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Frontex conferma le responsabilità delle autorità bulgare nella morte di tre minori. Ora deve agire di conseguenza
A quasi un anno dalla morte di tre minori egiziani in Bulgaria, l’Ufficio per i Diritti Fondamentali di Frontex ha pubblicato un report che conferma il racconto di Collettivo Rotte Balcaniche e No Name Kitchen’s, e identifica chiaramente la responsabilità diretta della polizia di frontiera bulgara per queste morti. Nel dicembre del 2024 Ahmed Samra, Ahmed Elawdan e Seifalla Elbeltagy, tre minori egiziani, hanno comunicato al Collettivo di trovarsi in condizioni di emergenza nella zona di Gabar, in Bulgaria, dopo aver attraversato il confine turco-bulgaro. Pur essendo stata avvisata con ripetute telefonate, la polizia di confine bulgara non solo non ha risposto alle chiamate, ma si è anche adoperata per bloccare i tentativi da parte del collettivo di raggiungere i tre minori, che sono di conseguenza morti di ipotermia. A quasi un anno di distanza, l’Ufficio per i Diritti Fondamentali di Frontex conferma la nostra versione: “Le autorità bulgare avevano l’obbligo di assistere e soccorrere i migranti. Avendo informazioni sufficienti a determinare che essi si trovavano in pericolo di vita, essendo a conoscenza della loro posizione esatta e avendo i mezzi per intervenire, esse non hanno comunque adottato le misure necessarie in tempo, con il risultato che tre persone hanno perso la vita.” Il report di Frontex rigetta anche la campagna di diffamazione che il Ministero dell’Interno ha messo in atto a seguito delle nostre accuse. Dopo che abbiamo pubblicato un report dettagliato degli eventi, la polizia di frontiera ha aumentato il livello di criminalizzazione delle ONG, moltiplicando le indagini e gli arresti, in un chiaro tentativo di silenziare il lavoro di denuncia della violenza sul confine portato avanti da ONG, persone in movimento e dalle loro famiglie. Il report riconosce che, al di là di questo evento specifico, la cosiddetta “incapacità” di compiere operazioni di ricerca e soccorso è in realtà una pratica di routine delle autorità bulgare. Negli ultimi anni, l’Ufficio per i Diritti Fondamentali ha documentato ripetutamente le azioni della polizia di frontiera bulgara, dicendo che “i pushback, spesso caratterizzati da alti livelli di violenza e trattamenti inumani o degradanti, sono una pratica quotidiana della polizia di frontiera bulgara” ed esprimendo una “profonda preoccupazione rispetto alle accuse ripetute nei confronti delle autorità bulgare di non rispondere in maniera appropriata alle chiamate di emergenza.” Frontex, che finanzia e collabora alle attività di controllo dei confini bulgari, si autoassolve nuovamente, scaricando la responsabilità dell’accaduto sulle autorità bulgare e utilizzando persino queste morti per richiedere un aumento della propria presenza in Bulgaria. Il personale di Frontex è per legge sotto il controllo diretto dei propri collaboratori bulgari; l’affermazione dell’Ufficio per i Diritti Fondamentali che aumentare la presenza di Frontex diminuirebbe la violenza sul confine non ha perciò alcun senso. Persino l’Ufficio stesso riconosce che migranti intercettati da Frontex vengono poi espulsi in maniera illegale e violenta e che il personale di Frontex “rischia” di essere complice – o meglio, è direttamente responsabile – di queste espulsioni. A partire da marzo 2025, personale di Frontex ha anche ripetutamente bloccato e seguito squadre di ricerca e soccorso per ore, impedendo loro di raggiungere migranti in situazioni di emergenza. Nonostante l’Ufficio affermi che il nostro lavoro di ricerca e soccorso è “autentico,” e denunci gli sforzi della polizia di frontiera per ostacolarci, il personale di Frontex ha partecipato direttamente e in più occasioni alla criminalizzazione delle squadre civili di ricerca e soccorso, utilizzando le stesse pratiche della polizia di frontiera. Affermazioni come quelle dell’Ufficio restano soltanto cosmetiche se non accompagnate da azioni concrete. Se Frontex prende sul serio le sue stesse accuse, non potrà che cessare immediatamente ogni collaborazione e supporto alle autorità bulgare. Se Frontex non adotterà misure adeguate, sarà una conferma in più che queste morti non sono state un incidente, ma il risultato voluto e cercato di politiche di confine europee che, se non smantellate, possono soltanto uccidere. Collettivo Rotte Balcaniche
Depositate le denunce contro Donazzan e Mulé, insieme a Stefano Bandecchi
Dalla sua costituzione, il 10 agosto 2025, il Comitato Fratelli Al-Najjar – Giustizia in Palestina e in Italia – ha già depositato due denunce. La prima, quella che ha reso noto il nome del Comitato in questo Paese, è quella nei confronti di Elena Donazzan, eurodeputata di Fratelli d’Italia che, […] L'articolo Depositate le denunce contro Donazzan e Mulé, insieme a Stefano Bandecchi su Contropiano.
Presidi e denunce contro la presenza di armi nucleari nelle basi di Ghedi e Aviano
Il 24 ottobre 2025 attivisti contro la presenza di armi nucleari sul territorio italiano terranno alle ore 11 presidi informativi davanti alla base militare di Ghedi (o in caso di mal tempo a Piazza della Loggia a Brescia) e davanti alla Loggia del Municipio di Pordenone, in occasione del deposito delle denunce alle Procure di Brescia e Pordenone. Le denunce chiedono di accertare la presenza delle armi nucleari a Ghedi e ad Aviano, presenza certa per i denuncianti; di dichiararne l’illegittimità e di perseguire i responsabili dell’importazione vietata dalla legge 185/90, dal trattato di Parigi del 1947 e dal Trattato di non proliferazione del 1975. Un’analoga denuncia presentata alla Procura di Roma il 2 ottobre 2023 è stata archiviata perché il giudice ha ritenuto di non poter interferire con scelte prettamente politiche. Eppure è principio pacifico che il giudice è garante della legalità e quindi non deve arretrare laddove gli spazi della discrezionalità politica siano circoscritti da vincoli posti da norme, come nel nostro caso. La tenacia dei denuncianti, forti della consapevolezza di essere dalla parte della ragione e del diritto, li ha portati a riproporre l’azione penale in altre sedi, laddove, cioè, non è stata presa la decisione, ma è stata materialmente consumata l’attività di importazione. I comandi e le forze militari hanno posto in essere una condotta illegittima e non potranno trincerarsi dietro una scelta politica ritenuta dal magistrato di Roma non giudicabile. Le due denunce sono sottoscritte da attivisti, pacifisti, antimilitaristi, alcuni dei quali rivestono posizioni apicali in associazioni nazionali e internazionali, come WILPF Italia.     Redazione Italia
Abuso dei social e socializzazione degli abusi
Fatti Il 21 agosto scorso una ragazza di 23 anni denuncia di aver subito un commento sessista da un operatore, mentre la stessa si preparava per una TAC. È in corso un’indagine interna da parte del Policlinico Umberto I di Roma, per far luce su quanto accaduto. Modi La suddetta […] L'articolo Abuso dei social e socializzazione degli abusi su Contropiano.
Dossier Milano # 4 | Più conflitti, meno conflitti di interesse – di Lucia Tozzi
“Le mie mani sono pulite” ha detto il sindaco Sala nella seduta del consiglio comunale dove ha sacrificato il suo capro – l’assessore all’urbanistica Tancredi, coinvolto nelle indagini della procura milanese su alcuni (parecchi) progetti di trasformazione urbana. E con questa affermazione ha confermato la sua linea politica sullo sviluppo: privatizzazione feroce dei servizi [...]
Nella Lituania “europeista” si celebrano i nazisti ma si perseguitano i politici non guerrafondai
Il Centro Documentazione e associazione della comunità ebraica situata in Lituania, Defending History, ha pubblicamente denunciato i processi in corso di riabilitazione e legalizzazione del passato neonazista locale, con commemorazioni, riscrizione della storia circa i crimini e massacri perpetrati nella seconda guerra mondiale nella regione, inaugurazioni di targhe e monumenti […] L'articolo Nella Lituania “europeista” si celebrano i nazisti ma si perseguitano i politici non guerrafondai su Contropiano.
Osservatorio aderisce all’appello di CambiareRotta a Unibo per il ritiro delle denunce
Venerdì 30 maggio si è svolta una tavola rotonda nel Rettorato dell’Università di Bologna, promossa da CambiareRotta per la grave vicenda degli studenti e delle studentesse denunciate, una settimana prima delle elezioni studentesche di metà aprile, per l’occupazione di un’aula laboratorio abbandonata da 5 anni: ben 5 mesi dopo che era stata occupata ed intitolata a Shadia Abu Gazaleh (attivista palestinese) e restituita dagli studenti e dalle studentesse alla comunità accademica con attività di studio, dibattiti e iniziative culturali (musica e proiezioni di film e documentari sulla Palestina). Anche l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha aderito all’appello lanciato dagli studenti e dalle studentesse per chiedere al Rettore ed alla governance di UNIBO il ritiro delle denunce ai/alle dieci studenti e studentesse, di cui ben otto candidate/i nelle elezioni studentesche e tutte/i coinvolte/i nella campagna elettorale. Naturalmente, sia per la tempistica sia per l’accanimento speciale, questo grave atto ha il sapore amaro della repressione e della criminalizzazione del dissenso di cui CambiareRotta si è protagonista in questi ultimi anni, denunciando tutto ciò che non va in Ateneo: dal carovita alla mancanza di spazi e democrazia, dal diritto allo studio agli accordi con la filiera bellica (Esercito, NATO, Leonardo, etc.) e con le istituzioni sioniste di Israele.  Nell’economia di guerra nella quale stiamo sprofondando gli studenti e le studentesse di CambiareRotta sono in tutta Italia l’avanguardia del dissenso che il sistema vuole reprimere e censurare, una vera e propria censura di guerra. Alla tavola rotonda hanno partecipato e sono intervenuti diversi docenti dell’Ateneo, ma anche lavoratori del personale tecnico amministrativo e studenti/studentesse ed è stato trasmesso un messaggio in video di Carlo Rovelli (fisico ed ex studente di UNIBO), che ha evidenziato come queste denunce siano un gesto vergognoso e che bisognerebbe invece premiare il contributo degli studenti e delle studentesse. Per l’Osservatorio è intervenuto Giuseppe Curcio, portando solidarietà attiva agli studenti e alle studentesse, confermando come la governance dell’Ateneo col ritiro delle denunce abbia un’occasione unica per smarcarsi dalla repressione del Governo, prendendo così le distanze dal clima repressivo accentuato dal Decreto Sicurezza appena approvato. Ma l’invito dei/delle tante/i docenti e lavoratori/lavoratrici di Unibo, oltre che di alcuni avvocati presenti, è stato ignorato dal delegato del Rettore Prof. Condello (Prorettore degli studenti), il quale per il momento ha solo espresso la volontà di avviare un percorso di dialogo per trovare uno spazio alternativo al laboratorio occupato, ma senza esprimersi rispetto al ritiro delle denunce e rispetto alla possibilità che il Rettore faccia una dichiarazione pubblica a favore degli studenti e delle studentesse denunciate/i. Gli studenti e le studentesse a questo punto mirano a portare le loro rivendicazioni al Senato Accademico nella seduta del 17 giugno. Altri dettagli nell’appello al link di seguito, che invitiamo tutte e tutti a sottoscrivere anche individualmente: https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSfPKj0xl73MZgLdaR44XJDqgO1jIgChS8ZjstLLlVbjQiceLA/viewform Giuseppe Curcio, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
La repressione serpeggia tra i banchi di scuola, ma anche all’università
A sei giorni dalle elezioni al CNSU (Consiglio Nazionale degli studenti universitari) l’Università di Bologna invia nove denunce ad altrettanti studenti del movimento Cambiare Rotta, rei di avere dato vita ad uno spazio autogestito per creare un processo di agibilità politica, recuperando, all’interno dell’Università di Bologna, un’auletta in disuso. “Occupazione per trarne altrimenti profitto” questa sarebbe la fantasiosa accusa. Poco tempo fa alcuni studenti avevano fatto pacificamente irruzione in un convegno targato Leonardo SpA, contestando gli accordi di ricerca che chiudono sempre un occhio e a volte anche due, giocando sull’equivoco della ricerca “dual-use” (civile-militare), ma soprattutto la presenza asfissiante della Leonardo, che finanzia convegni, stage, tirocini e si propone in tutta Italia come punta di diamante di uno sviluppo industriale di morte, ma che può offrire un futuro a molti giovani brillanti soprattutto in campo tecnologico: sistemi d’arma, visori ottici di ultima generazione a uso militare, sistemi avanzati interconnessi per il controllo pervasivo dei territori contro fastidiosi sommovimenti popolari (le cosiddette “Smart-cities”), intelligenza artificiale applicata ai droni, ecc ecc. In una recente intervista, gli studenti di Cambiare Rotta protagonisti dell’azione hanno raccontato il loro percorso di democratizzazione all’interno dell’ateneo bolognese anche attraverso il recupero di spazi di socialità: ed è stato proprio grazie al recupero di quest’interstizio di vita all’interno dell’università che è stato possibile per loro, stando sul posto, bypassare l’onnipresente controllo della Digos e degli agenti dell’AISI (Agenzia informazioni e sicurezza interna) e fare irruzione nell’aula convegni. Il CNSU è un organo elettivo consultivo istituito ai tempi di Luigi Berlinguer, con al suo interno rappresentanti degli studenti iscritti ai corsi di laurea, laurea specialistica e dottorato di ricerca. È composto da 28 studenti iscritti ai corsi di laurea, uno studente dottorando di ricerca e uno specializzando. Attualmente il consiglio è monopolizzato da forze politiche della sinistra moderata riformista, più o meno riconducibili al PD e a forze centriste, alcune delle quali vicine al mondo cattolico, mentre la restante parte è decisamente ancora più a destra e di ideologia conservatrice. Cambiare Rotta, invece, fin dall’inizio ha fatto riferimento a un pensiero politico riconducibile alla sinistra radicale, antimilitarista e antisionista ed è decisamente contraria al riarmo e all’asservimento del mondo della ricerca a quello industriale in modo particolare quando fa accordi con Israele. A questo link si trova l’appello degli studenti di Cambiare Rotta per il ritiro delle denunce. Stefano Bertoldi
Università USA, denunce, arresti e veglie di protesta
Gli studenti dell‘UCLA (Università della California – Los Angeles) che lo scorso anno sono stati violentemente attaccati da una folla pro-Israele senza che gli agenti di polizia intervenissero hanno intentato una causa contro lo Stato della California. L’azione legale denuncia l’eccessiva violenza degli agenti della polizia di Los Angeles nei confronti dei manifestanti pacifici, colpiti da circa 50 proiettili rivestiti di gomma, riportando gravi lesioni. La legge californiana proibisce alla polizia di usare proiettili di gomma se non in circostanze straordinarie. In una vittoria del movimento di protesta dei campus, l’Università di San Francisco ha annunciato il disinvestimento da quattro aziende statunitensi che hanno contratti con l’esercito israeliano, a seguito di una campagna sostenuta dagli studenti. Nello Stato di Washington, la polizia ha arrestato una trentina di studenti attivisti dopo che questi avevano occupato la facoltà di ingegneria dell’Università di Washington per protestare contro i suoi legami con il produttore di armi Boeing. Il gruppo Students United for Palestinian Equality and Return chiede “che i soldi delle nostre tasse scolastiche e della nostra ricerca non vengano usati per finanziare e alimentare un genocidio”. In Pennsylvania, nove persone sono state violentemente arrestate sabato allo Swarthmore College mentre la polizia scioglieva un accampamento di solidarietà con Gaza che era stato chiamato “Zona liberata Hossam Shabat”, in onore del giornalista palestinese di 23 anni ucciso da Israele a marzo. Gli studenti chiedono di “disinvestire dall’occupazione, dall’aggressione e dall’apartheid israeliani e di dichiararsi un campus rifugio”. A New York, decine di docenti e personale della Columbia University vestiti di nero hanno sfilato in corteo e si sono fermati fuori dal campus lunedì per chiedere il rilascio di Mahmoud Khalil, laureato della Columbia  e di altri che sono stati presi di mira per aver difeso i diritti dei palestinesi. Veglie coordinate si sono tenute anche alle università di Tufts, Georgetown e Boston, dove gli studenti Rümeysa Öztürk e Badar Khan Suri sono stati recentemente arrestati dall’ICE. L’azione congiunta delle università si terrà ogni settimana. “Oggi abbiamo organizzato una veglia nel nostro campus contemporaneamente a gruppi di docenti delle Università di Tufts, Georgetown e Boston per denunciare la detenzione dei membri della nostra comunità. In questo Paese studenti e docenti vengono trasformati in prigionieri politici semplicemente per aver parlato a favore della causa palestinese” ha dichiarato Joseph Howley, professore di letteratura della Columbia University. Democracy Now!