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Un nuovo test OCSE per misurare le competenze in intelligenza artificiale
L’OCSE ha annunciato un nuovo test internazionale sulla “competenza in materia di intelligenza artificiale” dei giovani. Il test, che fornirà una misurazione globale delle competenze per interagire con l’intelligenza artificiale, dovrebbe svolgersi nel 2029, con risultati attesi per la fine del 2031. I tempi potrebbero essere lunghi, ma come per tutte le valutazioni OCSE, il problema è come i responsabili dei sistemi educativi e gli educatori potrebbero reagire.   -------------------------------------------------------------------------------- L’OCSE ha annunciato un nuovo test internazionale sulla “competenza in materia di intelligenza artificiale” dei giovani. Il test, che fornirà una misurazione globale delle competenze per interagire con l’intelligenza artificiale, dovrebbe svolgersi nel 2029, con risultati attesi per la fine del 2031. I tempi potrebbero essere lunghi, ma come per tutte le valutazioni OCSE, il problema è come i responsabili dei sistemi educativi e gli educatori potrebbero reagire. Inquadrato come parte dell’esercitazione PISA 2029, > La valutazione PISA 2029 Media & Artificial Intelligence Literacy (MAIL) farà > luce sulle opportunità che i giovani studenti hanno avuto di apprendere e di > impegnarsi in modo proattivo e critico in un mondo in cui la produzione, la > partecipazione e i social network sono sempre più mediati da strumenti > digitali e di intelligenza artificiale. L’alfabetizzazione all’intelligenza artificiale è un tema di grande attualità. Per molti commentatori, è “l’imperativo” principale per l’istruzione. Numerose definizioni e quadri di riferimento circolano regolarmente sui social media. Data la duratura influenza dell’OCSE attraverso i test educativi, il suo intervento sull’alfabetizzazione all’intelligenza artificiale potrebbe quindi avere un impatto significativo nel definire lo standard internazionale in relazione alle competenze degli studenti nell’interazione con l’intelligenza artificiale. Ciò che il test OCSE si propone di fare è fornire una definizione globale concreta di alfabetizzazione all’intelligenza artificiale, sottoporla a misurazioni quantitative e comparative e incoraggiare insegnanti e studenti a “mettersi alla prova”. Questo articolo è un tentativo di analizzare il funzionamento del test OCSE di alfabetizzazione all’intelligenza artificiale e le sue potenziali implicazioni. DEFINIZIONE Il primo passo per impostare un test di qualsiasi competenza è fornire una definizione chiara di ciò che deve essere testato. L’OCSE offre la sua attuale definizione di Media & AI Literacy come “l’insieme delle competenze per interagire con contenuti e piattaforme digitali in modo efficace, etico e responsabile“. Si afferma che: > “é essenziale valutare e sviluppare le competenze di cui gli studenti hanno > bisogno per comprendere come funzionano gli strumenti digitali e di > intelligenza artificiale, il ruolo umano negli strumenti e nei media digitali, > le conseguenze sociali ed etiche dell’utilizzo di strumenti digitali e di > intelligenza artificiale, come comunicare e collaborare efficacemente con > strumenti digitali e di intelligenza artificiale e come valutare criticamente > i contenuti dei media”. Combinando l’alfabetizzazione ai media digitali con l’alfabetizzazione all’intelligenza artificiale, l’OCSE si è posta una sfida significativa. Esiste una lunga storia di tentativi di concettualizzare varie forme di alfabetizzazione mediatica, digitale, dei dati e dell’intelligenza artificiale, e tutte comportano lotte di potere sulla definizione. Gli educatori dei media, ad esempio, hanno a lungo cercato di inquadrare l’alfabetizzazione mediatica in termini di “consumo”, “creazione” e “critica”. Allo stesso modo, gli educatori focalizzati sull'”alfabetizzazione digitale” hanno sostenuto che gli studenti dovrebbero essere informati criticamente sulle tecnologie, i fornitori e i discorsi digitali, piuttosto che limitarsi a essere consumatori passivi e creatori di contenuti.   Quali tipi di alfabetizzazione vengano insegnati ai giovani è sempre una questione politica, che contribuisce a definire l’orientamento degli studenti come lettori e scrittori, o consumatori e produttori, nei loro contesti sociali e tecnologici. Ciò aumenta il rischio di escludere determinati tipi di alfabetizzazione. E nell’attuale contesto politico, l’intelligenza artificiale non è semplicemente uno “strumento” per nuove forme di creatività e consumo, ma una tecnologia profondamente politica che richiede specifiche competenze critiche. James O’Sullivan ha recentemente sostenuto, in modo provocatorio e convincente, la tesi dell'” analfabetismo in materia di intelligenza artificiale “, osservando che la maggior parte delle discussioni inquadra l’alfabetizzazione in materia di intelligenza artificiale “come una forma di conformità: si imparano gli strumenti per non restare indietro”: > Naturalmente, l’alfabetizzazione all’intelligenza artificiale ha il suo posto, > in particolare laddove consente una critica informata, una resistenza etica o > una co-creazione significativa. Ma dobbiamo essere cauti nel trattarla come un > bene universale. C’è una differenza tra comprendere a sufficienza per > criticare e assorbire così tanti dettagli tecnici da iniziare a scambiare la > funzionalità per verità. L’illusione di comprendere – la convinzione che > essere in grado di attivare efficacemente un chatbot costituisca una > conoscenza approfondita – può essere più pericolosa dell’ignoranza. L’idea provocatoria di analfabetismo in materia di intelligenza artificiale mette quindi in primo piano la politica di richiesta di standard universali di alfabetizzazione in materia di intelligenza artificiale e i tipi di esclusioni in termini di conoscenza, apprendimento e competenze che la maggior parte delle definizioni impone. L’OCSE non è un attore neutrale quando si tratta di IA: da diversi anni promuove l’uso dell’IA nell’istruzione e rilascia regolarmente dichiarazioni epocali sui suoi effetti trasformativi. Gran parte della sua attenzione è rivolta agli effetti dell’IA sull’economia, e quindi al mantenimento della produttività e del progresso economico attraverso l’aggiornamento tecnologico. Ora, attraverso il test di alfabetizzazione in materia di IA, sta esercitando la sua autorità politica su come definire e valutare le competenze in IA. Il suo obiettivo è produrre una definizione standardizzata a livello globale di alfabetizzazione all’intelligenza artificiale, che probabilmente cancellerà le sfumature e la diversità negli approcci alla riflessione sull’interazione dei giovani con questa famiglia di tecnologie e sui loro effetti controversi. Resta da vedere quanta parte della dimensione critica dell’educazione ai media sopravviverà, una volta che l’OCSE l’ha definita in termini di “abilità di valutazione”; si può tuttavia immaginare che essa venga ridotta a una questione misurabile, come verificare se un utente controlla o meno l’accuratezza di una risposta generata da un prompt.  Oltre alle decisioni politiche che dovrà prendere sulla definizione dell’alfabetizzazione in materia di intelligenza artificiale e su cosa includere o escludere dal test, l’OCSE si trova ad affrontare anche una sfida tecnica e metodologica: come renderla operativa come una serie di elementi di test misurabili. QUANTIFICAZIONE La documentazione disponibile indica che gli sviluppatori dei test dell’OCSE stanno attualmente lavorando agli strumenti per la prova. L’OCSE si è da tempo posizionata come fonte di competenza e innovazione nel campo delle metriche educative. Ciò significa che ora sta traducendo l’alfabetizzazione all’intelligenza artificiale in elementi misurabili tramite test in grado di generare risultati quantitativi e confrontabili. Come apparirà esattamente il test, quali dati genererà e come verranno analizzati, rimane ancora poco chiaro. Un caso illuminante è il precedente test dell’OCSE sulle competenze socio-emotive, che prevedeva la produzione di uno schema psicometrico condensato per l’ enumerazione delle emozioni degli studenti . Ciò significava che l’OCSE aveva condotto un’ampia revisione degli strumenti psicometrici disponibili, prima di giungere infine a una versione adattata del modello delle caratteristiche di personalità “Big 5”. In questo processo, ha cancellato altri modelli concorrenti per la misurazione dell’apprendimento socio-emotivo, imponendo un quadro globale in base al quale tali competenze o qualità possono essere misurate e confrontate a livello internazionale. In questo modo, ha prodotto un modo distintivo di intendere le “emozioni” come questione educativa. È probabile che il modello per la valutazione dell’alfabetizzazione in materia di IA segua un percorso simile. Richiederà che l’alfabetizzazione in materia di IA sia scomposta in una serie di unità misurabili che possano essere utilizzate come elementi verificabili. Di fatto, l’OCSE ha già iniziato a quantificare le capacità dell’IA stessa al fine di effettuare confronti con le competenze umane, come base per evidenziare le competenze necessarie che i sistemi educativi devono insegnare.   Nella descrizione della valutazione dell’alfabetizzazione in materia di intelligenza artificiale, l’OCSE afferma di stare esplorando innovazioni nella valutazione per catturare queste capacità umane: > Questa nuova valutazione è concepita come un ambiente simulato che consente di > raccogliere evidenze relative a diverse competenze del modello di > alfabetizzazione. > Tali competenze vengono valutate attraverso una varietà di strumenti > funzionali, accessibili agli studenti in modo realistico durante tutta la > prova (ad esempio, simulazioni realistiche di Internet, dei social media e di > strumenti di intelligenza artificiale generativa). In quanto tale, la valutazione non sarà un test convenzionale, ma sarà organizzata come una serie di simulazioni che faranno uso di “strumenti” esistenti e accessibili. Tali strumenti saranno utilizzati per mettere alla prova un “modello” specificamente definito di alfabetizzazione all’intelligenza artificiale (AI literacy) e le sue “competenze” componenti. Il risultato finale della valutazione, come per tutti i test dell’OCSE, dovrà tradursi in numeri che consentano di valutare e confrontare programmi, sistemi e Paesi. L’alfabetizzazione all’IA dovrà quindi diventare “alfabetizzazione all’IA in forma di numeri”, soggetta alle tecniche metriche e resa comparabile. Non è difficile immaginare che in futuro emergeranno dei vincitori nelle classifiche dell’alfabetizzazione all’IA. È probabile che ciò incoraggi i responsabili politici – in particolare negli Stati Uniti, in Cina e in Europa – a competere per posizionarsi nella scala ordinale della competenza in AI literacy. Ed è proprio su questi numeri, naturalmente, che l’OCSE potrà far leva per individuare le migliori pratiche da proporre come modello agli altri. PERFORMATIVITÀ Come per tutti i test OCSE, l’importanza della valutazione dell’alfabetizzazione in materia di IA non risiede necessariamente nei risultati quantitativi che produrrà tra più di cinque anni. È l’attività che stimola nei sistemi educativi in previsione della valutazione. L’esistenza di un test stimola sforzi significativi per preparare gli studenti a sostenerlo. In questo caso, tale sforzo contribuirebbe alla visione globale dell’OCSE dell’IA come forza trasformativa sociale ed economica che richiede la partecipazione di una popolazione alfabetizzata in materia di IA. L’OCSE, infatti, non si limita a produrre un test di alfabetizzazione all’intelligenza artificiale, ma ha collaborato con la Commissione europea su un ” Quadro di riferimento per l’alfabetizzazione all’intelligenza artificiale “, lanciato per la consultazione alla fine di maggio 2025. Il quadro consiste in “conoscenze, competenze e atteggiamenti che prepareranno adeguatamente gli studenti nell’istruzione primaria e secondaria”: > L’iniziativa fornirà inoltre le basi per la prima valutazione > dell’alfabetizzazione all’intelligenza artificiale nell’ambito del Programma > OCSE per la valutazione internazionale degli studenti (PISA) e sosterrà gli > obiettivi dell’UE di promuovere un’istruzione e competenze digitali di qualità > e inclusive. > > Al centro dell’iniziativa c’è l’integrazione dell’alfabetizzazione > all’intelligenza artificiale in tutte le materie scolastiche. Ciò include > insegnare agli studenti a utilizzare gli strumenti di intelligenza > artificiale, nonché a co-creare con essi e a riflettere su un utilizzo > responsabile ed etico. Oltre a offrire le “fondamenta” per il test, questo quadro sembra normalizzare l’idea di integrare l’IA nella scuola stessa. Affinché i soggetti sottoposti al test abbiano una competenza in materia di IA, questa non deve solo essere insegnata, ma diventare parte integrante delle normali routine di insegnamento e apprendimento. L’integrazione dell’IA nella scuola è fortemente contestata, con almeno un argomento chiave (tra i tanti ) che sostiene che essa serva gli interessi di mercato delle aziende tecnologiche e dell’edtech, che vedono opportunità redditizie nell’introduzione dell’IA nelle scuole. Oltre all’OCSE e alla CE, un altro partner è code.org, l’organizzazione che ha promosso “l’apprendimento del coding” a livello internazionale ed è stata recentemente una delle principali sostenitrici dell’Ordine Esecutivo statunitense che “rende obbligatorio” l’uso dell’IA e la promozione dell’alfabetizzazione all’IA nell’istruzione americana. Audrey Watters sostiene che il tipo di alfabetizzazione all’intelligenza artificiale promosso da questa direttiva risponde agli interessi governativi e commerciali, ma è destinato a mancare di qualsiasi dimensione critica, a causa dell’ostilità dell’amministrazione statunitense nei confronti delle idee legate al pregiudizio e alla discriminazione.. Più prosaicamente, il coinvolgimento di code.org, in quanto organizzazione incentrata sull’industria, lascia intendere che il quadro di riferimento per l’alfabetizzazione all’IA possa concentrarsi soprattutto sulle abilità d’uso dell’intelligenza artificiale (“imparare a fare prompt” come il nuovo “imparare a programmare”), piuttosto che su un reale coinvolgimento critico  con l’IA come problema sociale e pubblico. Nella sua forma più attenuata, l’alfabetizzazione all’IA può apparire come una sorta di formazione tecnica all’uso efficiente dell’IA – ciò che altrove ho chiamato corsi e lezioni ” pedagoGPT “. Per alcuni, formare gli studenti con competenze in materia di IA è addirittura principalmente una questione geopolitica ed economica, mentre le nazioni competono per i talenti e il predominio in una nuova ” corsa allo spazio “. Luci Pangrazio ha sostenuto che programmi simili di “alfabetizzazione digitale” sponsorizzati da aziende tecnologiche ora funzionano come una forma di governance nelle scuole : > Se l’alfabetizzazione digitale viene definita e sviluppata in relazione alle > diverse piattaforme e app nelle scuole, e se le piattaforme e le app nelle > scuole vengono sempre più progettate per monitorare e sorvegliare > (controllare) il personale e gli studenti perché è così che si dimostra > l’apprendimento, allora l’alfabetizzazione digitale è diventata un modo > efficace per governare sia gli insegnanti che gli studenti nelle scuole. In altre parole, l‘appropriazione commerciale dell'”alfabetizzazione digitale” ha già portato a trasformarla in una sorta di formazione tecnica che abitua e educa studenti e insegnanti all’uso della tecnologia, influenzandone anche la pratica. Estrapolando da questo caso, possiamo vedere come il test di alfabetizzazione all’intelligenza artificiale dell’OCSE e il relativo framework potrebbero esercitare una sorta di pressione governativa su scuole, educatori e studenti affinché agiscano di conseguenza. L’uso di un test per stimolare azioni anticipatrici è spesso definito “performatività”. In questo contesto, la performatività si riferisce specificamente al modo in cui le misurazioni, come quelle prodotte da un test, spingono i dirigenti scolastici e gli insegnanti a “insegnare in funzione del test” per ottenere buoni risultati nell’esercizio di misurazione. Il test PISA dell’OCSE è noto per essere un motore di performatività, che stimola i decisori politici e i leader di sistema ad agire per migliorare le “prestazioni” al fine di ottenere un punteggio elevato nei risultati. I test PISA consentono la governance statistica dell’istruzione, spingendo le persone a comportarsi in risposta alla classifica. Nell’ambito del PISA 2029, l’alfabetizzazione all’intelligenza artificiale sembra destinata a diventare parte integrante della classifica educativa internazionale attraverso test standardizzati internazionali. Insegnanti e dirigenti potrebbero sentirsi in dovere di agire secondo il framework OCSE/EC/code.org per ottenere risultati efficaci nel test. Ciò rafforzerà la definizione di alfabetizzazione all’intelligenza artificiale definita dall’OCSE, trasformando le competenze e le abilità in intelligenza artificiale in indicatori standardizzati e comparabili a livello globale. L’alfabetizzazione all’intelligenza artificiale espressa sotto forma di numero potrebbe rendere l’azione sull’intelligenza artificiale una preoccupazione centrale dei sistemi scolastici. INFRASTRUTTURARE L’ALFABETIZZAZIONE DELL’IA Sebbene si tratti necessariamente di un’ipotesi un po’ speculativa, è importante ricordare l’influenza dell’OCSE sui sistemi educativi di tutto il mondo. Le sue infrastrutture di test consentono la produzione di dati quantitativi su larga scala e guidano i processi decisionali e le agende politiche in ambito educativo. Vale la pena prestare attenzione a questi sforzi politici in corso per integrare l’alfabetizzazione all’intelligenza artificiale nelle scuole e all’infrastruttura di test che l’OCSE sta creando per enumerare le competenze e le abilità degli studenti in materia di intelligenza artificiale. Gli sforzi dell’OCSE dovrebbero essere intesi come un tentativo di infrastrutturare l’alfabetizzazione all’IA . Infrastrutturare l’alfabetizzazione all’IA significa costruire, mantenere e attuare un sistema di valutazione e misurazione che non solo enumererà le competenze in materia di IA, ma renderà l’alfabetizzazione all’IA una preoccupazione e un obiettivo centrale dei sistemi scolastici. Funzionerebbe come un’infrastruttura di misurazione che richiederebbe la partecipazione di insegnanti e studenti per costruire dati standardizzati a livello internazionale sull’alfabetizzazione all’intelligenza artificiale. Per “contare”, questi dovrebbero rispettare gli standard di misurazione integrati nell’infrastruttura, seguendo le prescrizioni del framework per l’alfabetizzazione all’intelligenza artificiale. Tracciare in modo più approfondito lo sviluppo e l’evoluzione della valutazione dell’alfabetizzazione all’intelligenza artificiale contribuirà a chiarire come l’intelligenza artificiale verrà concepita come un problema educativo, come verrà integrata nei sistemi metrologici e come un esercizio di misurazione che si protrarrà per diversi anni potrà stimolare azioni preventive in ambito educativo. In che modo educatori e studenti verranno coinvolti in questa infrastruttura OCSE di misurazione dell’alfabetizzazione all’IA, e come metteranno in pratica tale alfabetizzazione prima della valutazione?   Questo articolo è stato pubblicato sul blog: https://codeactsineducation.wordpress.com/ il 30.4.2025.
Intelligenza Artificiale nelle scuole: nuova sperimentazione con gli studenti “fragili”
Da circa un anno è partita una sperimentazione sull’uso dell’Intelligenza Artificiale (IA) che coinvolge alcune scuole italiane. Il Ministro Valditara ha annunciato giorni fa i primi esiti positivi. La sperimentazione sarà oggetto di valutazione conclusiva da parte dell’INVALSI. Se tutto andrà bene, potrà essere estesa a tutte le scuole. Ma cosa stanno facendo concretamente le scuole coinvolte? Come verranno valutate dall’INVALSI? Dove possiamo leggere e farci un’idea dei dati annunciati dal Ministro? La documentazione pubblica è parziale e difficile da trovare. Nel frattempo, però, Valditara annuncia un nuovo progetto sull’IA nelle scuole campane: partiamo dagli studenti “fragili” INVALSI.  Il dibattito sull’IA nella didattica è di grande attualità: i benefici sono a dir poco dubbi e l’opacità intrinseca degli strumenti non consente controllo e affidabilità. E’ davvero una buona idea trasformare le scuole dei territori più difficili in luoghi di sperimentazione?   -------------------------------------------------------------------------------- Cosa sappiamo dell’introduzione dell’Intelligenza Artificiale (IA) nelle scuole? A che punto è la sperimentazione annunciata dal Ministro Valditara più di un anno fa? Come si sta svolgendo e cosa ci aspetta? Sono tutte domande che legittimamente ci poniamo, soprattutto dopo la pubblicazione delle Linee Guida per l’Intelligenza Artificiale a scuola e dopo il recente intervento del Ministro che ha comunicato [1] i primi esiti quantitativi e positivi della sperimentazione dell’IA in alcune classi. La sperimentazione coinvolge anche l’INVALSI e  prevede nuovi sviluppi. Se cerchiamo informazioni sui siti istituzionali, non troviamo niente di pubblico. Non è possibile conoscere né il progetto né la logica di svolgimento, le modalità di valutazione degli esiti da parte dell’INVALSI, le tappe successive. Come sta procedendo allora il progetto pilota e quali esiti ha annunciato il Ministro al recente Summit Next Gen AI a Napoli? Proviamo a fare un po’ di ordine. QUELLO CHE SAPPIAMO FINORA * Nell’Ottobre 2024 il Ministro Valditara ha annunciato una sperimentazione sull’intelligenza artificiale nelle scuole, che coinvolge 15 scuole di 4 regioni diverse. Siamo tra i primi, afferma il Ministro. Come noi solo la Corea del Sud e pochi altri. * L’obiettivo principale, stando alle dichiarazioni del Ministro, è ”valutare l’efficacia degli assistenti IA nel migliorare le performance degli studenti”. * La sperimentazione durerà due anni, i risultati saranno valutati dall’Istituto di valutazione INVALSI. In base agli esiti la sperimentazione potrà essere estesa a tutte le scuole. Inutile cercare dettagli sul sito del Ministero o di INVALSI. Per avere qualche informazione, bisogna cercare in rete: qui, ad esempio, un articolo dal taglio generale, mentre  qui, qui, qui e qui, informazioni dalla stampa locale. Ricaviamo che la sperimentazione si baserà su specifici moduli Google, offerti (per ora) gratuitamente alle scuole partecipanti. La valutazione della sperimentazione sarà affidata all’ INVALSI, anche se non è chiaro come. Alcuni articoli parlano di “prove INVALSI” finali, altri di monitoraggio dei progressi in itinere, o di raccolta di dati anonimi ed “esame finale”. Tra i consulenti che affiancano il ministero in questa sperimentazione, il fisico Paolo Branchini. Qui un suo recente intervento dal titolo “AI nella scuola” e qui un video sullo stesso tema all’ultimo convegno del sindacato SNALS dal titolo “Innovazioni e sfide per l’istruzione e la ricerca”. Scrive Branchini: > “Il Ministro Valditara ha fatto partire un’importante sperimentazione sull’uso > degli assistenti virtuali in ambito educativo. > > Si tratta di software basati sull’intelligenza artificiale (AI) in grado di > comprendere e rispondere a domande, fornire informazioni e supportare vari > tipi di attività attraverso l’interazione vocale e testuale. > > Come recenti studi hanno dimostrato, gli assistenti virtuali inciderebbero > sull’esperienza educativa rendendola più interattiva, personalizzata e > accessibile, adattandosi ai ritmi e alle esigenze di ogni studente. > L’insegnamento diventerebbe più attrattivo per le nuove generazioni”. > > “Si spera che gli assistenti possano contrastare il fenomeno della dispersione > scolastica, aiutare a ridurre il gender gap nelle materie scientifiche e > generare, in modo semiautomatico, così sia corsi di sostegno che di > potenziamento. > > Lo scopo della sperimentazione è quantificare questi potenziali vantaggi. Per > questa ragione, ogni classe dove si effettuerà la sperimentazione, sarà > affiancata da una classe “placebo” dove non lo sarà. > > Entro maggio 2026, i test INVALSI, in modo scientifico, misureranno gli > eventuali vantaggi dell’approccio basato sull’AI. Consci che questo approccio > non sia ancora una tecnologia consolidata, in questa sperimentazione saranno > esposti all’AI generativa solo i docenti”. Il progetto si chiama Impar-AI. Questo è il sito attualmente visibile.   L’ATTUALITÀ E I PRIMI RISULTATI * Il 9 Agosto scorso il Ministero dell’Istruzione e del Merito pubblica le Linee Guida  sull’IA a scuola. * Qualche giorno fa a Napoli si è appunto tenuto un summit internazionale sull’intelligenza artificiale: Next Gen AI. L’introduzione del Ministro Valditara è stata solenne. Leggiamone un estratto: > “Il MIM è stato il primo ministero ad aver approvato le Linee Guida dell’IA > nelle scuole. È stata lanciata la prima sperimentazione sull’impiego dell’IA > nella didattica quotidiana per la personalizzazione della didattica. Siamo > partiti da 15 scuole, 4 regioni differenti. Mi fa molto piacere che le prima > scuole disponibili ad avviare questa prima sperimentazione sono proprio alcune > scuole del Mezzogiorno d’Italia. Una scuola di Reggio Calabria, una scuola di > Platì: c’è grande voglia di futuro”. Alcuni dati: > “I primi risultati di valutazione comparata basata su prove comuni, parallele > e voti finali evidenziano un impatto sostanzialmente positivo. Le classi > sperimentali hanno registrato una media generale finale superiore rispetto > alle classi di controllo: si è rilevata una media di 7.93 contro 6.90 per le > classi di controllo. > > Un altro dato di particolare interesse è l’azzeramento del tasso di non > ammissione cioè delle cosiddette bocciature, proprio nelle classi > sperimentali, laddove nelle classi di controllo un 16% di non ammissione. > > Ma la sperimentazione ha anche dimostrato un impatto notevolmente positivo > sugli alunni con bisogni educativi speciali o con disturbi nell’apprendimento. > Ed è dunque ancora una volta la conferma che abbiamo visto giusto..” Soffermiamoci per un attimo sui dati, le prime valutazioni elencate da Valditara. Il Ministro cita valutazioni quantitative per sostenere la bontà delle sue politiche: è la sua parola pubblica. Da dove vengono e come sono stati ottenuti quei voti? Dal sito del progetto possiamo trarre qualche spunto. Nella sezione dedicata agli esiti comprendiamo che i primi risultati riguardano due gruppi classe, divisi in gruppo sperimentale e non sperimentale. Osserviamo innanzitutto che i due gruppi non sono numericamente della stessa dimensione: quelli che sperimentano l’IA nella didattica sono sempre ridotti in termini numerici (25 alunni vs 17; 19 alunni vs 15), ignoriamo il perché. Ma soprattutto, guardiamo i risultati. Due sole classi coinvolte. In una non c’è nessuna differenza tra gli studenti che usano l’IA e quelli che non la usano. Nell’altra classe, e questa è quella scelta dal Ministro per la sua citazione al recente Summit, si registra  uno scarto di circa mezzo punto tra le “medie generali dei voti finali”: da 6,90 per la classe non sperimentale a 7, 63 per l’altra. Il Ministro, stando a ciò che è visibile sul sito ImparAI,  ha quindi scelto il dato più conveniente, ottenuto a partire da un gruppo di 15 studenti, per raccontare il buon andamento della sperimentazione? Se così fosse, si tratterebbe di una una “selezione tendenziosa” (cherry picking) di dati numerici ( numeri usati come armi di distruzioni matematica) peraltro non significativi statisticamente, utilizzati per supportare una narrazione. Ci sarà sicuramente un’altra spiegazione. Sarebbe il caso di rendere pubblici i dati di sperimentazioni che coinvolgono i nostri studenti, per consentire un monitoraggio civico e un’informazione rispettosa dei cittadini. Forse il coordinatore del progetto, fisico dell’INFN, potrebbe intervenire pubblicamente spiegando come stanno procedendo i monitoraggi intermedi.   POLITICHE SCOLASTICHE AUTOMATIZZATE Valditara ha annunciato anche un’altra sperimentazione. Al Summit ha dichiarato: > “Proprio qua in Campania partirà un’altra fase di sperimentazione: voglio > ringraziare la Compagnia di San Paolo per aver messo a disposizione risorse > importanti. Proprio qui in Campania porteremo la sperimentazione dell’IA nelle > scuole che coinvolgerà almeno 10mila studenti [..] > > Partiremo dalle scuole più fragili, nella logica di Agenda Sud, che ha dato > straordinari risultati nella lotta alla dispersione scolastica. > > Partiremo dai giovani con maggiori criticità, che hanno necessità dir > recupero, con un programma in collaborazione con INVALSI e con le strutture > regionali del Ministeri, che si va ad affiancare all’investimento colossale > previsto per Agenda Sud e Nord: un miliardo e 40 milioni di euro. > > La seconda bella notizia è l’avvio di un grande piano di formazione da 100 > milioni di euro, che coinvolgerà docenti e studenti di tutte le scuole in > attività laboratoriali da realizzare insieme per utilizzare l’IA come supporto > per potenziare le competenze per la personalizzazione dell’apprendimento”. A quanto pare, la nuova frontiera delle politiche automatizzate si allarga. L’Agenda Sud, come tutte le politiche che dal 2022, nel quadro dei finanziamenti PNRR, sono state applicate con l’obiettivo di “colmare i divari di apprendimento”, attribuiscono finanziamenti e prevedono azioni didattiche a partire dai dati INVALSI. Questi dati etichettano gli studenti in funzione degli esiti passati nei test come “studenti in condizioni di fragilità”, “quasi fragili” o adeguati. E lo fanno secondo logiche e parametri non trasparenti. L’uso di questi dati per scelte che hanno conseguenze sul destino educativo individuale di studenti (famiglie) e docenti, non è affatto pacifico né tantomeno neutro. Affidare i “fragili” ai tutor virtuali e alla sorveglianza delle piattaforme delle Big Tech senza alcuna prudenza, anzi come segnale di posizionamento del governo nella rincorsa internazionale all’automazione dei processi sociali, è frutto di una valutazione politica. Non discende certo come corollario dai dati INVALSI e dovrebbe quindi essere oggetto di dibattito pubblico e cautela. Introdurre l’Intelligenza Artificiale in classe non è come mettere banchi a rotelle o montare lavagne elettroniche, pur essendo tutti questi potenzialmente strumenti didattici. “L’ascesa dell’intelligenza artificiale generativa nei flussi di lavoro della conoscenza solleva interrogativi sul suo impatto sulle competenze e sulle pratiche di pensiero critico”, questo l’incipit di uno degli N articoli che sottolineano preoccupanti interrogativi sull’impiego di strumenti automatizzati per la cosiddetta personalizzazione della didattica. Significativo che questo articolo sia appena stato scritto di un gruppo di ricercatori di Microsoft e della Carnegie Mellon University (qui) Uno strumento disabilitante e atrofizzante, di “deskilling”, scrive Daniela Tafani, che in più genera dipendenza: un compagno immaginario del tutto inaffidabile. Perché mai affiancarlo a uno studente, e per di più a quello più fragile? Perché non iniziare dai più bravi, invece? Perché trasformare le scuole dei territori più difficili in luoghi di sperimentazione di strumenti i cui benefici sono quanto meno dubbi e la cui opacità operativa intrinseca non consente controllo e affidabilità? “L’intelligenza artificiale nell’istruzione è un problema pubblico”, afferma Ben Williamson, che nel Marzo 2024 ha pubblicato un rapporto per il National Education Policy Center dell’Università del Colorado dal titolo assai eloquente: “Time for a Pause: Without Effective Public Oversight, AI in Schools Will Do More Harm Than Good.” Si dirà: ma gli studenti non saranno mai soli, ci saranno i loro insegnanti, opportunamente “formati”, a sovrintendere il funzionamento “etico” del progetto. Cosa c’è di più sensato, in effetti, che stanziare soldi pubblici per formare gruppi di insegnanti all’uso di piattaforme proprietarie che le scuole dovranno acquistare da aziende come Google e Microsoft per affiancare gli studenti più bisognosi?  Perché non investire invece in nuovi docenti che affianchino quotidianamente le classi con maggiori difficoltà? O prevedere misure di sdoppiamento-classi almeno nei territori di maggiore complessità e disagio sociale? E’ un vero e proprio gioco delle parti quello a cui assistiamo, peraltro basato su finanziamenti dal tempo limitato (PNRR).  La “sperimentazione” rimpalla la responsabilità prima politica e poi educativa, a cascata, dal governo agli insegnanti, per ricadere poi sull’ “utente finale” (cit.): lo studente. Non solo etichettato dagli algoritmi INVALSI, più o meno a sua insaputa, ma messo pure a svolgere lavoro di potenziamento online, con un tutor virtuale che sorveglia e memorizza i suoi progressi, mentre il lavoro del suo insegnante è progressivamente alienato e monitorato. Un capolavoro. Si dirà, ancora: ma gli altri paesi lo fanno, non possiamo restare indietro. In effetti, le cose non stanno esattamente cosi. A quanto pare, ad esempio, la mitica Corea ha fatto marcia indietro, grazie all’opposizione consapevole di studenti, genitori e insegnanti. Accadrà lo stesso anche in Italia?                         [1] Al Summit Internazionale sull’Intelligenza Artificiale di Napoli il 9 Ottobre scorso.
CONCORSI DOCENTI PNRR3
Le domande di partecipazione potranno essere presentate dalle ore 14,00 del 10 ottobre alle ore 23,59 del 29 ottobre 2025 attraverso il Portale unico del reclutamento, raggiungibile all’indirizzo www.inpa.gov.it oppure “Piattaforma Concorsi e Procedure selettive”, collegandosi all’indirizzo www.mim.gov.it, attraverso il percorso “Argomenti e Servizi > Servizi > lettera P > Piattaforma Concorsi e Procedure selettive, vai al servizio”. Scuola dell’infanzia e primaria posti comune e di sostegno.Download Scuola secondaria di primo e secondo grado posti comune e di sostegnoDownload Decreto direttoriale 2938 del 9 ottobre 2025 – Concorso per titoli e esami accesso a ruoli personale docente infanzia e primaria su posto comune e sostegno e allegati (2)Download Decreto-direttoriale-2939-del-9-ottobre-2025-concorso-per-titoli-e-esami-accesso-a-ruoli-personale-docente-secondaria-primo-e-secondo-grado-su-posto-comune-e-sostegno-e-allegatiDownload
Nuove Indicazioni Nazionali, perché e come rifiutarle
Tra giugno e luglio 2024, la Commissione incaricata della revisione delle Indicazioni nazionali (IN) ha organizzato incontri con associazioni professionali, sindacali e di genitori e studenti. Il CESP ha partecipato il 18 giugno, constatando che la revisione era già avviata e procedeva rapidamente, come sottolineato dalla stessa coordinatrice della Commissione, Loredana Perla. Come altre associazioni, abbiamo sottolineato l’inopportunità di modificare le Indicazioni 2012, ancora attuali e basate sulla complessità educativa e sull’intercultura, suggerendo al massimo un loro aggiornamento su temi emergenti. La percezione di incontri formali e di un percorso già deciso, rafforzata dalle dichiarazioni di Valditara, è stata confermata l’11 marzo dalla pubblicazione della prima bozza delle IN, presentata come “materiale per il dibattito pubblico”. Quest’ultimo ha mostrato subito i suoi limiti: le audizioni, avviate una settimana dopo la pubblicazione della bozza, sono state rapide e hanno concesso alle associazioni pochi minuti per commentare un testo di 154 pagine, mentre i contributi scritti sono rimasti senza risposta. Il CESP ha partecipato a quella del 21 marzo, sottolineando la netta discontinuità  delle IN rispetto alle vigenti, soprattutto per l’insegnamento della Storia, contrariamente a quanto emerso e richiesto nelle precedenti audizioni. Queste le criticità evidenziate: eccesso di enfasi sui “talenti”, visione occidentale del concetto di “persona”, mancanza di prospettiva interculturale e inclusiva, educazione di genere ridotta a “educazione del cuore” e libertà presentata come valore esclusivo dell’Occidente. Durante le audizioni, il Ministero ha lanciato una consultazione tramite questionario rivolto a gruppi di insegnanti o dirigenti, con 22 domande a risposta chiusa tutte orientate a confermare l’impianto delle IN o suggerire piccoli aggiustamenti, senza spazio per un dissenso significativo, e un unico campo aperto di soli mille caratteri. Le critiche alle IN hanno acceso un vivace dibattito, evidenziando l’impostazione culturale di destra e classista del documento. Il “popolo della scuola” ha iniziato a riunirsi, sono nate realtà come la Rete per la scuola pubblica, di carattere territoriale e dal basso, e il Tavolo interassociativo, attivo a livello nazionale, moltiplicando incontri, appelli e mozioni di rifiuto delle IN e del questionario ministeriale. Il Ministero ha risposto solo con un atto simbolico, una casella email per eventuali commenti. Non è mai stato reso noto quanti messaggi siano arrivati, chi li abbia letti e con quali criteri. Loredana Perla ha invece difeso con orgoglio le IN, definendo le critiche come tentativi di strumentalizzare il documento per lotta politica, un fenomeno di radicali rimasti al “piccolo mondo antico” degli anni Settanta. La bozza dell’11 giugno, inviata al CSPI, pur attenuando alcuni degli aspetti più contestati, non ha recepito i contributi di associazioni e società scientifiche. Del resto, le critiche più sostanziali non potevano essere accolte: farlo avrebbe spezzato quel filo rosso ideologico che assicura coerenza alle politiche di un governo di destra e che, per sua natura, non può recepire istanze di segno pedagogico egualitario, attivo e partecipativo. Lo stesso rito partecipativo di facciata del sondaggio rivolto a 1.200 genitori pubblicato assieme alla nuova bozza e presentato come consenso ampio, era parziale, non trasparente e formulato in modo da orientare le risposte favorevoli. Con lo slogan ad effetto di una “svolta culturale” che unisce “la storia e la cultura del nostro passato con l’innovazione”, Valditara ha accompagnato la pubblicazione del testo definitivo delle IN, il 7 luglio, in cui i rilievi del CSPI sono stati accolti solo parzialmente, a favore della conservazione dell’intero impianto culturale, pedagogico e didattico in cui la disciplina storia resta strumento di identità nazionale. Le Premesse culturali delineano l’orizzonte valoriale del documento. A fondamento della scuola non è posta la cultura, ma la centralità della persona , secondo una concezione radicata nella tradizione giuridico-filosofica occidentale: dal diritto romano alla Dichiarazione universale del 1948, fino alla Costituzione.  È una lettura lineare e distorta del concetto di persona, che nel tempo si è trasformato in modo discontinuo, ridefinendo di volta in volta chi fosse riconosciuto come “persona” e quali diritti potesse esercitare, e non può quindi essere ricondotto a una categoria data e indiscutibile riproducendo un paradigma etnocentrico. Anche nell’affermare che “a scuola l’allievo scopre la propria identità personale e la propria appartenenza a una comunità in costante evoluzione” si ignorano le evidenze delle scienze sociali su identità e appartenenze plurali e mutevoli. Ne deriva una visione rigida, che genera pratiche educative escludenti e uniformanti anziché valorizzare le differenze. Anche l’idea che la relazione non limiti la persona ma la costituisca rimane contraddetta da una descrizione in realtà molto individualistica, centrata sulla realizzazione della persona come destino ultimo. La comunità, ridotta a scuola, famiglia e, dopo il parere del CSPI, al terzo settore, resta intesa come modello ristretto, racchiuso entro i confini istituzionali del “patto educativo di corresponsabilità” e fondato su relazioni sociali di facile controllo.  Esistono condizioni sociali che rendono difficile l’alleanza con la scuola; affermare che senza di essa sia impossibile “raggiungere obiettivi educativi efficaci”  costituisce una visione classista che contempla solo contesti collaborativi. Nonostante il parere del CSPI, Il successo scolastico resta affidato all’insegnante magis e alla sua presunta “autorevolezza ritrovata”. Rimane perseguibile tramite la valorizzazione dei talenti, nucleo del pensiero di Valditara e connessa all’ideale di scuola meritocratica, evidente nella connessione del talento alla “capacità di mobilitare risorse cognitive, affettive e creative”, anche se, vestito da inclusione, viene descritto come “possibilità trasformativa per ciascuno”, anche in “situazioni di fragilità o svantaggio”. L’impostazione iniqua ed escludente emerge anche dall’enfasi posta sulla personalizzazione dell’apprendimento a scapito dell’insegnamento individualizzato che mira ad assicurare a  tutte/i il raggiungimento degli stessi obiettivi di competenza. Tra le finalità dell’educazione alla libertà, concetto ancora definito come “il valore caratteristico più importante dell’Occidente e della sua civiltà sin dalla sua nascita, avvenuta fra Atene, Roma e Gerusalemme”, si conferma la “comprensione del principio di autorità”. Nessuno spazio per i valori della convivenza acquisiti tramite il dialogo, in cui anche il dissenso è occasione educativa di crescita, ma un “lungo allenamento all’autogoverno” e l’osservanza di regole per acquisire senso del limite e l’etica del rispetto. Norme e bona fides costituiscono gli ingredienti fondamentali di un’“educazione del cuore” capace di suscitare sentimenti come fiducia, empatia, tenerezza, incanto e gentilezza. L’enfasi sui valori morali della pedagogia romantica ottocentesca esclude lo sviluppo di competenze relazionali, emotive e di autonomia critica riducendo l’educazione a indottrinamento e controllo sociale. In tema di inclusione, il testo richiama diverse norme e strumenti già in atto: BES, ICF, patti di collaborazione tra scuole ed enti, mediatori linguistico-culturali, insegnamento dell’Italiano L2, docenti aggiuntivi della classe di concorso 23/A e Linee di indirizzo per il diritto allo studio degli alunni adottati. Ad eccezione del riferimento al modello dell’Universal Design for Learning per la partecipazione attiva degli studenti nelle scelte relative al proprio percorso scolastico, rimane una concezione di inclusione come risposta rivolta ad alunne/i in difficoltà. Il centro dell’attenzione resta l’inserimento del singolo all’interno del sistema, piuttosto che la trasformazione dei contesti educativi. L’educazione interculturale viene ridotta a competenze linguistiche e civiche, trascurandone la finalità autentica: favorire la convivenza costruttiva in contesti culturali diversificati, rivolta a tutte e tutti. Su richiesta del CSPI viene introdotta, nella secondaria di primo grado, la valorizzazione delle figure del tutor e dell’orientatore: una scelta considerata impropria e dannosa, poiché introduce gerarchie tra docenti, indebolisce l’unità collegiale, limita la libertà di insegnamento e delegittima i Consigli di classe. Inoltre, sono stati inseriti due nuovi paragrafi: il primo dedicato all’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale, già presente nelle Linee guida di Educazione civica; il secondo sull’internazionalizzazione, incentrato sulle competenze multilinguistiche e sugli scambi, ma privo di riferimenti all’intercultura. È stato ignorato il parere contrario del CSPI sulla disciplina di Storia, che criticava l’eliminazione dell’ambito delle fonti, il tono polarizzante dell’incipit e l’enfasi sull’identità nazionale a scapito dell’approccio disciplinare. Il testo rimane invariato, segnato da carenze concettuali e incoerenza e inscritto in un impianto ideologico italocentrico e occidentalista.  Permangono tutti gli elementi problematici: l’idea del bambino e della bambina, del ragazzo e della ragazza come incapaci di leggere e interpretare le fonti, a cui la storia viene quindi proposta soltanto nella sua dimensione narrativa; la concezione lineare della storia, intesa come processo evolutivo incentrato su personaggi eminenti; l’elenco di conoscenze (contenuti manualistici) in cui spiccano figure eroiche del Risorgimento insieme a personaggi e vicende tratti dalla Bibbia e dai poemi epici occidentali, proposti già nei primi anni della scuola primaria; la rappresentazione della “comparsa” dell’uomo sulla terra come evento improvviso, in chiave creazionista, che ignora il processo di ominazione; i diversi errori o espressioni superate che vari storici avevano segnalato: il feudalesimo presentato come legato a Carlo Magno e non al tardo Medioevo, la superata definizione “Repubbliche marinare” anziché ad esempio “città-stato mercantili”,  il Mediterraneo unificato da Alessandro Magno, la semplificazione delle “tre Italie”, le rivoluzioni moderne come espressione di libertà, la decolonizzazione ridotta al solo scenario asiatico. Le IN saranno adottate dall’a.s. 2026-2027 dalle classi prime di primaria e secondaria di primo grado, le classi già attive nel 2025/2026 continueranno a far riferimento alle Indicazioni del 2012. In questo lasso di tempo saranno necessarie azioni di rifiuto alle IN. La richiesta rielaborazione del curricolo d’istituto dovrà prevede un’attenta analisi collegiale del documento affinché gli obiettivi siano declinati, contestualizzati e arricchiti (come previsto dal DPR 275/1999) tenendo conto della dimensione interculturale, promuovendo equità e pari opportunità di apprendimento, e riconoscendo ogni bambina/o come soggetto competente. Inoltre, si potrà rifiutare l’adozione dei testi scolastici revisionati avvalendosi di strumenti alternativi: testi (narrativi, esplicativi, documentari …), materiali digitali, o qualsiasi altro strumento coerente con il PTOF. È un’opzione riconfermata in tutte le normative per la quale è necessaria solo una breve relazione che motivi la scelta. Bruna Sferra
Docenti – Scelta 150 preferenze
con la nota n. 157048 del 9 luglio 2025 avente per oggetto: Anno scolastico 2025/2026 – Istruzioni e indicazioni operative in materia di supplenze al personale docente, educativo ed A.T.A. il MIM comunica la modalità e la tempistica per la scelta delle 150 preferenze (scuole, distretti, comuni, provincia): * per le supplenze annuali finalizzate alla nomina in ruolo (GPS I fascia sostegno o elenchi aggiuntivi ). Possono partecipare i docenti inseriti a pieno titolo nella GPS I fascia sostegno o elenchi aggiuntivi; i docenti  già di ruolo (che abbiano superato il periodo di prova al 01/09/2024 o prima). Ai sensi dell’articolo 2, comma 2, punto 3-quater, del decreto-legge 7 aprile 2025, n. 45, convertito con modificazione dalla legge 5 giugno 2025, n. 79, l’assegnazione di una delle sedi indicate nella domanda comporta l’obbligo di accettazione espressa entro 5 giorni o, comunque, entro il 1° settembre qualora l’assegnazione intervenga a decorrere dal 28 agosto. La mancata accettazione della sede entro il suddetto termine è considerata d’ufficio come rinuncia alla nomina e determina la decadenza dall’incarico conferito. * per le supplenze annuali o fino al termine delle attività didattiche (GAE e GPS posto comune e/o sostegno). La domanda deve essere presentata in modalità telematica dalle ore 10,00 del 17 luglio alle ore 14,00 del 30 luglio 2025 tramite Istanze on Line.
Sensazionale scoperta INVALSI: il numero di studenti per classe non conta
Meglio una classe da 30 studenti o da 10? Quale situazione preferirebbe Mark Zuckerberg per l’istruzione di suo figlio? La dimensione della classe non conta: è questa la recente, sensazionale scoperta dell’INVALSI. Ciò che conta è “la dimensione della persona”, la personalizzazione. Perciò, quando il Ministro dell’Economia dichiara che bisognerà “ripensare strutture, personale e spesa” per l’istruzione, non dobbiamo preoccuparci. Non servono soldi per aumentare il numero di insegnanti o stabilizzarli, basta dirottare risorse sulle nuove tecnologie di intelligenza artificiale e personalizzare la didattica. Fatalità, la scoperta dell’INVALSI lo conferma. -------------------------------------------------------------------------------- Meglio una classe da 30 studenti o da 10? Proviamo a chiederci: quale situazione preferirebbe Mark Zuckerberg per l’istruzione di suo figlio? La dimensione della classe non conta: è questa la recente e sensazionale scoperta dell’INVALSI: ciò che conta è “la dimensione della persona”, la personalizzazione. Che fortuna: in effetti non abbiamo i soldi per aumentare il numero di insegnanti (vedi recenti dichiarazioni del Ministro Giorgetti sui tagli alla scuola, qui) ma possiamo dirottare risorse sulle nuove tecnologie di intelligenza artificiale per personalizzare la didattica (vedi dichiarazione del Ministro Valditara sull’utilità dell’IA in classe, qui). Nell’attesa dell’ultima puntata della soap opera più longeva della storia della valutazione scolastica italiana, ovvero l’uscita del Rapporto annuale sui test INVALSI edizione 2025, prevista per il prossimo 9 Luglio, l’Istituto prova ad alimentare la suspence elencando percentuali e correlazioni tra la taglia delle classi delle nostre scuole e il numero di studenti “low performer”. I “low performer” sono sempre loro, ormai li conosciamo: gli studenti fragili, i dispersi impliciti, i ragazzi “bollinati” INVALSI livello 1 e 2 . L’INVALSI ci dice che la numerosità delle classi non influisce sulla loro percentuale. Ad esempio per gli studenti di terza media: > “LE CLASSI DI DIMENSIONI INTERMEDIE (21-25 STUDENTI) MOSTRANO UNA PERCENTUALE > INFERIORE DI STUDENTI CON BASSO RENDIMENTO (1,01%), MENTRE QUELLE PIÙ NUMEROSE > (OLTRE 26 STUDENTI) PRESENTANO UN’INCIDENZA LIEVEMENTE SUPERIORE (1.09%)”. La contabilità INVALSI dovrebbe rassicurarci. In effetti anche se non sappiamo bene cosa significhi “basso rendimento”  per l’Istituto di valutazione, anche se non possiamo accedere ai contenuti dei test per farci un’idea di cosa effettivamente si stia misurando e per controllarne i risultati, anche se non conosciamo l’incertezza statistica dei dati, se ignoriamo i metodi e di correzione, oggi automatizzati, e la loro accuratezza, la scoperta dell’INVALSI può risultare consolante. In fondo i dati INVALSI sono un po’ come la fede: uno o ce l’ha o non ce l’ha. Ma se ce l’ha, che gran conforto. La scoperta dell’INVALSI però è tutt’altro che originale: sono almeno 30 anni che gli economisti dell’educazione made in USA  (vedi Hanuscheck) e l’OCSE tentano di convincerci che insegnare e apprendere in una classe di 30 o 10 studenti non fa differenza. L’uso politico del  “class size effect” è evidente e non necessita di commenti. Da parte nostra, in un Paese dove il dibattito sulla scuola è inesistente, perché affidato al principio di Autorità e all’assenza sistematica di qualsiasi contraddittorio, ci limitiamo a qualche piccolo contributo, non allineato al catechismo dell’INVALSI. 1.  Il libro “Rethinking class size” di Peter Blatchford ed Anthony Russell del 2020, UCL Press,  liberamente scaricabile qui.   > “IL DIBATTITO SULL’IMPORTANZA DELLE DIMENSIONI DELLE CLASSI PER L’INSEGNAMENTO > E L’APPRENDIMENTO È UNO DEI PIÙ DURATURI E ACCESI NELLA RICERCA EDUCATIVA. GLI > INSEGNANTI SPESSO INSISTONO SUL FATTO CHE LE CLASSI PICCOLE FAVORISCANO IL > LORO LAVORO. MA MOLTI ESPERTI SOSTENGONO CHE I DATI DELLA RICERCA DIMOSTRANO > CHE LE DIMENSIONI DELLE CLASSI HANNO SCARSO IMPATTO SUI RISULTATI DEGLI > STUDENTI, QUINDI NON SONO RILEVANTI, E QUESTA VISIONE DOMINANTE HA INFLUENZATO > LE POLITICHE A LIVELLO INTERNAZIONALE. > >  IN QUESTO LAVORO, I RICERCATORI DEL PIÙ GRANDE STUDIO AL MONDO SUGLI EFFETTI > DELLE DIMENSIONI DELLE CLASSI PRESENTANO UNA CONTROARGOMENTAZIONE. ATTRAVERSO > UN’ANALISI DETTAGLIATA DELLE COMPLESSE RELAZIONI IN GIOCO IN CLASSE, RIVELANO > I MECCANISMI CHE SUPPORTANO L’ESPERIENZA DEGLI INSEGNANTI E CONCLUDONO CHE LE > DIMENSIONI DELLE CLASSI SONO DAVVERO IMPORTANTI.” 2. Lo studio “L’impact de la taille des classes sur la réussite scolaire dans les écoles, collèges et lycées français” di Thomas Piketty e Mathieu Valdenaire, del 2006, accessibile qui > “IL NOSTRO METODO CONSENTE DI INDIVIDUARE EFFETTI STATISTICAMENTE > SIGNIFICATIVI DELLA DIMENSIONE DELLE CLASSI NEI TRE LIVELLI DI ISTRUZIONE. > TALI EFFETTI RISULTANO QUANTITATIVAMENTE MOLTO PIÙ RILEVANTI NELLA SCUOLA > PRIMARIA RISPETTO ALLA SCUOLA MEDIA, E ANCOR PIÙ RISPETTO ALLA SCUOLA > SUPERIORE. PER QUANTO RIGUARDA LA SCUOLA PRIMARIA, METTIAMO IN EVIDENZA UN > IMPATTO POSITIVO SIGNIFICATIVO DELLE CLASSI MENO NUMEROSE SUL SUCCESSO > SCOLASTICO DEGLI ALUNNI.” 3. La meta analisi dell’istituto delle Politiche Pubbliche francesi (IPP) “La taille des classes influence-t-elle la reussite scolaire?” del 2017, scaricabile qui. le cui conclusioni potrebbero essere così riassunte: a) Ridurre le dimensioni delle classi è una politica costosa ma efficace per combattere le disuguaglianze, se mirata e significativa. b) Questa politica avvantaggia principalmente gli studenti con il più basso status socio-economico. 4. E per finire, l’analisi, attualissima (30 giugno 2025) dello stesso Istituto delle Politiche Pubbliche francesi, che in vista della futura legge di bilancio esprime una serie di raccomandazioni sulla spesa pubblica per l’istruzione. Il titolo è “Taille des classes et inegalités territoriales: quelle stratégie face à la baisse démographique?”, di cui riportiamo questo piccolo estratto: > “RIDURRE IL NUMERO DI INSEGNANTI PER MANTENERE INALTERATA LA DIMENSIONE DELLE > CLASSI > > [IN PREVISIONE DEL CALO DEMOGRAFICO] > > GENEREREBBE ECONOMIE A CORTO E MEDIO TERMINE, MA PRIVEREBBE GLI STUDENTI DEI > VANTAGGI ASSOCIATI ALLA DIMINUZIONE DEL NUMERO DI ALUNNI PER CLASSE: > > –EFFETTI POSITIVI SUGLI APPRENDIMENTI, BEN DOCUMENTATI DALLA LETTERATURA > SCIENTIFICA > > -CHE SI TRADURREBBERO, A LUNGO TERMINE IN SALARI E CONTRIBUZIONI PIÙ ELEVATE > PER LA SOCIETÀ. > > [SENZA CONSIDERARE] I BENEFICI ANNESSI: MIGLIORI CONDIZIONI DI LAVORO PER GLI > INSEGNANTI, ESTERNALITÀ POSITIVE DAL PUNTO DI VISTA SOCIALE (SALUTE, > DELINQUENZA ETC).”
Sull’attenti e competenti! Arriva l’Unione delle competenze
La Commissione europea ha appena pubblicato un nuovo documento destinato anche al mondo della formazione: l’Unione delle competenze.  Eravamo rimasti al “patto per un’Europa del lavoro, nel sodalizio perverso fra l’educazione, l’istruzione e il mercato del lavoro”, testimoniato dalla crescente sovrapposizione tra competenze trasversali da assimilare a scuola e qualifiche professionali da utilizzare nel mondo del lavoro – una fra tutte la competenza chiave dell’imprenditorialità, possibilmente fin dai banchi della scuola primaria – un patto che proprio attraverso il dispositivo delle competenze imponeva il nuovo modello di governamentalità neoliberale: diritti precari solo nella miseria del lavoro precario.  Oggi nasce il nuovo patto per un’Europa della guerra che, ancora una volta, si fonda sulla formazione dei giovani, attraverso il “piano inclinato di politiche educative che hanno trasformato progressivamente la cultura scolastica in cultura d’impresa”. Civile o militare, poco importa: business is business. Competenti e sull’attenti, incalza dunque l’Unione europea: dal welfare al workfare e oggi al warfare, a scuola il passo si configura brevissimo.     --------------------------------------------------------------------------------   Nei giorni scorsi, mentre ci baloccavamo con il video semiserio di Haidja Labib – commissaria Ue per la cooperazione internazionale, gli aiuti umanitari e la risposta alle crisi – in cui ci si propone un kit di sopravvivenza per resistere 72 ore con opportuno necessaire ad ogni tipo di emergenza, dalla presidente Ursula von der Leyen arrivava il documento serissimo “Preparedness Union Strategy: reinforcing Europe’s resilience in a changing world”, che prevede una serie di misure, strategie e piani tesi a “rafforzare la preparazione e la prontezza civile e militare dell’Europa per affrontare le crescenti sfide alla sicurezza odierne, in materia di salute, migrazione, sicurezza tecnologica, clima, difesa o economia”[1] e che chiama in causa il mondo della formazione. Una pianificazione globale che, accanto al riarmo europeo da 800 miliardi di euro, impone tutta una serie di azioni unitarie e comuni di immediato utilizzo per fronteggiare una crisi, in primis militare: protezione e preparazione delle persone, con un approccio che coinvolge l’intera società, compreso il mondo accademico; rafforzamento della partnership con la Nato per contribuire agli impegni condivisi per proteggere la sicurezza globale; aumento della cooperazione pubblico-privato e civile-militare nel settore della sicurezza e della difesa. Questa strategia di preparazione agli eventi verrà realizzata attraverso 30 azioni pianificate collegate agli obiettivi indicati, allineandosi ad altre iniziative dell’Ue già esistenti in tema di sicurezza. Tra queste, oltre al Libro Bianco sulla difesa europea e la strategia dell’Ue per l’adattamento ai cambiamenti climatici, troviamo l’Unione delle competenze, proposta dalla Commissione europea per incrementare la prosperità, la competitività, la resilienza economica e la sicurezza dell’Ue, come indicato nel rapporto Draghi[2] e nella relazione “Safer together” di Sauli Niinisto[3] (già presidente della repubblica finlandese) sulla preparazione militare e civile dell’Unione europea. Alla nuova ossessione securitaria e bellicista dei decisori europei, debitamente amplificata dal pensiero unico mainstream che avviluppa in Italia informazione e opinione pubblica in una folle glorificazione del militarismo, del patriottismo, della guerra, “sola igiene del mondo”[4], si accompagna dunque la vecchia ossessione delle competenze chiave standardizzate, omologate, adattabili, misurabili ma gestite – in questa nuova fase storica di preparazione, prontezza o riarmo che dir si voglia – attraverso la creazione di una governance europea poiché, scrive la Commissione in grassetto, “sebbene gli sforzi degli Stati membri in materia di istruzione e competenze siano aumentati, le sfide sono troppo grandi e urgenti per essere affrontate dai soli Stati membri”[5]. Occorre dunque una struttura solida, centralizzata e unitaria, capace di sviluppare capitale umano e competitività, essenziali “per promuovere la preparazione e la sicurezza nell’attuale situazione geopolitica”[6]: un Consiglio europeo di alto livello per le competenze, che informerà le decisioni in materia di investimenti e di riforme a livello nazionale e della Ue, fermo restando la “responsabilità collettiva e l’impegno che Stati membri, parti sociali, comunità imprenditoriale, università e scuole”[7] sono espressamente chiamati ad assumersi. Tra le principali direzioni di sviluppo indicate nel documento, accanto alle ben note ‘innovazione’, ‘digitalizzazione’ e  ‘decarbonizzazione’ spicca la nuova parola d’ordine ‘preparazione’ che, oltre a prevedere un aumento della consapevolezza dei rischi e delle minacce nella popolazione e a sviluppare linee guida per raggiungere un’autosufficienza della popolazione di almeno 72 ore” (sic), include “la ‘preparazione’ nei programmi di istruzione scolastica e nell’aggiornamento del personale educativo”[8] con appositi curricoli formativi, come espressamente indicato nel set delle 30 azioni chiave da implementare a livello europeo. In una scuola in cui già da tempo i dettami performativi e competitivi dell’Ue hanno imposto la visione funzionalista e economicista delle competenze trasversali, della valutazione standardizzata, dell’orientamento al lavoro, del tutoring e del customer care[9], da oggi si impongono le nuove competenze di resilienza, di preparazione, di pronta risposta alle crisi e ai conflitti, considerate come “condizione abilitante” per gli sventurati abitanti di questa nuova Europa guerrafondaia in cui “l’Unione delle competenze propone un nuovo approccio, che combina le politiche dell’istruzione, della formazione e dell’occupazione, unite intorno a una visione comune della competitività”[10]. Civile o militare[11], poco importa: business is business. Eravamo rimasti al “patto per un’Europa del lavoro, nel sodalizio perverso fra l’educazione, l’istruzione e il mercato del lavoro”[12], testimoniato dalla crescente sovrapposizione tra competenze trasversali da assimilare a scuola e qualifiche professionali da utilizzare nel mondo del lavoro – una fra tutte la competenza chiave dell’imprenditorialità, possibilmente trasmissibile fin dalla scuola primaria[13] – un patto che proprio attraverso il dispositivo delle competenze imponeva il nuovo modello di governamentalità neoliberale: diritti precari solo nella miseria del lavoro precario. Oggi nasce il nuovo patto per un’Europa della guerra che, ancora una volta, si fonda sulla formazione dei giovani, attraverso il “piano inclinato di politiche educative che hanno trasformato progressivamente la cultura scolastica in cultura d’impresa”[14] e che si fonda su un’ulteriore torsione educativa della scuola, dove non solo una volontà politica nazionale e sovranazionale impone da tempo che le conoscenze storiche, artistiche, letterarie e scientifiche vengano sostituite da competenze pratiche, immediate e operative – tutte orientate al lavoro oggi nei settori produttivi bellici e securitari, soprattutto in quelli strategici “come la sicurezza informatica, l’areospazio e la difesa”[15] – ma dove d’ora in poi si dovranno insegnare, imparare ed esercitare, con i curricoli formativi in preparazione a Bruxelles, precise competenze di guerra: preparazione, prontezza, resilienza, sopravvivenza. Competenti e sull’attenti, incalza dunque l’Unione europea. Dal welfare al workfare e oggi al warfare, a scuola il passo si configura brevissimo.     --------------------------------------------------------------------------------   [1] Comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Strategia dell’Unione per la preparazione. Rafforzare la resilienza dell’Europa in un mondo in cambiamento, marzo 2025 [2] M. Draghi, The future of European Competitiveness, settembre 2024 [3] S. Niinisto, Safer together: Stengthening Europe’s Civilian and Military Preparedness and Readiness. [4] F. T. Marinetti, Manifesto del Futurismo, 1909. [5] Commissione europea, L’Unione delle competenze, marzo 2025, p. 4. [6] Ibidem, p. 1. [7] Ibidem, p. 20. [8] Strategia dell’Unione per la preparazione, marzo 2025, p. 10. [9] A. Angelucci e G. Aragno, Le mani sulla scuola. La crisi della libertà di insegnare e di imparare, Castelvecchi, Roma 2020. [10] Commissione europea, L’Unione delle competenze, marzo 2025, p. 20. [11] Sotto questo profilo, si segnala l’importantissimo lavoro dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole. [12] R. Puleo, Invalsi fra Big Data e Data Despota, laletteraturaenoi.it, 31 marzo 2025. [13] R. Latempa, Piccoli imprenditori crescono: i modelli MIUR per le scuole elementari e medie, ROARS, 12 aprile 2018. [14] R. Latempa e D. Borrelli, Leggere “La nuova scuola capitalistica oggi”, Le parole e le cose, 10 marzo 2025. [15] Commissione europea, L’Unione delle competenze, marzo 2025, p. 15.  
La FLC CGIL contro INVALSI: viola il diritto al controllo del punteggio dei test
Pubblichiamo il testo del comunicato della FLC CGIL sul recente reclamo inviato al Garante per la Protezione dei Dati Personali.  Il reclamo contesta all’INVALSI la mancanza di trasparenza e la negazione del diritto al controllo dell’esito della prova svolta. Oggi, qualsiasi studente abbia svolto una prova INVALSI su piattaforma digitale non ha modo di accedere ai contenuti del test, per poterne verificare  l’esito e la logica di correzione.  E’ ciò che hanno constatato i genitori di due studenti tredicenni, i quali hanno chiesto conto all’INVALSI del punteggio acquisito dai propri figli nei test del 2024, che rappresenta la loro certificazione individuale di competenze.  Impossibile fornire spiegazioni, dice sostanzialmente l’INVALSI, perché si tratta di una procedura “parzialmente automatizzata”, e quindi deve essere accettata senza alcuna possibilità di controllo. Negare alle famiglie ricorrenti l’accesso ai dati dei propri figli lede il diritto di ciascuno studente ad una valutazione chiara e contestabile. Lesione tanto più grave visto che alcuni studenti sono classificati come “fragili” dall’INVALSI, quando il punteggio acquisito risulta al di sotto di una soglia di adeguatezza stabilita a monte. Attendiamo ora l’intervento dell’Autorità per la protezione dei dati personali. Entro tre mesi conosceremo lo stato del provvedimento. -------------------------------------------------------------------------------- Roma, 20 marzo 2025 – Il 3 marzo scorso è stato depositato un reclamo al Garante della Privacy portato avanti dal sindacato FLC CGIL nazionale assieme a Cattive Ragazze Ets, Alas, Roars perché intervenga sulle modalità operative delle prove INVALSI. FLC CGIL denuncia da sempre la trasformazione delle prove in strumento valutazione individuale e di profilazione delle condizioni sociali degli studenti e in uno strumento di misurazione della prestazione dei docenti e dei dirigenti scolastici. Il reclamo presentato a titolo individuale da due genitori afferenti l’associazione Cattive Ragazze ETS denuncia all’autorità Garante della Privacy l’assoluta mancanza di trasparenza da parte di INVALSI e la negazione del diritto al controllo e quindi alla revisione dell’esito dei test, con la motivazione che le prove non hanno “finalità didattiche” e che l’attribuzione del punteggio individuale avviene sulla base di un processo “parzialmente automatizzato”. Inoltre nel delicatissimo contesto di protezione dei dati personali degli studenti, INVALSI raccoglie dati di contesto (familiari, culturali, sociali) mediante questionari digitalizzati proposti contestualmente allo svolgimento dei test. Questo vale per studenti minorenni, anche nel caso di negazione del consenso da parte dei genitori. Soprattutto quello che emerge è l’impossibilità di conoscere contenuti, metodologia e responsabilità della codifica delle domande, di controllare ed eventualmente contestare il punteggio standardizzato acquisito, da cui origina la certificazione personale delle competenze. Ciò è tanto più rilevante per quegli allievi considerati dall’INVALSI come “fragili”, perché il livello acquisito è al di sotto della soglia di adeguatezza statistica. In questo contesto risulta violato il diritto di ciascuno studente e ciascun genitore a ricevere una valutazione trasparente e tempestiva, come stabilito dallo Statuto delle Studentesse e degli Studenti, oltre che dal GDPR. Auspichiamo un intervento regolatore da parte del Garante che produca effetti in favore di tutti gli studenti della scuola pubblica italiana, ripristinando i diritti violati a partire dalla modifica delle procedure e dalla piena accessibilità del controllo delle prove INVALSI. Ci si attende un cambio di passo anche da tutte le istituzioni, a partire dal Ministero dell’Istruzione, che devono mettere in campo interventi e risorse per il contrasto alla cosiddetta povertà educativa che va affrontata e superata nei processi di apprendimento e non attraverso una massiva rilevazione standardizzata.