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Il corpo delle donne come campo di battaglia: la violenza sessuale sulle donne durante il conflitto nella Repubblica Democratica del Congo
> RACCONTARE E’ UN ATTO POLITICO.  RACCONTA, DIFFONDI, PARTECIPA AL CROWDFUNDING > DADAxCONGO. > > Trasformiamo la solidarietà in azione, insieme.   Réseau des Femmes pour un Développement Associatif Réseau des Femmes pour la Défense des Droits et la Paix International Alert CAPITOLO 3 La posizione delle donne e le percezioni socio-culturali della violenza sessuale nel Sud Kivu Per comprendere le ragioni per cui si verificano tali atti di violenza sessuale, è necessario prendere in considerazione la situazione sociale ed economica delle donne nel Sud Kivu. Una conoscenza approfondita del modo in cui vengono percepite le relazioni di genere nella società e, soprattutto, delle attitudini degli uomini nei confronti del corpo femminile in tempo di pace — sia nel Sud Kivu che nei Paesi limitrofi da cui provengono alcuni autori di queste violenze — permette di capire più chiaramente come tali atrocità abbiano potuto verificarsi. Questo capitolo analizza quindi brevemente la posizione delle donne nella società del Sud Kivu, e il contesto socio-culturale ed economico in cui vivono. 3.1 La posizione delle donne La posizione delle donne nel Sud Kivu è caratterizzata, da un punto di vista economico, dalla “femminilizzazione della povertà”, aggravata dall’assenza di politiche o meccanismi per la promozione femminile; e, da un punto di vista socio-culturale, dalla persistenza di costumi, pratiche e leggi discriminatorie nei confronti delle donne. Questi fattori le rendono particolarmente vulnerabili in un contesto di conflitto armato: non solo aumentano la probabilità che si verifichino violenze di genere, ma — agli occhi degli autori — contribuiscono persino a legittimarle. 3.1.1 La femminilizzazione della povertà Quando scoppiò la guerra nella Repubblica Democratica del Congo, la popolazione locale — e in particolare le donne — era già stata resa vulnerabile dal malfunzionamento delle strutture statali e dalla mancanza di infrastrutture economiche e sociali adeguate, dovuta a trent’anni di regime dittatoriale sotto il presidente Mobutu. Per decenni gli stipendi dei funzionari pubblici e dei dipendenti delle imprese statali non erano stati pagati regolarmente, e così la popolazione era stata costretta ad assumersi compiti che avrebbero dovuto spettare allo Stato: costruzione di scuole, pagamento degli insegnanti, manutenzione delle strade e fornitura di servizi sanitari. In questo contesto di impoverimento generalizzato, il peso della sopravvivenza è ricaduto sempre più sulle donne. La mancanza di sviluppo economico e sociale ha determinato un ulteriore impoverimento della popolazione femminile, soprattutto nelle aree rurali e semi-urbane. Le donne costituiscono la forza trainante dell’economia di sussistenza del Sud Kivu, basata essenzialmente su agricoltura e allevamento. Circa l’80% della popolazione della provincia si dedica all’agricoltura, e il 70% di queste persone sono donne. Le donne sono attive anche nel settore informale, in particolare nel piccolo commercio, nella sartoria, nella tintura, nella ceramica e nella lavorazione dei cesti. Operano inoltre ai margini dell’industria mineraria, dove vengono impiegate come manodopera sfruttata e sottopagata. La guerra ha avuto un effetto devastante sulle attività economiche e sociali delle donne. Le risorse già scarse e i mezzi di produzione delle organizzazioni femminili di base sono stati distrutti o saccheggiati. Oltre alla situazione di insicurezza, le donne devono affrontare problemi strutturali che aggravano ulteriormente la loro povertà: * difficoltà di accesso alla terra a causa della sovrappopolazione e dell’eccessivo sfruttamento dei terreni fertili, e per via delle tradizioni patriarcali; * distruzione delle infrastrutture economiche o loro assenza; * tassazione pesante imposta dal Rassemblement Démocratique Congolais (RCD), che ha contribuito a erodere ulteriormente i redditi femminili. La guerra ha inoltre prodotto un elevato numero di vedove e donne sfollate, improvvisamente divenute capofamiglia senza alcuna preparazione. Esse vivono al di sotto della soglia di povertà e dipendono in larga misura dagli aiuti alimentari (quando disponibili) per sopravvivere. I tassi di HIV/AIDS sono elevati, anche a causa della diffusione degli stupri commessi dai gruppi armati. La guerra e la povertà hanno costretto molte donne e ragazze alla prostituzione di sopravvivenza, che le rende particolarmente vulnerabili alla violenza sessuale. Tale fenomeno crea condizioni “in cui le relazioni sessuali abusive sono più largamente accettate e in cui molti uomini, civili e combattenti, considerano il sesso come un servizio facilmente ottenibile mediante coercizione”. Parallelamente, la violenza domestica è aumentata, a causa della disoccupazione maschile, delle tensioni e dell’incertezza sul futuro politico del Paese. Questo aumento della violenza domestica durante i periodi di guerra è un fenomeno diffuso, confermato da studi — ad esempio — sull’ex Jugoslavia, dove durante il conflitto si verificarono episodi di violenza sessuale di crudeltà senza precedenti. 3.1.2 Costumi, pratiche e legislazione discriminatori Alcuni costumi, pratiche e leggi ostacolano l’accesso delle donne alla proprietà, all’istruzione, alle tecnologie moderne e all’informazione. Le donne soffrono spesso di analfabetismo o di scarsa istruzione, poiché in molte famiglie i maschi continuano a essere privilegiati rispetto alle femmine nell’accesso alla scuola. Molte ragazze appartenenti ai gruppi più svantaggiati abbandonano gli studi per matrimonio o gravidanza precoce. È difficile per le donne accedere ai mezzi di produzione come terra, proprietà o credito. Alcuni aspetti della legislazione congolese discriminano ancora le donne: ad esempio, una donna sposata deve ottenere il permesso del marito per aprire un conto bancario o richiedere un prestito. Tradizionalmente, le donne non possono ereditare dai padri o dai mariti. Nelle zone rurali, le donne producono e gestiscono il 75% della produzione alimentare, trasformano i prodotti per il consumo familiare e vendono circa il 60% nei mercati locali, ma spesso non ricevono alcun guadagno, poiché i proventi vanno direttamente ai mariti. Molti gruppi etnici mantengono pratiche tradizionali che perpetuano la sottomissione femminile, riducendo le donne allo status di proprietà privata. Tra i Bashi, Bavira, Fulero e Bembe, la consuetudine del levirato — per cui una vedova viene “ereditata” dal fratello del marito — è ancora viva, privando le donne della libertà di scegliere un nuovo coniuge. Tra i Banyamulenge, le donne erano considerate proprietà collettiva del clan: il suocero, il cognato o il marito della cognata avevano il diritto, con il consenso del marito, di avere rapporti sessuali con lei. Sebbene tali pratiche siano state in parte limitate dall’influenza del cristianesimo, non sono del tutto scomparse. Alcuni Bami (capi tradizionali) rivendicavano il droit de seigneur sulle donne della comunità che desideravano, facendole “consegnare” alle proprie case per un matrimonio forzato o per rapporti sessuali. Tali costumi persistono tuttora in alcune etnie (Lega, Fulero, Bembe e Bashi), e i genitori spesso li tollerano per il prestigio e i vantaggi che derivano dai legami con i Bami. 3.1.3 L’assenza di politiche e meccanismi di promozione femminile La provincia del Sud Kivu dispone di pochissimi meccanismi di promozione femminile. Un Ministero per gli Affari Femminili fu creato a livello nazionale all’inizio degli anni ’80, con una sede provinciale a Bukavu. Tuttavia, molte organizzazioni femminili lo consideravano solo uno strumento politico per mobilitare l’elettorato femminile a favore del presidente Mobutu. I fondi destinati alla promozione delle donne furono poi ridotti, e il ministero fu assorbito da quello per gli Affari Sociali, diventandone un semplice dipartimento. Durante l’amministrazione del Rassemblement Démocratique Congolais (RCD), al potere nel Sud Kivu dal 1998 al 2003, fu istituito un Consiglio Provinciale delle Donne (marzo 2001), indipendente dal ministero di Kinshasa ma privo di risorse per sviluppare progetti di sviluppo femminile. Strumenti internazionali come la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) e la Piattaforma di Pechino sono stati raramente applicati, a causa della mancanza di finanziamenti. Un’indagine condotta nel 2001 dal governo della RDC e dall’UNICEF su tutto il territorio nazionale ha rivelato un quadro allarmante, mostrando che la situazione delle donne e dei bambini era peggiorata sotto quasi tutti gli aspetti dal 1995.   > RACCONTARE E’ UN ATTO POLITICO.  RACCONTA, DIFFONDI, PARTECIPA AL CROWDFUNDING > DADAxCONGO. > > Trasformiamo la solidarietà in azione, insieme.   Questo paper rappresenta un estratto tradotto di uno studio più ampio dal titolo: Il corpo delle donne come campo di battaglia: la violenza sessuale contro donne e ragazze durante la guerra nella Repubblica Democratica del Congo  Sud Kivu (1996–2003) Réseau des Femmes pour un Développement Associatif Réseau des Femmes pour la Défense des Droits et la Paix International Alert 2005 Questo studio è stato condotto e redatto da un team di consulenti composto da: Marie Claire Omanyondo Ohambe Professoressa Associata Institut Supérieur des Techniques Médicales Sezione Scienze Infermieristiche Kinshasa Repubblica Democratica del Congo Jean Berckmans Bahananga Muhigwa Professore Dipartimento di Biologia Centre Universitaire de Bukavu Bukavu Repubblica Democratica del Congo Barnabé Mulyumba Wa Mamba Direttore Institut Supérieur Pédagogique Bukavu Repubblica Democratica del Congo Revisione a cura di: Martine René Galloy Consulente internazionale Specialista in Genere, Conflitto e Processi Elettorali Ndeye Sow Consigliera Senior International Alert Catherine Hall Addetta alla Comunicazione International Alert I dati sul campo sono stati raccolti da un team composto da: Donne del Réseau des Femmes pour un Développement Associatif (RFDA), che hanno condotto la ricerca a Uvira, nella Piana della Ruzizi, a Mboko, Baraka, Fizi e Kazimia: 1. Lucie Shondinda 2. Gégé Katana 3. Elise Nyandinda 4. Jeanne Lukesa 5. Judith Eca 6. Brigitte Kasongo 7. Marie-Jeanne Zagabe Donne del Réseau des Femmes pour la Défense des Droits et la Paix (RFDP), che hanno condotto la ricerca a Bukavu, Walungu, Kabare, Kalehe e Shabunda: 1. Agathe Rwankuba 2. Noelle Ndagano 3. Rita Likirye 4. Venantie Bisimwa 5. Laititia Shindano 6. Jeanne Nkere La ricerca è stata coordinata da: Annie Bukaraba Coordinatrice Programma “Women’s Peace” di International Alert, Repubblica Democratica del Congo orientale    
Epidemia di colera in RDC: Diffusione sempre più allarmante
58mila casi sospetti, oltre 1.700 decessi: è una delle epidemie più gravi degli ultimi 10 anni Nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) i casi di colera si stanno intensificando in modo allarmante, avverte Medici Senza Frontiere (MSF). Secondo il ministero della salute congolese, in soli 9 mesi sono stati registrati oltre 58.000 casi sospetti. Si tratta di una delle epidemie più gravi degli ultimi 10 anni: un dato che rivela chiaramente la portata della crisi sanitaria che sta affliggendo il paese. Di fronte a questa rapida diffusione dell’epidemia, è indispensabile una mobilitazione immediata e su vasta scala delle autorità nazionali, degli attori umanitari e dei partner internazionali. 20 delle 26 province del paese sono ormai colpite dall’epidemia. Da gennaio a metà ottobre sono stati registrati oltre 1.700 decessi, con un tasso di letalità superiore al 3%. La situazione continua a peggiorare, l’epidemia si estende a nuove aree sanitarie, comprese province finora non endemiche. Inondazioni, conflitti, sfollamenti e sistemi di approvvigionamento idrico e fognario inadeguati contribuiscono a diffondere su vasta scala epidemie come il colera. Inoltre, con l’avvicinarsi della stagione delle piogge, la situazione rischia di deteriorarsi ulteriormente, poiché aumentano i rischi di trasmissione della malattia e di contaminazione. “La rapida diffusione dell’epidemia in tutto il paese quest’anno ci preoccupa particolarmente, soprattutto durante la stagione delle piogge. Temiamo nuovi focolai, se non verranno prese misure urgenti” avverte il dr. Jean-Gilbert Ndong, coordinatore medico di MSF in RDC. Da gennaio 2025, MSF ha intensificato la sua risposta alla malattia in diverse province del paese, tra cui Nord e Sud Kivu, Maniema, Sankuru, Tshopo, Equatore, Kinshasa, Mai-Ndombe, Alto Katanga e Tanganyika. Attualmente, i team MSF si sono mobilitati maggiormente verso le zone più colpite, come Fizi (Sud Kivu) e Kongakonga (Tshopo). Da gennaio hanno già condotto 16 interventi di emergenza a supporto delle autorità sanitarie locali, assistito oltre 35.800 pazienti e vaccinato più di 22.000 persone. “In questa fase critica, solo una mobilitazione generale consentirà di contenere la malattia sul campo e di frenare l’allarmante espansione dei focolai epidemici” aggiunge il dr. Ndong di MSF in RDC. In RDC gli sforzi di assistenza faticano a stare al passo con l’avanzare dell’epidemia La risposta all’epidemia si scontra con ostacoli importanti: finanziamenti insufficienti da parte del governo congolese, presenza limitata di attori umanitari e mancanza di coordinamento nel meccanismo di intervento di emergenza. Inoltre, la debolezza dei sistemi di sorveglianza e identificazione dei casi sospetti, la carenza di personale medico e forniture, insieme alla distribuzione limitata di vaccini, compromettono ulteriormente l’attuazione di una risposta rapida, efficace e sostenibile. “Ovunque intervengano nel paese, i nostri team trovano una situazione allarmante: le strutture esistenti non sono adeguate per affrontare una malattia come il colera, mancano le forniture mediche e i vaccini. In collaborazione con il personale locale del ministero della salute, MSF sta cercando di contenere la malattia. Ma la portata della crisi sanitaria richiede una mobilitazione generale urgente, anche nelle zone remote. Il governo congolese e gli attori umanitari devono rafforzare le risorse finanziarie e mediche, in particolare la distribuzione e il trasporto dei vaccini, nonché il meccanismo di intervento di emergenza per il sostegno alla lotta contro il colera” dichiara Ton Berg, responsabile delle attività di MSF nel Sud Kivu Il colera è un’infezione batterica altamente contagiosa che, se non trattata, può essere rapidamente mortale. Tuttavia, è curabile e prevenibile. La sua diffusione è facilitata principalmente da cattive condizioni igieniche, accesso insufficiente all’acqua potabile e mancanza di servizi igienico-sanitari. Questi fattori rappresentano una sfida nelle zone densamente popolate, in particolare in grandi città come Kinshasa e nelle zone rurali ad alta concentrazione di sfollati interni. I team di MSF hanno dovuto intensificare i loro sforzi per colmare le lacune lasciate dalle autorità sanitarie locali e da altri attori a causa dell’insufficienza di interventi di emergenza. Per rallentare la diffusione dell’epidemia, MSF sostiene il ministero della salute nella gestione medica dei centri di cura specializzati, nella formazione dei promotori della salute comunitari e nell’installazione di punti di clorazione, nonché nel rafforzamento dei sistemi idrici e fognari. “MSF chiede un’azione coordinata e urgente per assicurare una rapida assistenza medica, che includa l’accesso senza ostacoli alle cure, e un investimento sostenibile nell’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari” aggiunge Berg di MSF. L’accesso alle cure resta limitato Mentre i team MSF si mobilitano per rispondere rapidamente all’epidemia, l’accesso alle cure per i pazienti affetti da colera è ostacolato da difficoltà logistiche, rischi per la sicurezza, barriere amministrative e problemi di approvvigionamento. Ad esempio, la chiusura degli aeroporti di Bukavu e Goma ostacola da mesi le principali vie di trasporto delle forniture verso la parte orientale del paese. Nel distretto sanitario di Fizi, nel Sud Kivu, la presenza dei partner umanitari rimane limitata. Inoltre, quasi nessuno di loro è impegnato specificamente nella lotta contro l’epidemia. “La persistente insicurezza, caratterizzata da scontri tra gruppi armati lungo le principali arterie stradali, ostacola gli spostamenti e ritarda la consegna degli aiuti, costringendo i nostri team a lunghe deviazioni per evitare le zone a rischio” conclude Berg di MSF. L’accesso all’assistenza sanitaria rappresenta un’enorme sfida per la comunità congolese Le distanze da percorrere, la mancanza di mezzi di trasporto e le condizioni di insicurezza rendono difficile l’accesso alle strutture mediche. Una volta giunti sul posto, i pazienti sono costretti a fare i conti con centri sanitari spesso sottodimensionati e incapaci di rispondere alle esigenze essenziali. Spesso le persone più vulnerabili rimangono prive di cure indispensabili. Il colera deve essere posto al centro delle priorità in RDC, come grave minaccia per la salute pubblica nazionale. MSF chiede un’azione coordinata per garantire la rapida fornitura di assistenza medica, compresa la disponibilità di vaccini, un accesso facilitato alle cure e investimenti sostenibili nell’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari. Medecins sans Frontieres