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20 anni dopo l’8 dicembre NoTav a Venaus: in mostra a Susa quell’epica stagione
Nell’ambito delle iniziative per il ventennale dei fatti avvenuti in Valsusa dal 31 ottobre all’8 dicembre 2005, si è inaugurata lo scorso week end al Castello della Contessa Adelaide di Susa una ricca mostra per rievocare non solo quell’epica giornata, ma tutto ciò che successe in Valle prima e anche dopo. Un racconto per immagini (oltre 80 le foto che il Movimento NoTav ha recuperate dagli archivi delle testate Luna Nuova e Valsusa che ringraziamo) ma non solo, perché aggirandosi tra i pannelli esposti sarà possibile rivedere quelle straordinarie “creature” con cui l’artista Piero Gilardi espresse tutta la sua solidarietà e partecipazione al nostro movimento. Il percorso della mostra segue un tragitto cronologico partendo dall’epica battaglia del Seghino (31ottobre 2005), quando popolazioni e sindaci da una parte e forze dell’ordine dall’altra si fronteggiarono: i primi per impedire l’installazione di una trivella che avrebbe significato l’avvio dei cantieri della linea TAV Torino-Lione, i secondi per scortare la trivella stessa. Quel giorno segnò una prima vittoria per il fronte della cittadinanza che insieme ai suoi amministratori si era compattamente opposta all’abuso di una decisione imposta dall’alto e in disaccordo con l’intero territorio. Ma nella notte, centinaia di mezzi di Polizia tornarono sul luogo per militarizzare il comune di Mompantero e completare l’opera. La mostra prosegue quindi con le immagini delle proteste del giorno successivo, con l’occupazione di strade e ferrovie. Fino a quella grande marcia che il 16 novembre disegnò uno straordinario serpentone da Bussoleno fino a Susa, con oltre 50.000 persone, tra loro parecchi parlamentari, esponenti politici, delegazioni da tutt’Italia… ma soprattutto noi, studenti, vigili del fuoco, medici, semplici cittadini, abitanti della Valle. Le foto documentano poi l’escalation di tensione, quando alla fine di novembre le FFOO si attestarono a Venaus per permettere a LTF (oggi TELT) di installare il cantiere per l’inizio degli scavi del tunnel di base. Di nuovo ci fu una vera e propria insurrezione popolare, che creò una situazione di stallo e presidi permanenti per alcuni giorni e notti seguenti, fino a che, nella notte fra il 5 ed il 6 dicembre, i reparti speciali della Polizia diedero l’assalto alla tendopoli dei presidianti, ferendo decine di inermi cittadini, alcuni in modo grave. Su quella notte e sui giorni che seguirono la documentazione fotografica è particolarmente emozionante, soprattutto per quell’epica giornata dell’8 dicembre, quando una moltitudine di persone, si parlerà di 60.000, marciò verso il cantiere, occupandolo e costringendo le forze dell’ordine a battere in ritirata. La mostra si conclude infine con le immagini della grande e festosa manifestazione che si tenne anche a Torino il 17 dicembre: un altro bel serpentone di 50.000 persone, tra loro anche Dario Fo, Franca Rame, Marco Paolini, che arrivati al Parco della Pellerina presero la parola. Fu quello il momento che proiettò l’opposizione al TAV a livello nazionale. Manifestazione a Torino, 17 dicembre 2005 | Foto di Enzo Gargano A corredo di questa ricca carrellata di immagini, volti e ricordi, la mostra offre una rara occasione di rivedere alcune opere ritenute disperse (e che per fortuna siamo riusciti a recuperare) del compianto Piero Gilardi, artista, ambientalista e da sempre vicino alle istanze del Movimento NOTAV. Una foto datata proprio 8 dicembre 2005 lo immortala mentre si porta sulle spalle la “nostra Talpa”, in contrarietà con “la Talpa LTF” che avrebbe dovuto scavare il tunnel nelle viscere della montagna. Oppure nella scultura intitolata Le tre scimmie, ecco rappresentata la connivenza che sostiene il potere politico, insieme a quello finanziario, per non dire della mafia. Ed ecco anche il mitico Giacu, creatura mitica e notturna, con cui per anni il “folletti” del Movimento NOTAV continuarono a disturbare il personale TELT oltre le reti, che nel 2012 Gilardi tradusse in scultura, per una marcia da Susa a Bussoleno. Molto efficace anche un lungo striscione che occupa quasi un intero muro, concepito in collaborazione con alcuni giovani NOTAV, che seguendo una linea del tempo dal ‘93 ad oggi, rievoca con molta efficacia i momenti chiave di 32 anni del Movimento. Dopo l’inaugurazione dello scorso week end, la mostra sarà nuovamente visitabile dal 5 dicembre fino al giorno 8, dalle 14,30 alle 18.00. L’ingresso è gratuito e il visitatore potrà portarsi a casa, con un’offerta volontaria, il libro riccamente illustrato dal titolo L’autunno contro, che la testata Luna Nuova pubblicò pochi mesi dopo quell’epica stagione: con testi di Tiziano Picco, Massimiliano Borgia, Claudio Rovere, Andrea Spessa, Daniele Fenoglio, Paola Meinardi, Davide Chiarbonello e oltre 300 foto a colori di Gabriele Basso, Danilo Calonghi, Alessandro Contaldo, Luca Croce, Marco Giavelli, Claudio Giorno, Renzo Miglio, Eva Monti, Norma Raimondo, Stefano Snaidero. Giorgio Mancuso
Il progresso non può essere costruito sulle macerie delle case dei residenti
Continua a far discutere in Val di Susa la “presa di possesso” delle case destinate alla demolizione nella Piana di San Giuliano, poco prima di Susa, per far posto (chissà quando) alla Stazione Internazionale della Grande Opera. Sui modi a dir poco sbrigativi che hanno caratterizzato la penosa procedura alla presenza degli ex proprietari è già intervenuta “a caldo” Nicoletta Dosio nei giorni scorsi su questo sito. E oggi riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo dei Cattolici per la Vita della Valle, con le firme elencate alla fine. -------------------------------------------------------------------------------- Alla luce del Vangelo e della Dottrina Sociale della Chiesa, l’esproprio e l’abbattimento delle case in frazione San Giuliano di Susa per i cantieri TAV pongono gravi interrogativi: non si tratta solo di procedure tecniche o urbanistiche, ma di scelte che incidono sulla carne viva delle persone. Nel Vangelo, la casa è il luogo in cui Dio incontra l’uomo: Gesù vi entra, la benedice, la difende: «La casa costruita sulla roccia» (Mt 7,24) non è solo immagine spirituale, ma simbolo del luogo dove l’uomo vive e cresce. La Dottrina Sociale della Chiesa afferma che la casa è un’estensione della famiglia e che privarne qualcuno è un atto estremamente serio, ammissibile solo se strettamente necessario, proporzionato e mai compiuto con leggerezza o indifferenza e un esproprio è ammissibile solo quando serve al bene comune autentico, dimostrabile, partecipato, proporzionato e non ridotto a vantaggio economico o tecnologico di pochi. Ma quando un’opera viene giustificata con un concetto astratto di progresso, senza ascolto reale dei cittadini e senza una trasparenza convincente, allora non si tratta più di bene comune, ma di imposizione. La signora Ines Riosecht, 88 anni, residente a San Giuliano dal 1959, non è riuscita a trattenere le lacrime di dolore, salutando per sempre il luogo in cui ha trascorso 55 anni della sua vita. | Foto Notav.info Il bene comune, secondo la Chiesa, non è la somma degli interessi, ma la condizione che permette a tutti — soprattutto ai più deboli — di vivere dignitosamente (Compendio DSC, nn. 164–170). Per questo la Chiesa considera la casa un bene umano primario, non un semplice “immobile”. Quando un’abitazione viene demolita senza reale necessità o con motivazioni sproporzionate, si compie una ferita grave: si strappa a famiglie e persone una parte della loro identità, un luogo che spesso ha radici generazionali. Come credenti che vedono il nostro territorio e le persone che lo abitano sempre più vandalizzato, distrutto, calpestato, avvertiamo che in questo caso il bene comune è stato invocato come paravento, mentre gli interessi economici e geopolitici hanno avuto il sopravvento sulla giustizia sociale. La Chiesa ricorda che non tutto ciò che è tecnicamente possibile è moralmente lecito. Papa Francesco, in Laudato si’ e Laudate Deum, richiama un principio fondamentale: nessuna decisione che incide profondamente sul territorio e sulla vita delle persone può essere presa ignorando il dialogo con la comunità. La vicenda di San Giuliano di Susa- e di tutta la Valle, rientra tristemente in questo schema: dialogo insufficiente, consultazioni solo formali, scarsa o nulla attenzione alle alternative, una comunità locale trattata più come ostacolo che come soggetto. Anche Papa Leone XIV ha ribadito che la terra, la casa e il lavoro sono diritti sacri, che vale la pena lottare per essi, dicendo “Ci sto!”, “sono con voi”! Questa triade è il contrario della “trinità moderna” del profitto, del consumo e dell’indifferenza. Leone XIV invita a un cambiamento strutturale — non caritativo — della società: la giustizia non nasce dalla beneficenza, ma dalla trasformazione delle cause dell’ingiustizia. Il Papa ha sostenuto i rappresentanti dei “movimenti popolari”, affermando che: «Le vostre numerose e creative iniziative possono trasformarsi in nuove politiche pubbliche e diritti sociali», ringraziandoli per “camminare insieme (che) testimonia la vitalità dei movimenti popolari come costruttori di solidarietà nella diversità. La Chiesa deve essere con voi: una Chiesa povera per i poveri, una Chiesa che si protende, una Chiesa che corre dei rischi, una Chiesa coraggiosa, profetica e gioiosa!” Quanto avvenuto è contrario al criterio evangelico del “camminare insieme”. Quando lo Stato tratta i cittadini come intralci, tradisce la sua missione di custode del bene comune. L’uso massiccio di procedure coercitive, forze dell’ordine, cantieri blindati e misure eccezionali rivela un problema serio: se un’opera per essere realizzata deve ricorrere alla forza, allora essa non gode del consenso sociale necessario per definirsi bene comune. La Chiesa, per Papa Leone, non è spettatrice della storia, ma soggetto attivo di liberazione, accompagnando i movimenti popolari, nonostante in passato “sono stati spesso guardati con sospetto e persino perseguitati”, perché queste “lotte sotto la bandiera della terra, della casa e del lavoro per un mondo migliore, meritano incoraggiamento; oggi la Chiesa deve accompagnare i movimenti popolari e ciò significa accompagnare l’umanità, camminare insieme nel rispetto condiviso della dignità umana e nel desiderio comune di giustizia, amore e pace. E la Chiesa sostiene le giuste lotte per la terra, la casa e il lavoro”.   Gli operai di Telt mettono le griglie alle finestre | Foto Notav.info La Chiesa è alleata delle lotte per la dignità, perché “i dinamismi del progresso vanno sempre gestiti attraverso un’etica della responsabilità, superando il rischio dell’idolatria del profitto e mettendo sempre l’uomo e il suo sviluppo integrale al centro”, per prendere sul serio il dramma dei “popoli spogliati, derubati, saccheggiati e costretti alla povertà”. Se un’opera è necessaria, deve essere accompagnata da massima giustizia, compensazioni adeguate, rispetto, dialogo e cura delle famiglie coinvolte; se invece i costi umani, economici, ambientali superano il beneficio reale, allora l’opera diventa moralmente problematica. Il Vangelo ci chiede di stare dalla parte delle persone più vulnerabili, non dell’efficienza a ogni costo. Gesù non ha esitato a denunciare i poteri che opprimono, quando “mettono pesi sulle spalle della gente” (Mt 23,4). E oggi quei pesi sono concretissimi: case abbattute, comunità sradicate, territorio ferito. La Chiesa, fedele al Vangelo e alla sua Dottrina Sociale, è chiamata ad alzare la voce profetica: quando un’opera divide la società, impoverisce i piccoli, ignora il dialogo e ferisce il territorio, allora non serve all’uomo, e dunque non è secondo Dio. La comunità cristiana è chiamata a essere prossima a chi vive momenti di precarietà e sradicamento, perché il volto ferito delle persone è sempre il primo luogo in cui il Vangelo chiede di essere incarnato e alla luce della fede come Gruppo Cattolici per la Vita della Valle non possiamo tacere. Esprimiamo la nostra solidarietà alle famiglie che hanno perso la casa, alzando la nostra preghiera al Dio Creatore del Cielo e della Terra: Il progresso non può essere costruito sulle macerie delle case dei residenti. La modernità non può passare sopra la dignità delle famiglie. Lo Stato non può chiedere sacrifici umani travestiti da opere pubbliche. Gruppo Cattolici per la vita della Valle Paolo Anselmo (Bruzolo), Laura Favro Bertrando (Sant’Antonino), Rosanna Bonaudo (Caprie), Elisa Borgesa (Chiusa San Michele), Eugenio Cantore (Sant’Ambrogio), Maria Grazia Cabigiosu, Donatella Giunti, Mira Mondo (Condove), Roberto Perdoncin (Susa), Giorgio Perino (Bussoleno), Gabriella Tittonel, Paolo Perotto (Villar Dora), Don Paolo Mignani (Settimo T.se), Marisa Ghiano (San Didero). Centro Sereno Regis
Di case sacrificate al TAV, agavi resistenti, alberi in catene, bandiere
Case di San Giuliano. Case amate e difese, che hanno sfidato il tempo e accolto vite e storie, nell’avvicendarsi delle generazioni. Ora sono vuote, forzatamente espropriate e a breve saranno abbattute. Proprio qui, alle porte di Susa, in questa frazione condannata a morire di TAV, è previsto lo sbocco del tunnel ferroviario di base e la trasformazione del territorio in discarica a cielo aperto per lo stoccaggio del materiale di scavo, pietrisco velenoso di amianto e uranio. La tristezza di questa piovosa domenica pomeriggio pesa come un macigno su questi luoghi che già hanno conosciuto l’impatto dei cantieri autostradali ed ora sono a rischio di devastazione ad opera dell’ennesima grande, mala, inutile opera. Angoscia delle abitazioni silenziose, abbandonate. Muri che cominciano a scrostarsi, finestre come orbite vuote, rottami di traslochi forzati. Negli orti resiste qualche cespo d’insalata insieme a ciuffi di menta e piante di rosmarino. Una bellissima, rigogliosa agave si appoggia alla facciata a sud di una delle case, quasi a sostenerla. Le sue dimensioni, le grandi foglie carnose, testimoniano della sua vita lunga e tenace, capace di sfidare venti, gelo, siccità. Si prepara fiduciosa al lungo inverno. Nulla sa della ruspa in agguato. La casa più vecchia è anche la più cara al cuore del movimento NO TAV. L’abitavano una anziana signora e i suoi figli. Si opposero fino all’ ultimo, tenacemente, all’esproprio. Infine furono costretti a cedere, per disperazione. Sulla facciata sopravvive il murale di Blu: un mostro ferrigno dalle cento pale avanza contro un grande albero. I rami dell’albero sono braccia possenti che spezzano le manette strette intorno alla verde chioma. Dal tronco spuntano mani arboree che brandiscono tronchesine, tagliano reti, impugnano mattarelli, reggono maschere antigas, sventolano bandiere: sono gli attrezzi della nostra lotta, la metafora di una ribellione che dura, della natura che con noi si difende. Ormai si fa sera. la pioggia è cessata. da uno squarcio tra le nubi si affaccia la luce rossa del tramonto. Anche la vecchia casa sorride: all’improvviso, quasi per magia, ai balconi, finestre, cancello sono fiorite le bandiere NO TAV. Centro Sereno Regis
Festival Alta Felicità IX edizione: molto più di un festival
Con un lungo, fragoroso, emozionante intermezzo di rumore alle 22 in punto di ieri sera per lo Sciopero dal Silenzio per Gaza indetto da Paola Caridi, Tomaso Montanari & Co, è trascorsa anche la terza serata del Festival dell’Alta Felicità che quest’anno ancor più della scorsa edizione ha registrato un’affluenza superiore a ogni aspettativa. Tantissimi gli spunti di riflessione emersi dalla quantità di incontri e dibattiti che non mancheremo di riprendere i prossimi giorni. Intanto vi proponiamo queste OSSERVAZIONI IN MARGINE DI LUCIA MALENGO Quest’anno al Festival Alta Felicità, organizzato dai NO TAV e giunto alla sua nona edizione, sono arrivati, in numero mai visto prima, giovani e meno giovani da tante parti d’Italia e da alcuni paesi europei. Questo fatto, oltre ad essere una buona notizia per chi da anni si oppone al TAV, rappresenta un interesse del tutto naturale per l’opera, che infatti è  stata definita dai proponenti “strategica” per l’Italia e per l’Europa tutta. Non per nulla i costi in continuo aumento del tunnel che dovrebbe unire Saint Jean de Maurienne con la piana di Susa sono sostenuti, oltre che da Francia e Italia, anche dalla Comunità Europea. Dunque non si tratta affatto solo di un problema della Valle di Susa ed è giusto che tutti i cittadini europei che ritengono ingiustificato questo dispendio abnorme di denaro pubblico, possano venire sul posto a rendersi conto della situazione e a manifestare il proprio dissenso. Del resto i tecnici TELT, a cui è affidata la realizzazione del tunnel di base, nella conferenza tenutasi a Susa il primo luglio scorso, hanno chiarito bene il ruolo strumentale della valle: essendo  attraversata da due strade statali, una ferrovia internazionale e un’autostrada, presenta aree già compromesse, come appunto la piana di Susa, a cui si può aggiungere qualche ettaro ulteriore per calare questa ennesima opera di interesse nazionale ed europeo, eliminando o spostando le “interferenze”, termine forse tecnico, che però suona vagamente sprezzante poiché riguarda case, strade, ferrovia locale, canali ecc. Foto di Marioluca Bariona E dunque il Festival Alta Felicità nasce come luogo di discussione  innanzitutto sull’opportunità di ampliare la compromissione del territorio,  ma estende  l’attenzione alla sostenibilità del modello di sviluppo sotteso, tenendo conto dell’attuale situazione economica, politica e ambientale nazionale e globale. Questo spiega un programma ogni anno ricco certo di musica e di spettacoli, ma soprattutto di conferenze, dibattiti, presentazione di libri e interviste su temi non immediatamente riconducibili al progetto TAV. Tutto ciò presuppone un’organizzazione piuttosto attenta e precisa, curata da intere squadre di volontari di ogni età. E in questo contesto, fin dal lancio del programma, si è annunciata,  con orari e destinazioni molto precise, una serie di “passeggiate” nei luoghi dei cantieri e in particolare è stata programmata una marcia con partenza dal campeggio del Festival per raggiungere l’area dell’attuale autoporto nella frazione Traduerivi di Susa: qui è  attivo un cantiere per lo smantellamento degli impianti di “Guida sicura” e la trasformazione della zona in luogo di stoccaggio e lavorazione dello smarino. Ebbene,  sabato 26 luglio la marcia è avvenuta come da programma e un’intera ondata di  manifestanti è entrata bellamente nel cantiere super recintato, sorvegliato e normalmente difeso dalle forze dell’ordine. Dopodiché qualcuno ha dato fuoco ad un’attrezzatura incustodita provocando una colonna di fumo nero durata un’ora circa; mentre servendosi tranquillamente del treno di linea, un altro gruppo di manifestanti ha raggiunto il cantiere più a valle, a San Didero, dove è in costruzione il nuovo autoporto e dove, pare, si erano concentrate le forze dell’ordine in tenuta antisommossa, che hanno respinto un tentativo di assalto. Durante la notte, poi, quando i manifestanti avevano ormai fatto ritorno al campeggio, qualcun altro, mettendo a rischio il boschetto circostante, ha dato fuoco alla struttura che (prima dei sigilli) ospitava il presidio No TAV di San Didero, posto esattamente davanti al cantiere attentamente sorvegliato  dalle citate truppe… L’impressione è ovviamente che si sia trattato  di una ripicca;  se fosse dimostrata,  sarebbe la prova di una situazione ampiamente sfuggita di mano. Intanto sui social fioccano post, per la verità piuttosto sgangherati, che alimentano confusione e sospetti: come mai il cantiere di Traduerivi, meta dichiarata della manifestazione, non era presidiato? Chi erano realmente i personaggi mascherati che hanno appiccato l’incendio? Chi ha incendiato (e non per la prima volta!) la casetta del presidio NO TAV di San Didero? Ci si può ancora definire No TAV considerando che nel movimento si annidano dei violenti? Come mai la statale percorsa dal corteo annunciato non era presidiata da polizia urbana o da altre forze dell’ordine? Ma, soprattutto, chi trarrà maggior vantaggio da questa confusione? Foto di Marioluca Bariona Foto di Marioluca Bariona Foto di Marioluca Bariona Foto di Marioluca Bariona Foto di Marioluca Bariona Foto di Marioluca Bariona Centro Sereno Regis
Conferenza di Telt a Susa: va in scena il solito teatrino
Ieri nella sala del Castello di Susa si è svolta l’annunciata e più volte rimandata conferenza di Telt, con facoltà di domande da parte del pubblico in sala, ma solo previa iscrizione e senza ripetere la richiesta. Lo stesso pubblico aveva dovuto accreditarsi telefonicamente o via mail per accedere all’evento. Non essendo necessario un moderatore in una conferenza unilaterale, il sindaco fungeva da smistatore di domande e da latore di ripetuti ringraziamenti agli ospiti di Telt. PRIMO ELEMENTO È importante che siano state dette in modo ufficiale esattamente le stesse cose, un pochino più edulcorate, che dicono da anni i tecnici dell’Unione Montana e, sulla base di quelle, i volontari No TAV. Quindi sono apparsi fastidiosi i ripetuti riferimenti, da parte del sindaco, a notizie allarmanti e infondate diffuse dal movimento. Bisognerebbe in tal caso precisare quali notizie si siano dimostrate infondate, magari invitando ad un confronto pubblico i propalatori di tali presunte menzogne, se no, si tratta di illazioni poco corrette. Quanto a notizie falsamente allarmanti non mi pare ce ne siano state. Per fare un esempio, da anni i tecnici dell’Unione e i no TAV sostengono che lo smarino sarà depositato a Susa in via più o meno provvisoria e ieri l’ing. Bufalini ha detto in presenza del sindaco, che non ha smentito, che questa cosa si sa dal 2018… In ogni caso, non abbiamo bisogno di falsi allarmi; bastano e avanzano quelli che si sono innescati ufficialmente ieri! SECONDO ASPETTO La variante che prevede la collocazione dello smarino a Susa è stata presentata solo da pochi giorni al Consiglio dei Ministri e agli altri organi competenti per l’approvazione. Per ora nessun documento in merito è stato messo a disposizione neppure dei tecnici dell’ Unione Montana. Questi sono stati invitati alla conferenza di ieri 1. dopo che era stata indetta e pochi giorni prima della data prevista; 2. come ascoltatori con licenza di domanda esattamente come gli altri partecipanti, senza aver potuto visionare il testo della nuova variante. Come avrebbero potuto accogliere un invito simile? Infatti i loro nomi non comparivano sul comunicato ufficiale, come non compariva alcun moderatore, trattandosi appunto di conferenza unilaterale. Allora non valgono le prevedibili e previste lamentazioni strumentali del sindaco: lui è stato l’organizzatore dell’evento, lui l’ha pubblicizzato e lui doveva trovare una formula e un accordo accettabili. TERZO ELEMENTO Molte informazioni sono apparse generiche ai presenti e gli stessi tecnici Telt l’hanno ammesso. Si sono ascoltate espressioni tipo: “alcune migliaia di metri cubi di materiali”, “capannoni alti 15 metri e lunghi alcune decine”, “diversi anni”… Solo a precisa domanda si è appreso che i camion in più di quelli che già transitano sull’autostrada saranno 343 al giorno, ma non interferiranno col traffico turistico perché  circoleranno “solo” cinque giorni su sette… QUARTO ELEMENTO Molte informazioni non proprio rassicuranti sono arrivate solo a seguito di domande poste, secondo regolamento, dal pubblico in sala a conferenza conclusa. Per esempio, si è saputo che è vero che la tratta ferroviaria Susa-Bussoleno verrà sostituita da pullman, ma solo per un anno scolastico comprensivo di vacanze estive (sic); questo per volontà  precisa dell’amministrazione di Susa che preferisce evitare il disagio della costruzione di una linea alternativa. Quando avverrà la sospensione dei treni? Forse nel 2028/29, è la risposta a precisa domanda, così come si è dovuta aspettare una richiesta di precisazione per conoscere il numero stimato dei pullman sostitutivi necessari e il loro presunto percorso. E le case che resteranno “ingabbiate” prima nei cantieri e poi  fra autostrada, nuova linea storica e  Tav? Be’, perderanno valore, ma “vuoi mettere avere la vista sulla stazione internazionale”? L’hanno detto davvero! Del resto, il progetto viene “calato” (sic!) sulla valle e la “soluzione delle interferenze tocca agli enti interferiti” (ri-sic!); quelli di Telt sono solo esecutori di un’ opera che è stata loro commissionata, e ovviamente cercano di far capire che la faranno nel miglior modo possibile!  Per esempio, verranno monitorati tutti i rischi legati ai cantieri secondo la formula “riduzione – mitigazione – compensazione”: si riduce il più possibile l’impatto, se non è possibile ridurlo si mitiga, se non è possibile mitigarlo si compensa. E dunque, si suppone che, applicandolo al monitoraggio della salute, potrebbe funzionare così: si cerca di non fare polvere (che peraltro non è dannosa, assicura l’ing. Bufalini); se non si riesce, si cerca di farne poca; se non si riesce a farne poca o non è roba tanto buona, e qualcuno si prende una malattia polmonare, si compensa in qualche modo. IL PUNTO Del resto, che cos’altro potevano dire questi tecnici? I progetti “capitano” perché qualcuno li decide, loro li eseguono basandosi sulle autorizzazioni ottenute e forniscono informazioni alla popolazione coinvolta. Il resto riguarda le scelte politiche. E siamo al punto: i politici e gli amministratori dovrebbero far sentire la propria voce, invece di dire soltanto che ormai ci siamo lasciati alle spalle il dibattito fra favorevoli e contrari all’opera. Ma alle spalle di chi? Se il danno supera i vantaggi, qualsiasi opera va fermata in qualsiasi fase, non compensata. E il nodo sta tutto lì. L’unica voce che è andata in questo senso è stata quella del presidente dell’Unione Montana, che ha fatto esattamente quello che avrebbe dovuto fare il sindaco, cioè porre questioni di interesse popolare a Telt, che per i comuni interessati è la controparte, non un alleato da riverire e agevolare. Tutto qui. Nulla di nuovo, tranne un’affermazione sorprendente dei tecnici: tutto lo smarino deve andare a Salbertrand, venir selezionato in modo che solo la parte “buona” venga poi stoccata a Susa, mentre l’altra andrà nelle discariche speciali. Ma il sito di Salbertrand è tuttora da bonificare da precedenti riversamenti incontrollati e ben noti a chiunque se ne sia occupato. Ebbene, a precisa domanda è stato risposto che gli scavi del tunnel inizieranno solo quando sarà pronto quel sito. Perplessità nel pubblico in sala.   Centro Sereno Regis
10 maggio, marcia NoTav in Val di Susa…
Sabato 10 maggio sarà il giorno in cui tutti coloro che hanno a cuore la Valle e la città di Susa, “vecchi e nuovi abitanti di questa valle”, potranno marciare al fianco di tante compagne e tanti compagni di lotta per affermare che la valle non è disposta a farsi “ricattare e sfruttare dal sistema delle grandi opere”. …E SE I GRILLI NON CANTASSERO PIÙ? Con l’inizio di maggio, sul finire delle prime giornate di sole, accade qualcosa di cui fa esperienza chi vive all’aperto le ore dell’imbrunire o porzioni di tiepide notti. È il frinire dei grilli, quel suono che in Giappone è atteso e ammirato come meraviglia e piacere della natura, presagio di buona fortuna. Così come è iniziato, il canto di un grillo può interrompersi improvvisamente. È la conseguenza della percezione di un’invasione di campo, del farsi avanti di una minaccia. Nel subitaneo silenzio il grillo sa che è arrivato il momento di difendersi, forse di lottare per la propria sopravvivenza. Un po’ come i grilli il Movimento No Tav, insieme a tutti coloro che hanno coscienza e timore del danno e del rischio ambientale in una piccola valle alpina già martoriata dai cambiamenti climatici, si allarma nel vedere gli spazi naturali progressivamente invasi e distrutti dai cantieri TAV Torino – Lione. Dopo Chiomonte e San Didero è arrivato il momento della Piana di Susa. Al silenzio allarmato dei grilli si affiancano le parole pesate e precise, spese dai tecnici No Tav dell’Unione Montana, per mettere in allarme i valligiani, per svegliare le coscienze e presentare, senza falsa retorica, quel che accadrà, quel che null’atro sarà se non una lunga, perdurante e inutile devastazione. Per qualcuno tutto ciò accadrà sull’uscio di casa, sul limite di piccoli giardini frequentati da intere vite, calpestati in passato da bimbe e bimbi che oggi si aggrappano, quasi a volerle abbattere, alle reti che racchiudono cantieri e nascondono lo scempio. Centodiecimila metri quadrati di cantiere, pari a quindici campi da calcio. Oltre 2,5 milioni di metri cubi di smarino, un volume simile a quello della piramide di Cheope, proveniente dal tunnel di base e stoccati nella piana di Susa, nel cuore della bassa Valle. È infatti previsto, secondo quella che è di fatto una variante di progetto ma che non è stata sottoposta a valutazione di impatto ambientale, che il materiale di scavo verrà depositato per un periodo di tempo indeterminato alle porte della città di Susa, nelle aree dell’autoporto e della pista di guida sicura. Lo stoccaggio è previsto a cielo aperto, al più con la protezione di tensostrutture mobili incapaci di limitare la diffusione di polveri pericolose per la salute umana e animale. Quel che avevano promesso che mai sarebbe accaduto per la pericolosità dei materiali (terre e rocce contaminate, PFAS, fibre di amianto, minerali radioattivi, arsenico) e delle polveri sottili, ora è sfacciatamente e violentemente imposto ad un territorio frequentemente battuto dal vento. Un criminale allargar di braccia, il celarsi dietro l’indisponibilità del sito di stoccaggio di Salbertrand, rientrano nell’atteggiamento sfottente di TELT, che mai ha mostrato attenzione e rispetto per la Valle di Susa e per i suoi abitanti, oppositori all’opera o no. Il deposito dello smarino a Susa, nelle aree indicate, renderà necessario il suo spostamento dai luoghi di estrazione (cantiere di Chiomonte) verso quelli di stoccaggio. Trasporti continui che verranno effettuati, in un tempo dilatato negli anni, con decine di migliaia di camion: una lunga e ininterrotta fila di mezzi pesanti attraverserà la città di Re Cozio, con la conseguenza diretta di rumori continui, vibrazioni per gli edifici, inquinamento, polveri sottili, aumento del rischio di incidenti stradali. Un quadro ambientale e di futura vivibilità ben poco rassicurante, che si unisce ad una drammatica prospettiva di decadenza per la città, per la sua economia e le sue velleità turistiche. Prospettiva quest’ultima che include la chiusura dell’attuale linea ferroviaria e della stazione locale, la chiusura temporanea delle vie di accesso alla città di Susa, al suo ospedale, ai suoi istituti di istruzione superiore, agli esercizi commerciali e alle attrattive turistiche e storico-culturali. Tutto ciò nell’apparente indifferenza, nel silenzio e nella complice indisponibilità al dialogo e all’ascolto dell’attuale amministrazione della città. Mai un confronto pubblico è stato così tante volte richiesto ed altrettante volte negato! La Valle di Susa, per circa due anni, ha sperimentato quello che tanti hanno definito come un vero e proprio “isolamento” determinato dalla chiusura della linea ferroviaria verso Modane in territorio francese. Qui, nell’agosto del 2023, una frana aveva danneggiato e interrotto la ferrovia causando la cancellazione dei treni merci e passeggeri verso le città transalpine.  Al netto di un aumento del traffico pesante al tunnel del Frejus e sulle altre direttrici verso la Francia, non si è tuttavia assistito ad alcun collasso delle economie al di qua e al di là delle Alpi. Lo stesso protrarsi dei lavori di ripristino della linea, in territorio francese, che ne hanno consentito la riapertura solo a marzo di quest’anno, rendono probabilmente ragione a chi da anni insiste sulla totale inutilità di una nuova linea ferroviaria e di un nuovo tunnel di collegamento fra le due regioni. Soprattutto la prolungata indisponibilità della linea e la concomitante tenuta economica dei territori, smentiscono quella falsa teoria sulla saturazione della linea ferroviaria attuale, che si sarebbe dovuta registrare già nel 2018 e che ha rappresentato il pretesto oggettivo per imporre la costruzione della nuova linea TAV. Se i grilli interrompono bruscamente il loro frinire per comprendere ciò che li minaccia e preparare la difesa, il Movimento No Tav sceglie, una volta ancora, quella semplice e testarda forma di lotta che consiste nel mettersi in marcia e percorrere, con sguardo alto e fiero, quei territori condannati alla devastazione dal volere e dagli interessi di pochi. Nell’ormai ridotto equilibrio ambientale di queste nostre terre “alte”, sempre più frequentemente vittime degli eventi climatici che colpiscono e feriscono, ogni nuovo cantiere della grande opera TAV è illogica e indebita sottrazione, è metastasi. È violenza e crimine climatico. Sabato 10 maggio sarà il giorno in cui tutti coloro che hanno a cuore la Valle e la città di Susa, “vecchi e nuovi abitanti di questa valle”, potranno marciare al fianco di tante compagne e tanti compagni di lotta per affermare che la valle non è disposta a farsi “ricattare e sfruttare dal sistema delle grandi opere”. Voglio ancora sentire i grilli cantare! Centro Sereno Regis