La rivoluzione in Rojava e la Siria del dopo Assad
L’esperienza rivoluzionaria che da più di dieci anni con fatica si sta
realizzando in Siria del Nord e dell’Est oggi deve confrontarsi con la nuova
realtà politica di Hayat Tahrir al-Sham (HTS, Unione di Liberazione del Levante)
che dall’otto dicembre 2024 ha preso il potere a Damasco.
La fine del regime dispotico e sanguinario del Partito Ba’th siriano (Ḥizb
al-baʿṯ al-ʿarabī al-ištirākī), a guida incontrastata della famiglia Assad, è
stata accolta con gioia dalla popolazione della Siria del Nord e dell’Est. Hafez
Assad, il padre di Bashar, prese il potere in Siria con un colpo di stato nel
1970. La corruzione e la repressione sono state alla base del potere del Ba’th
in Siria, trasformando il paese in una cleptocrazia e in una dittatura spietata.
Il culto della personalità, prima di Hafez e poi di Bashar, è stato imposto in
modo dispotico ai siriani. Come è stata imposta l’arabizzazione di tutto il
paese, nonostante in Siria siano presenti numerose etnie non arabe e diverse
comunità religiose (curdi, armeni, assiri, turkmeni e circassi, sunniti, sciiti,
alawiti, cristiani, drusi, ezidi e altri siriani).
Pur di rimanere al potere, gli Assad, hanno esercitato una durissima repressione
contro ogni dissenso, usando anche le armi pesanti e i bombardamenti aerei
contro le manifestazioni popolari che chiedevano una svolta democratica in
Siria. La repressione ha colpito centinaia di migliaia di persone tra
oppositori, ribelli e dissidenti, aprendo la strada alla guerra civile che ha
insanguinato la Siria per quasi quindici anni.
Il dissolvimento in soli otto giorni del regime Baathista apre però tantissimi
interrogativi sul futuro dell’intero Medio Oriente. Appare chiaro come la caduta
del regime di Damasco sia stata orchestrata da un intenso lavoro fra le
intelligence delle potenze geostrategiche (in primo luogo Stati Uniti e Russia)
e delle potenze locali (Arabia Saudita, Qatar, Iran, Israele, Turchia), con il
beneplacito dell’Unione Europea, che con nonchalance hanno sdoganato i jihadisti
tagliagole dell’HTS, eredi di al-Nuṣra e del Daesh (ISIS), e il loro leader
Ahmed al-Sharah/al-Jolan quali portatori della democrazia in quella terra
martoriata.
Dopo la dissoluzione del regime degli Assad, il governo turco ha iniziato una
dura campagna militare spingendo le milizie jihadiste del cosiddetto Esercito
Nazionale Siriano (SNA) contro i territori controllati dall’Autorità Autonoma
Democratica della Siria del Nord e dell’Est (DAANES). L’SNA, foraggiato e
diretto dalla Turchia, già dal dicembre scorso ha intrapreso un massiccio
attacco contro i territori autonomi della Siria del Nord e dell’Est spingendosi
fino alle sponde dell’Eufrate. Le Forze Democratiche Siriane (SDF), hanno
fermato lungo l’Eufrate l’offensiva delle SNA diretta alla conquista di Kobane,
città simbolo della resistenza ai tagliagole dell’ISIS.
La popolazione della Siria del Nord e dell’Est si è sollevata dando pieno
appoggio alle milizie popolari rivoluzionarie e contribuendo in modo essenziale
a difendere la diga di Teshrin, dove sono giunte migliaia di persone, famiglie
intere che hanno offerto i propri corpi per respingere l’orda reazionaria del
SNA. Tantissimi i morti sotto i bombardamenti, ma l’avanzata delle milizie
Jihādiste filo-turche è stata fermata. La diga di Teshrin sull’Eufrate è
divenuta il nuovo simbolo della resistenza in Rojava per la difesa delle
conquiste del Confederalismo Democratico.
Mentre le SDF fermavano l’offensiva dell’SNA i rappresentanti dell’Autorità
Autonoma Democratica della Siria del Nord e dell’Est (DAANES) hanno cercato un
dialogo costruttivo con i nuovi governanti di Damasco nel tentativo di andare
verso la costruzione di una nuova Siria democratica e confederale. Ma i messaggi
arrivati da Damasco non sono confortanti.
Dopo le dichiarazioni Jihādiste di Ahmed al-Sharah in vista della riscrittura
della carta costituzionale, il governo sunnita di Damasco ha scatenato le forze
di sicurezza nella Siria dell’Ovest dove sono stati compiuti atti di efferata
violenza contro la popolazione alawita (di osservanza sciita). Più di 1.400 i
civili alawiti sono stati uccisi, soprattutto nelle provincie di Latakia e
Tartus.
A controbilanciare il centralismo di Damasco a fine aprile a Qamishlo, nella
Siria del Nord Est, oltre 400 delegati provenienti da diverse parti del
Kurdistan e della Siria hanno partecipato alla Conferenza sull’unità curda e la
posizione comune in Rojava. La Conferenza ha rilanciato la centralità del
progetto del Rojava, tra pluralismo, autodeterminazione e ruolo centrale delle
donne nel futuro democratico della Siria. L’incontro ha reso centrale
l’esperienza rivoluzionaria del Rojava, reclamando il diritto all’esistenza e
alla partecipazione nella nuova Siria post Baathista. La partecipazione ampia
delle organizzazioni delle donne ha ribadito come la questione della parità di
genere attraversi ogni livello del dibattito curdo, definendo una pratica
politica in cui l’autodeterminazione si intreccia a una riformulazione radicale
dei rapporti di potere. In Siria del Nord e dell’Est, la liberazione delle donne
non rappresenta un segmento separato, ma il centro propulsivo di un immaginario
condiviso.
La Conferenza ha approvato il documento finale che auspica l’unificazione delle
regioni curde sotto l’egida federale siriana, come unità politica e
amministrativa integrata, e che contiene disposizioni chiave sia sullo Stato
nazionale siriano che sull’entità nazionale curda.
Viene ribadito che la Siria è una regione con una molteplicità di nazionalità,
culture, religioni e sette; la sua costituzione deve garantire i diritti di
tutte le componenti presenti in Siria (Arabi, Curdi, Siriaci, Assiri, Circassi,
Turcomanni, Alawiti, Drusi, ezidi e Cristiani).
Lo Stato deve rispettare i diritti umani e il principio di cittadinanza
paritaria. Il sistema di governo della Siria dove essere basato sul pluralismo
politico, il trasferimento pacifico del potere, la separazione dei poteri e
l’inclusione di consigli regionali all’interno di un quadro di
decentralizzazione. Si deve adottare la decentralizzazione, garantendo una
distribuzione equa dell’autorità e della ricchezza.
Lo Stato dovrà essere neutrale verso le religioni e le credenze, garantendo la
libertà di pratica religiosa e riconoscendo ufficialmente la fede ezida.
L’identità nazionale unificata deve rispettare la specificità delle diversità.
Ci deve essere la garanzia dell’uguaglianza di genere e della rappresentanza
delle donne in tutte le istituzioni. Tutela dei diritti dei bambini. Garanzia al
ritorno sicuro degli sfollati, nelle aree curde e in tutta la Siria.
L’Assemblea costituente dovrà essere sotto patrocinio internazionale, con
rappresentanti di tutte le componenti siriane, per redigere principi democratici
e formare un governo rappresentativo di tutta la Siria con pieni poteri
esecutivi. Deve valere la facoltà di esprimersi ed essere educati nella propria
lingua madre e di praticare la propria cultura come diritto di tutte le
comunità. Dev’essere legittimata la proclamazione dell’8 marzo come Giornata
Nazionale delle Donne.
Le aree curde devono essere unificate in un’unità politico-amministrativa
all’interno di una Siria federale con il riconoscimento del popolo curdo come
popolo autoctono in Siria, garantendo i propri diritti politici, culturali e
amministrativi. La lingua curda va riconosciuta come lingua ufficiale accanto
all’arabo con garanzia del suo insegnamento e apprendimento. Vanno abolite tutte
le politiche, procedure e leggi eccezionali applicate contro i curdi, risarcendo
i danneggiati da tali discriminazioni, ripristinando lo status precedente di
queste aree e annullando gli accordi segreti e pubblici che minano la sovranità
siriana e l’esistenza curda. Va restituita la cittadinanza siriana ai curdi, a
cui era stata sottratta durante il censimento eccezionale del 1962, e avviata la
risoluzione dello status dei curdi non registrati. Va promosso lo sviluppo delle
infrastrutture nelle aree curde con l’allocazione di una quota delle risorse
pubbliche per lo sviluppo e la ricostruzione, affrontando la marginalizzazione e
il deliberato abbandono subiti nelle fasi precedenti.
La risposta del governo di Damasco non si è fatta attendere, già il 27 aprile
esso ha ribadito la difesa strenua della propria architettura centralista e
islamista. Nel mirino del governo il sostegno riaffermato durante la Conferenza
di Qamishlo a un modello di governance decentralizzato e pluralista che la
presidenza siriana ha definito una minaccia all’unità nazionale e un tentativo
unilaterale di imporre nuovi equilibri nel Nord-Est del Paese.
Mentre è stato accolto in modo positivo l’appello di Öcalan del 27 febbraio per
la pace e la democrazia, viene sottolineato che fino a quando non ci saranno
garanzie valide per il rispetto delle conquiste del Confederalismo Democratico
in Siria le milizie popolari SDF e YPG non deporranno le armi e che le YPJ,
strutture di difesa delle donne, non disarmeranno in nessun caso.
Renato Franzitta