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Una Campania Popolare anche per abbattere le liste d’attesa nella sanità
Sono 5 anni che ci battiamo per le liste d’attesa, 5 anni in cui gli amministratori regionali ci hanno preso in giro, 5 anni in cui non hanno fatto praticamente nulla per ridistribuire i tetti di spesa la cui incapienza grava inesorabilmente su bilanci familiari di persone che sempre più […] L'articolo Una Campania Popolare anche per abbattere le liste d’attesa nella sanità su Contropiano.
Comunicato stampa: in merito all’ipotesi di un accordo tra Emilia-Romagna e Calabria
Il Comitato regionale Emilia-Romagna contro ogni autonomia differenziata giudica negativamente le parole del Presidente De Pascale “Stop ai pazienti da fuori” ed ancor più l’espressione della direttrice del S. Orsola Chiara Gibertoni: “C’è una mobilità sanitaria canaglia”. Riteniamo che tali affermazioni riecheggino lo stile leghista (prima ”noi”, fuori gli “stranieri”). La cosiddetta migrazione sanitaria è il risultato di una disuguaglianza nell’accesso e nella qualità delle prestazioni sanitarie sul territorio nazionale che spinge legittimamente a ricercare – con difficoltà e sacrifici – cure adeguate e maggiori prospettive di vita. Non capiamo perché un tale fenomeno, nato soprattutto grazie alle politiche di aziendalizzazione dell’attività sanitaria sia diventato di colpo un problema così grave da “intasare” il nostro servizio sanitario di diritto pubblico stimolando la Regione a prospettare un accordo diretto con la regione Calabria. Che tale fenomeno, con comportamenti disdicevoli solo in una minuscola percentuale, risultasse utile per la quantità economica extra che arrivava in regione forse non era conosciuto tra i non addetti ai lavori ma il blocco della mobilità durante il covid19 ha determinato la dovuta restituzione di milioni di euro da parte dell’Emilia-Romagna (ma anche di altre regioni del nord) per prestazioni non ancora erogate a pazienti provenienti da altre regioni. Come tutti noi anche la dott.ssa Gibertoni (che pare non ne fosse a conoscenza) ne è stata notiziata ma solo ora decide di scagliarsi contro. E’ un dato di fatto che la sanità sia già largamente regionalizzata ma la proposta di accordo con la Calabria potrebbe porre in essere quelle “nuove e ulteriori” forme di autonomia differenziata che l’art. 116 comma 3 Cost. offre a eventuali richiedenti. Il Presidente De Pascale che con la Risoluzione del 19/02/2025 ritirava le pre-intese del 2018-2019 sull’autonomia differenziata non ci ha mai detto che non avrebbe iniziato altri negoziati, ed è vero! In questo modo la Regione non inizia negoziati con lo Stato, semplicemente li salta procedendo autonomamente e direttamente ad accordi con altre Regioni con il rischio di diventare miccia per altri accordi con e tra altre regioni e anche su altre materie, un vero e proprio “Far West”! Ma se portasse a risultati, cosa di cui dubitiamo, la diminuzione di arrivo di persone calabresi perché mai non dovrebbe aumentare gli arrivi da altre regioni? Farà accordi anche con Puglia e/o Basilicata e così via? Concordiamo con le osservazioni del sindaco di Bologna e della Città Metropolitana Matteo Lepore: «Voglio dire rispetto ad alcune dichiarazioni leghiste che ho sentito da parte della maggioranza, che è inutile che in questo momento facciano tanto gli ‘spanizzi’, perché la risoluzione di questo problema non è maggiore autonomia ma il sistema sanitario nazionale». Ci auguriamo che il Presidente De Pascale si dissoci dai toni della dichiarazione della Dott.ssa Gibertoni, ritiri la proposta di accordo con la Calabria, non usi la mobilità sanitaria scatenando una guerra non tra poveri ma tra sofferenti e stimoli invece la Conferenza delle Regioni ad una adeguata vertenza col governo nazionale affinchè siano stanziate tutte le risorse necessarie al finanziamento del servizio sanitario pubblico. Bologna 15, novembre, 2025
L’Istat smonta la propaganda del governo sulla manovra
“I fatti hanno la testa dura” è una massima che racchiude bene l’adesione che si deve avere verso le dinamiche strutturali da parte di chi vuole portare avanti un’analisi concreta di quel che si ha davanti. Se il governo è un governo padronale e mette in campo misure propagandistiche, prima […] L'articolo L’Istat smonta la propaganda del governo sulla manovra su Contropiano.
Dal 2023 al 2026 € 17,5 miliardi in meno per la sanità pubblica
L’aumento apparente delle risorse per la sanità pubblica in realtà maschera un definanziamento strutturale del Servizio Sanitario Nazionale: tra il Fondo Sanitario Nazionale effettivo e quello che si sarebbe ottenuto mantenendo il livello di finanziamento stabile al 6,3% del Pil nel 2022, si registra infatti un gap cumulato di € 17,5 miliardi nel periodo 2023–2026. Si continua a sbandierare un aumento in valore assoluto del SSN, ma in realtà la sanità pubblica ha perso in quattro anni l’equivalente di una legge di bilancio. Intanto, per i cittadini crescono le liste di attesa, la spesa privata e le diseguaglianze di accesso. E’ quanto ha evidenziato la Fondazione Gimbe, nell’audizione davanti alle Commissioni Bilancio riunite di Senato e Camera. “Il Disegno di Legge sulla Manovra 2026, ha sottolineato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione Gimbe, è molto lontano dalle necessità della sanità pubblica: le risorse stanziate non bastano a risollevare un Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) in grave affanno, sono insufficienti per coprire tutte le misure previste e mancano all’appello priorità cruciali per la tenuta della sanità pubblica. Innanzitutto il titolo dell’art. 63 “Rifinanziamento del Fabbisogno Sanitario Nazionale Standard” è fuorviante perché non riporta gli importi del FSN rideterminati a seguito dello stanziamento di nuove risorse”.  Per questo motivo la Fondazione Gimbe ha proposto di rinominare l’art. 63 in “Fabbisogno Sanitario Nazionale Standard” e di indicare, per ciascun anno, l’importo rideterminato del FSN. Le risorse aumentate che vengono sbandierate riguardano poi esclusivamente il 2026, quando il FSN crescerà di € 6,6 miliardi (+4,8%) rispetto al 2025, grazie a € 2,4 miliardi previsti dalla Manovra 2026 e, soprattutto, a € 4,2 miliardi già stanziati con le precedenti manovre, in gran parte già allocati per i rinnovi contrattuali del personale sanitario. Nel biennio successivo, invece, la crescita del FSN in termini assoluti è irrisoria: € 995 milioni (+0,7%) nel 2027 e € 867 milioni (+0,6%) nel 2028. Infatti, se va riconosciuto al governo Meloni di aver aumentato il FSN di ben € 19,6 miliardi, cifra mai assegnata da nessun esecutivo in 4 anni, è altrettanto vero che tagliando la quota di FSN sul PIL dal 6,3% del 2022 a percentuali intorno al 6% negli anni successivi, la sanità ha complessivamente lasciato per strada ben € 17,5 miliardi. Quindi, nonostante gli aumenti nominali, la sanità ha perso in quattro anni l’equivalente della prossima legge di bilancio. Siamo di fronte ad un disinvestimento continuo dalla sanità pubblica, avviato nel 2010 e perpetrato da tutti i governi. L’aumento del FSN in valore assoluto, spesso sbandierato come un grande traguardo, non è che un’illusione contabile: la quota di PIL destinata alla sanità cala infatti inesorabilmente, fatta eccezione per gli anni della pandemia quando i finanziamenti straordinari per la gestione dell’emergenza e il calo del PIL nel 2020 hanno mascherato il problema. E con la Manovra 2026 si scende addirittura sotto la soglia del 6%, toccando nel 2028 il minimo storico del 5,93%. Di fronte alla realtà drammatica di queste cifre, che mettono seriamente  a rischio la salute dei cittadini, la Fondazione GIMBE ha proposto di avviare un rifinanziamento progressivo della sanità pubblica, accompagnato da coraggiose riforme strutturali di sistema. “Perché aggiungere fondi senza riforme, è stato sottolineato in Audizione, riduce il valore della spesa sanitaria, mentre varare riforme senza maggiori oneri per la finanza pubblica crea solo “scatole vuote”, così come è accaduto per il Decreto anziani e soprattutto per il Decreto Liste di attesa. Nonostante la stagnante crescita economica, gli enormi interessi sul debito pubblico e l’entità dell’evasione fiscale, se c’è la volontà politica è possibile pianificare con approccio scientifico un incremento percentuale annuo del FSN, al di sotto del quale non scendere, a prescindere dagli avvicendamenti dei governi”. In linea con le indicazioni politiche suggerite dal report OCSE sulla sostenibilità fiscale dei servizi sanitari, la Fondazione GIMBE ha presentato in audizione proposte concrete per rifinanziare il SSN: una tassa di scopo su prodotti nocivi alla salute (sin taxes: tabacco, alcol, gioco, bevande zuccherate), oltre a imposte su extraprofitti e redditi molto elevati; la rivalutazione dei confini tra spesa pubblica e privata, con la revisione del perimetro LEA accompagnata da una “sana” riforma della sanità integrativa per aumentare la spesa intermediata su prestazioni extra-LEA e da una revisione mirata delle compartecipazioni alla spesa sanitaria (ticket); un piano nazionale di disinvestimento da sprechi e inefficienze, con riallocazione di risorse su servizi e prestazioni sotto-utilizzate. Qui per scaricare il materiale dell’Audizione informale della Fondazione GIMBE: https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg19/attachments/documento_evento_procedura_commissione/files/000/434/397/Fondazione_GIMBE.pdf Giovanni Caprio
Ancora oltre 5,7 milioni in povertà assoluta, mentre la sanità pubblica continua la sua lenta agonia
La percentuale del Fondo Sanitario Nazionale sul PIL al 31 dicembre 2024 è scesa dal 6,3% del 2022 al 6% del 2023, per attestarsi al 6,1% nel 2024-2025, pari a una riduzione in termini assoluti di € 4,7 miliardi nel 2023, € 3,4 miliardi nel 2024 e € 5 miliardi nel 2025. In altre parole, se è certo che nel triennio 2023-2025 il FSN è aumentato di € 11,1 miliardi, è altrettanto vero che con il taglio alla percentuale di PIL la sanità ha lasciato per strada € 13,1 miliardi. E’ quanto evidenzia ancora una volta la Fondazione GIMBE nel suo 8° Rapporto sul Servizio Sanitario Nazionale (https://www.salviamo-ssn.it/attivita/rapporto/8-rapporto-gimbe.it-IT.html). Dal punto di vista previsionale, il Documento Programmatico di Finanza Pubblica (DPFP) 2025 del 2 ottobre 2025 stima un rapporto spesa sanitaria/PIL stabile al 6,4% per gli anni 2025, 2027 e 2028, con un leggero aumento al 6,5% nel 2026, legato alla lieve revisione al ribasso delle stime di crescita economica, ma la Legge di Bilancio 2025 racconta un’altra storia: la quota di PIL destinata al FSN scenderà dal 6,1% del 2025-2026 al 5,9% nel 2027 e al 5,8% nel 2028. Questo divario tra previsione di spesa e finanziamento pubblico rischia di scaricarsi sui bilanci delle Regioni: € 7,5 miliardi per il 2025, € 9,2 miliardi nel 2026, € 10,3 miliardi nel 2027, € 13,4 miliardi nel 2028. “Eppure, sottolinea la Fondazione GIMBE, il finanziamento della sanità pubblica non è una variabile negoziabile, come ribadito dalla Corte Costituzionale con il netto cambio di passo dal “diritto finanziariamente condizionato” alla “spesa costituzionalmente necessaria” per finanziare i LEA: la Consulta ha riaffermato che la tutela della salute è un diritto incomprimibile che lo Stato deve garantire prioritariamente, recuperando le risorse necessarie da altri capitoli di spesa pubblica”. La Fondazione GIMBE evidenzia come il peso della cura sia sempre di più sulle spalle delle famiglie e pone l’accento sulle rinunce alle cure: complessivamente l’86,7% della spesa privata grava direttamente sui cittadini, mentre solo il 13,3% è intermediata. Quante alle rinunce alle cure, il fenomeno è esploso nel 2024 quando ha coinvolto 1 italiano su 10 (oltre 5,8 milioni di persone), ossia il 9,9% della popolazione, con marcate differenze regionali: dal 5,3% della Provincia autonoma di Bolzano al 17,7% della Sardegna. Anche la Relazione annuale sui livelli e la qualità dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali alle imprese e ai cittadini, predisposta dal CNEL (https://www.cnel.it/)  e inviata al Parlamento e al governo ai sensi della legge 936/1986, certifica i gravi problemi che attraversa il nostro SSN, ove continuano a sussistere significative discrepanze su base regionale e anche tra i territori subregionali, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Sono divari che investono la scarsa offerta di servizi e la fragilità infrastrutturale in diverse aree del Paese. Ma è un dato su tutti che evidenzia la grave china su cui sembra scivolare il SSN e riguarda la spesa sanitaria privata che ormai ha raggiunto il 25%. “Si registra ormai da molti anni, si legge nella Relazione del CNEL, una crescente propensione delle famiglie italiane a spendere privatamente per la sanità. La spesa privata ha raggiunto il livello di 42,6 miliardi annui, pari a circa il 25% del totale della spesa sanitaria nazionale”. Per non parlare della rinuncia a curarsi di tanti italiani: nel 2024 quasi il 10% dei residenti, annota il CNEL,  ha rinunciato a visite o esami specialistici. E le principali motivazioni sono state la lunghezza delle liste di attesa (6,8%, +2,3 rispetto al 2023) e la difficoltà di pagare le prestazioni sanitarie (5,3%, +1,1 rispetto al 2023). Quest’ultimo dato è particolarmente significativo, in quanto nel 2024 il 23,9% degli individui (+4 rispetto al 2023) si è fatto carico dell’intero costo dell’ultima prestazione specialistica, senza alcun rimborso da assicurazioni. E il quadro è destinato a peggiorare, complice una povertà assoluta che non accenna a diminuire: l’ISTAT proprio in questi giorni ha confermato che sono oltre 5,7 milioni le persone in povertà assoluta in Italia (dato 2024). L’ISTAT stima che le famiglie in povertà assoluta siano poco più di 2,2 milioni (l’8,4% sul totale delle famiglie residenti). Una povertà assoluta che si conferma più alta tra le famiglie ampie, raggiungendo il 21,2% tra quelle con cinque e più componenti e l’11,2% tra quelle con quattro, per scendere all’8,6% tra le famiglie di tre componenti. Una povertà che va di pari passo con il livello di istruzione: tra chi possiede solo la licenza elementare o nessun titolo, la povertà raggiunge il 14,4%, in peggioramento rispetto al 13,3% del 2023. Tra chi ha la licenza media, il tasso è del 12,8% (era il 12,3 nel 2023), mentre tra i diplomati e i laureati scende al 4,2%, in miglioramento rispetto al 3,6% dell’anno precedente. E l’occupazione non basta sempre a proteggere dalla povertà: nel 2024 il 7,9% degli occupati vive in povertà assoluta, tra i lavoratori dipendenti la quota sale all’8,7%, mentre tra i lavoratori autonomi si ferma al 5,2%. Tra chi non lavora, la percentuale sale al 9,1%, ma le differenze interne sono ampie: la povertà colpisce il 5,8% dei pensionati o di chi non cerca occupazione, mentre raggiunge il 21,3 tra i disoccupati in cerca di lavoro, in aumento rispetto al 20,7% del 2023. Una povertà assoluta che continua a colpire soprattutto i minori: nel 2024, la povertà assoluta coinvolge oltre 1 milione 283mila minori (il 13,8% dei minori residenti), variando dal 12,1% del Centro al 16,4% del Mezzogiorno, e salendo al 14,9% per i bambini da 7 a 13 anni. E in povertà assoluta versano oltre 1,8 milioni di stranieri, più di uno su tre (l’incidenza è pari al 35,6%), una quota quasi cinque volte superiore a quella degli italiani (7,4%). Ciononostante, i due terzi delle famiglie povere (67%) sono famiglie di soli italiani (oltre 1 milione e 490mila, con un’incidenza pari al 6,2%) e solo il restante 33% è rappresentato da famiglie con stranieri (733mila), che nell’82% dei casi (600mila) sono famiglie composte esclusivamente da stranieri. L’ISTAT sottolinea come a far scivolare tante famiglie verso la povertà sia l’affitto della casa: Il numero delle famiglie in affitto assolutamente povere supera di poco il milione, l’incidenza si attesta al 22,1% contro il 4,7% registrato tra quelle che vivono in abitazioni di proprietà (quasi 916mila famiglie). Per le famiglie in affitto, l’incidenza più elevata si registra nel Mezzogiorno (24,8%, coinvolgendo 346mila famiglie), seguito dal Nord e dal Centro (rispettivamente 21,9% e 18,7%). Domani, 17 ottobre, si celebra la Giornata Mondiale contro la Povertà, un’occasione per ricordare che la povertà non è solo mancanza di reddito, ma anche esclusione, solitudine e negazione dei diritti fondamentali. In occasione della Giornata Mondiale di lotta alla povertà, istituita dall’ONU nel 1992, vengono promosse in tutta Italia numerose iniziative; tra esse molte sono nell’ambito della Notte dei Senza Dimora. La prima edizione della “Notte” fu promossa da Terre di Mezzo nel 1999 e anche quest’anno accoglie adesioni e nuove iniziative, sempre con l’obiettivo di sensibilizzare la cittadinanza sulla condizioni in cui le persone senza dimora si trovano a vivere. fio.PSD raccoglie e pubblica gli eventi promuovendoli tramite il proprio sito web e con i propri strumenti della comunicazione: https://www.fiopsd.org/notte-dei-senza-dimora-2025/. Qui il Report dell’ISTAT: https://www.istat.it/wp-content/uploads/2025/10/La-poverta-in-italia-_-Anno-2024.pdf Giovanni Caprio
Aversa (CE). Vigilare per tutelare il diritto alla salute
La ‘Petizione malati e derubati in Campania’ segue con grande preoccupazione le vicende che si stanno susseguendo al Distretto Sanitario 17-19 di Aversa, la chiusura e lo spostamento presso il Distretto di Trentola di attività assistenziali importanti, la chiusura dell’ambulatorio infermieristico che ha prodotto tantissime prestazioni (chiusura prevista per il […] L'articolo Aversa (CE). Vigilare per tutelare il diritto alla salute su Contropiano.
Corteo regionale a Pignataro Maggiore: basta impianti, ma bonifiche e piano sanitario straordinario!
CORTEO REGIONALE DEL 27 SETTEMBRE A PIGNATARO MAGGIORE: BASTA IMPIANTI, BONIFICHE, PIANO SANITARIO STRAORDINARIO! 🏄🏼‍♂️ 🔥 CHE LE VOCI DEI MARTIRI EVOCHINO UNA NUOVA ERA PER I NOSTRI TERRITORI! 27 settembre ore 15.00 Pignataro Maggiore – via del Conte, davanti la SNAM Viviamo in un territorio segnato da anni di […] L'articolo Corteo regionale a Pignataro Maggiore: basta impianti, ma bonifiche e piano sanitario straordinario! su Contropiano.
Difendiamo il consultorio! Difendiamo Pietralata!
Appuntamento sabato 13 alle ore 16:00 davanti al Consultorio di via di Pietralata 497! A Pietralata si è verificato un episodio di estrema gravità. Nel mese di agosto, una donna che si era rivolta al consultorio per richiedere un’interruzione di gravidanza ne è uscita profondamente scossa, con pensieri suicidi. Il […] L'articolo Difendiamo il consultorio! Difendiamo Pietralata! su Contropiano.
CGIL-Agrigento: La sanità pubblica è un bene comune da difendere e rafforzare
Negli ultimi giorni sei medici hanno rassegnato le proprie dimissioni dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento. Un fatto grave che mette in luce, ancora una volta, le difficoltà strutturali della sanità pubblica in provincia e nell’intero Paese. È già estremamente complicato riuscire a trattenere, all’interno del sistema sanitario pubblico, i medici a tempo indeterminato, a causa della concorrenza della sanità privata che offre retribuzioni molto più alte e una organizzazione del lavoro che consente di lavorare in serenità. Figuriamoci quanto possa essere difficile mantenere in servizio i professionisti con un contratto a tempo determinato, privi di prospettive stabili. In passato alcuni bandi di concorso,  per la medicina di urgenza sono addirittura andati deserti, a fronte però di diverse centinaia di posti vacanti in tutte le altre specializzazioni. Una situazione insostenibile che non può più essere sottovalutata. Come CGIL riteniamo necessario e urgente aprire un confronto con il management dell’ASP di Agrigento. Per questo chiederemo un incontro al direttore generale Giuseppe Capodieci, al fine di comprendere perché non sia stata ancora avviata una task force mirata alla copertura dei posti vacanti nella dirigenza medica, a partire dall’attivazione delle procedure di assunzione previste per legge, comprese le mobilità. Non possiamo permettere che la sanità pubblica agrigentina continui a perdere risorse umane e professionalità preziose. Molti giovani medici sono già andati via, avendo vinto concorsi pubblici in altre regioni. È indispensabile offrire loro la possibilità di rientrare, creando condizioni lavorative e contrattuali dignitose e stabili. Se non si ha questa consapevolezza e non si provvede con urgenza a tappare i buchi in organico le tanto sbandierate case di comunità il cui obiettivo è quello di portare i servizi sanitari più vicino ai cittadini fungendo da punto di riferimento per l’assistenza primaria, la prevenzione e la promozione della salute; che dovrebbero offrire servizi ambulatoriali, diagnostici, di continuità assistenziale e di prevenzione, integrando l’assistenza fornita dai medici di famiglia e dai pediatri ci chiediamo con quali medici? Con questo andazzo saranno l’ennesime cattedrali nel deserto o saranno costruite soltanto per concederli ai privati. Sarebbe l’ennesima beffa per i cittadini che con le proprie tasse finanziano la realizzazione di strutture per i privati e restare senza una sanità pubblica di qualità vicino casa.  La sanità pubblica è un bene comune da difendere e rafforzare. Per questo chiediamo atti concreti e immediati per garantire servizi essenziali ai cittadini e dignità a chi ogni giorno lavora negli ospedali e nei presidi sanitari della nostra provincia. ALFONSO BUSCEMI – SEGRETARIO GENERALE CGIL AGRIGENTO Redazione Sicilia