Nuove Indicazioni Nazionali, perché e come rifiutarle
Tra giugno e luglio 2024, la Commissione incaricata della revisione delle
Indicazioni nazionali (IN) ha organizzato incontri con associazioni
professionali, sindacali e di genitori e studenti. Il CESP ha partecipato il 18
giugno, constatando che la revisione era già avviata e procedeva rapidamente,
come sottolineato dalla stessa coordinatrice della Commissione, Loredana Perla.
Come altre associazioni, abbiamo sottolineato l’inopportunità di modificare le
Indicazioni 2012, ancora attuali e basate sulla complessità educativa e
sull’intercultura, suggerendo al massimo un loro aggiornamento su temi
emergenti.
La percezione di incontri formali e di un percorso già deciso, rafforzata dalle
dichiarazioni di Valditara, è stata confermata l’11 marzo dalla pubblicazione
della prima bozza delle IN, presentata come “materiale per il dibattito
pubblico”. Quest’ultimo ha mostrato subito i suoi limiti: le audizioni, avviate
una settimana dopo la pubblicazione della bozza, sono state rapide e hanno
concesso alle associazioni pochi minuti per commentare un testo di 154 pagine,
mentre i contributi scritti sono rimasti senza risposta. Il CESP ha partecipato
a quella del 21 marzo, sottolineando la netta discontinuità delle IN rispetto
alle vigenti, soprattutto per l’insegnamento della Storia, contrariamente a
quanto emerso e richiesto nelle precedenti audizioni. Queste le criticità
evidenziate: eccesso di enfasi sui “talenti”, visione occidentale del concetto
di “persona”, mancanza di prospettiva interculturale e inclusiva, educazione di
genere ridotta a “educazione del cuore” e libertà presentata come valore
esclusivo dell’Occidente.
Durante le audizioni, il Ministero ha lanciato una consultazione tramite
questionario rivolto a gruppi di insegnanti o dirigenti, con 22 domande a
risposta chiusa tutte orientate a confermare l’impianto delle IN o suggerire
piccoli aggiustamenti, senza spazio per un dissenso significativo, e un unico
campo aperto di soli mille caratteri.
Le critiche alle IN hanno acceso un vivace dibattito, evidenziando
l’impostazione culturale di destra e classista del documento. Il “popolo della
scuola” ha iniziato a riunirsi, sono nate realtà come la Rete per la scuola
pubblica, di carattere territoriale e dal basso, e il Tavolo interassociativo,
attivo a livello nazionale, moltiplicando incontri, appelli e mozioni di rifiuto
delle IN e del questionario ministeriale. Il Ministero ha risposto solo con un
atto simbolico, una casella email per eventuali commenti. Non è mai stato reso
noto quanti messaggi siano arrivati, chi li abbia letti e con quali criteri.
Loredana Perla ha invece difeso con orgoglio le IN, definendo le critiche come
tentativi di strumentalizzare il documento per lotta politica, un fenomeno di
radicali rimasti al “piccolo mondo antico” degli anni Settanta.
La bozza dell’11 giugno, inviata al CSPI, pur attenuando alcuni degli aspetti
più contestati, non ha recepito i contributi di associazioni e società
scientifiche. Del resto, le critiche più sostanziali non potevano essere
accolte: farlo avrebbe spezzato quel filo rosso ideologico che assicura coerenza
alle politiche di un governo di destra e che, per sua natura, non può recepire
istanze di segno pedagogico egualitario, attivo e partecipativo. Lo stesso rito
partecipativo di facciata del sondaggio rivolto a 1.200 genitori pubblicato
assieme alla nuova bozza e presentato come consenso ampio, era parziale, non
trasparente e formulato in modo da orientare le risposte favorevoli.
Con lo slogan ad effetto di una “svolta culturale” che unisce “la storia e la
cultura del nostro passato con l’innovazione”, Valditara ha accompagnato la
pubblicazione del testo definitivo delle IN, il 7 luglio, in cui i rilievi del
CSPI sono stati accolti solo parzialmente, a favore della conservazione
dell’intero impianto culturale, pedagogico e didattico in cui la disciplina
storia resta strumento di identità nazionale. Le Premesse culturali delineano
l’orizzonte valoriale del documento. A fondamento della scuola non è posta la
cultura, ma la centralità della persona , secondo una concezione radicata nella
tradizione giuridico-filosofica occidentale: dal diritto romano alla
Dichiarazione universale del 1948, fino alla Costituzione. È una lettura
lineare e distorta del concetto di persona, che nel tempo si è trasformato in
modo discontinuo, ridefinendo di volta in volta chi fosse riconosciuto come
“persona” e quali diritti potesse esercitare, e non può quindi essere ricondotto
a una categoria data e indiscutibile riproducendo un paradigma etnocentrico.
Anche nell’affermare che “a scuola l’allievo scopre la propria identità
personale e la propria appartenenza a una comunità in costante evoluzione” si
ignorano le evidenze delle scienze sociali su identità e appartenenze plurali e
mutevoli. Ne deriva una visione rigida, che genera pratiche educative escludenti
e uniformanti anziché valorizzare le differenze. Anche l’idea che la relazione
non limiti la persona ma la costituisca rimane contraddetta da una descrizione
in realtà molto individualistica, centrata sulla realizzazione della persona
come destino ultimo.
La comunità, ridotta a scuola, famiglia e, dopo il parere del CSPI, al terzo
settore, resta intesa come modello ristretto, racchiuso entro i confini
istituzionali del “patto educativo di corresponsabilità” e fondato su relazioni
sociali di facile controllo. Esistono condizioni sociali che rendono difficile
l’alleanza con la scuola; affermare che senza di essa sia
impossibile “raggiungere obiettivi educativi efficaci” costituisce una visione
classista che contempla solo contesti collaborativi.
Nonostante il parere del CSPI, Il successo scolastico resta affidato
all’insegnante magis e alla sua presunta “autorevolezza ritrovata”. Rimane
perseguibile tramite la valorizzazione dei talenti, nucleo del pensiero di
Valditara e connessa all’ideale di scuola meritocratica, evidente nella
connessione del talento alla “capacità di mobilitare risorse cognitive,
affettive e creative”, anche se, vestito da inclusione, viene descritto come
“possibilità trasformativa per ciascuno”, anche in “situazioni di fragilità o
svantaggio”. L’impostazione iniqua ed escludente emerge anche dall’enfasi posta
sulla personalizzazione dell’apprendimento a scapito dell’insegnamento
individualizzato che mira ad assicurare a tutte/i il raggiungimento degli
stessi obiettivi di competenza.
Tra le finalità dell’educazione alla libertà, concetto ancora definito come “il
valore caratteristico più importante dell’Occidente e della sua civiltà sin
dalla sua nascita, avvenuta fra Atene, Roma e Gerusalemme”, si conferma la
“comprensione del principio di autorità”. Nessuno spazio per i valori della
convivenza acquisiti tramite il dialogo, in cui anche il dissenso è occasione
educativa di crescita, ma un “lungo allenamento all’autogoverno” e l’osservanza
di regole per acquisire senso del limite e l’etica del rispetto. Norme e bona
fides costituiscono gli ingredienti fondamentali di un’“educazione del cuore”
capace di suscitare sentimenti come fiducia, empatia, tenerezza, incanto e
gentilezza. L’enfasi sui valori morali della pedagogia romantica ottocentesca
esclude lo sviluppo di competenze relazionali, emotive e di autonomia critica
riducendo l’educazione a indottrinamento e controllo sociale.
In tema di inclusione, il testo richiama diverse norme e strumenti già in atto:
BES, ICF, patti di collaborazione tra scuole ed enti, mediatori
linguistico-culturali, insegnamento dell’Italiano L2, docenti aggiuntivi della
classe di concorso 23/A e Linee di indirizzo per il diritto allo studio degli
alunni adottati. Ad eccezione del riferimento al modello dell’Universal Design
for Learning per la partecipazione attiva degli studenti nelle scelte relative
al proprio percorso scolastico, rimane una concezione di inclusione come
risposta rivolta ad alunne/i in difficoltà. Il centro dell’attenzione resta
l’inserimento del singolo all’interno del sistema, piuttosto che la
trasformazione dei contesti educativi. L’educazione interculturale viene ridotta
a competenze linguistiche e civiche, trascurandone la finalità autentica:
favorire la convivenza costruttiva in contesti culturali diversificati, rivolta
a tutte e tutti.
Su richiesta del CSPI viene introdotta, nella secondaria di primo grado, la
valorizzazione delle figure del tutor e dell’orientatore: una scelta considerata
impropria e dannosa, poiché introduce gerarchie tra docenti, indebolisce l’unità
collegiale, limita la libertà di insegnamento e delegittima i Consigli di
classe. Inoltre, sono stati inseriti due nuovi paragrafi: il primo dedicato
all’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale, già presente nelle
Linee guida di Educazione civica; il secondo sull’internazionalizzazione,
incentrato sulle competenze multilinguistiche e sugli scambi, ma privo di
riferimenti all’intercultura.
È stato ignorato il parere contrario del CSPI sulla disciplina di Storia, che
criticava l’eliminazione dell’ambito delle fonti, il tono polarizzante
dell’incipit e l’enfasi sull’identità nazionale a scapito dell’approccio
disciplinare. Il testo rimane invariato, segnato da carenze concettuali e
incoerenza e inscritto in un impianto ideologico italocentrico e
occidentalista. Permangono tutti gli elementi problematici: l’idea del bambino
e della bambina, del ragazzo e della ragazza come incapaci di leggere e
interpretare le fonti, a cui la storia viene quindi proposta soltanto nella sua
dimensione narrativa; la concezione lineare della storia, intesa come processo
evolutivo incentrato su personaggi eminenti; l’elenco di conoscenze (contenuti
manualistici) in cui spiccano figure eroiche del Risorgimento insieme a
personaggi e vicende tratti dalla Bibbia e dai poemi epici occidentali, proposti
già nei primi anni della scuola primaria; la rappresentazione della “comparsa”
dell’uomo sulla terra come evento improvviso, in chiave creazionista, che ignora
il processo di ominazione; i diversi errori o espressioni superate che vari
storici avevano segnalato: il feudalesimo presentato come legato a Carlo Magno e
non al tardo Medioevo, la superata definizione “Repubbliche marinare” anziché ad
esempio “città-stato mercantili”, il Mediterraneo unificato da Alessandro
Magno, la semplificazione delle “tre Italie”, le rivoluzioni moderne come
espressione di libertà, la decolonizzazione ridotta al solo scenario asiatico.
Le IN saranno adottate dall’a.s. 2026-2027 dalle classi prime di primaria e
secondaria di primo grado, le classi già attive nel 2025/2026 continueranno a
far riferimento alle Indicazioni del 2012. In questo lasso di tempo saranno
necessarie azioni di rifiuto alle IN. La richiesta rielaborazione del curricolo
d’istituto dovrà prevede un’attenta analisi collegiale del documento affinché
gli obiettivi siano declinati, contestualizzati e arricchiti (come previsto
dal DPR 275/1999) tenendo conto della dimensione interculturale, promuovendo
equità e pari opportunità di apprendimento, e riconoscendo ogni bambina/o come
soggetto competente. Inoltre, si potrà rifiutare l’adozione dei testi scolastici
revisionati avvalendosi di strumenti alternativi: testi (narrativi, esplicativi,
documentari …), materiali digitali, o qualsiasi altro strumento coerente con il
PTOF. È un’opzione riconfermata in tutte le normative per la quale è necessaria
solo una breve relazione che motivi la scelta.
Bruna Sferra