Ancora oltre 5,7 milioni in povertà assoluta, mentre la sanità pubblica continua la sua lenta agoniaLa percentuale del Fondo Sanitario Nazionale sul PIL al 31 dicembre 2024 è scesa
dal 6,3% del 2022 al 6% del 2023, per attestarsi al 6,1% nel 2024-2025, pari a
una riduzione in termini assoluti di € 4,7 miliardi nel 2023, € 3,4 miliardi nel
2024 e € 5 miliardi nel 2025. In altre parole, se è certo che nel triennio
2023-2025 il FSN è aumentato di € 11,1 miliardi, è altrettanto vero che con il
taglio alla percentuale di PIL la sanità ha lasciato per strada € 13,1 miliardi.
E’ quanto evidenzia ancora una volta la Fondazione GIMBE nel suo 8° Rapporto sul
Servizio Sanitario Nazionale
(https://www.salviamo-ssn.it/attivita/rapporto/8-rapporto-gimbe.it-IT.html). Dal
punto di vista previsionale, il Documento Programmatico di Finanza Pubblica
(DPFP) 2025 del 2 ottobre 2025 stima un rapporto spesa sanitaria/PIL stabile al
6,4% per gli anni 2025, 2027 e 2028, con un leggero aumento al 6,5% nel 2026,
legato alla lieve revisione al ribasso delle stime di crescita economica, ma la
Legge di Bilancio 2025 racconta un’altra storia: la quota di PIL destinata al
FSN scenderà dal 6,1% del 2025-2026 al 5,9% nel 2027 e al 5,8% nel 2028.
Questo divario tra previsione di spesa e finanziamento pubblico rischia di
scaricarsi sui bilanci delle Regioni: € 7,5 miliardi per il 2025, € 9,2 miliardi
nel 2026, € 10,3 miliardi nel 2027, € 13,4 miliardi nel 2028. “Eppure,
sottolinea la Fondazione GIMBE, il finanziamento della sanità pubblica non è una
variabile negoziabile, come ribadito dalla Corte Costituzionale con il netto
cambio di passo dal “diritto finanziariamente condizionato” alla “spesa
costituzionalmente necessaria” per finanziare i LEA: la Consulta ha riaffermato
che la tutela della salute è un diritto incomprimibile che lo Stato deve
garantire prioritariamente, recuperando le risorse necessarie da altri capitoli
di spesa pubblica”.
La Fondazione GIMBE evidenzia come il peso della cura sia sempre di più sulle
spalle delle famiglie e pone l’accento sulle rinunce alle cure: complessivamente
l’86,7% della spesa privata grava direttamente sui cittadini, mentre solo il
13,3% è intermediata. Quante alle rinunce alle cure, il fenomeno è esploso nel
2024 quando ha coinvolto 1 italiano su 10 (oltre 5,8 milioni di persone), ossia
il 9,9% della popolazione, con marcate differenze regionali: dal 5,3% della
Provincia autonoma di Bolzano al 17,7% della Sardegna. Anche la Relazione
annuale sui livelli e la qualità dei servizi erogati dalle pubbliche
amministrazioni centrali e locali alle imprese e ai cittadini, predisposta dal
CNEL (https://www.cnel.it/) e inviata al Parlamento e al governo ai sensi della
legge 936/1986, certifica i gravi problemi che attraversa il nostro SSN, ove
continuano a sussistere significative discrepanze su base regionale e anche tra
i territori subregionali, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo.
Sono divari che investono la scarsa offerta di servizi e la fragilità
infrastrutturale in diverse aree del Paese. Ma è un dato su tutti che evidenzia
la grave china su cui sembra scivolare il SSN e riguarda la spesa sanitaria
privata che ormai ha raggiunto il 25%. “Si registra ormai da molti anni, si
legge nella Relazione del CNEL, una crescente propensione delle famiglie
italiane a spendere privatamente per la sanità. La spesa privata ha raggiunto il
livello di 42,6 miliardi annui, pari a circa il 25% del totale della spesa
sanitaria nazionale”.
Per non parlare della rinuncia a curarsi di tanti italiani: nel 2024 quasi il
10% dei residenti, annota il CNEL, ha rinunciato a visite o esami
specialistici. E le principali motivazioni sono state la lunghezza delle liste
di attesa (6,8%, +2,3 rispetto al 2023) e la difficoltà di pagare le prestazioni
sanitarie (5,3%, +1,1 rispetto al 2023). Quest’ultimo dato è particolarmente
significativo, in quanto nel 2024 il 23,9% degli individui (+4 rispetto al 2023)
si è fatto carico dell’intero costo dell’ultima prestazione specialistica, senza
alcun rimborso da assicurazioni.
E il quadro è destinato a peggiorare, complice una povertà assoluta che non
accenna a diminuire: l’ISTAT proprio in questi giorni ha confermato che sono
oltre 5,7 milioni le persone in povertà assoluta in Italia (dato 2024). L’ISTAT
stima che le famiglie in povertà assoluta siano poco più di 2,2 milioni (l’8,4%
sul totale delle famiglie residenti). Una povertà assoluta che si conferma più
alta tra le famiglie ampie, raggiungendo il 21,2% tra quelle con cinque e più
componenti e l’11,2% tra quelle con quattro, per scendere all’8,6% tra le
famiglie di tre componenti. Una povertà che va di pari passo con il livello di
istruzione: tra chi possiede solo la licenza elementare o nessun titolo, la
povertà raggiunge il 14,4%, in peggioramento rispetto al 13,3% del 2023. Tra chi
ha la licenza media, il tasso è del 12,8% (era il 12,3 nel 2023), mentre tra i
diplomati e i laureati scende al 4,2%, in miglioramento rispetto al 3,6%
dell’anno precedente. E l’occupazione non basta sempre a proteggere dalla
povertà: nel 2024 il 7,9% degli occupati vive in povertà assoluta, tra i
lavoratori dipendenti la quota sale all’8,7%, mentre tra i lavoratori autonomi
si ferma al 5,2%. Tra chi non lavora, la percentuale sale al 9,1%, ma le
differenze interne sono ampie: la povertà colpisce il 5,8% dei pensionati o di
chi non cerca occupazione, mentre raggiunge il 21,3 tra i disoccupati in cerca
di lavoro, in aumento rispetto al 20,7% del 2023.
Una povertà assoluta che continua a colpire soprattutto i minori: nel 2024, la
povertà assoluta coinvolge oltre 1 milione 283mila minori (il 13,8% dei minori
residenti), variando dal 12,1% del Centro al 16,4% del Mezzogiorno, e salendo al
14,9% per i bambini da 7 a 13 anni. E in povertà assoluta versano oltre 1,8
milioni di stranieri, più di uno su tre (l’incidenza è pari al 35,6%), una quota
quasi cinque volte superiore a quella degli italiani (7,4%). Ciononostante, i
due terzi delle famiglie povere (67%) sono famiglie di soli italiani (oltre 1
milione e 490mila, con un’incidenza pari al 6,2%) e solo il restante 33% è
rappresentato da famiglie con stranieri (733mila), che nell’82% dei casi
(600mila) sono famiglie composte esclusivamente da stranieri.
L’ISTAT sottolinea come a far scivolare tante famiglie verso la povertà sia
l’affitto della casa: Il numero delle famiglie in affitto assolutamente povere
supera di poco il milione, l’incidenza si attesta al 22,1% contro il 4,7%
registrato tra quelle che vivono in abitazioni di proprietà (quasi 916mila
famiglie). Per le famiglie in affitto, l’incidenza più elevata si registra nel
Mezzogiorno (24,8%, coinvolgendo 346mila famiglie), seguito dal Nord e dal
Centro (rispettivamente 21,9% e 18,7%).
Domani, 17 ottobre, si celebra la Giornata Mondiale contro la Povertà,
un’occasione per ricordare che la povertà non è solo mancanza di reddito, ma
anche esclusione, solitudine e negazione dei diritti fondamentali. In occasione
della Giornata Mondiale di lotta alla povertà, istituita dall’ONU nel 1992,
vengono promosse in tutta Italia numerose iniziative; tra esse molte sono
nell’ambito della Notte dei Senza Dimora. La prima edizione della “Notte” fu
promossa da Terre di Mezzo nel 1999 e anche quest’anno accoglie adesioni e nuove
iniziative, sempre con l’obiettivo di sensibilizzare la cittadinanza sulla
condizioni in cui le persone senza dimora si trovano a vivere. fio.PSD raccoglie
e pubblica gli eventi promuovendoli tramite il proprio sito web e con i propri
strumenti della comunicazione:
https://www.fiopsd.org/notte-dei-senza-dimora-2025/.
Qui il Report dell’ISTAT:
https://www.istat.it/wp-content/uploads/2025/10/La-poverta-in-italia-_-Anno-2024.pdf
Giovanni Caprio