siglato delle partnership strategiche o ha intavolato delle discussioni di alto livello per agevolare degli investimenti comuni nell’estrazione di terre rare, proprio come fatto dagli Stati Uniti con l’Ucraina.   Considerata la volontà dell’Unione Europea di competere nel settore dell’intelligenza artificiale, quantomeno per ciò che riguarda l’espansione dei data center sul territorio, una robusta e diversificata rete di approvvigionamento delle materie prime critiche è fondamentale. Come si legge infatti sul sito della Commissione Europea, “nel corso del 2025, la Commissione proporrà il Cloud and AI Development Act, con l’obiettivo almeno di triplicare la capacità dei data center europei nei prossimi 5-7 anni e di soddisfare appieno il fabbisogno delle imprese e delle pubbliche amministrazioni europee entro il 2035. La legge semplificherà l’implementazione dei data center, individuando siti idonei e snellendo le procedure autorizzative per i progetti che rispettano criteri di sostenibilità e innovazione. Allo stesso tempo, affronterà la crescente domanda energetica promuovendo l’efficienza energetica, l’adozione di tecnologie innovative per il raffreddamento e la gestione dell’energia, e l’integrazione dei data center all’interno del sistema energetico più ampio”. Il piano non solo è ambizioso in termini di obiettivi, ma tiene strettamente legate le due facce della strategia generale europea, ovvero lo sviluppo tecnologico e la transizione verde entro il quale deve essere inquadrato. Impossibile pensare di fare l’uno o l’altra, tantomeno entrambi, senza le materie prime necessarie.  AFRICA, VECCHIA E NUOVA TERRA DI CONQUISTA In questo quadro geopolitico già di per sé complesso, un discorso a parte meritano i paesi del Sud Globale e in particolare quelli africani, che come si è visto sono quelli in cui si trovano le maggiori riserve di materie prime critiche e terre rare.   Il timore, come già raccontato nel reportage dall’AI Summit di Parigi, è che ancora una volta si vada a configurare un modello di estrattivismo colonialista, in cui i paesi più ricchi, dove avviene la produzione di tecnologia, si arricchiranno ancor di più, mentre i paesi più poveri, da dove vengono prelevate le materie prime, subiranno i devastanti impatti sociali e ambientali di queste politiche. Il rapporto “Rare Earth Elements in Africa: Implications for U.S. National and Economic Security”, pubblicato nel 2022 dal Institute for Defense Analyses, una società senza scopo di lucro statunitense, è molto esplicito nel prevedere un aumento dell’influenza del continente africano nel settore e le problematiche che ciò può comportare. “Man mano che le potenze globali si rivolgono ai mercati africani per rafforzare la propria influenza”, si legge nell’executive summary del rapporto, “è probabile che l’estrazione delle terre rare nel continente aumenti. In Africa si contano quasi 100 giacimenti di terre rare, distribuiti in circa la metà dei paesi del continente. Cinque paesi — Mozambico, Angola, Sudafrica, Namibia e Malawi — ospitano da soli la metà di tutti i siti di giacimento di terre rare in Africa. Attualmente, otto paesi africani registrano attività estrattiva di REE, ma a gennaio 2022 solo il Burundi disponeva di una miniera operativa in grado di produrre a livello commerciale. Tuttavia, altri paesi potrebbero raggiungere presto capacità produttive simili”. La parte che più interessa in questo frangente è però il punto in cui i ricercatori sottolineano come “la gestione delle risorse naturali in Africa e gli indicatori di buona governance devono migliorare, se si vuole garantire che i minerali di valore non portino benefici solo alle imprese americane, ma anche ai cittadini africani”. Considerando che la “Academy of international humanitarian law and human rights” dell’Università di Ginevra ha mappato 35 conflitti armati attualmente in corso nell’Africa subsahariana, di cui molti hanno proprio come causa il possesso delle risorse minerarie, sembra difficile prevedere che questa volta la storia prenda una strada diversa da quella già percorsa in passato. ROTTE ALTERNATIVE In virtù delle complessità descritte per l’approvvigionamento delle terre rare e, più in generale, delle materie prime critiche, alcune società stanno sperimentando delle vie alternative per produrle o sostituirle. La società britannica Materials Nexus, per esempio, ha dichiarato a inizio giugno di essere riuscita a sviluppare, grazie alla propria piattaforma di AI, una formula per produrre magneti permanenti senza l’utilizzo di terre rare. La notizia, ripresa dalle maggiori testate online dedicate agli investimenti nel settore minerario, ha subito destato grande interesse, non solo perché aprirebbe una strada completamente nuova per i settori tecnologico ed energetico, ma perché sarebbe uno dei primi casi in cui è l’intelligenza artificiale stessa a trovare una soluzione alternativa per il suo stesso sviluppo. Secondo Marta Abbà, se anche la notizia data da Material Nexus dovesse essere confermata, ci vorrebbero comunque anni prima di arrivare alla messa in pratica di questa formula alternativa. Sempre che – cosa per nulla scontata – la soluzione non solo funzioni davvero, ma si dimostri anche sostenibile a livello economico e a livello ambientale. È più realistico immaginare lo sviluppo di un’industria tecnologicamente avanzata in grado di riciclare dai rifiuti sia le terre rare che gli altri materiali critici, sostiene Abbà. Prodotti e dispositivi dismessi a elevato contenuto tecnologico possono in tal senso diventare delle vere risorse, tanto che l’Unione Europea ha finanziato 47 progetti sperimentali in questa direzione. Tra questi, c’è anche un promettente progetto italiano: Inspiree, presso il sito industriale di Itelyum Regeneration a Ceccano, in provincia di Frosinone. È il primo impianto in Europa per la produzione di ossidi e carbonati di terre rare (neodimio, praseodimio e disprosio) da riciclo chimico di magneti permanenti esausti. L’impianto di smontaggio, si legge nel comunicato di lancio del progetto, potrà trattare mille tonnellate all’anno di rotori elettrici, mentre l’impianto idrometallurgico a regime potrà trattare duemila tonnellate all’anno di magneti permanenti ottenuti da diverse fonti, tra cui anche hard disk e motori elettrici, con il conseguente recupero di circa cinquecento tonnellate all’anno di ossalati di terre rare, una quantità sufficiente al funzionamento di un milione di hard disk e laptop, e di dieci milioni di magneti permanenti per applicazioni varie nell’automotive elettrico. Nonostante questi progetti, l’obiettivo europeo di coprire entro il 2030 il 25% della domanda di materie prime critiche, tra cui le terre rare, grazie al riciclo, appare ancora molto distante, considerando che a oggi siamo appena all’1%. La strada dell’economia circolare è sicuramente incerta, lunga e tortuosa, ma allo stesso tempo più sostenibile di quella estrattivista e in grado di garantire una strategia di lungo periodo per il continente europeo. L'articolo Chi controlla le terre rare controlla il mondo proviene da Guerre di Rete.
“Io, due volte dottore in scienze, sono stato ingannato come un bambino”. Intervista al Professor Farkhad Abdullayev
di Pavel Volkov – Ukraina.ru Dopo oltre 3 anni di carcere, il principale specialista ucraino in malattie infettive, due volte dottore in scienze, il professor Farkhad Abdullayev, è stato trasferito agli arresti domiciliari. Era accusato di aver trasmesso alla Federazione Russa dati sui militari ucraini ricoverati negli ospedali, ma si è scoperto che si trattava di un gioco tra due diversi dipartimenti dell’SBU. Nell’ambito di un importante scambio di prigionieri, la Russia ha fatto uscire dalle prigioni ucraine 100 civili, accusati da Kiev di vari crimini contro la sicurezza nazionale a favore della Russia. Il giorno prima, rappresentanti dei servizi segreti ucraini avevano offerto a centinaia di prigionieri politici di firmare una confessione di colpevolezza o di rinunciare all’appello per essere inclusi nello scambio, sebbene la legislazione ucraina non lo richieda. Molti, quindi, sono stati ingannati, hanno firmato un’autoincriminazione e sono rimasti in carcere. Alcuni sono stati ingannati anche prima. Uno di questi prigionieri è Farhad Abdullaev, medico e biologo, un medico onorato in Ucraina, specialista in malattie infettive pediatriche e degli adulti, epidemiologia e microbiologia. Fino al 2014 ha insegnato presso l’Accademia Medica Georgievsky in Crimea, per poi decidere di continuare a lavorare a Kiev, presso l’Università Medica Nazionale di Bogomolets e l’Istituto di Ricerca di Epidemiologia e Malattie Infettive dell’Accademia Nazionale di Scienze Mediche dell’Ucraina. Alla fine di maggio 2022, il professor Abdullaev è stato arrestato dall’SBU. I media ucraini hanno riferito che si era recato a Kiev per raccogliere informazioni sui militari delle Forze Armate ucraine per conto dell’FSB e per reclutare scienziati ucraini e stranieri che lavorano nel campo dell’epidemiologia militare, della virologia e delle malattie infettive. Secondo l’ufficio stampa dell’SBU e i media ucraini, avrebbe dovuto ricevere l’incarico di Vice Ministro della Salute della Crimea per il suo lavoro di intelligence. Il 12 gennaio 2023, il Tribunale distrettuale Solomensky di Kiev ha dichiarato il professor Abdullaev colpevole ai sensi della Parte 2 dell’Articolo 111 del Codice Penale ucraino (alto tradimento commesso sotto la legge marziale) e lo ha condannato a 15 anni di carcere con confisca di tutti i beni. Solo pochi giorni fa, Farhad Abdullaev, che ha trascorso più di 3 anni nel centro di detenzione preventiva Lukyanovsky a Kiev, è stato rilasciato agli arresti domiciliari e abbiamo potuto conoscere la posizione della parte lesa, cosa rara al giorno d’oggi. — Professor Abdullaev, di cosa è stato realmente accusato? — Fino a poco tempo fa, non avevo nemmeno familiarità con i materiali del procedimento penale. Chiesi di poter leggere questi 5-6 volumi. E quando finalmente me li hanno consegnati, sono rimasto inorridito. L’investigatore incaricato dei casi di particolare importanza del dipartimento investigativo principale dell’SBU dell’Ucraina, il colonnello Viktor M., aveva arrestato il mio studente in modo osceno e sfacciato. A quanto pare, il 5 maggio 2022 lo studente ha scritto una dichiarazione in cui affermava di aver ricevuto da me istruzioni di raccogliere i risultati dei test biochimici, clinici e immunologici sui soldati delle Forze Armate ucraine. Poi, come scritto nei documenti del caso, l’SBU ha deciso di giocare una provocazione e verificare se facessi davvero parte della rete di agenti dell’FSB. Il colonnello era sicuro che fossi un agente russo per aver vissuto a Mosca per 11 mesi, per essere della Crimea, perché mia madre e mia moglie sono in Crimea, e per avere un passaporto russo, ricevuto nel 1993 quando mi sono laureato alla Prima Università Statale di Medicina di Mosca intitolata a I.M. Sechenov. Mi sono laureato all’Università di Medicina di Mosca nel 1993. Durante gli studi, sono stato iscritto a un dormitorio di Mosca, ho ricevuto il grado di tenente del servizio medico e ho completato la specializzazione clinica e gli studi post-laurea a Mosca. È un reato? Immaginate, un colonnello certifica una copia del mio diploma di dottore in medicina, conseguito a Mosca. Certifica anche il mio documento del Rosobrnadzor del 2014, attestante che ho superato un controllo speciale relativo al diploma. È anche un reato? Quando è avvenuto il cambio di potere in Crimea, tutti i dirigenti, anche quelli intermedi, del sistema sanitario sono stati sottoposti a questa procedura. — Parleremo più in dettaglio dello studente e della raccolta dei risultati dei test. — Allego ai materiali del caso la trascrizione della mia conversazione con uno studente che lavorava presso l’Ospedale Clinico Militare Principale del Ministero della Difesa ucraino, in cui gli dico che dobbiamo fare ricerca, scrivere articoli scientifici – ora c’è un’opportunità unica per farlo, dato il numero colossale di soldati feriti. Non ci interessano affatto i dati personali dei soldati, dobbiamo prendere i risultati degli esami del sangue clinici e biochimici, analizzarli per capire come reagiscono le cellule immunitarie, come reagisce il sangue, cosa succede con lo scambio gassoso nel sangue, cosa succede all’organismo durante il rilascio di adrenalina in vari tipi di lesioni e patologie. Ho detto allo studente di scrivere il nome del paziente, la diagnosi clinica, il tipo di anestesia a cui era stato sottoposto, gli esami eseguiti prima e dopo l’anestesia, come era cambiata la biochimica, il coagulogramma, gli effetti collaterali, se si trattava di una sindrome post-traumatica o di una contusione. Soprattutto in caso di ipertermia complicata, ad esempio, da polmonite ospedaliera, quando la temperatura corporea dei soldati aumenta, vengono rilasciate proteine da shock termico e si verifica il ripiegamento proteico. Inoltre, tutti gli interventi chirurgici sono addominali. Avremmo raccolto un’ottima base per un potente articolo scientifico sulla chirurgia militare sul campo. Ho suggerito allo studente di realizzare insieme un intero ciclo di articoli così utili, perché nessuno lo fa più. E così, sulla base di questa conversazione con lo studente, sono stato trattenuto in un centro di detenzione preventiva per il terzo anno. E non ho detto nulla in merito alla raccolta di dati personali dei soldati, alla raccolta di informazioni sull’unità militare: questo non è affatto necessario per la ricerca. Questo è il dialogo più comune tra un professore e uno studente che si scambia raccomandazioni per la scrittura di un articolo scientifico. Quali prove ha allora l’accusa? Non c’è alcuna conferma che io abbia presumibilmente trasmesso alla Russia informazioni su 232 soldati delle Forze Armate ucraine che ho consultato. Chi ne ha bisogno? Perché la Russia ha bisogno di queste informazioni? Come specialista in malattie infettive, ho consultato pazienti con patologie gravi con infezioni batteriche e batteriologiche secondarie. Non ho nemmeno chiesto i loro nomi. I documenti del caso contengono una risposta del primario delle Forze Armate ucraine all’inchiesta, in cui afferma che tutte le informazioni contenute nelle cartelle cliniche, in cui sono presenti dati personali dei pazienti, sono riservate e che non ho avuto accesso a tali documenti. Come mai? Se vi è stato detto che non ho ricevuto tali informazioni, perché mi state giudicando? Non vi vergognate? Beh, dovresti almeno leggere cosa ti ha scritto il capo del Dipartimento Medico Principale delle Forze Armate ucraine. A quanto pare hai semplicemente inventato un’accusa contro di me: il capo del servizio malattie infettive ucraino, il capo della commissione dell’Università Medica Statale della Crimea intitolata a Georgievsky, con un cognome famoso. Come fa l’accusa a dimostrare che avete trasferito dati in Russia? Dopotutto, questo è fondamentale. Anche se qualcosa è stato raccolto ma non trasferito, non sussiste alcun reato. Non c’è nessun trasferimento, non lo stanno dimostrando e non intendono nemmeno farlo. Per dimostrarlo, dovrebbero cogliermi con le mani nel sacco, registrare una chiamata o una corrispondenza. Ma non è così. Nel 2022, su invito dell’accademico Tumansky e del chirurgo Alexander Grib, ho trascorso tre mesi accogliendo rifugiati provenienti dalle regioni di Kherson, Zaporizhia e Kharkiv presso la clinica San Luca del metropolita Longin a Bancheny, nella regione di Černivci. Lì, ho iniziato a ricevere messaggi su WhatsApp e Telegram da un numero sconosciuto, da un uomo che si presentava come Nikolai, della Direzione dell’FSB per la Repubblica di Crimea e la città di Sebastopoli. Mi scriveva che se non lo avessi contattato, avrebbe perseguitato mia madre, mia moglie e mio figlio, che vivono in Crimea. Ho immediatamente contattato un agente dell’SBU, il signor P., in merito a questi messaggi. La notizia è stata registrata. Tuttavia, non ho ancora avuto un singolo confronto con P., che potrebbe confermare che non ho trasmesso nulla a nessuno. Quindi, dopo aver contattato l’SBU, hai avviato una corrispondenza con una persona che si è presentata come Nikolai? Sì, ma tutta la corrispondenza era autorizzata da P e controllata dall’SBU. E Nikolai non era affatto interessato ai dati sul personale militare. Gli interessava che tornassi in Crimea, nella Federazione Russa, e che lavorassi lì. Quindi, risulta che non ti ha chiesto di raccogliere alcuna informazione? No, non gli interessava affatto. Era interessato alle mie conoscenze e competenze professionali in epidemiologia, virologia, malattie infettive. Mi ha fatto domande di consulenza sul colera, in particolare sulle infezioni pericolose, e così via. E ora la procura mi guarda negli occhi e mi dice che sono in un centro di detenzione preventiva a causa di una discrepanza nel lavoro del controspionaggio ucraino e della Direzione Investigativa Principale. Bravo! Non ho trasmesso alcuna informazione, mi sono rivolto personalmente all’SBU per chiedere aiuto, e mi hanno rinchiuso, mi hanno nominato agente dell’FSB e mi hanno tenuto in custodia per più di tre anni. E, soprattutto, non hanno convocato in tribunale l’agente P dell’SBU, che potrebbe confermare le mie parole. Quindi è stata una provocazione? Ho capito bene che hai ammesso di sperare in uno scambio? Sì, mi è stato detto che se avessi confessato pubblicamente di aver commesso un crimine in questo caso inventato, sarei stato scambiato con Nariman Dzhelal. È il vice capo del Mejlis. Nel settembre 2022, è stato condannato in Crimea a 17 anni di carcere per aver fatto saltare in aria un gasdotto. Hanno deciso di scambiare un tataro di Crimea con un tataro di Crimea. Ho anche chiesto al mio avvocato, Andriy Varenik (che si è rivelato essere un ex dipendente dell’SBU), se potevamo fidarci di loro. Ha detto di sì, ma qui, in tribunale, non avremmo comunque ottenuto la verità, quindi avremmo dovuto firmare. Così loro, insieme a un dipendente della Procura Generale, mi hanno semplicemente ingannato, un due volte dottore in scienze, professore, un onorato medico ucraino, come un bambino: in due ore mi hanno consegnato il verdetto e sono passato dall’essere da un imputato a un condannato. E non c’è stato nessuno scambio. Dzhelal fu scambiato molto più tardi, nell’estate del 2024, e poi Zelensky lo nominò ambasciatore ucraino in Turchia. Io rimasi in prigione. In conversazioni private, ho sentito dire che non volevano né scambiarmi né condannarmi. Ma su internet sono comparsi articoli osceni. Ho chiesto al procuratore come fossero finite quelle informazioni su internet. E ha risposto che si trattava di una fuga di notizie dell’SBU. Ma l’appello ha comunque ribaltato il verdetto. È successo il 20 luglio 2023. La Corte d’Appello di Kiev ha annullato la sentenza del Tribunale Solomensky, che in due ore, in forma semplificata, mi ha condannato a 15 anni di carcere. Ho dichiarato in tribunale di non aver mai fatto del male a nessuno, soprattutto al popolo ucraino. Non mi considero colpevole di nulla. Al contrario, ho fornito tutta l’assistenza possibile ai rifugiati e ai bambini ucraini. La mia unica colpa è di aver ricevuto pazienti alla Clinica San Luca dalla mattina alla sera. E quello era un periodo in cui molte persone avevano vari virus respiratori acuti, l’influenza stava progredendo. Sarò grato per tutta la vita al Metropolita Longin e ai monaci che mi hanno dato da mangiare borscht vegetariano mentre ricevevo pazienti dalle regioni orientali e meridionali dell’Ucraina. Non ho preso soldi, sono stato pagato per il mio lavoro con formaggio, ricotta e burro, ed ero felice. E quando sono tornato a Kiev, sono stato arrestato dai Servizi di Sicurezza ucraini per tradimento. E non hanno esitato a calunniarmi e a svergognarmi online. Ora stiamo ascoltando le istanze dello stesso pubblico ministero in tribunale per prorogare la misura cautelare di altri 60 giorni e il caso non può andare avanti. Non ci sono udienze su altre questioni. È un bene che siamo riusciti a ottenere gli arresti domiciliari. Ora almeno posso parlare. E gli altri prigionieri politici che non hanno voce? Li avrai sicuramente incontrati o ne avrai sentito parlare? Due anni fa, abbiamo creato la Società Askold dei prigionieri politici presso il Centro di detenzione preventiva di Lukyanivske per aiutare i cittadini ucraini condannati per reati politici. Siamo: il secondo segretario del Comitato cittadino di Kiev del Partito Comunista Ucraino, Oleksandr Oleynikov; il diplomatico ed ex rappresentante permanente dell’Ucraina presso la CSI, Vitaliy Gordyna; un alto funzionario di Donetsk, arrestato con l’accusa di voler eliminare Budanov, Viktor Kogut; l’ex capo specialista del Dipartimento di Sicurezza, Difesa e Attività degli Organi di Giustizia della Segreteria del Consiglio dei Ministri ucraino, Anatoly Bai (scambiato nell’estate del 2024) e io, che ero a capo del servizio malattie infettive dell’Ucraina. Le persone nei centri di detenzione preventiva hanno molti problemi di salute, sono moralmente depresse, i giovani spesso non si rendono nemmeno conto di dove si trovano ed è estremamente difficile sopravvivere. Pertanto, è necessario un aiuto, ovviamente. Quindi ero responsabile della medicina in questa comunità. E non puoi nemmeno immaginare quanti dei miei colleghi medici sono in prigione! Il dottore in scienze, ex rettore dell’Università Medica Nazionale di Donetsk, Petro Kondratenko. È stato perseguitato, aggredito, sua moglie è stata minacciata e infine arrestata. L’accademico Vasily Pikalyuk, che ha diretto un dipartimento dell’Università Medica Statale di Crimea intitolato a S. I. Georgievsky e ha insegnato alla Sorbona, a Praga, Cracovia, Mosca e San Pietroburgo, è stato accusato di tradimento. Lo specialista in endocrinologia, il professor Viktor Shpak, è stato accusato di tradimento. Il biologo, il professor Lozinsky, è stato accusato di tradimento. Il capo del Dipartimento di Igiene e Sicurezza Alimentare dell’Accademia delle Scienze Mediche dell’Ucraina, Ignat Matasar, è stato accusato di tradimento. Ai sensi dell’articolo 111, sono stati arrestati: gli oncologi Natalia Kramarenko, Irina Vilshanskaya e Tamara Chernykh con il marito, la specialista in malattie infettive pediatriche Natalia Dzyuba, i medici di Cherson, Petrakovsky e Lyutinsky, il ginecologo Lifshits, il pediatra Safonov e molti altri. Inoltre, medici indesiderati sono accusati di interferire con le attività delle Forze Armate ucraine e del TCC (Centro Territoriale di Reclutamento) rilasciando lo status di invalidità a persone. E all’SBU non importa che molte persone siano realmente malate, annullano le decisioni dei medici. O la storia di Tetyana Krupa della Commissione per le Perizie Mediche e Sociali di Khmelnytsky, che ha rilasciato lo status di invalidità a dipendenti della Procura. È chiaro che anche i procuratori siano stati coinvolti, ma lei è l’unica colpevole. Lo stesso vale per i responsabili delle Commissioni per le Perizie Mediche e Sociali delle regioni di Vinnytsia, Transcarpazia e Zhytomyr. In base a questi articoli, 13 medici primari sono stati perseguiti penalmente. I medici non sono gli unici in carcere. Il capo dell’ordine degli avvocati della regione di Dnipropetrovsk, Oleksandr Samarts, è stato arrestato per aver presumibilmente puntato missili contro uno stabilimento di produzione di droni a Dnipro; l’ex proprietario dell’azienda ingegneristica NICMAS, Gigorii Dashutin, e alcuni suoi colleghi sono stati arrestati per aver collaborato con il complesso militare-industriale russo; e l’ex vice capo del Ministero degli Interni ucraino nella Repubblica Autonoma di Crimea, Nikolai Fedoryan, è stato arrestato per presunta partecipazione alla persecuzione dei tatari di Crimea. La lista potrebbe continuare all’infinito.   Traduzione a cura di Clara Statello Clara Statello
Sanzioni, crisi energetica, riarmo: dove ci sta portando l’UE
L’Unione Europea dopo aver approvato il 17° pacchetto di sanzioni alla Russia, sta approntando il 18° nonostante i pesanti effetti sulla propria economia creati dai precedenti e il caro petrolio causato dall’attacco israeliano e Usa all’Iran. Le politiche di riarmo … Leggi tutto L'articolo Sanzioni, crisi energetica, riarmo: dove ci sta portando l’UE sembra essere il primo su La Città invisibile | perUnaltracittà | Firenze.
Un appello a Russia e Ucraina per il rilascio dei prigionieri di coscienza
L’Ufficio Europeo per l’Obiezione di Coscienza (EBCO) ha pubblicato un rapporto annuale che chiede il rilascio di tutti i prigionieri di coscienza in Ucraina, compresi quelli detenuti nei territori occupati dalla Russia e coloro che hanno subito abusi a causa della pesante mobilitazione militare ai fini della guerra difensiva ucraina contro l’aggressione russa. Il rapporto elenca 15 nomi di obiettori di coscienza che devono essere immediatamente rilasciati dall’Ucraina, compresi quelli imprigionati dopo essere stati condannati e detenuti in custodia cautelare ai sensi degli articoli 336 (elusione della leva) e 402 (disobbedienza) del Codice penale ucraino, e quelli detenuti nelle unità militari; si sottolinea che il numero completo di obiettori detenuti sembra essere significativamente più alto e ammonta almeno a qualche centinaio. Il rapporto menziona anche che i Testimoni di Geova riferiscono di 7 prigionieri di coscienza detenuti dall’Ucraina e che tra i 183 Testimoni di Geova detenuti dalla Russia per le loro convinzioni, compresa l’obiezione di coscienza, 14 sono detenuti in Crimea. I difensori dei diritti umani chiedono anche di proteggere il diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare in tempo di guerra e di permettere agli obiettori di servire la società in modo pacifico. L’obiezione di coscienza al servizio militare è un diritto umano fondamentale che deve essere protetto, ricorda l’EBCO. È inerente al diritto umano alla libertà di pensiero, coscienza e religione, sancito dall’articolo 18 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR), dall’articolo 10 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e da altri trattati sui diritti umani. Il Rapporto annuale 2024 dell’EBCO sull’obiezione di coscienza al servizio militare in Europa viene pubblicato in un momento di crescente militarizzazione globale, si legge nel comunicato stampa. Dalla ripresa del servizio di leva in Europa agli impatti devastanti delle guerre in corso, la protezione e il sostegno agli obiettori di coscienza sono più urgenti che mai. Il rapporto di quest’anno documenta le persistenti violazioni dei diritti degli obiettori di coscienza – in particolare in Russia, Ucraina, Bielorussia, Turchia, Cipro e Grecia – e le minacce all’esercizio del diritto all’obiezione di coscienza nel quadro del Consiglio d’Europa. L’EBCO è solidale con tutti i prigionieri di coscienza e con chi si oppone in modo nonviolento alla guerra e alla militarizzazione in tutto il mondo, e rimane attivamente impegnato nella campagna internazionale #ObjectWarCampaign, a sostegno degli obiettori di coscienza russi, bielorussi e ucraini e a favore della loro protezione e del loro asilo nei Paesi dell’UE. L’EBCO chiede alla Federazione Russa di rispettare il diritto all’obiezione di coscienza, di porre fine alla coscrizione e alla propaganda militare, di smilitarizzare l’istruzione nei territori ucraini occupati e di perseguire la completa smilitarizzazione. L’EBCO esorta inoltre l’Ucraina a sostenere questo diritto in tempo di guerra e a cessare la persecuzione degli obiettori e dei loro sostenitori, tra cui il membro del Consiglio dell’EBCO Yurii Sheliazhenko. L’EBCO accoglie con favore la chiara dichiarazione della Commissione di Venezia nel suo parere amicus curiae, relativo al caso di Dmytro Zelinsky, secondo cui nessun obiettore può essere costretto a portare le armi. FREE CIVILIANS ha pubblicato il parere e i quaccheri lo hanno tradotto in ucraino per la Corte Costituzionale dell’Ucraina Obiettori repressi dalla Russia nei territori occupati dell’Ucraina Secondo il rapporto dell’EBCO, War Resisters’ International, in collaborazione con Connection e.V. e il Movimento Pacifista Ucraino ha informato le Nazioni Unite che, in violazione dell’articolo 51 della IV Convenzione di Ginevra, la Russia impone la schedatura e la coscrizione militare obbligatoria, l’indottrinamento militare dei bambini nelle scuole, la propaganda e la pressione ad arruolarsi nei territori occupati illegalmente dall’Ucraina, mediante detenzioni arbitrarie, torture ed esecuzioni. Il rapporto fornisce un link a un database di 875 Testimoni di Geova perseguitati dalla Russia per le loro convinzioni, compresa l’obiezione di coscienza. Secondo questo database, tra il numero totale dei 183 prigionieri di coscienza, 14 sono detenuti in Crimea, uno (Vitaliy Burik) agli arresti domiciliari e altri imprigionati: Aleksandr Dubovenko, Sergey Filatov, Yuriy Gerashchenko, Artem Gerasimov, Viktor Kudinov, Aleksandr Litvinyuk, Vladimir Maladyka, Sergey Parfenovich, Vladimir Sakada, Igor Shmidt, Viktor Stashevskiy, Sergey Zhigalov e Yevgeniy Zhukov. Violazioni sistematiche dei diritti umani in Ucraina Il rapporto dell’EBCO solleva diverse importanti preoccupazioni riguardanti l’Ucraina e fornisce raccomandazioni mirate sui problemi esistenti. Sottolinea che ci sono prigionieri di coscienza come Mykhailo Adamovych, Vladyslav Bezsonov, Taras Bratchenko, Tymur Chyzhov, Serhii Ivanushchenko, Andrii Khomenko, Andrii Kliuka, Vitalii Kryushenko, Serhii Nechayuk, Ihor Nosenko, Oleksandr Radashko, Serhy Semchuk, Andrii Skliar, Oleksandr Solonets, Vasyl Volosheniuk ed è urgente il loro immediato rilascio, così come il rilascio di tutti gli obiettori di coscienza imprigionati in istituti di pena o detenuti in strutture militari, condannati o detenuti in custodia cautelare; è inoltre preoccupante che alcuni obiettori di coscienza siano incriminati per vari reati, quando in realtà queste persecuzioni sono perpetrate unicamente a causa della loro religione o credo. Tra le principali preoccupazioni, l’imposizione alla società dell’ideologia che sia un dovere di tutti combattere una guerra difensiva nell’esercito o sostenere l’esercito, sopprimendo e non tollerando in tal modo il dissenso pacifista, che mina il pluralismo religioso, e convinzioni e il controllo democratico civile. L’EBCO raccomanda di prendere in seria considerazione le proposte degli obiettori di coscienza di contribuire, attraverso azioni nonviolente e un lavoro pacifico, alla resilienza della società civile democratica che soffre a causa degli attacchi dell’esercito russo. L’EBCO è preoccupato per la revoca, durante l’attuale stato bellico, di ogni riconoscimento, e per la precedente mancanza di pieno riconoscimento, del diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare, prima, durante o dopo il servizio militare, indipendentemente dalle convinzioni su cui si basa l’obiezione, o dall’appartenenza a chiese o altre organizzazioni. Si suggerisce di intensificare gli sforzi per introdurre una legislazione sul servizio alternativo non militare in tempo di guerra nel Parlamento e nel gruppo di lavoro interdipartimentale incaricato di redigere gli emendamenti. Le esenzioni selettive dal servizio di leva introdotte di recente per alcuni membri del clero, nel tentativo di tranquillizzare le Chiese, non solo si basano sulla loro classificazione come “lavoratori essenziali” senza riconoscimento dell’obiezione di coscienza, ma mirano apparentemente a creare divisione tra le Chiese, per incentivare il clero ad astenersi dal sostenere la piena protezione del diritto dei fedeli regolari all’obiezione di coscienza. La punizione degli obiettori di coscienza continua attraverso la persecuzione, la discriminazione, la detenzione o addirittura la tortura e i trattamenti inumani, nonché le campagne mediatiche ostili, riferisce l’EBCO. Secondo un dictum della Corte Suprema, l’obiezione di coscienza è trattata come un’elusione della leva punibile per legge. Anche quando l’obiettore può essere considerato un lavoratore essenziale, come nel caso di Valentyn Adamchuk, un Pentecostale che lavora nella metropolitana di Kiev e ha partecipato al ripristino dei trasporti dopo gli attacchi dei droni e dei missili russi, i reclutatori dell’esercito, invece di appoggiare la richiesta di concessione di un periodo come riservista, hanno insistito per la sua mobilitazione, sapendo che è un obiettore di coscienza, e poi con palese mancanza di rispetto per i diritti umani hanno falsamente denunciato alla polizia “l’elusione della leva”, che ha portato a una rapida condanna a 3 anni di carcere. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha documentato il reclutamento forzato di cinque obiettori di coscienza (nel rapporto, si vedano i paragrafi 90 e 91), tutti detenuti dai militari, minacciati con violenza e inviati in prima linea; tutti hanno riferito di aver subito maltrattamenti e torture, quattro di loro sono stati picchiati, soffocati e trascinati per terra. FREE CIVILIANS ha riferito in precedenza che i pacifisti ucraini avevano denunciato torture durante la mobilitazione, citando casi analizzati e pubblicati da Forum 18 e da altre fonti. Le pratiche di coscrizione forzata e di registrazione obbligatoria all’esercito (“busificazione”) continuano, portando a casi di percosse e decessi nei centri di reclutamento militare. A coloro che non hanno la matricola militare viene impedito l’accesso al lavoro, all’istruzione (istituti di istruzione superiore) e ai servizi pubblici (come i servizi consolari all’estero). Questo include anche accuse di negligenza nei confronti dei militari incaricati dei piani di reclutamento, che mettono sotto pressione i reclutatori e incentivano il ricorso a metodi aggressivi. Tra le indagini relative agli abusi terminate nel 2024 con l’incriminazione di alcuni reclutatori militari, vi sono stati pestaggi crudeli a Vinnytsia, detenzioni arbitrarie a Sambir (regione di Leopoli), torture a Ternopil ed estorsione di tangenti ai posti di blocco sotto la minaccia di detenzione arbitraria e mobilitazione nella regione di Odessa. Ulteriori indagini sono state avviate in seguito ad alcuni decessi avvenuti nei centri di reclutamento. I reclutatori dell’esercito continuano a impedire ai coscritti di richiedere assistenza legale e, secondo quanto riferito, esercitano pressioni sui membri dell’ordine degli avvocati in casi delicati. Nel settembre 2024, il Comitato delle Nazioni Unite sulle Sparizioni Forzate ha criticato la detenzione arbitraria da parte dell’Ucraina di militari di leva, compresi gli obiettori di coscienza, alcuni dei quali sono stati tenuti in isolamento, e ha sollecitato un’indagine completa su tutte le accuse, un’azione penale nei confronti dei responsabili e il risarcimento delle vittime. Le denunce di incostituzionalità della legislazione che consente di punire l’obiezione di coscienza, di discriminare gli obiettori e di negare il servizio alternativo in tempo di guerra, presentate dagli ex prigionieri di coscienza Dmytro Zelinsky (rilasciato nel maggio 2025) e Vitalii Alekseienko (rilasciato nel maggio 2023), sono in stallo presso la Corte Costituzionale dell’Ucraina, che attualmente non è in grado di decidere nel merito a causa dei ritardi nella nomina di nuovi giudici. FREE CIVILIANS ha pubblicato un articolo sul ricorso presentato da Alexeienko. I rifugiati ucraini in età di leva stanno oggetto di tentativi volti a costringerli a ritornare in Ucraina o a essere espulsi attraverso il diniego dei servizi consolari per la mancanza di una registrazione militare aggiornata, l’assenza dell’applicazione militare Reserve+ sui loro smartphone o la mancanza di un codice corretto al suo interno, nessuna eccezione per gli obiettori di coscienza. Molti di questi uomini vivono in Europa da decenni e hanno perso completamente i legami con l’Ucraina, compreso il fatto di non avere conti bancari in banche ucraine – eppure l’identificazione bancaria (BankID) è un elemento chiave per l’autorizzazione nell’applicazione Reserve+. Il rifiuto di rilasciare o rinnovare i passaporti internazionali ucraini, necessari per la proroga dei permessi di soggiorno, causa l’impossibilità di rinnovarli, la perdita dello status giuridico e il rischio di deportazione. Le restrizioni sui servizi consolari costituiscono una forma di coercizione, in quanto gli uomini sono costretti a tornare in Ucraina e ad affrontare il rischio di arruolamento forzato, oppure a rimanere all’estero senza documenti personali validi, il che limita fortemente la loro libertà di movimento, il diritto a una residenza e l’accesso alla protezione legale. Ciò potrebbe richiedere agli Stati europei di riconoscere come validi i passaporti ucraini scaduti, poiché, come sostenuto nella petizione degli ucraini al Parlamento Europeo n. 1453/2024, queste restrizioni sul rilascio dei passaporti sono una violazione dei diritti umani. Riferendo di circa 15 prigionieri di coscienza e di altri casi di violazione dei diritti umani ben documentati, la maggior parte dei quali già noti a livello internazionale, l’EBCO avverte che potrebbero essere molto più numerosi i casi di procedimenti giudiziari, detenzioni preliminari, condanne, imprigionamenti, detenzioni arbitrarie e trattamenti crudeli nei confronti degli obiettori di coscienza, come suggeriscono le statistiche dei procedimenti giudiziari e dei tribunali, nonché gli elenchi noti dei nomi di persone che pregano per centinaia di obiettori di coscienza perseguitati nelle chiese ucraine. Il rapporto sottolinea la resistenza popolare spontanea su larga scala alla leva militare in Ucraina, con oltre 6 milioni di uomini idonei che non si sono sottoposti alla registrazione obbligatoria ai fini dell’arruolamento, nonostante le minacce di severe punizioni. Purtroppo, questa riluttanza a combattere la guerra raramente coincide con la consapevolezza del diritto umano all’obiezione di coscienza e con la disponibilità all’azione nonviolenta necessaria per fermare l’aggressione russa e garantire la resistenza della popolazione civile e la democrazia in Ucraina, che potrebbe essere un modo legittimo di servire pacificamente il Paese invece di contribuire allo sforzo bellico. Nei casi riportati dall’EBCO, gli obiettori hanno dimostrato la loro sincerità chiedendo un servizio alternativo non militare e appartenendo a chiese i cui insegnamenti proibiscono l’uso delle armi; il numero di membri di tali chiese e organizzazioni religiose, secondo il gruppo di lavoro interdipartimentale incaricato di redigere la legge sul servizio alternativo in tempo di guerra, potrebbe ammontare a 500.000. Il rapporto dell’EBCO e le sue raccomandazioni generali Ogni anno, l’EBCO pubblica il Rapporto annuale sull’obiezione di coscienza al servizio militare in Europa, avvalendosi dei contributi di governi nazionali, istituzioni per i diritti umani, ONG e reti di solidarietà. Il rapporto viene presentato al Parlamento Europeo, all’Assemblea Parlamentare e al Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa e alle autorità statali competenti, ogni volta accompagnato da una serie di raccomandazioni mirate. Le sue raccomandazioni generali, applicabili a tutti gli Stati europei, sono indicate nel rapporto: 1. se già non è stato fatto, abolire il servizio militare obbligatorio e nel frattempo astenersi dal perseguire o perseguire in altro modo gli obiettori di coscienza, coloro che li sostengono o che sostengono l’obiezione di coscienza, senza che sia richiesta alcuna ulteriore azione da parte di tali persone; oppure -secondo – fornire un servizio alternativo non punitivo e non discriminatorio di natura puramente civile, che non deve essere asservito al sistema militare, ma progettato e gestito con la partecipazione degli obiettori di coscienza; 2. riconoscere per legge il diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare, compreso il diritto all’obiezione di coscienza a tutte le forme di arruolamento, istruzione e addestramento obbligatori ai fini della coscrizione in tempo di pace e in tempo di guerra, e garantire che sia possibile per tutti gli obiettori di coscienza evitare l’arruolamento nelle forze armate e che tutti i membri in servizio delle forze armate o i riservisti possano ottenere il rilascio senza sanzioni nel caso in cui sviluppino obiezioni di coscienza, e che i diritti civili, economici e politici degli obiettori di coscienza siano pienamente tutelati; 3. riconoscere l’obiezione di coscienza come parte vitale del pluralismo e della libertà di religione e di credo nella società democratica, garantire la consapevolezza della legittimità dell’obiezione di coscienza tra i funzionari e nell’opinione pubblica, e garantire la non discriminazione degli obiettori di coscienza, che non dovrebbero essere sottoposti a campagne di incitamento all’odio ed essere considerati colpevoli del reato di elusione del servizio di leva, o di qualsiasi altro reato, e costretti a provare la loro innocenza; 4. cessare immediatamente qualsiasi reclutamento nelle forze armate di persone di età inferiore ai 18 anni e interrompere qualsiasi addestramento di tipo militare di tali persone; 5. accogliere le domande di asilo di tutte le persone che cercano di sottrarsi al servizio militare in qualsiasi Paese in cui non esistono disposizioni adeguate per gli obiettori di coscienza, e in particolare quando rischiano di essere costretti a partecipare a conflitti armati; 6. diminuire le spese militari e aumentare le spese a favore della società, e mettere a disposizione dei cittadini con obiezioni di coscienza strumenti per specificare che nessuna parte delle tasse das loro pagate è destinata alle spese militari; 7. introdurre l’educazione alla pace in tutti i settori del sistema educativo e impedire qualsiasi forma di militarizzazione dei programmi di studi; 8. adottare misure adeguate per gli obiettori di coscienza e impedire azioni violente nei loro preparativi istituzionali e legali per qualsiasi tipo di emergenza e risposta alle minacce percepite per la pace, ricordando che legittimi scrupoli di coscienza potrebbero impedire a un numero significativo di civili di sottomettersi al sistema militare, e che in nessun caso un obiettore di coscienza può essere obbligato a portare o usare armi, anche per la legittima difesa del Paese. Fonte: civilni.media Link all’articolo completo Redazione Italia
Fine dell’Ucraina
-------------------------------------------------------------------------------- Foto di Donne in nero – Bologna -------------------------------------------------------------------------------- La guerra in Ucraina si sta avvicinando alla sua conclusione che, comunque si configuri, non potrà che coincidere con lo sfacelo dell’“ex Repubblica socialista sovietica dell’Ucraina” (prima delle quale uno stato ucraino non era mai esistito ed è bene ricordare che la Crimea che Volodymyr Zelens’kyj non fa che rivendicare fu unita alla Repubblica sovietica ucraina soltanto nel 1954 da Nikita Sergeevič Chruščëv e, secondo il censimento di quell’anno, era popolata dal 72 per cento di russi). Come la classe dirigente europea non ha fatto che ripetere: saremo con l’Ucraina fino alla fine. Ma questa fine non potrà che implicare anche le sorti dell’Europa. Che cosa farà e che cosa dirà l’Europa quando la fine dell’Ucraina, che essa ha contribuito a rendere catastrofica, sarà un fatto compiuto? Secondo la previsione degli osservatori politici più accorti, è probabile che anche l’identità dell’attuale comunità europea, che non ha altra realtà giuridica che quella di un accordo internazionale fra stati, sarà revocata in questione. E questa è l’unica conseguenza positiva che possiamo aspettarci dalla guerra in Ucraina, altrimenti, come tutte le guerre, sciagurata. -------------------------------------------------------------------------------- Pubblicato su Quodlibet (qui con l’autorizzazione della casa editrice). Tra gli ultimi libri di Giorgio Agamben: Quaderni. Volume I (2024), Horkos. Il sacramento del linguaggio (2023), Categorie italiane (2021). -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI MASSIMO DE ANGELIS: > Commercio della sicurezza e nuovo ordine mondiale -------------------------------------------------------------------------------- LEGGI ANCHE QUESTO ARTICOLO DI PASQUALE PUGLIESE: > Se vuoi la pace… -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Fine dell’Ucraina proviene da Comune-info.