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Mille morti in dieci mesi e soprusi quotidiani. Ecco come i palestinesi (soprav)vivono in Cisgiordania
Le colonie nascono come funghi in Cisgiordania, autenticamente dalla sera alla mattina: ti alzi e trovi a 50 metri dal villaggio un avamposto, a volte solo una bandiera, ma il giorno dopo arriva una roulotte, poi spunta un prefabbricato e i pastori palestinesi si ritrovano sotto assedio, in balia dei soprusi quotidiani di coloni e ‘forze dell’ordine’. È esasperata Elena Castellani, volontaria di Assopace Palestina, reduce da quasi tre settimane trascorse in agosto a Masafer Yatta, il villaggio palestinese reso famoso dal documentario premio Oscar “No other land”. Ecco la sua testimonianza, seguita da quella di Sara Emara, attivista italo-egiziana di Amnesty International. Qual è la situazione che hai trovato il mese scorso? Era la terza volta in un anno che andavo a fare ‘interposizione’ per difendere la popolazione palestinese e denunciare gli abusi quotidiani che è costretta a subire. Rispetto all’estate scorsa e a dicembre la situazione già drammatica è ulteriormente peggiorata. L’avvento alla Casa Bianca di Donald Trump e l’appoggio incondizionato del governo estremista di Netanyahu hanno reso i coloni ancora più arroganti. Sanno di poter godere non solo di totale impunità per i loro crimini, ma anche della complicità di tutte le ‘forze di sicurezza’”. Com’è amministrata la Cisgiordania? La Cisgiordania è divisa in tre zone, A, B e C. La prima è (almeno in teoria) governata dai palestinesi sotto l’aspetto amministrativo e militare e copre circa il 18% del territorio, la B (22%) solo per le questioni civili, la Zona C invece è alla mercé degli israeliani, che gestiscono il potere in modo totalmente arbitrario. Con il pretesto di aperture o ampliamenti di zone militari rubano impunemente la terra e il bestiame ai pastori, uccidono le loro galline, avvelenano le capre. Fanno incursioni notturne nelle case, le devastano, bastonano gli anziani, picchiano i ragazzi. Cingendo d’assedio i villaggi impediscono alle famiglie di guadagnarsi da vivere con la pastorizia. Chiudono i pozzi con il cemento, li avvelenano o più spesso deviano il flusso verso le piscine delle colonie illegali. I palestinesi sono quindi costretti ad andare a comprare l’acqua a caro prezzo nella Zona A, e non è sufficiente per irrigare i campi e abbeverare gli animali. Un altro sistema molto usato è la demolizione delle case e delle scuole. I palestinesi di notte le ricostruiscono, ma pochi giorni dopo vengono di nuovo distrutte, magari con dentro gli animali o le loro povere cose. Per costruire o riscostruire serve un permesso che le autorità non concedono mai. Molte famiglie si riducono a vivere dentro le grotte, dove i bambini e gli anziani si ammalano e non c’è neanche la possibilità di farli curare. Nei giorni scorsi all’ingresso del villaggio di At Tuwani in una notte l’esercito ha installato un cancello giallo, trasformato subito in check point: i soldati possono decidere ‘a sentimento’ se e quando far tornare a casa i palestinesi. I palestinesi possono rivolgersi a qualcuno per rivendicare i propri diritti? No. In Area C spadroneggiano i coloni appoggiati dalla polizia, dalle ‘forze di sicurezza’ e dall’esercito. Se qualche palestinese abbozza una minima reazione ai soprusi anche solo a parole si ritrova come minimo pestato e arrestato, ma non di rado viene ferito o ucciso. Secondo l’Onu negli ultimi dieci mesi circa mille palestinesi sono stati uccisi dagli israeliani in Cisgiordania. Chi poi finisce in carcere (e tra questi ci sono centinaia di bambini e adolescenti) può essere sottoposto a tortura fino alla morte e restarci per anni senza poter vedere un avvocato grazie alla ‘detenzione amministrativa’ prevista dalla legge marziale che vige (solo per i palestinesi) in tutti i territori occupati. Qual è l’obiettivo dei coloni israeliani? Vogliono rendere impossibile la vita ai palestinesi per costringerli ad andarsene. E per quanto si tratti di un popolo molto resiliente, spesso riescono nel loro intento. In agosto ho dovuto con tristezza constatare che una comunità che avevo aiutato l’anno scorso aveva ceduto e abbandonato il suo terreno dopo quotidiane incursioni e aggressioni di otto sgherri armati e mascherati: devastavano le case, spruzzavano spray urticante, hanno pestato due ragazzini. Come si può vivere nel terrore? Il problema è che non esistono posti sicuri per i palestinesi, ora più che mai con l’invasione della Striscia di Gaza e il genocidio in corso. Qual è l’attività dei volontari e quali rischi corrono? Il nostro intento è quello di proteggere le famiglie palestinesi, contando sul fatto che la presenza di persone straniere possa fare da deterrente alle incursioni e prepotenze dei coloni. Facciamo turni di guardia la notte per dare l’allarme in caso di bisogno e di giorno accompagniamo quando possibile i pastori al pascolo e i bambini a scuola. Ma siamo ovviamente disarmati e di fronte alle angherie non possiamo far altro che protestare e documentare ciò che accade. Anche noi siamo passibili di arresto, possiamo essere tenuti in cella 24 ore e poi caricati su un aereo diretto a un qualsiasi aeroporto. In passato, alcuni volontari sono stati anche uccisi. È successo un anno fa a Aysenur Ezgi Eygi, 26enne statunitense di origine turca e attivista dell’International solidarity movement, e ancor prima a Tom Hurndall, colpito da un cecchino mentre nella Rafah del 2003, al centro di una pesante offensiva israeliana, indicava ad alcuni bambini dove cercare riparo dalla sparatoria in corso in quel momento e a  Rachel Corrie, schiacciata dai cingoli di una ruspa militare mentre chiedeva di fermare la demolizione della casa di un medico palestinese. Che cosa pensi accadrà alla Global Sumud Flotilla?  Temo saranno attaccati e imprigionati. Israele sa di avere la protezione degli Stati Uniti e di potersi permettere qualsiasi cosa. Tra i rischi che corrono i volontari che da ogni parte del mondo vanno in Cisgiordania c’è anche quello di non riuscire a entrare nei territori occupati. È successo a Sara Emara, attivista italo-egiziana di Amnesty International, che con Elena Castellani e altri tre ha tentato di passare la frontiera con la Giordania. Ho fatto l’errore di presentarmi per prima al controllo passaporti e il cognome egiziano ha destato l’attenzione. Mi hanno trattenuta per oltre sei ore e sottoposta a tre diversi interrogatori. Naturalmente mi ero preparata: la motivazione del viaggio era un pellegrinaggio in Terra Santa con qualche giorno di mare in coda. Avevo svuotato il telefono da tutto ciò che poteva essere compromettente, dai social a molti dei miei contatti. La giustificazione dello smartphone appena sostituito a causa di un furto non ha convinto i soldati, che alla fine mi hanno caricato su un autobus diretto ad Amman. In teoria avrei avuto 30 giorni per fare ricorso; se non lo presenti possono ‘bandirti’ da Israele per 5 anni, ma se lo fai vai incontro a un processo lungo e costoso con altissime probabilità di perdere ed essere condannata per ingresso illegale. Ho dovuto rassegnarmi a tornare in Italia, ma il mio impegno non verrà certo meno. Foto di Elena Castellani Claudia Cangemi
Coloni israeliani illegali prendono d’assalto la Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme
Gerusalemme occupata. Decine di coloni israeliani illegali hanno fatto irruzione mercoledì mattina nel complesso della Moschea di Al-Aqsa, nella Gerusalemme Est occupata, hanno riferito i media locali. I coloni hanno visitato il complesso ed eseguito rituali talmudici sotto la protezione della polizia israeliana, ha riportato l’agenzia di stampa ufficiale Wafa. L’incursione dei coloni è avvenuta in mezzo a crescenti tensioni in tutta la Cisgiordania occupata a causa della brutale offensiva israeliana contro la Striscia di Gaza, dove quasi 63.000 palestinesi sono stati uccisi dall’ottobre 2023. La Moschea di Al-Aqsa è il terzo luogo più sacro al mondo per i musulmani. Gli ebrei chiamano l’area Monte del Tempio, sostenendo che fosse il sito di due templi ebraici nell’antichità. Israele ha occupato Gerusalemme Est, dove si trova Al-Aqsa, durante la guerra arabo-israeliana del 1967. Ha annesso l’intera città nel 1980, in una mossa mai riconosciuta dalla comunità internazionale. (Fonti: MEMO, Anadolu, Wafa).
L’Autorità di Occupazione Israeliana (IOA) inizia la costruzione di una nuova strada per i coloni a Gerusalemme Est
Gerusalemme occupata – PIC. L’Autorità di Occupazione Israeliana (IOA) ha iniziato domenica a costruire una nuova strada per coloni su vaste porzioni di terra palestinese annessa nella città di Hizma, a nord-est di Gerusalemme, sotto stretto controllo di sicurezza e protezione militare. Questo passo fa seguito alla decisione israeliana del 25 giugno 2025 di sequestrare vaste aree di terreno che si estendono dalla strada principale che conduce alla città di Jaba fino all’area di Aqabat, oltre alle aree adiacenti. Il piano di accaparramento di terreni in quest’area dovrebbe proseguire fino alla fine di dicembre 2027. “Questo progetto mira a imporre nuovi fatti compiuti sul terreno e a cambiare il paesaggio della regione come parte di una politica sistematica volta ad espandere gli insediamenti e a giudaizzare la città, azioni che sfidano palesemente le risoluzioni ONU, in particolare la Risoluzione 2334”, ha dichiarato l’ufficio del governatore di Gerusalemme in una nota domenicale. In un altro episodio, un’orda di coloni ebrei estremisti ha sequestrato e recintato una nuova porzione di terreno vicino alle case dei beduini nella zona di al-Farisiya, nella Valle del Giordano settentrionale. Fonti locali hanno riferito che i coloni hanno posizionato segnali metallici e installato filo spinato vicino alle tende delle famiglie beduine nell’area di al-Farisiya. Da diversi mesi, i coloni ebrei stanno sistematicamente occupando e recintando vaste aree di terreni agricoli e pascoli nella valle del Giordano settentrionale, impedendo progressivamente a contadini e pastori locali l’accesso a centinaia di dunum di terra vicino alle loro abitazioni.
La visita di Johnson alla colonia di Ariel non la renderà legittima
In qualità di palestinese, sulla cui terra rubata è stato costruito l’insediamento di Ariel e che vive in un villaggio vicino, sono rimasto profondamente indignato dalla visita del presidente della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti Mike Johnson all’insediamento illegale di Ariel lunedì scorso. Questa visita mira a legittimare il furto della nostra terra dal 1978 e incoraggia i coloni a commettere ulteriori violenze e omicidi contro il mio popolo. Johnson si vanta che le montagne di quella che lui chiama “Giudea e Samaria” appartengono agli ebrei per una promessa di Dio. Non conosco nessun Dio giusto che accetterebbe l’uccisione di innocenti indigeni, il furto delle loro terre e la loro espulsione. Non c’è dubbio che si tratti dello stesso Dio che ha dato agli antenati bianchi di Johnson la licenza suprema di uccidere gli indigeni dell’Isola della Tartaruga e di fondare gli Stati Uniti d’America. L’insediamento di Ariel è stato fondato alla fine degli anni ’70 su terre rubate ai villaggi palestinesi nella zona di Salfit, nella Cisgiordania occupata. Ricordo ancora il bellissimo paesaggio che vedevo dalla finestra della mia casa nel villaggio di Qira, quando guardavo la collina di “Jabal Qurra”, prima che lo Stato di Israele la rubasse. Poi l’ha dichiarata espropriata per uso pubblico prima di darla ai coloni per costruirci la loro colonia. Ricordo la prima roulotte collocata in questo insediamento e come questa collina si sia trasformata in un terrificante blocco di cemento in pochi anni. Poco dopo, altri insediamenti hanno cominciato ad apparire qua e là sulle colline circostanti, soffocandoci e impedendo la nostra naturale espansione e crescita, impedendoci di muoverci e quasi bloccando l’aria che respiriamo. Costruito su terreni privati di “Jabal Qurra” rubati agli indigeni palestinesi della zona, l’insediamento di Ariel è ora fiorente e si sta espandendo fino a diventare una città di oltre 20.000 coloni. Vanta una stazione di polizia, un’università vergognosamente riconosciuta da molte istituzioni accademiche occidentali, aree ricreative e commerciali, spazi verdi e parchi pubblici, scuole e asili, assistenza sanitaria, sinagoghe e altro ancora. I suoi residenti illegali, coloni provenienti da tutto il mondo, godono del bellissimo clima montano, dell’acqua abbondante e delle piscine rubate dal pozzo “Bir Maad” e dalla vicina sorgente “Ein Simita”. Godono anche del paesaggio pittoresco, della libertà di movimento assoluta e dell’intera gamma di servizi, strutture e privilegi forniti dal governo occupante. Tutto questo è stato recentemente “incoronato” dal presidente della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti Johnson, il più alto funzionario statunitense ad aver visitato un insediamento israeliano in Cisgiordania. Nel frattempo, i villaggi palestinesi circostanti, situati dall’altra parte della strada e fondati secoli fa, soffrono di una grave carenza di acqua sotterranea a causa del divieto imposto dall’occupazione di utilizzare quella stessa acqua, con conseguente mancanza di servizi di base. Decine di residenti di questi villaggi sono stati uccisi dalle forze di occupazione e dai coloni. Tutti gli accessi a questi villaggi sono stati chiusi con cancelli di ferro durante la seconda Intifada e lo sono ancora oggi. Lo sviluppo dei villaggi è vietato e le case costruite senza l’approvazione israeliana vengono demolite. Ai palestinesi è vietato l’accesso all’insediamento di Ariel, circondato da filo spinato e telecamere, e viene impedito loro di utilizzare i propri terreni adiacenti all’insediamento. La visita di Johnson alla colonia arriva nel mezzo della più grande, pericolosa ed estesa espansione degli insediamenti e della campagna di terrore condotta dai coloni contro i residenti della Cisgiordania occupata. Coincide con la pulizia etnica e l’espulsione della popolazione palestinese in Cisgiordania, in particolare nelle zone rurali, mentre l’occupazione sta commettendo genocidio e affamando la popolazione nella Striscia di Gaza. Il messaggio politico di questa visita è quello di legittimare l’uccisione e lo sfollamento dei palestinesi e il furto delle loro terre, fornendo una copertura ai crimini dei coloni in Cisgiordania e ostacolando il crescente riconoscimento internazionale dello Stato palestinese e della soluzione dei due Stati. Johnson lo ha chiarito durante la sua visita, affermando che queste terre non sono occupate, ma che è diritto degli ebrei acquisirle e che gli Stati Uniti sostengono questo loro diritto. “Le Scritture ci insegnano che le montagne della Giudea e della Samaria sono state promesse al popolo ebraico e appartengono loro di diritto. Ma molte persone in tutto il mondo non la vedono in questo modo, le etichettano come ‘territori occupati’ o ‘Cisgiordania’ o con qualsiasi altro nome”, aggiunge. “Ogni sindaco qui dovrebbe sapere esattamente qual è la nostra posizione su questo tema: noi siamo dalla vostra parte”. Non c’è da stupirsi che questa visita sia stata organizzata dai leader dei coloni del cosiddetto “Consiglio Yesha”, le cui mani e quelle delle loro bande di criminali “Hilltop Youth” sono macchiate del sangue di contadini innocenti nei villaggi di Turmusayya, Sinjil, Silwad, Kafr Malik e molti altri. Johnson non si preoccuperà di visitare i villaggi palestinesi circostanti, né si preoccuperà di visitare le famiglie dei cittadini americani di origine palestinese che sono stati uccisi dai coloni terroristi nel corso degli anni, gli ultimi dei quali sono stati uccisi pochi giorni fa, a breve distanza dal luogo che stava visitando. Johnson è stato ricevuto dal cosiddetto “sindaco di Ariel”, Yair Chetboun, un colono estremista che incita costantemente l’esercito israeliano a maltrattare i palestinesi. Negli ultimi mesi, ha preso personalmente l’iniziativa di chiudere le strade che conducono ai nostri villaggi palestinesi. In seguito, l’esercito ha permesso che questi accessi fossero parzialmente riaperti, ma ancora una volta egli si è opposto alla decisione e ha fatto intervenire un bulldozer per chiudere con la forza le strade palestinesi, con la scusa che il traffico palestinese ostacola la circolazione dei coloni, soprattutto nelle ore di punta. Gli accessi ai villaggi rimangono chiusi. A peggiorare le cose, Johnson era accompagnato nella sua visita – insieme a diversi membri del Congresso degli Stati Uniti – dall’ambasciatore del suo paese in Israele, Mike Huckabee, che è ancora più estremista della stessa destra israeliana. Non c’è prova più evidente di questo estremismo del suo negare l’esistenza della carestia o della pulizia etnica a Gaza, che ha visitato la scorsa settimana accompagnato dall’inviato speciale degli Stati Uniti in Medio Oriente Steve Witkoff. Mentre Johnson visitava con orgoglio l’insediamento di Ariel, i miei concittadini dei villaggi vicini, che lui non aveva certamente mai visto, erano imprigionati dietro cancelli di ferro e soffrivano di una grave carenza di acqua e servizi. Mentre lui pronunciava le sue parole altisonanti, i coloni bruciavano i campi nei vicini villaggi palestinesi, realizzando la profezia di Johnson secondo cui questa terra era un diritto esclusivo degli ebrei e che, secondo il punto di vista americano, i palestinesi non avevano alcun diritto di viverci. Come palestinese autoctono che vive in questo Paese, dico al signor Johnson e alla sua banda: il primo piano della casa della mia famiglia dove vivo a Qira è stata costruita dal mio bisnonno più di 300 anni fa, ben prima della fondazione del vostro Stato. Il piano superiore della mia casa è stato costruito da mio padre anni prima che fosse fondato l’insediamento di Ariel, e i miei figli stanno ora progettando di costruirne uno nuovo. I miei ulivi sono stati piantati dai miei antenati centinaia di anni fa e continuano a dare frutti. Io e i miei figli ne piantiamo altri ogni anno e abbiamo intenzione di piantarne ancora. Noi palestinesi, i veri proprietari della terra, rimarremo in questo Paese, che è nostro, ereditato dai nostri padri e dai nostri nonni. Lo coltiviamo, lo curiamo e ne raccogliamo le olive. La vostra visita non cambierà questo fatto, né cancellerà questo diritto. Sì, soffriamo per rimanere su questa terra, perdiamo alcuni dei nostri figli ogni giorno, ma ne rimarranno abbastanza per perseverare e coltivare la terra, guadagnando il minimo indispensabile per sopravvivere. Siamo ancora qui e determinati a vincere la nostra nobile e giusta causa con il sostegno dei popoli liberi del mondo. Il futuro appartiene ai giovani delle nazioni libere, che sono sempre più consapevoli della vostra ipocrisia e complicità nel crimine dell’occupazione per ingraziarvi i vostri padroni che finanziano le vostre campagne elettorali. Persone come voi saranno dimenticate il giorno dopo aver perso le loro posizioni e scompariranno dagli annali della storia. Fareed Taamallah tradotto da Nazarena Lanza Articolo originale su Middle East Monitor: https://www.middleeastmonitor.com/20250809-johnsons-visit-to-the-illegal-ariel-settlement-will-not-make-it-legitimate/#disqus_thread Foto: Il presidente della Camera Mike Johnson (R-LA) parla durante una conferenza stampa insieme ad altri leader repubblicani della Camera al Campidoglio degli Stati Uniti a Washington, DC, il 19 novembre 2024. [Nathan Posner – Anadolu Agency] Redazione Piemonte Orientale
Attacchi dei coloni in Cisgiordania: memorie della Nakba
La Striscia di Gaza è teatro di un genocidio perpetrato dall’esercito di occupazione israeliano dall’ottobre 2023, mentre la Cisgiordania è teatro di una pulizia etnica sistematica da parte dei coloni terroristi sotto la protezione dell’esercito di occupazione israeliano. Questa atmosfera ci ricorda, come palestinesi nei territori occupati, il periodo che ha preceduto la Nakba del 1948, che ha portato alla catastrofe e allo sfollamento della maggior parte del popolo palestinese e alla costituzione dello Stato di Israele sul 78% della Palestina storica, tra la debolezza araba e l’approvazione internazionale. Sembra che Israele ritenga ora che le condizioni siano mature per completare l’imposizione della sua sovranità e l’annessione del resto della Palestina. Dall’inizio della guerra genocida contro Gaza, abbiamo assistito a feroci attacchi dei coloni contro i villaggi della Cisgiordania. Questi attacchi sono diventati sempre più violenti, distruttivi e sanguinosi, verificandosi quotidianamente e con crescente frequenza, simultaneamente in tutta la Cisgiordania, con l’obiettivo di espellere la popolazione indigena e impadronirsi delle loro terre. Questi attacchi vengono compiuti sotto lo sguardo attento dell’esercito di occupazione israeliano e della polizia, che garantiscono ai coloni l’impunità per i loro crimini. Tuttavia, negli ultimi giorni i coloni hanno attaccato installazioni militari israeliane nell’insediamento di Beit El vicino a Ramallah, protestando contro il breve arresto di diversi coloni che avevano lanciato pietre contro i soldati israeliani. Queste scene ricordano a noi palestinesi la violenza e i massacri perpetrati dalle bande sioniste prima della Nakba del 1948, sotto lo sguardo vigile dell’esercito britannico, e la successiva escalation di questi crimini, che in seguito hanno preso di mira le installazioni militari britanniche e hanno fatto da preludio alla pulizia etnica che ha preceduto e accompagnato la Nakba.   Il terrorismo dei coloni sta aprendo la strada a una nuova Nakba Gli attacchi dei coloni sono diventati più violenti e diffusi perché godono di copertura politica, militare e legale, oltre che del sostegno finanziario del governo israeliano. Godono anche del pieno sostegno americano, in particolare da quando Donald Trump è entrato alla Casa Bianca, e della complicità occidentale. A livello politico, i leader più importanti dei coloni fanno parte del governo, prendono decisioni politiche e conferiscono legittimità ai leader dei coloni e alla loro teppaglia, in particolare attraverso i ministri estremisti Itamar Ben-Gvir e Betslael Smotrich. Non nascondono la loro intenzione di attuare il piano di annessione della Cisgiordania e di imporre la sovranità israeliana su di essa, in quello che chiamano il “piano decisivo”. Incitano apertamente all’uccisione e allo sfollamento dei palestinesi, sia in Cisgiordania che nella Striscia di Gaza. Questa copertura politica è accompagnata dal governo israeliano, in particolare dal ministro della Sicurezza nazionale estremista Ben-Gvir, che sta procedendo a un massiccio armamento dei coloni per difendersi dal “terrorismo palestinese”. Ciò si traduce nel fatto che queste armi vengono fornite ai coloni per uccidere e terrorizzare i palestinesi e impadronirsi delle loro terre con la forza. D’altra parte, gli attacchi dei coloni ai villaggi palestinesi avvengono sotto la forte presenza militare israeliana, che interviene solo se i palestinesi resistono agli attacchi. L’esercito allora spara per uccidere i palestinesi, come è successo nel villaggio di Kafr Malik, a est di Ramallah, la scorsa settimana (l’articolo originale è stato pubblicato il 4 luglio 2025 su Middle East Monitor). L’esercito di occupazione ha anche installato cancelli di ferro e barriere agli ingressi di tutti i villaggi e città palestinesi per impedire la circolazione dei palestinesi e isolare la Cisgiordania attraverso più di 900 barriere e cancelli. Questa punizione collettiva mira a minare qualsiasi tentativo di contiguità territoriale o di autodifesa da parte dei palestinesi e lascia la libertà di movimento esclusivamente ai coloni, dando loro un vantaggio offensivo. Il governo israeliano ha inventato misure legali emanate sotto forma di ordini militari dall’amministrazione civile per modificare la realtà demografica e geografica della Cisgiordania, espellendo un numero maggiore di residenti e consentendo ai coloni di assumere il controllo dell’area. Le autorità di occupazione hanno istituito quello che chiamano “insediamento pastorale”. Ciò significa che consentono a un singolo colono, o a un numero molto ridotto di coloni, di appropriarsi di migliaia di dunam (1 dunam equivale a 1000m2) di terra palestinese per il pascolo del bestiame. Ai palestinesi è vietato coltivare o utilizzare queste terre perché sono diventate pascoli. Immaginate l’immensa ricchezza di cui godrà questo colono, che beneficia di questi pascoli, quando prenderà possesso di queste terre dopo l’annessione della Cisgiordania e l’imposizione della sovranità israeliana su di esse. Ciò ricorda il selvaggio West americano e le storie dei cowboy che uccidevano i nativi americani, si appropriavano delle loro terre e diventavano ricchi. L’amministrazione civile emette anche ordini militari che dichiarano vaste aree “riserve naturali”, vietando ai proprietari palestinesi di coltivarle o raccoglierne i frutti, anche se sono di proprietà privata e sono state coltivate per centinaia di anni. Lo scopo di questa misura è quello di espellere la popolazione indigena e sostituirla con coloni. Un altro metodo per espellere le popolazioni e confiscare la terra consiste nel dichiarare ampie aree “zone militari”, alle quali i palestinesi non possono accedere. Queste aree vengono poi assegnate ai coloni per essere utilizzate sotto la copertura militare. Gli attacchi quotidiani dei coloni includono l’incendio di proprietà come case e automobili, l’incendio di coltivazioni, in particolare uliveti e campi di grano, e il lancio di pietre contro i veicoli palestinesi che viaggiano sulle strade principali. In molti casi, i palestinesi sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco. È significativo che nessuno dei coloni sia stato assicurato alla giustizia, né sia mai stata avviata alcuna indagine sugli incidenti. Il silenzio del mondo è complicità I coloni e i loro leader vedono ora l’opportunità di annettere la Cisgiordania, o gran parte di essa, a Israele. Interpretano il silenzio del mondo e l’incapacità di fermare i crimini di Israele come un via libera per completare la missione. Alla luce dell’incapacità del mondo di fermare la guerra di annientamento a Gaza e la guerra israeliana contro l’Iran, soprattutto data la presenza di un presidente americano filoisraeliano che si allinea quasi completamente all’aggressione israeliana. Tutte queste circostanze e questi eventi sono molto simili alle condizioni che prevalevano a metà degli anni ’40. Dopo la vittoria della Gran Bretagna e dei suoi alleati nella seconda guerra mondiale, i combattenti armati sionisti terminarono il lavoro al fronte e giunsero in Palestina. Dichiararono l’inizio della battaglia decisiva che portò alla pulizia etnica del 78% della Palestina storica in preparazione alla creazione dello Stato ebraico, con l’approvazione internazionale e in particolare occidentale. Durante quel periodo, gli attacchi contro la popolazione indigena si intensificarono e si estesero e le bande sioniste commisero numerosi massacri, in particolare il massacro di Deir Yassin, con l’obiettivo di terrorizzare la popolazione e costringerla ad andarsene e a cedere le proprie terre, cosa che successivamente avvenne. Le bande sioniste si sentirono sempre più sicure e incoraggiate e iniziarono ad attaccare le installazioni e il personale militare britannico, nonché le autorità britanniche che avevano favorito la loro crescita, le avevano armate e avevano permesso l’immigrazione ebraica in Palestina. Uno degli attacchi terroristici più notevoli fu quello del 1946 contro il quartier generale amministrativo britannico al King David Hotel di Gerusalemme. Noi, palestinesi che viviamo in Cisgiordania, siamo esausti per la guerra che ci viene mossa da oltre un secolo. Sentiamo questa nuova catastrofe avvicinarsi a piccoli passi. Siamo indifesi e privi dei mezzi per difenderci dalle bande armate organizzate, sostenute da un governo e da un esercito che imperversano in tutto il Medio Oriente. Il mondo arabo rimane in silenzio e non fa nulla, se non condannare e denunciare gli attacchi dei coloni, mentre l’Occidente è complice del genocidio a Gaza e della pulizia etnica in Cisgiordania. La nostra unica speranza di sopravvivenza risiede nella continua pressione dei popoli liberi sui loro governi e nel fatto che il mondo trasformi la sua condanna verbale in azioni concrete sul campo, ritenendo Israele e i suoi leader responsabili dei loro crimini, boicottandoli economicamente e politicamente e imponendo loro sanzioni prima che sia troppo tardi. di Fareed Taamallah tradotto da Nazarena Lanza Articolo originale: https://www.middleeastmonitor.com/20250704-settler-attacks-in-the-west-bank-memories-of-the-pre-nakba-period/   Redazione Piemonte Orientale
Ucciso da un colono israeliano uno degli attivisti di “No Other Land”
Dopo essere stato trasportato d’urgenza in ospedale per ferite da arma da fuoco, è morto Awdah Hathaleen, famoso attivista e giornalista palestinese presente anche nel documentario premio Oscar “No Other Land”. L’assassino è un colono israeliano, anche lui famoso, ma per essere un esempio di cosa significa il sionismo in Cisgiordania. […] L'articolo Ucciso da un colono israeliano uno degli attivisti di “No Other Land” su Contropiano.
Coop: rispettate il codice etico e aiutateci a fermare il genocidio
Ha ottenuto in questi giorni molto rilievo, sulla stampa nazionale e su quella internazionale, l’annuncio da parte di Coop Alleanza 3.0, la più grande delle cooperative del sistema COOP, della sua scelta di ritirare i prodotti israeliani dai suoi scaffali, motivata con l’impossibilità di “rimanere indifferente davanti alle violenze in corso nella Striscia di Gaza”, e dalla necessità di “dare un segnale di coerenza” dopo “le escalation di queste ultime settimane.” Nel comunicato si informava anche che, per arricchire il dialogo interno, “una rappresentanza di soci e socie che da tempo si sono mobilitati per la Palestina è stata invitata ad intervenire all’Assemblea generale di Coop Alleanza 3.0 dello scorso 21 giugno”. Per approfondire questo tema di grande interesse e capire meglio in cosa consiste questa mobilitazione, ho intervistato alcuni attivisti della campagna  Soci/e COOP per la Palestina e della Rete No ai prodotti israeliani nella Grande Distribuzione. Le risposte sono la sintesi di una più lunga conversazione e sono state da loro approvate e presentate come se si trattasse di una sola persona. Vuoi provare a spiegarci in cosa consiste la campagna, che è a tutti gli effetti una campagna di lotta nonviolenta, cosa che Pressenza, Agenzia di Stampa per la Pace, contro la guerra, per i diritti umani e la nonviolenza vorrebbe valorizzare al massimo. L’iniziativa è nata ad aprile 2024 da un gruppo di socie e soci COOP che avevano segnalato alle loro associazioni che nei punti vendita COOP erano esposti prodotti israeliani (ad esempio avocado e arachidi, a volte datteri etc.). L’azione, che si è poi estesa a tutta la Grande Distribuzione, è cominciata con la COOP perché un gran numero di soci e socie ha ritenuto importante e necessario, proprio nella loro veste di soci/e quindi “comproprietari/e”, e richiamandosi al Codice Etico della stessa COOP, far valere la propria voce. Non si tratta quindi di boicottare la COOP, ma aprire un dialogo richiamandosi a valori comuni e ai principi fondativi della stessa COOP per segnalare e chiedere di modificare alcuni comportamenti ce li violano. E’ importante sottolineare che quello che è stato chiesto alla COOP non è di boicottare, ma di esercitare, come è scritto nel suo Codice Etico, il suo diritto/dovere di scegliere i propri fornitori in modo da mantenere il suo impegno di garantire ai consumatori che per i prodotti in vendita non ci siano state violazioni di diritti umani o del diritto internazionale lungo tutta la filiera di produzione. Infatti boicottare è azione del consumatore, all’impresa invece è richiesta una responsabilità etica. Abbiamo cominciato a chiedere il ritiro dei prodotti agricoli perché il sistema agricolo israeliano è uno degli elementi fondamentali del sistema di espropriazione, colonizzazione, occupazione, apartheid. Le ditte produttrici ed esportatrici israeliane infatti sono in coinvolte nelle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale attraverso diversi meccanismi: in quanto profittano delle espropriazioni di terre palestinesi, dei blocchi a importazione ed esportazione di prodotti palestinesi e della competizione sleale che su queste pratiche si fonda, e così contribuiscono a distruggere l’agricoltura palestinese e la fonti di sopravvivenza delle popolazioni locali. Tutta la terra sulla quale si sviluppa l’agricoltura israeliana è stata sottratta al popolo palestinese e il processo continua oggi con l’espansione violenta degli insediament : ogni giorno i coloni attaccano le famiglie contadine e di pastori, distruggono le coltivazioni, aggrediscono chi lavora nei campi. Crediamo che sia necessario non essere complici di questo processo che conduce inevitabilmente al genocidio. Puoi farci il punto della situazione: quali Coop sono state coinvolte, quali regioni o territori rappresentano, quali risposte avete avuto… in sostanza: a che punto è in questo momento la campagna? La Rete coinvolge ora, attraverso la rete di associazioni e persone, 4 Cooperative (Alleanza 3.0, Unicoop Firenze, Unicoop Tirreno, Coop Lombardia), che sono le maggiori del sistema COOP e insieme rappresentano più del 60% del fatturato COOP in Italia. In realtà si era poi estesa a COOP Centro Italia, in Umbria, che però si è ora fusa con Unicoop Tirreno formando Coop Etruria. Proprio in questi giorni, un gruppo di soci/e e associazioni ha invece cominciato la campagna su Coop Liguria. Dalle prime 3, Coop Alleanza 3.0, Unicoop Firenze, Unicoop Tirreno, abbiamo già avuto, a giugno 2025, una risposta positiva, cioè il ritiro dei prodotti israeliani. Coop Alleanza 3.0, in particolare, ha reso nota questa decisione con un comunicato stampa, una scelta che consideriamo importante e coraggiosa. La campagna si è retta sul contributo di più di 160 associazioni in diversi territori, spesso riunite in coordinamenti cittadini (come Bologna per la Palestina, Firenze per la Palestina, Lucca per la Palestina, Modena per la Palestina etc.) che hanno aderito e contribuito a diffondere la nostra richiesta. Potresti illustrare, come in una sorta di vademecum, i passi che avete fatto concretamente, nello svilupparsi della campagna, in modo che anche altri gruppi o perfino altri singole persone, ad esempio già socie di una delle coop, possano iniziare una vertenza; in un territorio e quindi in una coop che non è ancora stata coinvolta? Adesso il primo passo che suggeriamo è quello di contattarci, attraverso il nostro indirizzo email, che si trova nella petizione online Petition · DICIAMO NO AI PRODOTTI ISRAELIANI NEI NOSTRI SUPERMERCATI. FERMIAMO IL GENOCIDIO! – Italien · Change.org. E questo è proprio quello che hanno fatto le persone e gruppi che si sono attivati dopo aver conosciuto la nostra iniziativa. Se vogliamo considerare invece i passi che abbiamo fatto noi, dall’inizio, allora direi che la prima cosa è stata scrivere una lettera al presidente di Coop Alleanza 3.0, presentando la nostra richiesta e chiedendo un incontro. Nello stesso tempo abbiamo scritto anche a ANCC, COOP ITALIA e LEGACOOP, cioè gli organismi politico/sindacali e commerciali di tutto il mondo coop chiedendo loro di appoggiare e favorire la nostra richiesta per gli ambiti di loro competenza. Poi abbiamo lanciato la lettera online, chiedendo a soci e socie di firmarla e diffondendola sia attraverso i nostri contatti e i social dei nostri coordinamenti e delle nostre associazioni, sia attraverso il volantinaggio fuori ai punti vendita COOP. Il volantinaggio con raccolta firme é stato un momento molto importante perché oltre a raccogliere firme ci ha permesso di parlare con molte centinaia di persone sensibilizzandole sul tema del genocidio in Palestina. Poi, abbiamo cominciato a partecipare alle assemblee separate, cioè le assemblee per l’approvazione del bilancio di esercizio e del bilancio etico che le COOP organizzano ogni anno: lo abbiamo fatto nel 2024, e poi di nuovo nel 2025. Già che ci siamo, potresti spiegarci come si articolano a livello territoriale le coop, in quali assemblee può intervenire un socio e quali sono gli organi decisionali in grado di prendere la decisione di togliere dagli scaffali delle Coop i prodotti israeliani? Le diverse COOP hanno articolazioni territoriali diverse, possono comprendere una o più regioni, e un numero variabile di punti vendita. Hanno un organismo nazionale, l’ANCC, che le rappresenta e in cui vengono portate a sintesi le scelte strategiche/politiche che devono essere comuni. Mentre per le necessarie economie di scala e le esigenze di efficienza sono consorziate in Coop Italia. Coop Italia quindi gestisce il listino dei prodotti e i relativi contratti con i fornitori, raccogliendo le esigenze che dalle varie Coop vengono espressi. Ogni Coop poi attinge da questo listino/assentimento nazionale secondo le proprie specifiche esigenze, e mette in vendita anche prodotti che non sono nel listino Coop Italia. Perché solo ogni Coop conosce a fondo le esigenze del suo mercato e dei suoi soci: per questo le Coop di cui sopra hanno potuto interrompere l’acquisto dei prodotti israeliani, e acquistare la Gaza Cola, raccogliendo una richiesta proveniente dai loro soci. Per questo motivo la dichiarazione che è stata pubblicata su diversi giornali, che riporta una dichiarazione Ernesto Dalle Rive Presidente Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) espressa all’interno di una riunione di presidenza, non implica un passo indietro da parte delle COOP che hanno scelto di interrompere la endita di prodotti israeliani. Certamente segnala l’esistenza di posizioni diverse all’interno del sistema COOP. Vorrei però ricordare le raccomandazioni contenute nel rapporto di Francesca Albanese, la relatrice per i diritti del popolo palestinese alle Nazioni Unite nel rapporto che è uscito proprio in questi giorni, il primo luglio 2025, tra le quali quella di « cessare prontamente tutte le attività commerciali e terminare le relazioni direttamente collegate ». Direi che la posizione espressa da Dalle Rive, oltre a non essere decisiva, è sbagliata da due punti di vista : perché chiama boicottaggio quello che invece è rispetto del Codice Etico e perché non è all’altezza dei principi fondativi del sistema cooperativo. Di fronte a un genocidio, di fronte a crimini così atroci come quelli che vengono commessi ogni giorno da Israele a Gaza e nei Territori Palestinesi Occupati, crediamo che sia necessaria maggiore sensibilità e maggior senso di responsabilità. E sicuramente il rispetto del Codice Etico. Ho letto che ci sono state reazioni verbalmente violente: vi hanno accusato di applicare gli stessi metodi usati dai nazisti quando organizzarono il boicottaggio dei negozi gestiti da negozianti ebrei. Rispondere a queste accuse infamanti e dover spiegare la evidenti differenze tra le due cose significa parlare con persone in malafede, ad ogni modo vuoi dare una risposta definitiva a chi vi muove tali accuse? Direi che sono soprattutto accuse ridicole, e, come hai giustamente detto, in malafede, che in linea di massima si ripetono per ogni azione che mette in discussione i crimini di Israele. Non esiste nessuna forma di antisemitismo nelle nostre azioni, siamo contrari/e a ogni forma di razzismo e di discriminazione. E’ razzismo (e l’antisemitismo è una forma di razzismo) attribuire una responsabilità a qualcun* per quello che è. La richiesta alle aziende di non vendere i prodotti israeliani, così come l’invito ai consumatori e alle consumatrici a boicottare non acquistando, nasce invece dalla necessità di fermare il genocidio in corso a Gaza e in tutta la Palestina, e che non è realmente iniziato dopo il 7 ottobre, ma va avanti da prima della fondazione di Israele, cioè da prima ancora della Nakba, che è il nome con il quale il popolo palestinese ricorda la pulizia etnica realizzata nel 1948. Siamo antisionisti, non antisemiti: il sionismo è un progetto politico di colonialismo d’insediamento, quindi di eliminazione della popolazione nativa. E’ quindi legittimo condannarlo e lottare contro i crimini che ha commesso e sta commettendo, con il sostegno degli Stati Uniti e anche dell’Europa. La vostra campagna rientra nella più generale mobilitazione del BDS (Boicottaggio, Disinvestimento Sanzioni) ma è difficilmente collocabile in una di queste tre parole d’ordine. Quale è la sua specificità? La nostra campagna in realtà é più riconducibile a tutte quelle mobilitazioni che in questi mesi associazioni movimenti spontanei e singoli cittadini hanno sentito il bisogno di organizzare per fare sentire la propria voce contro il genocidio in corso, ognuno come poteva. Noi, come soci coop, abbiamo appunto pensato di richiamare le nostre cooperative al rispetto dei valori fondativi espressi nel Codice Etico. Ma direi anche che non è necessario cercare di fare una classificazione rigida. Quello che importa è diffondere la consapevolezza che mantenere relazioni commerciali (così come relazioni diplomatiche, di cooperazione accademica e addirittura militare ) con uno stato che commette un genocidio è una complicità inaccettabile. Tutte queste relazioni alimentano e consentono il genocidio e vanno quindi interrotte. Pensiamo che la nostra campagna, come altre azioni simili, contribuiscano innanzitutto a sviluppare questa consapevolezza. Quali aspetti credi che siano da sottolineare nella vostra iniziativa ? Credo che sia stata importante la partecipazione di tante persone e tante associazioni, che si sono impegnate a diffondere l’iniziativa. In particolare, mi sembra sia stata significativa la partecipazione a tante assemblee delle diverse COOP da parte di persone più o meno direttamente coinvolte nella Rete. In ciascuna di queste assemblee siamo intervenut* per esporre la nostra richiesta e le nostre ragioni, e abbiamo trovato un grande consenso tra i partecipanti. Credo che questo abbia aiutato a sensibilizzare e motivare la Dirigenza delle 3 COOP. Per quanto riguarda COOP Alleanza 3.0 siamo anche intervenuti, su invito della Presidenza, all’apertura dell’Assemblea Nazionale dei Delegati, leggendo un nostro comunicato, prima dell’avvio formale dei lavori. Crediamo che questo sia stato un momento significativo anche come prova di capacità di ascolto della voce dei soci da parte della Dirigenza di Coop Alleanza 3.0. E adesso? considerate la campagna conclusa, e la funzione della Rete esaurita? Ci rimane ancora molto da fare. Per cominciare, occorre sostenere la scelta coraggiosa delle 3 COOP che già hanno scelto di ritirare il prodotti israeliani, e convincere le altre a imitarle. Per questo appunto stiamo continuando la campagna con COOP Lombardia e Coop Liguria. La necessità di interrompere le relazioni commerciali con Israele, inoltre, riguarda ovviamente tutta la Grande Distribuzione. Già a novembre 2024 abbiamo scritto una lettera a tutte le principali imprese della Grande Distribuzione e abbiamo lanciato una petizione online su change.org che attualmente ha raccolto circa 17.000 firme. Pensiamo sia necessario rilanciare quest’azione. Abbiamo anche scritto a Naturasì, che continua a vendere i datteri israeliani sostenendo che siano prodotti in kibbutz pacifisti. Ma in realtà i kibbutz sono stati fin dall’inizio degli avamposti per ampliare i confini del territorio che Israele voleva sottrarre al popolo palestinese e i membri del kibbutz svolgono regolarmente servizio militare nell’IDF, l’esercito israeliano che ha il compito fondamentale di terrorizzare la popolazione palestinese nei territori palestinesi occupati e di condurre l’espropriazione e il genocidio in tutta la Palestina. Inoltre Naturasì importa i datteri di questi kibbutz attraverso Hadiklaim, una cooperativa di esportatori di datteri che è sulla lista nera delle Nazioni Unite per le sue relazioni con le colonie illegali. La commercializzazione di quei datteri è perciò complicità. Citando di nuovo il rapporto di Francesca Albanese: l’economia di occupazione di Israele, basata sullo sfollamento e sul rimpiazzo, è un’economia di genocidio, un’ “impresa criminale congiunta”. Ormai una trentina di anni fa le campagne di boicottaggio nei confronti del regime razzista di Pretoria incrinarono i rapporti commerciali della Repubblica Sudafricana, sempre più isolata in ogni ambito sportivo culturale economico fino a convincere i Boeri, una delle comunità più razziste al mondo, a liberare Nelson Mandela, ad avviare trattative di pace che portarono al pacifico passaggio del potere e a forme di riconciliazione nell’ambito di una Repubblica Democratica con identità plurali che non vivono più in recinti separati ma che si contaminano creando una propria specificità nazionale. Vedete delle somiglianze tra le due storie? Le somiglianze ci sono e sono state messe in evidenza innanzitutto dalla solidarietà espressa dalla stessa Repubblica del Sud Africa, che ha presentato e documentato l’accusa di genocidio di fronte alla Corte Internazionale dell’Aja. Si sta sviluppando anche, come allora, una grande mobilitazione internazionale, anche se con dei ritardi e confrontandosi con una forte repressione. Purtroppo i governi occidentali, di Stati Uniti, Unione Europea e maggioranza dei suoi stati, stanno mancando ai loro obblighi di intervenire per prevenire il genocidio, secondo quanto stabilito dalla Convenzione per la Prevenzione del Genocidio: in realtà sono complici e anche direttamente responsabili, forniscono armi, supporto logistico e finanziario al genocidio. Non siamo in grado di prevedere come evolverà la situazione, sappiamo però che come società civile abbiamo l’obbligo di agire, e con urgenza: ogni giorno vediamo atrocità, stragi, violazioni di tutti i diritti umani. Crediamo che sia il momento che anche sindacati, istituzioni pubbliche, università e imprese capiscano che non c’è più tempo per esitazioni e assumano le loro responsabilità. Mauro Carlo Zanella
OCHA: dalla prima metà di quest’anno, i coloni israeliani hanno lanciato circa 740 attacchi
Cisgiordania. L’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA) ha dichiarato che, nella prima metà di quest’anno, i coloni israeliani hanno lanciato circa 740 attacchi. Ha aggiunto che l’aumento della violenza dei coloni in Cisgiordania sta aggravando lo sfollamento dei palestinesi e ostacola il loro accesso agli aiuti umanitari. Gli attacchi hanno causato 340 feriti tra i palestinesi e danni materiali ingenti.
Ora i coloni «monarchici» attaccano anche i soldati
Gerusalemme. L’Esercito, scriveva ieri Haaretz, «non ha ancora deciso» se indagare sugli spari che la scorsa settimana hanno ucciso tre giovani del villaggio palestinese di Kufr Malik, assaltato da decine di coloni israeliani armati. Non sorprende. E comunque, le indagini sulle uccisioni di palestinesi da parte di soldati e coloni […] L'articolo Ora i coloni «monarchici» attaccano anche i soldati su Contropiano.