Tag - greenwashing

Come Eni vuole prendersi gli influencer italiani
-------------------------------------------------------------------------------- Alcuni screenshot dalle pagine Instagram e TikTok di Plenitude -------------------------------------------------------------------------------- Una popolare pagina Instagram italiana pubblica un carosello, cioè un post composto da più immagini. La notizia al centro del contenuto social è il nuovo record segnato nel 2024 dall’installazione di energia eolica e fotovoltaica, ma i toni del post sono inusuali. Sole e vento «non bastano per la transizione energetica – scrive la pagina, e – il gas e alcune fossili restano indispensabili». Per i divulgatori dietro il profilo, la soluzione sta nella «neutralità tecnologica». Si tratta del principio, da tempo dibattuto nella politica europea, per cui dovrebbe essere il mercato a decidere quali soluzioni tecnologiche siano più adatte a portare avanti la transizione ecologica, e non gli Stati. I partiti della destra e dell’ultradestra hanno fatto della neutralità tecnologica una battaglia simbolo all’interno delle istituzioni comunitarie, e anche le aziende dell’oil&gas ne parlano diffusamente. E proprio a queste ultime dobbiamo guardare per capire il post da cui siamo partiti. L’ultima slide rivela infatti il vero scopo della pubblicazione: promuovere MINDS, un master organizzato dalla multinazionale italiana Eni assieme al Politecnico di Torino. Plenitude Creator Bootcamp: la scuola per influencer di Eni La collaborazione tra la pagine Instagram in questione – Data Pizza, 226mila follower – ed Eni è correttamente segnalata e assolutamente lecita. Il tema dei legami tra una delle più grandi aziende del nostro Paese e l’universo dei content creator italiani, però, merita attenzione. Da anni Eni, anche tramite la sua controllata Plenitude, investe molto sulle collaborazioni con personaggi famosi sui social e pagine dedicate alla divulgazione. L’attore Paolo Ruffini (1,9 milioni di follower su Instagram), la travel blogger Manuela Vitulli (168mila follower), il gamer Jody Checchetto (282mila follower) sono solo alcune delle celebrità online che hanno prestato la loro immagine all’azienda. Andrea Perticaroli e Christian Cardamone, meglio noti come @iwouldbeandrea e @nonsonokristiano, sono diventati di fatto i volti di Plenitude su TikTok. Un’investimento sui social che si combina alla pubblicità tradizionale e alle sponsorship dei grandi eventi – il Festival di Sanremo e la Seria A su tutte, ma anche grandi occasioni straniere come la Vuelta di Spagna recentemente conclusa. L’ultima novità in questo scenario è che l’azienda con sede a San Donato Milanese ha fatto un passo ulteriore nel mondo della comunicazione online. Proponendosi come punto di riferimento per chi vuole fare carriera su nuovi media. Ha avuto inizio il 15 settembre a Milano, da quanto si apprende sul sito della multinazionale, il Plenitude Creator Bootcamp. Si tratta di «un programma di formazione pensato per aspiranti content creator». Chiunque tra i 20 e i 40 anni con un profilo Instagram o TikTok attivo ha potuto candidarsi per partecipare a questa scuola. L’obiettivo è «consolidare ulteriormente il dialogo con le nuove generazioni attraverso i loro linguaggi». L’idea, insomma, sarebbe quella di creare una nuova generazione di influencer sui temi dell’energia e dell’ambiente. Una generazione la cui formazione passi dalla principale impresa dell’oil&gas italiana. Tante emissioni e poca transizione: il futuro secondo Eni «Fin dalla nascita qualche anno fa, Eni ha sempre cercato di promuovere Plenitude con una strategia di marketing ben precisa: associare l’azienda dal logo verde agli eventi più amati dalle persone e più lontani dall’immaginario fossile, come il Festival di Sanremo o le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina. E sempre con il fine di ripulire la propria immagine e presentarsi come qualcosa di familiare, quotidiano e amichevole, ora Plenitude utilizza la voce dei content creator sui social media, come nella sua ultima accattivante iniziativa» ,dice a Valori.it Federico Spadini, campaigner clima di Greenpeace Italia. Da tempo le associazioni e i movimenti ecologisti accusano Eni di greenwashing. Ovvero, la pratica per cui delle aziende impegnate in settori inquinanti ripuliscono la loro immagine pubblica con piccole iniziative verdi o con campagne di marketing dal sapore ecologista. Un’accusa esplosa da quando la controllata Eni Gas&Luce ha cambiato nome in Plenitude: un rebranding volto proprio a mettere in evidenza l’impegno ambientale dell’azienda. Greenwashing e strategia social: così Eni punta sugli influencer Eni è il primo emettitore italiano, e il suo core business è l’estrazione e vendita di idrocarburi. Si tratta di un’azienda privata, ma i principali azionisti sono pubblici: ministero dell’Economia e delle Finanze e Cassa Depositi e Prestiti. Secondo le ong Greenpeace e Recommon, Eni da sola nel 2021 ha prodotto 456 Mt CO2eq. Cioè più dell’Italia nel suo complesso. Secondo uno studio di Reclaim Finance,  gli attuali piani aziendali prevedono  che la produzione di idrocarburi sarà superiore del 70% rispetto al livello richiesto dagli scenari di riduzione delle emissioni “Net Zero Emission” dell’Agenzia Internazionale dell’Energia. Sempre secondo le ong, al 2021 ad ogni euro che ENI investe in fossili corrispondono sette centesimi in rinnovabili. Non sappiamo se questo genere di dati vengano discussi durante la formazione che l’azienda del cane a sei zampe offre alla nuova generazione di content creator. «Il business di Eni si basa per la stragrande maggioranza su gas fossile e petrolio, principali cause della crisi climatica», dice ancora Spadini. «Insomma, di verde e amichevole Plenitude ha solo il logo, il resto è una grande copertura per continuare a emettere gas serra e a fare profitti sulle spalle delle persone e del Pianeta». -------------------------------------------------------------------------------- Pubblicato su Valori.it -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Come Eni vuole prendersi gli influencer italiani proviene da Comune-info.
Campeggio No Pizzone II: contro l’idroelettrico e il modello energetico estrattivista ripartire dai territori
L’11 e il 12 agosto si riuniranno alle Sorgenti del Volturno – Rocchetta a Volturno (IS) svariate realtà da Torino, Napoli e Roma, così come dal Molise e dall’Abruzzo per discutere a partire da due tematiche fondamentali: marginalità territoriale e speculazione energetica. Le sorgenti del Volturno ospitano infatti uno dei due laghi impattati dal progetto […]
Eco-acquario di Messina: riflessioni e perplessità
A giugno 2025 il Consiglio Comunale di Messina ha approvato, quasi all’unanimità, un ordine del giorno che impegna l’amministrazione a includere, tra le infrastrutture compensative del ponte, un Grande “Eco-Acquario” dello stretto. L’idea è quella di realizzare un Polo Scientifico Internazionale, all’interno di un’ampia area verde chiamata Parco Blu delle Sirene, situata nella strategica zona falcata di Messina con architetture ispirate alla biodiversità marina: forme evocative di stelle marine, ricci, meduse.  Siamo ancora lontanissimi dall’affidamento della progettazione esecutiva, eppure, i rendering naïf circolanti tradiscono già un aspetto un po’ vintage.  Un po’ lo stesso effetto che fa l’edificio del   Pala cultura della città, progettato dagli architetti D’Amore e Basile nel 1975, ma inaugurato solo nel 2010. D’altronde il fascino attrattivo degli acquari risale agli anni ’90: quello di Genova è stato inaugurato nel 1992, quello di Barcellona nel 1995, quello di Valencia nel 2002. Già in ritardo, nel 2009, arriva il concorso per quello di Reggio Calabria vinto da Zaha Hadid e non ancora realizzato.  Nel frattempo, qualcosa sarà pure cambiato.   Ma soffermiamoci sulla filosofia dell’Eco-Acquario”: perché anche quando ci troviamo nella fase di immaginare una “Visione” possibile per le nostre città non riusciamo ad abbandonare l’ottusa posizione antropocentrica? Dall’acquario progettato da Renzo Piano, le cose sono profondamente cambiate: oggi circa il 60 % degli stock ittici nel Mediterraneo sono ancora sovrasfruttati e circa il 75 % delle malattie infettive emergenti  come SARS, aviaria, suina, Ebola e persino COVID-19 derivano da spillover di virus da animali all’uomo, spesso da allevamenti intensivi o wet market. Gli allevamenti ittici sono ancora in fase di regolamentazione poiché spesso sono mal gestiti e provocano fonti di inquinamento, malattie e perdita di biodiversità. Il termine “eco acquario” può essere visto dunque come un paradosso, soprattutto se lo si guarda con una lente critica, antispecista e ambientalista. È un po’ lo stesso paradosso che sottende il concetto di “pesca sostenibile”: quale pesca può essere sostenibile? non esiste pesca sostenibile per chi viene ucciso! Soprattutto in una condizione di iper-sfruttamento dei nostri fondali.  Ci nascondiamo dietro il greenwashing, a volte anche ingenuamente perché la nostra cultura è fortemente intrisa di specismo. Ma proviamo a spezzare certe abitudini antropocentriche e fermiamoci a riflettere: davvero la cosa migliore che possiamo fare per valorizzare la biodiversità è progettare una prigione a forma di Riccio?  Quando impareremo che gli animali sono “soggetti di una vita” e non nostri strumenti che sia per intrattenimento o profitto? Anche L’approccio progettuale dovrebbe cambiare rotta e prendere consapevolezza della nostra contemporaneità adottando un approccio antispecista che riconosca in questo caso, la sensibilità dei pesci, il loro valore intrinseco e i limiti ecologici reali: -l’ambiente acquatico, infatti, è ancora più difficile da replicare rispetto alla terraferma: bisogna simulare corrente, pressione, stimoli sensoriali, temperatura e le interazioni sociali sono spesso completamente distorte; -i pesci sono tra gli animali più trascurati moralmente pur essendo scientificamente riconosciuti come senzienti. I pesci sono infatti le vittime numericamente più uccise al mondo: si stima tra 1.000 e 3.000 miliardi di pesci all’anno (pesca + allevamenti). Una delle motivazioni è che si tratta di una specie anatomicamente molto distante dagli esseri umani: non hanno zampe, peli, occhi espressivi, vocalizzazioni udibili o interazioni visive familiari e questo rende più facile l’oggettivazione per cui spesso non sono completamente inclusi nelle regolamentazioni sul maltrattamento o benessere animale. Per questo motivo vengono uccisi attraverso torture che non sono immaginabili su altre specie: asfissia lenta all’aria, congelamento da vivi, sventramento da vivi, pescati sportivamente e lasciati morire lentamente dopo un’agonia. Eppure, la maggior parte della gente non ha consapevolezza che ciò accade. Addirittura, molti vegetariani decidono di continuare a mangiarli. I pesci sono “muti” ma non perché non hanno voce ma perché siamo noi che ci rifiutiamo di ascoltare continuando a commettere ingiustizie ai loro danni; -molti animali marini muoiono durante la cattura e il trasporto prima ancora di arrivare negli acquari e anche quando vi arrivano gli acquari sono delle vere e proprie prigioni acquatiche dove gli animali muoiono lentamente per noia e stress. Tutto quanto elencato è un dato di fatto e non esistono approcci ecologici che possano compensare. Perché non immaginare, invece, un’alternativa all’acquario mantenendo gli obiettivi educativi, scientifici ed ecologici ma senza utilizzare animali in cattività? Perché non immaginare delle aree marine protette dove gli animali vivano liberi nel loro habitat, non disturbati da umani? Perché non immaginare delle esperienze sensoriali progettate attraverso la tecnologia (realtà aumentata, simulazione 3D)? Perché non immaginare dei santuari per proteggere davvero le specie in pericolo e la biodiversità? Perché non immaginare centri di formazione   e di educazione alla biologia marina ma anche all’empatia raccontando le storie di animali salvati e cooperando con ONG?  Chiudere un pesce in una vasca non è un gesto neutro: è l’espressione di un mondo che separa, riduce e domina. Ma nel mondo-tutto, ogni vita è legata alle altre. E finché ci ostiniamo a osservare la natura attraverso il vetro del possesso, continueremo a distruggere ciò che diciamo di preservare. Redazione Sicilia
Bologna, Extinction Rebellion dissemina poesie e denuncia il greenwashing dell’amministrazione comunale
Stamattina presto, Extinction Rebellion Bologna è passata all’azione e ha preso parola sulla questione alberi in vaso nelle piazze del centro. Ha fatto apparire poesie nei vasi e ha “adottato” un alberello chiamandolo “Ribellione”, che monitorerà fino alla piantumazione, aderendo alla campagna mediatica lanciata da hansy lumen. Nelle prossime settimane continueranno le azioni sul tema, che hanno il duplice obiettivo di affermare che gli alberi sono esseri viventi e denunciare le contraddizioni e il greenwashing dell’attuale amministrazione comunale. Siamo rimaste davvero basite e senza parole all’annuncio dell’iniziativa. Infatti, in prima battuta, la trovata è stata giustificata come azione per mitigare il calore eccessivo nelle piazze. Riconosciamo il potere refrigerante degli alberi, ma se sono sani e piantumati in terra e non certo se sono poggiati in un vaso su lastroni di porfido rovente, come per altro segnalato da diversi esperti, alcuni facenti parte del Comitato per “BOLOGNA VERDE”. Ci domandiamo se anche il Sindaco riconosce il potere refrigerante, perché dal 2022 ha fatto abbattere gli alberi della fascia boscata, attorno al Passante, nonostante l’opera fosse ancora in stallo. Perché si continua con i tagli indiscriminati? Perché si continuano a pensare progetti che prevedono abbattimento di alberi sani, com’è successo con il Parco Don Bosco, con il nodo di Rastignano, come succederà per la caserma Sani, per Piazza dell’Unità, per il Lazzaretto e da ultimo con il Giardino di San Leo? Per quale motivo il Bilancio arboreo è fermo al 2021? Dopo le critiche Il Sindaco ha parlato dell’iniziativa come una sperimentazione e l’inizio di una rivoluzione culturale, guidata dal programma Bologna Verde, che prevede piantumazioni di 100 mila alberi e una desigillazione di 10 ettari.  Peccato però che il piano sia stato finanziato, per ora, con soli 11,8 milioni (Il Comune per manutenzione ordinaria del verde spende circa 10 mln all’anno) peccato però che secondo l’ISPRA a Bologna si cementificano 20 ettari all’anno. Non ci sembra di trovarci di fronte ad una rivoluzione, ma a un’operazione di greenwashing. Inoltre, di tutte queste iniziative è stata data notizia sui social, con diversi post. Nel corso dei giorni si è passati da un numero iniziale di 100 alberi, poi 110, fino ad arrivare, a posa in corso a 90 alberi e 68 annunci. Allo stesso modo si è passato dall’annuncio di un piano di 23 mln di euro per Bologna Verde, a quello del suo parziale finanziamento di 11,8 mln. Riteniamo che per provvedimenti che richiedono sacrifici o adattamenti da parte della cittadinanza sia indispensabile la chiarezza e la veridicità delle informazioni. Chiediamo che la crisi climatica venga trattata con la serietà che merita, dato che di caldo si muore. Chiediamo di stoppare ogni nuovo consumo di suolo e di fermare gli abbattimenti a San Leo. Chiediamo di sapere i numeri reali degli alberi presenti in città, di quelli piantumati e di quelli abbattuti. Chiediamo una rivoluzione verde, reale. Extinction Rebellion
L’Unione Europea non vuole più combattere il greenwashing?
> IL 20 GIUGNO SCORSO LA COMMISSIONE EUROPEA HA ANNUNCIATO IL RITIRO DELLA > PROPOSTA DI DIRETTIVA “GREEN CLAIMS”, CHE HA L’OBIETTIVO DI CONTRASTARE > IL GREENWASHING DELLE AZIENDE. L’ITALIA È TRA GLI STATI MEMBRI CHE HANNO > REVOCATO IL PROPRIO APPOGGIO AL TESTO Negli ultimi giorni pare profilarsi una clamorosa retromarcia dell’UE sulla “Green Claims Directive“, la proposta di Direttiva pubblicata nel 2023 con l’obiettivo di regolamentare gli annunci utilizzati dalle imprese per promuovere e comunicare le loro precauzioni nei confronti dei fattori ambientali, sociali e di governance. Sostanzialmente, dunque, una direttiva che intendeva accogliere le richieste dei consumatori e cittadini europei per stimolare un vero cambiamento delle attività di impresa in direzione della piena sostenibilità, oggi troppo spesso “dichiarata” dalle aziende stesse a suon di aggettivi e slogan non sempre (eufemismo…) rispondenti alle reali condizioni. Una situazione che ci siamo abituati a definire come “greenwashing“: le persone chiedono alle aziende di dimostrare i loro autentici sforzi per perseguire la “transizione ecologica“, le aziende rispondono con affermazioni roboanti ma non verificabili e, dunque, affidabili. Nella proposta di direttiva un green claim viene definito come “un messaggio o una dichiarazione avente carattere non obbligatorio, compresi testi e rappresentazioni figurative, grafiche o simboliche, in qualsiasi forma, tra cui marchi, nomi di marche, nomi di società o nomi di prodotti, che asserisce o induce a ritenere che un dato prodotto o professionista abbia un impatto positivo o nullo sull’ambiente oppure è meno dannoso per l’ambiente rispetto ad altri prodotti o professionisti oppure ha migliorato il proprio impatto nel corso del tempo”. Ovviamente alla base della proposta di direttiva vi erano precisi dati, da cui emergeva come oltre la metà delle dichiarazioni ambientali esaminate nell’Ue risultassero infondate o vaghe, compresa una moltitudine di etichette “green” decisamente lacunose o non verificabili o, addirittura, sbandieranti principi di sostenibilità esclusivamente “auto-certificata”. Da qui la proposta di direttiva che, dopo un lungo iter pareva essere giunta all’approvazione e che, invece, lo scorso 20 giugno ha visto l’annuncio di ritiro, ufficialmente provocato da alcuni emendamenti proposti al testo originario che andrebbero contro l’obiettivo di semplificazione della Commissione e danneggiando in particolare le imprese più piccole. L’Italia è tra gli Stati membri che hanno revocato il proprio appoggio alla proposta di direttiva. Uno stop grave, che rischia addirittura di amplificare l’abitudine di molte imprese a promuovere i loro prodotti e servizi come elementi fondamentali del nuovo benessere del pianeta, senza peraltro dimostrarlo. I pubblicitari ne saranno forse contenti, i cittadini-consumatori molto meno. E la politica europea ci auguriamo possa trovare ancora un impeto di orgoglio e ritirare… il ritiro (della proposta di direttiva). Ma l’ottimismo non sempre convive con la realtà, vedremo. Forum Salviamo il Paesaggio
Giovanna Sissa e le emissioni invisibili del sistema digitale
Giovanna Sissa è una fisica e insegna al Dottorato di Ricerca dell’Università di Genova STIET, cioè Scienze e tecnologie per l’ingegneria elettronica e delle telecomunicazioni. Nel 2024 ha pubblicato presso Il Mulino (collana Farsi un’idea, euro 13) un agile ma … Leggi tutto L'articolo Giovanna Sissa e le emissioni invisibili del sistema digitale sembra essere il primo su La Città invisibile | perUnaltracittà | Firenze.
La finanza, l’energia, la crisi ecologica
Il ruolo dei fondi di investimento (o fondi di fondi di investimento, per la maggioranza USA) dietro operazioni speculative come le cosiddette rigenerazioni urbane o il business degli affitti brevi o dietro un caso come quello GKN è già stato … Leggi tutto L'articolo La finanza, l’energia, la crisi ecologica sembra essere il primo su La Città invisibile | perUnaltracittà | Firenze.