Coop: rispettate il codice etico e aiutateci a fermare il genocidioHa ottenuto in questi giorni molto rilievo, sulla stampa nazionale e su quella
internazionale, l’annuncio da parte di Coop Alleanza 3.0, la più grande delle
cooperative del sistema COOP, della sua scelta di ritirare i prodotti israeliani
dai suoi scaffali, motivata con l’impossibilità di “rimanere indifferente
davanti alle violenze in corso nella Striscia di Gaza”, e dalla necessità di
“dare un segnale di coerenza” dopo “le escalation di queste ultime settimane.”
Nel comunicato si informava anche che, per arricchire il dialogo interno, “una
rappresentanza di soci e socie che da tempo si sono mobilitati per la Palestina
è stata invitata ad intervenire all’Assemblea generale di Coop Alleanza 3.0
dello scorso 21 giugno”.
Per approfondire questo tema di grande interesse e capire meglio in cosa
consiste questa mobilitazione, ho intervistato alcuni attivisti della campagna
Soci/e COOP per la Palestina e della Rete No ai prodotti israeliani nella Grande
Distribuzione. Le risposte sono la sintesi di una più lunga conversazione e sono
state da loro approvate e presentate come se si trattasse di una sola persona.
Vuoi provare a spiegarci in cosa consiste la campagna, che è a tutti gli effetti
una campagna di lotta nonviolenta, cosa che Pressenza, Agenzia di Stampa per la
Pace, contro la guerra, per i diritti umani e la nonviolenza vorrebbe
valorizzare al massimo.
L’iniziativa è nata ad aprile 2024 da un gruppo di socie e soci COOP che avevano
segnalato alle loro associazioni che nei punti vendita COOP erano esposti
prodotti israeliani (ad esempio avocado e arachidi, a volte datteri etc.).
L’azione, che si è poi estesa a tutta la Grande Distribuzione, è cominciata con
la COOP perché un gran numero di soci e socie ha ritenuto importante e
necessario, proprio nella loro veste di soci/e quindi “comproprietari/e”, e
richiamandosi al Codice Etico della stessa COOP, far valere la propria voce.
Non si tratta quindi di boicottare la COOP, ma aprire un dialogo richiamandosi a
valori comuni e ai principi fondativi della stessa COOP per segnalare e chiedere
di modificare alcuni comportamenti ce li violano.
E’ importante sottolineare che quello che è stato chiesto alla COOP non è di
boicottare, ma di esercitare, come è scritto nel suo Codice Etico, il suo
diritto/dovere di scegliere i propri fornitori in modo da mantenere il suo
impegno di garantire ai consumatori che per i prodotti in vendita non ci siano
state violazioni di diritti umani o del diritto internazionale lungo tutta la
filiera di produzione.
Infatti boicottare è azione del consumatore, all’impresa invece è richiesta una
responsabilità etica.
Abbiamo cominciato a chiedere il ritiro dei prodotti agricoli perché il sistema
agricolo israeliano è uno degli elementi fondamentali del sistema di
espropriazione, colonizzazione, occupazione, apartheid. Le ditte produttrici ed
esportatrici israeliane infatti sono in coinvolte nelle violazioni dei diritti
umani e del diritto internazionale attraverso diversi meccanismi: in quanto
profittano delle espropriazioni di terre palestinesi, dei blocchi a importazione
ed esportazione di prodotti palestinesi e della competizione sleale che su
queste pratiche si fonda, e così contribuiscono a distruggere l’agricoltura
palestinese e la fonti di sopravvivenza delle popolazioni locali.
Tutta la terra sulla quale si sviluppa l’agricoltura israeliana è stata
sottratta al popolo palestinese e il processo continua oggi con l’espansione
violenta degli insediament : ogni giorno i coloni attaccano le famiglie
contadine e di pastori, distruggono le coltivazioni, aggrediscono chi lavora nei
campi.
Crediamo che sia necessario non essere complici di questo processo che conduce
inevitabilmente al genocidio.
Puoi farci il punto della situazione: quali Coop sono state coinvolte, quali
regioni o territori rappresentano, quali risposte avete avuto… in sostanza: a
che punto è in questo momento la campagna?
La Rete coinvolge ora, attraverso la rete di associazioni e persone, 4
Cooperative (Alleanza 3.0, Unicoop Firenze, Unicoop Tirreno, Coop Lombardia),
che sono le maggiori del sistema COOP e insieme rappresentano più del 60% del
fatturato COOP in Italia. In realtà si era poi estesa a COOP Centro Italia, in
Umbria, che però si è ora fusa con Unicoop Tirreno formando Coop Etruria.
Proprio in questi giorni, un gruppo di soci/e e associazioni ha invece
cominciato la campagna su Coop Liguria.
Dalle prime 3, Coop Alleanza 3.0, Unicoop Firenze, Unicoop Tirreno, abbiamo già
avuto, a giugno 2025, una risposta positiva, cioè il ritiro dei prodotti
israeliani. Coop Alleanza 3.0, in particolare, ha reso nota questa decisione con
un comunicato stampa, una scelta che consideriamo importante e coraggiosa.
La campagna si è retta sul contributo di più di 160 associazioni in diversi
territori, spesso riunite in coordinamenti cittadini (come Bologna per la
Palestina, Firenze per la Palestina, Lucca per la Palestina, Modena per la
Palestina etc.) che hanno aderito e contribuito a diffondere la nostra
richiesta.
Potresti illustrare, come in una sorta di vademecum, i passi che avete fatto
concretamente, nello svilupparsi della campagna, in modo che anche altri gruppi
o perfino altri singole persone, ad esempio già socie di una delle coop, possano
iniziare una vertenza; in un territorio e quindi in una coop che non è ancora
stata coinvolta?
Adesso il primo passo che suggeriamo è quello di contattarci, attraverso il
nostro indirizzo email, che si trova nella petizione online Petition · DICIAMO
NO AI PRODOTTI ISRAELIANI NEI NOSTRI SUPERMERCATI. FERMIAMO IL GENOCIDIO! –
Italien · Change.org. E questo è proprio quello che hanno fatto le persone e
gruppi che si sono attivati dopo aver conosciuto la nostra iniziativa.
Se vogliamo considerare invece i passi che abbiamo fatto noi, dall’inizio,
allora direi che la prima cosa è stata scrivere una lettera al presidente di
Coop Alleanza 3.0, presentando la nostra richiesta e chiedendo un incontro.
Nello stesso tempo abbiamo scritto anche a ANCC, COOP ITALIA e LEGACOOP, cioè
gli organismi politico/sindacali e commerciali di tutto il mondo coop chiedendo
loro di appoggiare e favorire la nostra richiesta per gli ambiti di loro
competenza. Poi abbiamo lanciato la lettera online, chiedendo a soci e socie di
firmarla e diffondendola sia attraverso i nostri contatti e i social dei nostri
coordinamenti e delle nostre associazioni, sia attraverso il volantinaggio fuori
ai punti vendita COOP. Il volantinaggio con raccolta firme é stato un momento
molto importante perché oltre a raccogliere firme ci ha permesso di parlare con
molte centinaia di persone sensibilizzandole sul tema del genocidio in
Palestina. Poi, abbiamo cominciato a partecipare alle assemblee separate, cioè
le assemblee per l’approvazione del bilancio di esercizio e del bilancio etico
che le COOP organizzano ogni anno: lo abbiamo fatto nel 2024, e poi di nuovo nel
2025.
Già che ci siamo, potresti spiegarci come si articolano a livello territoriale
le coop, in quali assemblee può intervenire un socio e quali sono gli organi
decisionali in grado di prendere la decisione di togliere dagli scaffali delle
Coop i prodotti israeliani?
Le diverse COOP hanno articolazioni territoriali diverse, possono comprendere
una o più regioni, e un numero variabile di punti vendita. Hanno un organismo
nazionale, l’ANCC, che le rappresenta e in cui vengono portate a sintesi le
scelte strategiche/politiche che devono essere comuni. Mentre per le necessarie
economie di scala e le esigenze di efficienza sono consorziate in Coop Italia.
Coop Italia quindi gestisce il listino dei prodotti e i relativi contratti con i
fornitori, raccogliendo le esigenze che dalle varie Coop vengono espressi. Ogni
Coop poi attinge da questo listino/assentimento nazionale secondo le proprie
specifiche esigenze, e mette in vendita anche prodotti che non sono nel listino
Coop Italia. Perché solo ogni Coop conosce a fondo le esigenze del suo mercato e
dei suoi soci: per questo le Coop di cui sopra hanno potuto interrompere
l’acquisto dei prodotti israeliani, e acquistare la Gaza Cola, raccogliendo una
richiesta proveniente dai loro soci.
Per questo motivo la dichiarazione che è stata pubblicata su diversi giornali,
che riporta una dichiarazione Ernesto Dalle Rive Presidente Ancc-Coop
(Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) espressa all’interno di una
riunione di presidenza, non implica un passo indietro da parte delle COOP che
hanno scelto di interrompere la endita di prodotti israeliani. Certamente
segnala l’esistenza di posizioni diverse all’interno del sistema COOP.
Vorrei però ricordare le raccomandazioni contenute nel rapporto di Francesca
Albanese, la relatrice per i diritti del popolo palestinese alle Nazioni Unite
nel rapporto che è uscito proprio in questi giorni, il primo luglio 2025, tra le
quali quella di « cessare prontamente tutte le attività commerciali e terminare
le relazioni direttamente collegate ».
Direi che la posizione espressa da Dalle Rive, oltre a non essere decisiva, è
sbagliata da due punti di vista : perché chiama boicottaggio quello che invece è
rispetto del Codice Etico e perché non è all’altezza dei principi fondativi del
sistema cooperativo. Di fronte a un genocidio, di fronte a crimini così atroci
come quelli che vengono commessi ogni giorno da Israele a Gaza e nei Territori
Palestinesi Occupati, crediamo che sia necessaria maggiore sensibilità e maggior
senso di responsabilità. E sicuramente il rispetto del Codice Etico.
Ho letto che ci sono state reazioni verbalmente violente: vi hanno accusato di
applicare gli stessi metodi usati dai nazisti quando organizzarono il
boicottaggio dei negozi gestiti da negozianti ebrei. Rispondere a queste accuse
infamanti e dover spiegare la evidenti differenze tra le due cose significa
parlare con persone in malafede, ad ogni modo vuoi dare una risposta definitiva
a chi vi muove tali accuse?
Direi che sono soprattutto accuse ridicole, e, come hai giustamente detto, in
malafede, che in linea di massima si ripetono per ogni azione che mette in
discussione i crimini di Israele. Non esiste nessuna forma di antisemitismo
nelle nostre azioni, siamo contrari/e a ogni forma di razzismo e di
discriminazione. E’ razzismo (e l’antisemitismo è una forma di razzismo)
attribuire una responsabilità a qualcun* per quello che è.
La richiesta alle aziende di non vendere i prodotti israeliani, così come
l’invito ai consumatori e alle consumatrici a boicottare non acquistando, nasce
invece dalla necessità di fermare il genocidio in corso a Gaza e in tutta la
Palestina, e che non è realmente iniziato dopo il 7 ottobre, ma va avanti da
prima della fondazione di Israele, cioè da prima ancora della Nakba, che è il
nome con il quale il popolo palestinese ricorda la pulizia etnica realizzata nel
1948.
Siamo antisionisti, non antisemiti: il sionismo è un progetto politico di
colonialismo d’insediamento, quindi di eliminazione della popolazione nativa. E’
quindi legittimo condannarlo e lottare contro i crimini che ha commesso e sta
commettendo, con il sostegno degli Stati Uniti e anche dell’Europa.
La vostra campagna rientra nella più generale mobilitazione del BDS
(Boicottaggio, Disinvestimento Sanzioni) ma è difficilmente collocabile in una
di queste tre parole d’ordine. Quale è la sua specificità?
La nostra campagna in realtà é più riconducibile a tutte quelle mobilitazioni
che in questi mesi associazioni movimenti spontanei e singoli cittadini hanno
sentito il bisogno di organizzare per fare sentire la propria voce contro il
genocidio in corso, ognuno come poteva. Noi, come soci coop, abbiamo appunto
pensato di richiamare le nostre cooperative al rispetto dei valori fondativi
espressi nel Codice Etico.
Ma direi anche che non è necessario cercare di fare una classificazione rigida.
Quello che importa è diffondere la consapevolezza che mantenere relazioni
commerciali (così come relazioni diplomatiche, di cooperazione accademica e
addirittura militare ) con uno stato che commette un genocidio è una complicità
inaccettabile. Tutte queste relazioni alimentano e consentono il genocidio e
vanno quindi interrotte. Pensiamo che la nostra campagna, come altre azioni
simili, contribuiscano innanzitutto a sviluppare questa consapevolezza.
Quali aspetti credi che siano da sottolineare nella vostra iniziativa ?
Credo che sia stata importante la partecipazione di tante persone e tante
associazioni, che si sono impegnate a diffondere l’iniziativa. In particolare,
mi sembra sia stata significativa la partecipazione a tante assemblee delle
diverse COOP da parte di persone più o meno direttamente coinvolte nella Rete.
In ciascuna di queste assemblee siamo intervenut* per esporre la nostra
richiesta e le nostre ragioni, e abbiamo trovato un grande consenso tra i
partecipanti. Credo che questo abbia aiutato a sensibilizzare e motivare la
Dirigenza delle 3 COOP.
Per quanto riguarda COOP Alleanza 3.0 siamo anche intervenuti, su invito della
Presidenza, all’apertura dell’Assemblea Nazionale dei Delegati, leggendo un
nostro comunicato, prima dell’avvio formale dei lavori.
Crediamo che questo sia stato un momento significativo anche come prova di
capacità di ascolto della voce dei soci da parte della Dirigenza di Coop
Alleanza 3.0.
E adesso? considerate la campagna conclusa, e la funzione della Rete esaurita?
Ci rimane ancora molto da fare. Per cominciare, occorre sostenere la scelta
coraggiosa delle 3 COOP che già hanno scelto di ritirare il prodotti israeliani,
e convincere le altre a imitarle. Per questo appunto stiamo continuando la
campagna con COOP Lombardia e Coop Liguria.
La necessità di interrompere le relazioni commerciali con Israele, inoltre,
riguarda ovviamente tutta la Grande Distribuzione. Già a novembre 2024 abbiamo
scritto una lettera a tutte le principali imprese della Grande Distribuzione e
abbiamo lanciato una petizione online su change.org che attualmente ha raccolto
circa 17.000 firme.
Pensiamo sia necessario rilanciare quest’azione.
Abbiamo anche scritto a Naturasì, che continua a vendere i datteri israeliani
sostenendo che siano prodotti in kibbutz pacifisti. Ma in realtà i kibbutz sono
stati fin dall’inizio degli avamposti per ampliare i confini del territorio che
Israele voleva sottrarre al popolo palestinese e i membri del kibbutz svolgono
regolarmente servizio militare nell’IDF, l’esercito israeliano che ha il compito
fondamentale di terrorizzare la popolazione palestinese nei territori
palestinesi occupati e di condurre l’espropriazione e il genocidio in tutta la
Palestina.
Inoltre Naturasì importa i datteri di questi kibbutz attraverso Hadiklaim, una
cooperativa di esportatori di datteri che è sulla lista nera delle Nazioni Unite
per le sue relazioni con le colonie illegali. La commercializzazione di quei
datteri è perciò complicità. Citando di nuovo il rapporto di Francesca Albanese:
l’economia di occupazione di Israele, basata sullo sfollamento e sul rimpiazzo,
è un’economia di genocidio, un’ “impresa criminale congiunta”.
Ormai una trentina di anni fa le campagne di boicottaggio nei confronti del
regime razzista di Pretoria incrinarono i rapporti commerciali della Repubblica
Sudafricana, sempre più isolata in ogni ambito sportivo culturale economico fino
a convincere i Boeri, una delle comunità più razziste al mondo, a liberare
Nelson Mandela, ad avviare trattative di pace che portarono al pacifico
passaggio del potere e a forme di riconciliazione nell’ambito di una Repubblica
Democratica con identità plurali che non vivono più in recinti separati ma che
si contaminano creando una propria specificità nazionale.
Vedete delle somiglianze tra le due storie?
Le somiglianze ci sono e sono state messe in evidenza innanzitutto dalla
solidarietà espressa dalla stessa Repubblica del Sud Africa, che ha presentato e
documentato l’accusa di genocidio di fronte alla Corte Internazionale dell’Aja.
Si sta sviluppando anche, come allora, una grande mobilitazione internazionale,
anche se con dei ritardi e confrontandosi con una forte repressione. Purtroppo i
governi occidentali, di Stati Uniti, Unione Europea e maggioranza dei suoi
stati, stanno mancando ai loro obblighi di intervenire per prevenire il
genocidio, secondo quanto stabilito dalla Convenzione per la Prevenzione del
Genocidio: in realtà sono complici e anche direttamente responsabili, forniscono
armi, supporto logistico e finanziario al genocidio.
Non siamo in grado di prevedere come evolverà la situazione, sappiamo però che
come società civile abbiamo l’obbligo di agire, e con urgenza: ogni giorno
vediamo atrocità, stragi, violazioni di tutti i diritti umani. Crediamo che sia
il momento che anche sindacati, istituzioni pubbliche, università e imprese
capiscano che non c’è più tempo per esitazioni e assumano le loro
responsabilità.
Mauro Carlo Zanella