Aboliamo la depredazione
LANCIARE ANATEMI SU UNA CIVILTÀ ABIETTA NON LE IMPEDISCE DI PERPETUARSI MENTRE
NOI PERMETTIAMO ALLE LEGGI DELLA RAPACITÀ FINANZIARIA E ALL’AGGRESSIVITÀ
PREDATORIA DI ORCHESTRARE IL NOSTRO SNATURAMENTO. E ALLORA? QUELLA DI RAOUL
VANEIGEM È UNA CHIAMATA ALLA CREAZIONE DI COLLETTIVITÀ IN LOTTA PER UNA VITA
UMANA LIBERA E AUTENTICA. UNA CREAZIONE CON LA QUALE SMETTERE DI PRENDERE IN
CONSIDERAZIONE QUALSIASI FORMA DI POTERE, IL MONDO NON SI CAMBIA IN PROFONDITÀ
DALL’ALTO; RIPUDIARE LA GUERRA CONTRO LA PALESTINA IN QUANTO GUERRA CONTRO I
POPOLI DI TUTTE LE REGIONI DELLA TERRA; DARE SPAZIO ALL’AIUTO RECIPROCO;
RISCOPRIRE LA FACOLTÀ UNICA CHE LEGA TUTTE LE DONNE E TUTTI GLI UOMINI, SAPER
CREARE E RICREARE IL MONDO CHE CI CIRCONDA. “È ARRIVATO IL MOMENTO DI RIPRENDERE
IL CORSO DEL NOSTRO DESTINO. È ARRIVATO IL MOMENTO DI CAMBIARE IL MONDO E DI
DIVENTARE QUELLO CHE VOGLIAMO ESSERE: NON I PROPRIETARI DI UN UNIVERSO STERILE,
MA GLI ABITANTI DI UNA TERRA IN CUI COLTIVARE L’ABBONDANZA PERMETTEREBBE DI
GODERE IN LIBERTÀ…”
Traduzione dell’articolo in spagnolo e in greco
Campagna Acqua per Gaza di Un ponte per
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Abbiamo fatto dell’Essere umano la vergogna dell’umanità.
Dall’epoca più lontana della Storia fino ai nostri giorni, nessuna società ha
mai raggiunto il livello di indegnità e abiezione dimostrato dalla civiltà
agro-mercantile. Quella che da diecimila anni si considera la Civiltà per
eccellenza.
È innegabile che abbiamo ereditato sia un istinto di depredazione sia uno di
aiuto reciproco. Costituiscono entrambi la nostra parte di animalità residua.
Però, mentre la coscienza di una solidarietà unificatrice favoriva la nostra
progressiva umanizzazione, l’aggressività predatoria sviluppava dentro di noi
una tendenza all’autodistruzione. È tanto difficile da capire?
L’apparizione di un’economia che sacrifica la vita al lavoro, al Potere e al
Guadagno segnò una rottura con l’egualitarismo e l’evoluzione simbiotica delle
civiltà pre-agricole. L’agricoltura e l’allevamento hanno privilegiato l’istinto
predatorio a spese di una pulsione di vita che non ha mai rinunciato a
ristabilire la sua usurpata sovranità.
L’appropriazione, la concorrenza e la rivalità si divertono a esaltare la
“bestia civilizzata”, la cui sublimazione spirituale serve a legittimare le loro
imprese. Nella sua forma emblematica, il leone suggerisce, in questo modo, che è
naturale dargli la caccia e opprimere le bestie. In questa maniera, ciò che in
realtà si impone è lo snaturamento dell’essere umano. Cercheremmo invano fra i
carnivori più spietati una crudeltà tanto determinata e una ferocia così
ingegnosa come quelle che esercitano la Giustizia, la Religione, l’Ideologia, il
Dominio, lo Stato e la Burocrazia.
Bisogna vederlo il ghigno dei mercanti di armi quando i loro prodotti di marca
fanno a pezzi donne, bambini, uomini, bestie, boschi e paesaggi. “À la guerre
comme à la guerre”, non si dice così? La Germania ha il cinismo del fatto
compiuto. Non ci nasconde niente di quei ristoranti senza cuore1dove
dame-e-cavalieri si riempono la pancia mentre le loro scarpe di lusso grondano
sangue ed escrementi.
Perché preoccuparsi quando un’opinione pubblica già inquadrata si schiera a
fianco di uno o un altro belligerante, come se si trattasse di un incontro di
calcio dove si affrontano Russia e Ucraina, Israele e Palestina? Le scommesse
sono aperte e gli applausi degli spettatori coprono le grida delle moltitudini
massacrate.
Accontentarci di lanciare anatemi su una civiltà abietta non le impedirà di
perpetuarsi mentre noi permettiamo alle leggi della rapacità finanziaria di
orchestrare il nostro snaturamento, scandire le nostre apatie e mettere in
evidenza le nostre frustrazioni scatenando esplosioni di un odio cieco e
assassino. Aggiungere il rimprovero all’errore? A che scopo? Servirebbe solo a
rafforzare un sentimento di colpa personale che si esorcizza accusando gli
altri. Il riflesso predatorio ne trarrebbe, di nuovo, un vantaggio.
Le esortazioni dirette alla maggioranza cadono sotto i colpi di un doppio
discredito: da una parte, le consegne e le esortazioni militanti mettono in moto
il vecchio motore del Potere, in cui il radicalismo ostacola rapidamente la
radicalità dell’esperienza vissuta; dall’altra, ciò che si decide di diffondere
sul podio dei concetti generali si diluisce rapidamente nell’intruglio delle
idee separate dalla vita, a meno che una lettrice o un lettore vi scopra
l’opportunità di intavolare un dialogo intimo con se stessa o se stesso. In
altre parole, a meno che entrambi bevano alla fonte della coscienza umana che
sta dentro di loro.
Per questo preferisco parlare direttamente all’individuo autonomo e non alle
masse. Perché quello sa molto bene che la mia unica intenzione è di affidargli
la mia maniera di vedere le cose, in una discussione fraterna in cui non è
necessario conoscersi per riconoscersi.
Non è l’aiuto reciproco la migliore garanzia del risveglio delle coscienze? Non
è un caso che la solidarietà rinasca spontaneamente man mano che la depredazione
smette di nascondere come divori se stessa e tragga guadagno dalla sua
autodistruzione.
La rovina dell’avere diffonde una stanchezza peggiore di quella morte il cui
spettro ci minaccia senza soste. E allora il soffio della vita ripristina
l’essere. Il soggetto si emancipa dall’oggetto, si libera della cosa a cui lo
riduceva la mercificazione. Non è per caso questo che è implicito nell’adagio
“l’uomo e la donna non sono merci?” Che gli uomini e le donne rivendichino,
rispettivamente, la loro parte di femminilità e di mascolinità non cambia per
niente la lotta comune che portano al sistema che li riduce in questo stato.
Basterà risparmiare ai bambini i danni dell’educazione predatoria perché la loro
spontanea radicalità si incarichi di risvegliarli alla loro destinée2 di esseri
umani.
Non c’è bisogno di profeti per rendersi conto che quel che si avvicina sarà, o
il trionfo del bruto a cui la clava serve da intelligenza, o l’irruzione di una
vita che ritrova la coscienza della sovranità che la sua umanità ha diritto di
esercitare.
L’utilità di fascismo e antifascimo consiste nel nascondere la vera lotta
finale, quella, al tempo stesso esistenziale e sociale, che implica lo
sradicamento della depredazione, la sparizione del Potere gerarchico e la fine
di chi latra ordini.
Il cinismo e l’assurdità lucrativa delle guerre, istigate dalle mafie statali e
globali, hanno finito per stancare anche il più ottuso dei loro tifosi. La
successione di contrapposizioni praticamente intercambiabili spinge l’opinione
“pubblica” ad abbandonare a poco a poco la scacchiera dei maneggi geopolitici. È
qui e ora che l’apparizione di movimenti come il maggio 1968, gli zapatisti, i
gilet gialli e i combattenti e le combattenti del Rojava apre alla vita e alla
coscienza un cammino che il deragliamento storico della Civilità agro-mercantile
aveva ostruito e condotto verso la morte.
Non sperare in niente non significa disperare di tutto. Il ritorno alla vita è
una reazione violenta, naturale e spontanea. Contiene in sé la capacità di
fermare la desertificazione della Terra da cui il profitto trae le sue ultime
risorse. Il ritorno alla vita, alla sua autenticità e alla sua coscienza è la
nostra vera forma di autodifesa immunitaria. Visto che lo snaturamento ostacola
questo processo in nome del Guadagno, perché non contare sulla natura che esiste
in noi e nel nostro ambiente per porre fine a una civiltà odiosa? Come? Non
fatela a me la domanda, fatevela a voi stessi, che in ogni momento navigate fra
il letargo e la rivolta!
I segnali di inquietudine e di giubilo si mescolano e moltiplicano dappertutto.
Ma non ingannatevi! Il rifiuto rabbioso di una guerra diretta specificamente
contro una determinata nazione – in questo caso la Palestina – va molto al di là
di un semplice ripudio. Esprime ogni volta con maggior chiarezza l’esecrazione
verso una guerra rivolta non solo contro la popolazione di una regione, ma
contro il popolo di tutte le regioni del pianeta Terra. Popolo che ha capito che
per l’avidità totalitaria vivere è un crimine. È per questo che le nuove
insurrezioni globali fanno parte dell’autodifesa del vivente. In esse si
incarnano tanto la volontà di abolire un universo di psicopatici che guadagnano
dalla morte, quanto la messa in opera di una nuova alleanza con madre natura.
È in questo che la guerra è stata di troppo, la goccia che ha fatto traboccare
il vaso. Non per le cricche delle armi, statali o soprastatali che siano, non
per i produttori di narco-neurolettici, ma per chiunque non sia disposto a
morire prematuramente unendosi al partito della servitù volontaria e del “viva
la morte!”3
Il problema discende soprattutto dal dubbio, dalla disperazione, dalle
disillusioni a cui vanno incontro, di generazione in generazione, i sostenitori
della vita.
Non è forse un’aberrazione aspettarsi qualcosa dalle istanze governative che
decidono a nome nostro e ci tormentano con i loro decreti, giocando a quale di
essi è più ridicolmente ingannevole del precedente?
In mezzo alla desolazione della nostra epoca, abbiamo almeno il piacere di veder
marcire davanti ai nostri occhi gli Dei, quegli impostori che da diecimila anni
hanno usurpato quella facoltà di creare e crearsi che la vita, nella sua folle
fecondità, aveva concepito proprio per la specie umana.
È arrivato il momento di riprendere il corso del nostro destino. È arrivato il
momento di cambiare il mondo e di diventare quello che vogliamo essere: non i
proprietari di un universo sterile, ma gli abitanti di una Terra in cui
coltivare l’abbondanza permetterebbe di godere in libertà. Basta con questo
mondo alla rovescia dove il guadagno si impoverisce impoverendo le sue risorse!
Che la disparizione delle energie nocive decontamini l’acqua, l’aria, il suolo e
la terra, in modo che il nostro ingegno creatore cancelli persino il ricordo di
una sfortunata deviazione della nostra evoluzione!
Nell’intensità di un desiderio il presente si risveglia in presenza di una vita
che non si preoccupa né di essere misurata né di essere programmata. L’allegria
di vivere ci inizia all’arte dell’armonia, poiché porta con sé la facoltà
specificamente umana di creare e crearsi.
La proprietà terriera e l’allevamento avevano introdotto nei costumi della gente
un gregarismo grazie al quale l’individuo vedeva la sua intelligenza abbassata a
quella del bestiame che doveva nutrire col suo lavoro. Quel che oggi si profila
è una rinascita dell’individuo autonomo che si libera dell’individualismo e
della sua coscienza alienata.
Ci troviamo in un punto di inflessione della Storia, in cui l’elaborazione di
uno stile di vita sostituirà una sopravvivenza condannata al lavoro,
un’esistenza dedicata a un confort frutto di cure palliative.
La presa di coscienza che emana dalle nostre pulsioni vitali mette in evidenza
un conflitto incessante tra una prospettiva di vita e una prospettiva di morte,
tra l’attrazione dei nostri desideri, illuminati dalla nostra intelligenza
sensibile, e il controllo esercitato contro di lei dll’intelligenza
intellettuale. Questo perché il blocco delle nostre emozioni da parte di ciò che
Wilhelm Reich chiama corazza caratteriologica obbedisce ai comandi
dell’efficienza meccanica a cui è soggetto il corpo durante il lavoro. Pertanto,
se il piacere che viene fuori dalla gratuità della vita non trova posto
nell’avidità totalitaria, è allora evidente che restaurare la gioia di vivere,
sviluppare la combattività festiva, rafforzare l’innocenza del vivente, che
ignora tanto i padroni quanto gli schiavi, sono armi che per loro natura possono
precipitare la rovina del Guadagno.
Stiamo nel vortice di un combattimento appassionante. Segnala la rinascita della
nostra coscienza umana ed esprime il risorgere di una dignità che è sempre stata
nel cuore dei nostri tentativi di liberazione, specialmente nel progetto
proletario di una società senza classi. Abbiamo visto come il proletariato sia
stato spogliato del suo progetto da quegli stessi che si proclamavano suoi
difensori. Sarebbe meglio prendere in considerazione fin dall’inizio lo
sradicamento di ogni forma di potere, che sia quella del sindaco, del
funzionario dello Stato o del militante funzionario dell’ideologia e della
burocrazia contestataria.
Fra quelli che si autoproclamano rappresentanti del popolo è facile riconoscere
i manipolatori che ambiscono sostituire la burocrazia dello Stato con la loro.
Non è forse una decisione salutare desiderare tutto senza aspettarsi niente? Qui
mi riferisco all’affidarci alle nostre pulsioni vitali come se fossero non una
fatalità ma una presenza creatrice che abbiamo la libertà di sperimentare
impedendo che quelle si blocchino, così da evitar loro un’inversione mortale che
generi piaghe emozionali. Abbiamo sottostimato l’importanza di raffinare la
collera per evitare la trappola dell’urgenza, per non lasciarci trascinare sul
terreno del nemico, per non soccombere alla militarizzazione della militanza.
Però, soprattutto, la distanza che implica il raffinamento delle emozioni si
configura come un luogo propizio per la maturazione della creatività. Favorisce
la messa in moto di una guerriglia che evita di ricorrere ad altre armi che non
siano quelle che non uccidono e sono inesauribili.
Con la prospettiva dei secoli si percepirà come il risveglio della coscienza
abbia rianimato la lotta, come il rinnovamento dell’aiuto reciproco liberi poco
a poco dalle nebbie della confusione.
Alle generazioni future risulterà inconcepibile che noi si sia tardato tanto a
renderci conto che la vita aveva dotato l’uomo e la donna di una facoltà
eccezionale, senza la quale non avrebbero superato lo stadio dell’animalità.
Nella sua cecità pratica, ci ha offerto il privilegio di creare e ricreare il
mondo che ci circonda.
Le comunità pre-agricole si sono evolute in simbiosi con l’ambiente da cui
traevano il loro sostentamento. L’apparizione della Civiltà mercantile e delle
sue Città-Stato segnò una rottura con la natura che da soggetto vivo passò a
convertirsi in oggetto di sfruttamento. Si utilizzò un sistema di governo
autoritario per occultare l’aiuto reciproco e creativo che aveva guidato, “da
Lucy fino a Lascaux”, un’evoluzione che oggi gli adulatori della civiltà
mercantile sono molto restii a scoprire.
Prevalse la nozione di Destino. Diffuse uno spirito di sottomissione, inculcò
un’ontologia della maledizione, estese il mito di una Caduta irrimediabile a cui
dobbiamo rassegnarci, così come obbediamo all’arbitrarietà di un padrone
divinizzato.
Ciò che rinasce ora in quelli che ancora aspirano a vivere è la sensazione di
essere stati ingannati. Il collasso del patriarcato, man mano che finisce di
seppellire gli Dei nelle latrine del passato, ci insegna a scoprire la
differenza fondamentale fra Destino e destinée. Il disprezzo della vita,
programmato dalla civiltà mercantile, ha nascosto sotto il termine Destino, il
principio attivo che io chiamo destinée, che non è altro che la capacità di
crearsi ricreando il mondo.
Il Destino appartiene alla Provvidenza, non si discute e invoca quella Fatalità
che aggiunge al servilismo un apprezzabile confort.
Il Destino si soffre, la destinée si costruisce. In questo non c’è nulla di
metafisico. L’atroce barbarie della nostra storia non è mai riuscita a soffocare
la lotta viscerale che mostra, di generazione in generazione, una volontà di
emancipazione intemporale che viene, nello stesso tempo, modellata dai flussi
economici, politici, psicologici e sociali.
Destino e destinée pongono un problema perché sono diventati sinonimi. Così
suggerisco di mantenere le radici francesi di destinée per maggior chiarezza.
La radicalità delle lotte per la vita esige che la destinée umana rimpiazzi il
Destino, il Caso, la Provvidenza. Rifiorisce nel mezzo di una no man’s land4
dove una civiltà incontinente si svuota della sua sostanza esistenziale, mentre
una nuova civiltà lotta con i dolori del parto.
Tra i balbettìi dell’autonomia, la potenza creatrice della donna e dell’uomo –
per quanto incerta sia – rivela di colpo che siamo capaci di crescere senza
padroni, guru e tutele. Se abbiamo avuto l’opportunità di comprendere che niente
attraeva la disgrazia con più certezza dell’abitudine di esser contenti in sua
compagnia, allora dobbiamo essere d’accordo sul fatto che, al contrario, il
piacere della gioia di vivere risulta ugualmente contagioso e lo fa in una
maniera più gradevole.
L’indistruttibile determinazione a coltivare nello stesso tempo la nostra vita e
quel giardino che è la nostra madre terra offre un aiuto infallibile contro la
paura, il senso di colpa, il sacrificio, il puritanesimo, il lavoro, il potere e
il denaro. Alimenta la lotta contro lo spirito mercantile che garantisce
dappertutto la promozione di valori “antifisici”, ostili alla natura.
Nella lotta per l’emancipazione dell’io, la volontà di autonomia individuale è
allo stesso tempo unica e plurale. Le domande a proposito della salute,
l’equilibrio, l’immunità, l’amicizia, l’amore, i piaceri e la creatività stanno
nel cuore di quell’emancipazione della Terra che le nuove insurrezioni globali
hanno illuminato. La posta in gioco è uguale dappertutto: raggiungere la libertà
dei desideri creando una società che si sforzi di armonizzarli.
Nella mia vita quotidiana, l’autenticità del vissuto è la garanzia naturale dei
miei desideri. La sua libertà esclude quelle mercantili; la libertà di
sfruttare, opprimere e uccidere.
La libertà e l’autenticità costituiscono per l’individuo in cerca di autonomia
il paradosso di una clandestinità apertamente rivendicata.
La predica delle buone intenzioni non è mai stata tanto insopportabile come nel
XXI secolo, in cui la coscienza alienata ora non indossa i guanti di velluto per
mettere le parole al lavoro. Col nome di terrorista, assassino, psicopatico o
delinquente indica quella che, per disgrazia, non è altro che una condizione di
disumanità che la frenesia del Guadagno a breve termine aggrava e accelera al
ritmo delle sue grandi opere, profittevoli e inutili.
Ho sempre difeso questo principio: libertà assoluta per tutte le opinioni,
proibizione assoluta di qualsiasi forma di inumanità. Secondo me, questa è
l’unica maniera di affrontare la questione delle religioni e delle ideologie.
Una tale opzione ci libera dell’ipocrisia umanitaria con qui si abbelliscono in
maniera ridicola tante idee e credenze. Non dobbiamo neppure ripetere che la
libertà di pensiero non è mai stata altro che una libertà mercantile.
Non vogliamo giudicare la disumanità, vogliamo condannarla ed esiliarla. Non ci
servono spiegazioni, né giustificazioni, né circostanze attenuanti. Che venga
dai quartieri ricchi o da quelli poveri, dal conservatorismo o dal progressismo,
nessuna disumanità è tollerabile. Che rimanga chiaro e senza ambiguità!
Faremo tutto il possibile per sradicare dai nostri costumi la propensione ad
uccidere, ferire, violentare e maltrattare, senza tener conto delle ragioni
utilizzate per spiegare le sue apparizioni e riapparizioni. Ora basta col
tribunale universale, dove soppesare, giudicare, scusare, condannare, castigare
e amnistiare perpetua le proteste dell’indignazione impotente. La giusta collera
continuerà ad essere impotente mentre si radica in ognuno di noi quel “togliti
di mezzo che sto arrivando!” che condanna alla giungla sociale e al riflesso
predatorio.
Ora basta con questa caricatura di esistenza volgarizzata su scala globale
dall’evangelismo narco-americano! Il self-made man5costruisce e diffonde solo la
propria morte. Quello è il suo prezzo ed è esibito con orgoglio!
Non è nell’individuo autonomo che si basa il piacere di non dover rendere conto
a nessuno, di stare soli a investigare, discutere e, prima o poi, realizzare una
trasformazione alchemica della monotona sopravvivenza che in lui si impantana?
Di causare la trasformazione della materia prima – condannata a putrefarsi –
nella vita piena e completa a cui abbiamo sempre aspirato come esseri umani?
L’arte di vivere disimpara il morire. Questa è l’unica lezione a cui desidero
afferrarmi.
Godere della mia autenticità vissuta, per quanto disordinata sia, mi libera
dell’obbligo di giocare un ruolo, un obbligo che impongono l’individualismo e il
gregge – il conglomerato dei gregari – che ignora l’individuo e ne riconosce
solo la forma alienata. Mi fa prendere coscienza del ridicolo e patetico dovere
di apparire, mi libera della dittatura dell’esteriorità, dello spettacolo e
della paura di essere costantemente valutato e giudicato. La vera felicità non
consiste forse nel tornare a incontrare l’innocenza di essere se stessi, di non
doversi giustificare, di desiderare secondo il cuore senza sperare niente dalla
mente?
Ci incamminiamo verso un nuovo Rinascimento verso un ritorno dell’Illuminismo.
La nostra strada laterale sarà quella di una clandestinità rivendicata
apertamente. Il pugno del guadagno ci colpisce dappertutto, colpiamo noi da
tutte le parti per disintegrarlo!
La clandestinità comincia dentro di noi, nella “stanza buia” dove rimaniamo soli
a discutere senza fine di quello che non vogliamo e di quel che desideriamo. Ci
sveglia perché prendiamo coscienza delle nostre pulsioni di vita, dei piaceri
che la stimolano, delle contrarietà che la rovesciano e la trasformano in
pulsioni di morte.
Il paradosso di una clandestinità apertamente rivendicata è affermato tanto
dall’anonimato dei gilet gialli quanto dall’anonimato che ogni individuo reclama
quando si rifugia nella stanza buia dei suoi desideri segreti. Là dove si
ritrova solo a decidere se unirsi al sistema di depredazione e al calcolo
egoista dell’individualismo, oppure se scegliere di dedicarsi, meglio, alla
trasformazione della sua sopravvivenza in una vita piena e completa.
In un suo lavoro, Fuenteovejuna, il drammaturgo Lope de Vega mette in scena gli
abitanti di un villaggio che, stanchi della crudeltà di un iniquo governatore,
lo ammazzano. I giudici e i boia incaricati di scoprire il colpevole, per quanto
interroghino gli abitanti e le abitanti del villaggio, ricevono in risposta solo
il suo nome, Fuenteovejuna. Poiché la guerra stanca, viene concessa un’amnistia
generale.
L’anonimato che rivendicano gli individui in lotta per la loro autonomia
solidale offre l’esempio di un’arma di vita, di una federazione di resistenze
all’oppressione. Così come l’ostinazione dei gilet gialli ormai non ha bisogno
di gilet per diffondersi, noi assistiamo alla presenza crescente di una vita che
aspira a essere libera e non si preoccupa né di religioni, né di politica, né di
strutture gerarchiche, statali e globali. La vita è innanzi tutto il fucile
rotto che distrugge la reificazione e insegna a sabotare la trasformazione
dell’essere nell’avere. Radicalizza il riformismo militante dissuadendolo dal
permettere che il Potere che dice di combattere si incrosti in lui.
Ciò che è vivo porta in sé la fertilità del desiderio. Nessun deserto resisterà
alla sua fecondità. Nella nostra intimità si configura la decisione di
cancellare l’istante che appartiene al tempo della distruzione, del lavoro e
della morte, per privilegiare il momento e il desiderio della vita che si
manifesta nei piaceri dell’autenticità vissuta. Volete una prova alla rovescia?
Osservate, mentre scrivo queste parole, la formidabile onda di nichilismo
autodistruttivo che sommerge le società corrose dal cancro della rendita.
Do meno importanza all’adesione di una grande maggioranza che all’intelligenza
degli individui autonomi, che è, grazie alla sua voglia di autenticità,
l’antidoto all’intellettualismo intellettuale.
Lenta ma ineluttabile, la trasformazione della prospettiva illumina il
rinnovamento e il luogo dove di compie la riunificazione dell’esistenziale e del
sociale. La battaglia individuale e quella per una società autenticamente umana
sono una stessa cosa.
La vita non ha bisogno né di padroni, né di culti religiosi, né di partiti.
Il piacere è la violenza pacifica del vivente che prolifera in noi e intorno a
noi. Il piacere è la gratuità che ci ha conferito una coscienza capace di
umanizzare quella violenza.
Ricostruiamo la Terra, facciamo dei nostri paesi, dei nostri quartieri e delle
nostre regioni altrettante oasi che il vivente faccia tornare inespugnabili!
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Questo articolo fa parte del libro Aprire l’impossibile, di Raoul Vaneigem,
pubblicato da Comunizar (fratello di Comune). Nel numero 3/2025 della Revista
Critica anticapitalista di Comunizar è apparso con il titolo completo Aboliamo
la depredazione, torniamo alla nostra umanità. Chiamata alla creazione mondiale
di collettività in lotta per una vita umana libera e autentica.
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Traduzione per Comune di Marco Codebo.
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1 Riferimento a Restos de Cœur o Restaurants du Cœur, traducibile come
“Ristoranti del cuore”. Si tratta di un’organizzazione caritativa fondata in
Francia, nel 1985, su iniziativa del comico Coluche per distribuire cibo e
piatti pronti ai più poveri della società. È ancora in attività.
2 Come è discusso più avanti nel testo, nel significato del francese destinée è
compreso un principio attivo, la capacità di creare se stessi ricreando il
mondo.
3 “Viva la morte, muoia l’intelligenza!” fu il grido delle truppe fasciste di
Franco durante l’assedio di Madrid. Si tratta di uno slogan coniato da José
Millán Astray, primo tenente colonnello della Legione spagnola, durante un
discorso di Miguel de Unamuno, rettore dell’università di Salamanca, in
occasione della celebrazione del Día de la Hispanidad, nel 1936. Unamuno rispose
al grido di Millán: “Vincerete ma non convincerete”.
4 “Terra di nessuno”, in inglese nell’originale.
5 “Uomo che si è fatto da sé”, in inglese nell’originale.
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L'articolo Aboliamo la depredazione proviene da Comune-info.