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Docenti – Scelta 150 preferenze
con la nota n. 157048 del 9 luglio 2025 avente per oggetto: Anno scolastico 2025/2026 – Istruzioni e indicazioni operative in materia di supplenze al personale docente, educativo ed A.T.A. il MIM comunica la modalità e la tempistica per la scelta delle 150 preferenze (scuole, distretti, comuni, provincia): * per le supplenze annuali finalizzate alla nomina in ruolo (GPS I fascia sostegno o elenchi aggiuntivi ). Possono partecipare i docenti inseriti a pieno titolo nella GPS I fascia sostegno o elenchi aggiuntivi; i docenti  già di ruolo (che abbiano superato il periodo di prova al 01/09/2024 o prima). Ai sensi dell’articolo 2, comma 2, punto 3-quater, del decreto-legge 7 aprile 2025, n. 45, convertito con modificazione dalla legge 5 giugno 2025, n. 79, l’assegnazione di una delle sedi indicate nella domanda comporta l’obbligo di accettazione espressa entro 5 giorni o, comunque, entro il 1° settembre qualora l’assegnazione intervenga a decorrere dal 28 agosto. La mancata accettazione della sede entro il suddetto termine è considerata d’ufficio come rinuncia alla nomina e determina la decadenza dall’incarico conferito. * per le supplenze annuali o fino al termine delle attività didattiche (GAE e GPS posto comune e/o sostegno). La domanda deve essere presentata in modalità telematica dalle ore 10,00 del 17 luglio alle ore 14,00 del 30 luglio 2025 tramite Istanze on Line.
Sensazionale scoperta INVALSI: il numero di studenti per classe non conta
Meglio una classe da 30 studenti o da 10? Quale situazione preferirebbe Mark Zuckerberg per l’istruzione di suo figlio? La dimensione della classe non conta: è questa la recente, sensazionale scoperta dell’INVALSI. Ciò che conta è “la dimensione della persona”, la personalizzazione. Perciò, quando il Ministro dell’Economia dichiara che bisognerà “ripensare strutture, personale e spesa” per l’istruzione, non dobbiamo preoccuparci. Non servono soldi per aumentare il numero di insegnanti o stabilizzarli, basta dirottare risorse sulle nuove tecnologie di intelligenza artificiale e personalizzare la didattica. Fatalità, la scoperta dell’INVALSI lo conferma. -------------------------------------------------------------------------------- Meglio una classe da 30 studenti o da 10? Proviamo a chiederci: quale situazione preferirebbe Mark Zuckerberg per l’istruzione di suo figlio? La dimensione della classe non conta: è questa la recente e sensazionale scoperta dell’INVALSI: ciò che conta è “la dimensione della persona”, la personalizzazione. Che fortuna: in effetti non abbiamo i soldi per aumentare il numero di insegnanti (vedi recenti dichiarazioni del Ministro Giorgetti sui tagli alla scuola, qui) ma possiamo dirottare risorse sulle nuove tecnologie di intelligenza artificiale per personalizzare la didattica (vedi dichiarazione del Ministro Valditara sull’utilità dell’IA in classe, qui). Nell’attesa dell’ultima puntata della soap opera più longeva della storia della valutazione scolastica italiana, ovvero l’uscita del Rapporto annuale sui test INVALSI edizione 2025, prevista per il prossimo 9 Luglio, l’Istituto prova ad alimentare la suspence elencando percentuali e correlazioni tra la taglia delle classi delle nostre scuole e il numero di studenti “low performer”. I “low performer” sono sempre loro, ormai li conosciamo: gli studenti fragili, i dispersi impliciti, i ragazzi “bollinati” INVALSI livello 1 e 2 . L’INVALSI ci dice che la numerosità delle classi non influisce sulla loro percentuale. Ad esempio per gli studenti di terza media: > “LE CLASSI DI DIMENSIONI INTERMEDIE (21-25 STUDENTI) MOSTRANO UNA PERCENTUALE > INFERIORE DI STUDENTI CON BASSO RENDIMENTO (1,01%), MENTRE QUELLE PIÙ NUMEROSE > (OLTRE 26 STUDENTI) PRESENTANO UN’INCIDENZA LIEVEMENTE SUPERIORE (1.09%)”. La contabilità INVALSI dovrebbe rassicurarci. In effetti anche se non sappiamo bene cosa significhi “basso rendimento”  per l’Istituto di valutazione, anche se non possiamo accedere ai contenuti dei test per farci un’idea di cosa effettivamente si stia misurando e per controllarne i risultati, anche se non conosciamo l’incertezza statistica dei dati, se ignoriamo i metodi e di correzione, oggi automatizzati, e la loro accuratezza, la scoperta dell’INVALSI può risultare consolante. In fondo i dati INVALSI sono un po’ come la fede: uno o ce l’ha o non ce l’ha. Ma se ce l’ha, che gran conforto. La scoperta dell’INVALSI però è tutt’altro che originale: sono almeno 30 anni che gli economisti dell’educazione made in USA  (vedi Hanuscheck) e l’OCSE tentano di convincerci che insegnare e apprendere in una classe di 30 o 10 studenti non fa differenza. L’uso politico del  “class size effect” è evidente e non necessita di commenti. Da parte nostra, in un Paese dove il dibattito sulla scuola è inesistente, perché affidato al principio di Autorità e all’assenza sistematica di qualsiasi contraddittorio, ci limitiamo a qualche piccolo contributo, non allineato al catechismo dell’INVALSI. 1.  Il libro “Rethinking class size” di Peter Blatchford ed Anthony Russell del 2020, UCL Press,  liberamente scaricabile qui.   > “IL DIBATTITO SULL’IMPORTANZA DELLE DIMENSIONI DELLE CLASSI PER L’INSEGNAMENTO > E L’APPRENDIMENTO È UNO DEI PIÙ DURATURI E ACCESI NELLA RICERCA EDUCATIVA. GLI > INSEGNANTI SPESSO INSISTONO SUL FATTO CHE LE CLASSI PICCOLE FAVORISCANO IL > LORO LAVORO. MA MOLTI ESPERTI SOSTENGONO CHE I DATI DELLA RICERCA DIMOSTRANO > CHE LE DIMENSIONI DELLE CLASSI HANNO SCARSO IMPATTO SUI RISULTATI DEGLI > STUDENTI, QUINDI NON SONO RILEVANTI, E QUESTA VISIONE DOMINANTE HA INFLUENZATO > LE POLITICHE A LIVELLO INTERNAZIONALE. > >  IN QUESTO LAVORO, I RICERCATORI DEL PIÙ GRANDE STUDIO AL MONDO SUGLI EFFETTI > DELLE DIMENSIONI DELLE CLASSI PRESENTANO UNA CONTROARGOMENTAZIONE. ATTRAVERSO > UN’ANALISI DETTAGLIATA DELLE COMPLESSE RELAZIONI IN GIOCO IN CLASSE, RIVELANO > I MECCANISMI CHE SUPPORTANO L’ESPERIENZA DEGLI INSEGNANTI E CONCLUDONO CHE LE > DIMENSIONI DELLE CLASSI SONO DAVVERO IMPORTANTI.” 2. Lo studio “L’impact de la taille des classes sur la réussite scolaire dans les écoles, collèges et lycées français” di Thomas Piketty e Mathieu Valdenaire, del 2006, accessibile qui > “IL NOSTRO METODO CONSENTE DI INDIVIDUARE EFFETTI STATISTICAMENTE > SIGNIFICATIVI DELLA DIMENSIONE DELLE CLASSI NEI TRE LIVELLI DI ISTRUZIONE. > TALI EFFETTI RISULTANO QUANTITATIVAMENTE MOLTO PIÙ RILEVANTI NELLA SCUOLA > PRIMARIA RISPETTO ALLA SCUOLA MEDIA, E ANCOR PIÙ RISPETTO ALLA SCUOLA > SUPERIORE. PER QUANTO RIGUARDA LA SCUOLA PRIMARIA, METTIAMO IN EVIDENZA UN > IMPATTO POSITIVO SIGNIFICATIVO DELLE CLASSI MENO NUMEROSE SUL SUCCESSO > SCOLASTICO DEGLI ALUNNI.” 3. La meta analisi dell’istituto delle Politiche Pubbliche francesi (IPP) “La taille des classes influence-t-elle la reussite scolaire?” del 2017, scaricabile qui. le cui conclusioni potrebbero essere così riassunte: a) Ridurre le dimensioni delle classi è una politica costosa ma efficace per combattere le disuguaglianze, se mirata e significativa. b) Questa politica avvantaggia principalmente gli studenti con il più basso status socio-economico. 4. E per finire, l’analisi, attualissima (30 giugno 2025) dello stesso Istituto delle Politiche Pubbliche francesi, che in vista della futura legge di bilancio esprime una serie di raccomandazioni sulla spesa pubblica per l’istruzione. Il titolo è “Taille des classes et inegalités territoriales: quelle stratégie face à la baisse démographique?”, di cui riportiamo questo piccolo estratto: > “RIDURRE IL NUMERO DI INSEGNANTI PER MANTENERE INALTERATA LA DIMENSIONE DELLE > CLASSI > > [IN PREVISIONE DEL CALO DEMOGRAFICO] > > GENEREREBBE ECONOMIE A CORTO E MEDIO TERMINE, MA PRIVEREBBE GLI STUDENTI DEI > VANTAGGI ASSOCIATI ALLA DIMINUZIONE DEL NUMERO DI ALUNNI PER CLASSE: > > –EFFETTI POSITIVI SUGLI APPRENDIMENTI, BEN DOCUMENTATI DALLA LETTERATURA > SCIENTIFICA > > -CHE SI TRADURREBBERO, A LUNGO TERMINE IN SALARI E CONTRIBUZIONI PIÙ ELEVATE > PER LA SOCIETÀ. > > [SENZA CONSIDERARE] I BENEFICI ANNESSI: MIGLIORI CONDIZIONI DI LAVORO PER GLI > INSEGNANTI, ESTERNALITÀ POSITIVE DAL PUNTO DI VISTA SOCIALE (SALUTE, > DELINQUENZA ETC).”
Sull’attenti e competenti! Arriva l’Unione delle competenze
La Commissione europea ha appena pubblicato un nuovo documento destinato anche al mondo della formazione: l’Unione delle competenze.  Eravamo rimasti al “patto per un’Europa del lavoro, nel sodalizio perverso fra l’educazione, l’istruzione e il mercato del lavoro”, testimoniato dalla crescente sovrapposizione tra competenze trasversali da assimilare a scuola e qualifiche professionali da utilizzare nel mondo del lavoro – una fra tutte la competenza chiave dell’imprenditorialità, possibilmente fin dai banchi della scuola primaria – un patto che proprio attraverso il dispositivo delle competenze imponeva il nuovo modello di governamentalità neoliberale: diritti precari solo nella miseria del lavoro precario.  Oggi nasce il nuovo patto per un’Europa della guerra che, ancora una volta, si fonda sulla formazione dei giovani, attraverso il “piano inclinato di politiche educative che hanno trasformato progressivamente la cultura scolastica in cultura d’impresa”. Civile o militare, poco importa: business is business. Competenti e sull’attenti, incalza dunque l’Unione europea: dal welfare al workfare e oggi al warfare, a scuola il passo si configura brevissimo.     --------------------------------------------------------------------------------   Nei giorni scorsi, mentre ci baloccavamo con il video semiserio di Haidja Labib – commissaria Ue per la cooperazione internazionale, gli aiuti umanitari e la risposta alle crisi – in cui ci si propone un kit di sopravvivenza per resistere 72 ore con opportuno necessaire ad ogni tipo di emergenza, dalla presidente Ursula von der Leyen arrivava il documento serissimo “Preparedness Union Strategy: reinforcing Europe’s resilience in a changing world”, che prevede una serie di misure, strategie e piani tesi a “rafforzare la preparazione e la prontezza civile e militare dell’Europa per affrontare le crescenti sfide alla sicurezza odierne, in materia di salute, migrazione, sicurezza tecnologica, clima, difesa o economia”[1] e che chiama in causa il mondo della formazione. Una pianificazione globale che, accanto al riarmo europeo da 800 miliardi di euro, impone tutta una serie di azioni unitarie e comuni di immediato utilizzo per fronteggiare una crisi, in primis militare: protezione e preparazione delle persone, con un approccio che coinvolge l’intera società, compreso il mondo accademico; rafforzamento della partnership con la Nato per contribuire agli impegni condivisi per proteggere la sicurezza globale; aumento della cooperazione pubblico-privato e civile-militare nel settore della sicurezza e della difesa. Questa strategia di preparazione agli eventi verrà realizzata attraverso 30 azioni pianificate collegate agli obiettivi indicati, allineandosi ad altre iniziative dell’Ue già esistenti in tema di sicurezza. Tra queste, oltre al Libro Bianco sulla difesa europea e la strategia dell’Ue per l’adattamento ai cambiamenti climatici, troviamo l’Unione delle competenze, proposta dalla Commissione europea per incrementare la prosperità, la competitività, la resilienza economica e la sicurezza dell’Ue, come indicato nel rapporto Draghi[2] e nella relazione “Safer together” di Sauli Niinisto[3] (già presidente della repubblica finlandese) sulla preparazione militare e civile dell’Unione europea. Alla nuova ossessione securitaria e bellicista dei decisori europei, debitamente amplificata dal pensiero unico mainstream che avviluppa in Italia informazione e opinione pubblica in una folle glorificazione del militarismo, del patriottismo, della guerra, “sola igiene del mondo”[4], si accompagna dunque la vecchia ossessione delle competenze chiave standardizzate, omologate, adattabili, misurabili ma gestite – in questa nuova fase storica di preparazione, prontezza o riarmo che dir si voglia – attraverso la creazione di una governance europea poiché, scrive la Commissione in grassetto, “sebbene gli sforzi degli Stati membri in materia di istruzione e competenze siano aumentati, le sfide sono troppo grandi e urgenti per essere affrontate dai soli Stati membri”[5]. Occorre dunque una struttura solida, centralizzata e unitaria, capace di sviluppare capitale umano e competitività, essenziali “per promuovere la preparazione e la sicurezza nell’attuale situazione geopolitica”[6]: un Consiglio europeo di alto livello per le competenze, che informerà le decisioni in materia di investimenti e di riforme a livello nazionale e della Ue, fermo restando la “responsabilità collettiva e l’impegno che Stati membri, parti sociali, comunità imprenditoriale, università e scuole”[7] sono espressamente chiamati ad assumersi. Tra le principali direzioni di sviluppo indicate nel documento, accanto alle ben note ‘innovazione’, ‘digitalizzazione’ e  ‘decarbonizzazione’ spicca la nuova parola d’ordine ‘preparazione’ che, oltre a prevedere un aumento della consapevolezza dei rischi e delle minacce nella popolazione e a sviluppare linee guida per raggiungere un’autosufficienza della popolazione di almeno 72 ore” (sic), include “la ‘preparazione’ nei programmi di istruzione scolastica e nell’aggiornamento del personale educativo”[8] con appositi curricoli formativi, come espressamente indicato nel set delle 30 azioni chiave da implementare a livello europeo. In una scuola in cui già da tempo i dettami performativi e competitivi dell’Ue hanno imposto la visione funzionalista e economicista delle competenze trasversali, della valutazione standardizzata, dell’orientamento al lavoro, del tutoring e del customer care[9], da oggi si impongono le nuove competenze di resilienza, di preparazione, di pronta risposta alle crisi e ai conflitti, considerate come “condizione abilitante” per gli sventurati abitanti di questa nuova Europa guerrafondaia in cui “l’Unione delle competenze propone un nuovo approccio, che combina le politiche dell’istruzione, della formazione e dell’occupazione, unite intorno a una visione comune della competitività”[10]. Civile o militare[11], poco importa: business is business. Eravamo rimasti al “patto per un’Europa del lavoro, nel sodalizio perverso fra l’educazione, l’istruzione e il mercato del lavoro”[12], testimoniato dalla crescente sovrapposizione tra competenze trasversali da assimilare a scuola e qualifiche professionali da utilizzare nel mondo del lavoro – una fra tutte la competenza chiave dell’imprenditorialità, possibilmente trasmissibile fin dalla scuola primaria[13] – un patto che proprio attraverso il dispositivo delle competenze imponeva il nuovo modello di governamentalità neoliberale: diritti precari solo nella miseria del lavoro precario. Oggi nasce il nuovo patto per un’Europa della guerra che, ancora una volta, si fonda sulla formazione dei giovani, attraverso il “piano inclinato di politiche educative che hanno trasformato progressivamente la cultura scolastica in cultura d’impresa”[14] e che si fonda su un’ulteriore torsione educativa della scuola, dove non solo una volontà politica nazionale e sovranazionale impone da tempo che le conoscenze storiche, artistiche, letterarie e scientifiche vengano sostituite da competenze pratiche, immediate e operative – tutte orientate al lavoro oggi nei settori produttivi bellici e securitari, soprattutto in quelli strategici “come la sicurezza informatica, l’areospazio e la difesa”[15] – ma dove d’ora in poi si dovranno insegnare, imparare ed esercitare, con i curricoli formativi in preparazione a Bruxelles, precise competenze di guerra: preparazione, prontezza, resilienza, sopravvivenza. Competenti e sull’attenti, incalza dunque l’Unione europea. Dal welfare al workfare e oggi al warfare, a scuola il passo si configura brevissimo.     --------------------------------------------------------------------------------   [1] Comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, Strategia dell’Unione per la preparazione. Rafforzare la resilienza dell’Europa in un mondo in cambiamento, marzo 2025 [2] M. Draghi, The future of European Competitiveness, settembre 2024 [3] S. Niinisto, Safer together: Stengthening Europe’s Civilian and Military Preparedness and Readiness. [4] F. T. Marinetti, Manifesto del Futurismo, 1909. [5] Commissione europea, L’Unione delle competenze, marzo 2025, p. 4. [6] Ibidem, p. 1. [7] Ibidem, p. 20. [8] Strategia dell’Unione per la preparazione, marzo 2025, p. 10. [9] A. Angelucci e G. Aragno, Le mani sulla scuola. La crisi della libertà di insegnare e di imparare, Castelvecchi, Roma 2020. [10] Commissione europea, L’Unione delle competenze, marzo 2025, p. 20. [11] Sotto questo profilo, si segnala l’importantissimo lavoro dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole. [12] R. Puleo, Invalsi fra Big Data e Data Despota, laletteraturaenoi.it, 31 marzo 2025. [13] R. Latempa, Piccoli imprenditori crescono: i modelli MIUR per le scuole elementari e medie, ROARS, 12 aprile 2018. [14] R. Latempa e D. Borrelli, Leggere “La nuova scuola capitalistica oggi”, Le parole e le cose, 10 marzo 2025. [15] Commissione europea, L’Unione delle competenze, marzo 2025, p. 15.  
La FLC CGIL contro INVALSI: viola il diritto al controllo del punteggio dei test
Pubblichiamo il testo del comunicato della FLC CGIL sul recente reclamo inviato al Garante per la Protezione dei Dati Personali.  Il reclamo contesta all’INVALSI la mancanza di trasparenza e la negazione del diritto al controllo dell’esito della prova svolta. Oggi, qualsiasi studente abbia svolto una prova INVALSI su piattaforma digitale non ha modo di accedere ai contenuti del test, per poterne verificare  l’esito e la logica di correzione.  E’ ciò che hanno constatato i genitori di due studenti tredicenni, i quali hanno chiesto conto all’INVALSI del punteggio acquisito dai propri figli nei test del 2024, che rappresenta la loro certificazione individuale di competenze.  Impossibile fornire spiegazioni, dice sostanzialmente l’INVALSI, perché si tratta di una procedura “parzialmente automatizzata”, e quindi deve essere accettata senza alcuna possibilità di controllo. Negare alle famiglie ricorrenti l’accesso ai dati dei propri figli lede il diritto di ciascuno studente ad una valutazione chiara e contestabile. Lesione tanto più grave visto che alcuni studenti sono classificati come “fragili” dall’INVALSI, quando il punteggio acquisito risulta al di sotto di una soglia di adeguatezza stabilita a monte. Attendiamo ora l’intervento dell’Autorità per la protezione dei dati personali. Entro tre mesi conosceremo lo stato del provvedimento. -------------------------------------------------------------------------------- Roma, 20 marzo 2025 – Il 3 marzo scorso è stato depositato un reclamo al Garante della Privacy portato avanti dal sindacato FLC CGIL nazionale assieme a Cattive Ragazze Ets, Alas, Roars perché intervenga sulle modalità operative delle prove INVALSI. FLC CGIL denuncia da sempre la trasformazione delle prove in strumento valutazione individuale e di profilazione delle condizioni sociali degli studenti e in uno strumento di misurazione della prestazione dei docenti e dei dirigenti scolastici. Il reclamo presentato a titolo individuale da due genitori afferenti l’associazione Cattive Ragazze ETS denuncia all’autorità Garante della Privacy l’assoluta mancanza di trasparenza da parte di INVALSI e la negazione del diritto al controllo e quindi alla revisione dell’esito dei test, con la motivazione che le prove non hanno “finalità didattiche” e che l’attribuzione del punteggio individuale avviene sulla base di un processo “parzialmente automatizzato”. Inoltre nel delicatissimo contesto di protezione dei dati personali degli studenti, INVALSI raccoglie dati di contesto (familiari, culturali, sociali) mediante questionari digitalizzati proposti contestualmente allo svolgimento dei test. Questo vale per studenti minorenni, anche nel caso di negazione del consenso da parte dei genitori. Soprattutto quello che emerge è l’impossibilità di conoscere contenuti, metodologia e responsabilità della codifica delle domande, di controllare ed eventualmente contestare il punteggio standardizzato acquisito, da cui origina la certificazione personale delle competenze. Ciò è tanto più rilevante per quegli allievi considerati dall’INVALSI come “fragili”, perché il livello acquisito è al di sotto della soglia di adeguatezza statistica. In questo contesto risulta violato il diritto di ciascuno studente e ciascun genitore a ricevere una valutazione trasparente e tempestiva, come stabilito dallo Statuto delle Studentesse e degli Studenti, oltre che dal GDPR. Auspichiamo un intervento regolatore da parte del Garante che produca effetti in favore di tutti gli studenti della scuola pubblica italiana, ripristinando i diritti violati a partire dalla modifica delle procedure e dalla piena accessibilità del controllo delle prove INVALSI. Ci si attende un cambio di passo anche da tutte le istituzioni, a partire dal Ministero dell’Istruzione, che devono mettere in campo interventi e risorse per il contrasto alla cosiddetta povertà educativa che va affrontata e superata nei processi di apprendimento e non attraverso una massiva rilevazione standardizzata.