Londra chiama ENI per stoccare CO2, ma sui carbonodotti restano molti dubbi
di Eva Pastorelli e Antonio Tricarico – pubblicato su Domani
E alla fine i sussidi arriveranno, e anche abbondanti. Il Liverpool Bay CCS, il
primo progetto su larga scala di Eni per la cattura e lo stoccaggio del carbonio
ha strappato il sostegno finanziario del governo inglese per la realizzazione
del carbonodotto che dovrà raccogliere l’anidride carbonica catturata su una
ventina di siti industriali della Baia di Liverpool nell’ambito dello schema
HyNet North-West.
Una volta catturata e trasformata per il trasporto, la CO2 arriverà al terminal
di Point of Ayr, sulla costa del Nord del Galles, per poi andare sotto il mare e
raggiungere tre giacimenti di gas quasi esauriti operati da Eni, giacimenti che
saranno riempiti con il gas killer del clima.
Piattaforma a largo di Liverpool, foto Hynot/Archivio ReCommon.
Nuovi tubi per la CO2 saranno posati per 35 km, mentre altri 149 km di gasdotti
esistenti saranno riadattati. L’obiettivo di Eni è arrivare a stoccare 4,5
milioni di tonnellate di anidride carbonica l’anno in una prima fase del
progetto, per poi raggiungere fino a 10 milioni a pieno regime.
Liverpool Bay CCS è uno dei due progetti prioritari del governo inglese per far
avanzare la tecnologia della cattura e dello stoccaggio del carbonio.
Il secondo schema nel nord-est del paese, noto come Teesside e promosso da BP,
Equinor e Total, ha già raggiunto un accordo per ottenere sussidi pubblici.
In entrambi è prevista anche la produzione di idrogeno dal gas fossile,
anch’essa sussidiata.
Il governo precedente dei Tories aveva messo in cantiere ben 4 progetti
prioritari, tra cui anche quello di Bacton, nel sud-est del paese, sempre
operato da Eni. Tuttavia il governo laburista, viste le ristrettezze di bilancio
in seguito alle nuove priorità internazionali, ha di fatto puntato solo sui due
che erano in fase più avanzata.
UNA SOLUZIONE DISCUTIBILE
La benedizione finanziaria del governo di Keir Starmer per il colosso energetico
italiano arriva in un momento importante per l’azienda, sempre più attiva sul
mercato del Regno Unito.
Dopo l’accordo siglato l’anno scorso cone l’azienda britannica Ithaca Energy,
controllata dalla oil major israeliana Delek e partecipata per il 38,7 per cento
da Eni, il gruppo italiano è diventato il secondo produttore di petrolio e gas
nel mare del Nord e mira a superare il consorzio Shell-Equinor nei prossimi
anni.
Una mossa ampiamente contestata da chi si oppone all’ulteriore sviluppo di
combustibili fossili nei paesi rivieraschi, con una campagna per prevenire lo
sfruttamento del grande giacimento di Rosebank, anche da parte della già citata
Ithaca.
Proprio Ithaca è accusata di complicità con il genocidio del popolo palestinese,
poiché la Delek ha un accordo preferenziale di fornitura di combustibili
all’esercito israeliano e a diverse colonie illegali nei territori palestinesi,
da cui deriva il suo inserimento nella lista nera dell’Onu.
Lo schema del progetto di HyNet è molto articolato e ha richiesto numerose
autorizzazioni. Parliamo di un’area industriale molto energivora, che assorbe
fino al 5 per cento della domanda del paese.
Vi sarà la produzione di idrogeno nella raffineria di Stanlow, ex proprietà di
Shell, quindi filtri per la cattura della CO2 saranno installati in numerose
imprese, da cementifici, a centrali elettriche, industrie del vetro e del
riciclo. L’idrogeno dovrebbe avere delle sue condutture per alimentare alcune
delle stesse industrie. Nonostante sia presentato come a basso impatto
climatico, in realtà sarà prodotto da gas fossile e non necessariamente farà
diminuire le emissioni climalteranti.
Il piano di portarlo addirittura nelle caldaie delle famiglie nel villaggio di
Whitby è fallito sul nascere, di fronte alle proteste dei locali per le
preoccupazioni sulla sicurezza di bruciare l’idrogeno – il potente combustibile
dei razzi spaziali – nelle case.
Qualcosa che, per altro, energeticamente non ha proprio senso ed è sconsigliato
dai più grandi esperti a livello internazionale.
Poi ci sono le condutture della CO2, quelle che gestirà Eni. Anche sulla
sicurezza di queste non mancano le preoccupazioni. Nel 2023 un carbonodotto è
esploso a Satartia in Mississipi con decine di feriti e negli ultimi 15 anni
sono state documentate ben 76 fuoriuscite della CO2 negli Usa.
Per altro l’iniezione della CO2 in campi quasi esauriti è una tecnica usata da
decenni per favorire la fuoriuscita della rimanenza di idrocarburi da sfruttare,
più che per ridurre le emissioni climalteranti in atmosfera, e non è affatto
provato che i giacimenti terranno ben imprigionate queste nei secoli a venire.
L’OPPOSIZIONE AL PROGETTO
La fase autorizzativa per HyNet è quasi completa, anche se manca ancora a
livello locale il via libera sui tracciati da alcune delle contee.
Ed il tema della CO2 trasportata verso il mare ha destato alcune proteste nel
Nord del Galles, a partire dalla parlamentare gallese Carolyn Thomas, la quale
nel suo buon italiano ci ha raccontato che il tema è stato anche sollevato alla
Seneed, il parlamento di Cardiff.
Nel caso di Teesside si è già passati alle carte bollate, e un ricorso
amministrativo è pendente in tribunale.
La coalizione “HyNot” che racchiudere attivisti in tutta la regione
metropolitana di Liverpool è sul piede di guerra e la strada per Eni, tra i
rischi tecnologici di quello che molti definiscono il bluff della cattura della
CO2 e possibili ricorsi legali, non sarà così facile come viene invece spiegato
dal management agli investitori internazionali, il tutto con il fine di quotare
sul mercato una società satellite che in prospettiva si occuperebbe del solo
business del carbonio.
I sussidi previsti per la cattura, il trasporto e lo stoccaggio della CO2 di
HyNet possono arrivare fino a 6 miliardi di sterline nella vita del progetto.
Un bell’aiuto per Eni, che a seguito del calo del prezzo del petrolio e di
ricavi minori nel primo trimestre dell’anno ha deciso qualche giorno fa di,
ridurre i suoi investimenti per il 2025 da 9 a 8,5 miliardi, mentre il flusso di
cassa operativo è ora previsto in calo quest’anno da 13 a 11 miliardi.