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Cobas Scuola
28 novembre sciopero generale dei COBAS e del sindacalismo di base. Manifestazioni territoriali: a Roma corteo da P. Indipendenza ore 9.30 a P. Barberini
I COBAS e tutto il sindacalismo di base hanno convocato per l’intera giornata
del 28 novembre lo sciopero generale di tutti i settori privati e pubblici, a
cui avremmo voluto partecipasse anche la Cgil per ripetere la grande e assai
produttiva unità del 3 ottobre scorso: ma i nostri appelli non sono stati
ascoltati e la Cgil ha preferito scioperare da sola e fuori tempo massimo il 12
dicembre quando l’iter della Legge di Bilancio sarà in conclusione. La
Confederazione COBAS invita a scioperare PER : – massicci investimenti nella
Scuola, Sanità, Trasporti, con il taglio drastico delle spese militari; – la
stabilizzazione di tutti i precari/e e dei lavoratori/trici in appalto della
P.A; – aumenti salariali che recuperino quanto perso (circa il 30%) nell’ultimo
ventennio; – l’adeguamento delle pensioni alla inflazione, rendendole pari
all’ultimo stipendio in servizio; – la riduzione dell’orario di lavoro e
l’introduzione per legge del salario minimo; – la fine del sostegno militare
allo Stato di Israele, in solidarietà con la lotta del popolo palestinese.
Lo sciopero è anche convocato CONTRO : – le politiche economiche e fiscali della
Finanziaria e lo spostamento di risorse dalle spese sociali agli armamenti; – la
privatizzazione delle aziende energetiche, delle poste, delle telecomunicazioni,
del trasporto pubblico, dei servizi di igiene ambientale, della sanità,
dell’istruzione; – la violenza di genere e ogni divario salariale di genere, Il
Ddl Sicurezza che criminalizza il conflitto sociale e l’Autonomia differenziata
che acuisce le differenze sociali tra le diverse regioni. Nella giornata del
28, i COBAS, insieme ad altre strutture sindacali e sociai,
manifesteranno a TORINO, h 10 p.za XVIII dicembre – MILANO, h 9.30 Porta Venezia
– PADOVA, h 9 parcheggio flixbus x Tessera|Leonardospa – h 18 a Padova
corteo p.za Antenore- BOLOGNA , h 9.30 p.za Maggiore – FIRENZE, h
9.30 p.za Montelungo – PISA, h 9 p.za XX settembre – LUCCA, h 9.30 p.za del
Giglio – SIENA, h 9.30 Giardini della Lizza -TERNI, h 9 p.za Orologio – ANCONA,
h 10 p.za Stamira – PESCARA, h 10 p.za Unione – TERMOLI, h 9 p.za Donatori di
Sangue – NAPOLI, h 10.30 P.za Bovio – POTENZA , h 9 p.za Don Bosco – BRINDISI,
h 9 p.za Stazione – COSENZA h 18 p.za XI settembre – CATANIA, h
10 p.za Stesicoro – SIRACUSA, h 18 p.za Euridpide – PALERMO, h
10 p.za G.Cesare – CAGLIARI, h 9.30 p.za del Carmine
A ROMA, in particolare un CORTEO partirà da P.za Indipendenza (ore 9.30),
attraverserà il centro e sfilando davanti al Ministero delle Infrastrutture e
Trasporti e al Ministero dell’Economia e Finanze, terminerà a P.za Barberini
con una assemblea pubblica. Al corteo, oltre ai lavoratori/trici pubblici e
privati in sciopero, parteciperanno centri sociali, strutture di movimento,
studenti e giovani precari che porteranno in piazza la voce dei settori sociali
più penalizzati dalle politiche del governo, dando così vita ad un grande
SCIOPERO GENERALE E SOCIALE.
Piero Bernocchi portavoce Confederazione COBAS
28 novembre sciopero generale COBAS e di tutto il sindacalismo di base. A Roma corteo da P. Indipendenza (ore 9.30) a P. Barberini
Il nostro Appello per uno sciopero unitario non è stato ascoltato: purtroppo la
Cgil ha convocato il proprio sciopero il 12 dicembre, contrapponendosi a quello
da tempo convocato dai COBAS e da tutti gli altri sindacati di base per il 28
novembre, dividendo colpevolmente quello che il 3 ottobre aveva unito. Dopo i
due milioni in piazza il 3 ottobre, in occasione dello sciopero nazionale più
unitario di sempre, abbiamo fatto tutto il possibile per convincere la Cgil che
contro la Finanziaria del governo Meloni bisognasse di nuovo “fare come il 3
ottobre”, quando l’unità d’azione del 3 ottobre tra sindacati di base e Cgil
aveva costituito il moltiplicatore delle presenze in piazza, e ottenuto
un’enorme ”eccedenza” di presenze, ben oltre il classico lavoro dipendente
sindacalizzato. Doveva essere evidente a tutti/e che, per costruire lo sciopero
generale contro la Finanziaria del governo Meloni – con al centro, oltre alla
difesa del popolo palestinese e al rifiuto dell’economia di guerra, le tematiche
del lavoro, dei servizi pubblici e sociali, del salario, del precariato, delle
pensioni, della scuola, sanità ecc. – non si dovesse retrocedere dal quella
unità. L’Appello a “fare come il 3 ottobre”, che abbiamo lanciato, ha riscosso
un larghissimo consenso sia tra i lavoratori/trici sindacalizzati sia nelle aree
sociali mobilitatesi il 3: ma, purtroppo, la Cgil ha rifiutato di trovare
insieme una data unitaria e per giunta ne ha scelto una, il 12 dicembre, fuori
tempo massimo rispetto all’iter della Finanziaria e che, oltretutto, gestirà in
perfetta solitudine, essendosi rotta di fatto, dopo oltre 70 anni, la
“Triplice”, ossia la stretta alleanza con Cisl e Uil.
A rimanere deluse sono in questi giorni le centinaia di migliaia di persone che
avevano creduto alla possibilità di un nuovo sciopero generale unitario,
quelle numerose aree sociali, movimenti, reti e associazioni, dove operano
congiuntamente militanti Cgil e dei sindacati di base, che tale unità hanno
auspicato e sostenuto fino all’ultimo. Pur tuttavia, pur consapevoli del passo
indietro che la Cgil impone alla più vasta unità del movimento palesatosi nelle
ultime settimane, stiamo verificando che in molte città varie strutture sociali
e di movimento, che hanno apprezzato gli intenti unitari che abbiamo perseguito
e che la Cgil ha colpevolmente rifiutato, parteciperanno allo sciopero del 28
novembre e alle manifestazioni territoriali: e, in particolare, a Roma
gestiranno con noi il corteo che andrà da P. Indipendenza (ore 9.30) a P.
Barberini , passando accanto a ministeri e luoghi istituzionali di rilievo.
Confederazione COBAS
Da Tecnica della Scuola “Le richieste Cobas per lo Sciopero del 28 Novembre”
Di Alessandro Giuliani 25/11/2025
C’è tanta scuola nello sciopero dei Cobas proclamato per venerdì 28 novembre
assieme a diversi altri sindacati di base (Usb, Cub, Unicobas, Ssb e altri)
anche per altri contesti lavorativi, come quello dei trasporti e della sanità.
Lo si evince dalla piattaforma pubblicata dallo stesso sindacato, attraverso la
quale i Cobas Scuola spiegano i motivi dello “sciopero di tutti gli ordini di
Scuola”: è una protesta che va quindi oltre la Legge di Bilancio 2026 e che
punta l’indice pure sulla “riforma a pezzi” del ministro Giuseppe Valditara e
contro l’Autonomia differenziata.
AUMENTI DEL 30%
“Negli ultimi 30 anni – scrivono i Cobas -, il potere d’acquisto di docenti ed
ATA si è ridotto di circa il 30%, a causa di contratti scaduti, aumenti irrisori
e un’inflazione galoppante. Ad aggravare la situazione, gli aumenti
del contratto-miseria, appena firmato, non solo non compensano minimamente il
forte calo del valore dei salari degli ultimi decenni, ma sono anche ben lontani
dal coprire l’inflazione del 14,8% dell’ultimo triennio, visto che gli aumenti
sono solo del 6%, con una perdita ulteriore di oltre l’8%. Questa continua
perdita svaluta la funzione educativa, impoverendo le condizioni di vita di
docenti e ATA”.
IN PENSIONE CON ASSEGNO PARI ALL’ULTIMO STIPENDIO, NO ALL’ESPERO
Secondo i Cobas Scuola, “il personale scolastico merita” un assegno
della “pensione corrispondente all’ultimo stipendio”, mentre “il Fondo Espero,
promosso e amministrato dai sindacati “rappresentativi” e dall’amministrazione,
rappresenta un modello inaccettabile di privatizzazione strisciante della
previdenza pubblica, così come è inaccettabile il meccanismo liberticida
del silenzio- assenso per i neo assunti“.
“È necessario invece destinare risorse pubbliche per rafforzare il sistema
previdenziale, garantendo un’uscita dal lavoro a un’età compatibile con la
fatica fisica e psicologica che l’insegnamento e i compiti ausiliari comportano
(lavori gravosi e usuranti)”.
ASSUNZIONI SU TUTTI I POSTI LIBERI CON DOPPIO CANALE
Il sindacato di base ricorda, poi, che nelle scuole pubbliche lavorano “più di
200.000 docenti e ATA”, i quali “vivono in una condizione di instabilità
cronica, passando da un contratto all’altro, spesso lontani da casa, privi di
continuità didattica e di tutele. Questa situazione non solo penalizza i
lavoratori/trici, ma danneggia la qualità dell’insegnamento e la continuità
educativa”. Dunque, “è necessario assumere ‘in ruolo’ su tutti i posti vacanti e
disponibili in organico, procedendo a stabilizzazioni immediate tramite
procedure snelle e trasparenti e ripristinando il ‘doppio canale’”.
RUOLO UNICO DOCENTI DALL’INFANZIA ALLE SUPERIORI
“La frammentazione della professione docente in una molteplicità di ruoli e
contratti differenziati – sostengono i Cobas – ha creato disuguaglianze
ingiustificate e un indebolimento complessivo della categoria. La proposta di un
ruolo unico dei docenti, che comprenda l’intero arco dell’istruzione statale,
dall’infanzia alla scuola secondaria di secondo grado, intende riconoscere la
natura unitaria della funzione docente”.
“L’insegnamento, pur con le specificità dei diversi ordini e gradi, è fondato
sulla medesima finalità educativa e formativa. Il ruolo unico permetterebbe di
superare disparità contrattuali e percorsi di carriera disomogenei, favorendo
una retribuzione equa e commisurata alla professionalità”.
NO ALLA “RIFORMA A PEZZI” DELLA SCUOLA DI VALDITARA
Ai Cobas Scuola non piacciono i nuovi istituti “tecnici e professionali
quadriennali, il Made in Italy” applicato all’Istruzione, il tutor e
orientatore, i docenti incentivati e la riforma degli organi collegiali”.
“Seppur diviso in provvedimenti specifici, si tratta di un disegno complessivo
che punta a completare l’aziendalizzazione della scuola tramite la
differenziazione e gerarchizzazione dei docenti e la subordinazione degli organi
collegiali al dirigente-manager, asservendo la scuola pubblica alle scelte
imprenditoriali che privilegiano lavoratori precari, a basso costo e
dequalificati”.
CLASSI CON MASSIMO 20 ALUNNI, 15 IN PRESENZA DI ALUNNI CON DISABILITÀ
“La qualità dell’istruzione – sostiene il sindacato – passa anche attraverso le
condizioni materiali in cui si apprende e si insegna. Classi sovraffollate con
oltre 25 o 30 alunni/e impediscono un lavoro didattico efficace, aumentano lo
stress dei docenti, riducono l’attenzione verso i singoli e l’inclusione. Va
fissato per legge un numero massimo di 20 alunni/e per classe, che scenda a 15
in presenza di alunni/e con disabilità: è un investimento per la qualità, la
sicurezza, l’inclusione e per la salute psico-fisica del personale e degli
studenti/tesse”.
Perchè, chiosa il sindacato, “ridurre il numero degli alunni/e significa anche
creare nuovi posti di lavoro, migliorare la relazione educativa e consentire una
didattica realmente individualizzata”.
No alle Indicazioni Nazionali 2025
Quello prodotto dal ministero dell’Istruzione, sostengono i Cobas nella
piattaforma dello sciopero di fine novembre, è “un documento fortemente
ideologico, intriso di nazionalismo e retorica, che utilizza la
‘personalizzazione’ e la ‘valorizzazione dei talenti’ come strumenti di
selezione classista L’obiettivo politico è costruire nel tempo l’egemonia
politico-culturale della destra”.
Inoltre, i Cobas denunciano “in particolare l’ossessione identitaria e
occidentalista, evidente soprattutto nell’impostazione dell’insegnamento della
storia, e la deriva autoritaria che attraversa l’intero impianto, in contrasto
con l’idea di una scuola attiva, democratica, pluralista e aperta. In tale
direzione è’ un segnale grave che il MIM abbia recentemente censurato un corso
di formazione sull’educazione alla pace”, sottolineano i Cobas Scuola.
NO ALL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA
La Legge sull’Autonomia differenziata, voluta a tutti i costi dalla Lega,
secondo il sindacato di base “non garantisce i servizi essenziali e i diritti
civili e sociali su tutto il territorio nazionale, frammenta scuola e
sanità creando disuguaglianze nell’offerta formativa, nei diritti sociali, in
particolare nei diritti all’istruzione e alla salute della popolazione.
I Cobas Scuola hanno confermato che venerdì 28 novembre si svolgeranno anche una
serie di manifestazioni territoriali, in particolare a Roma, dove il corteo si
sposterà da Piazza Indipendenza, da dove partirà alle ore 9.30, verso piazza
Barberini, passando accanto a ministeri e luoghi istituzionali di rilievo.
LE NUOVE INDICAZIONI NAZIONALI:TECNICHE DI COSTRUZIONE DI UN’EGEMONIA CULTURALE
Mercoledì 26 novembre 2025 ore 8.15 – 13.30 (in presenza)
Sala Teatro dell’Istituto Comprensivo “Marco Polo” via Pistoia, 68 – Viareggio
INFO E ISCRIZIONI: https://forms.gle/Ctwfc3rAvpku21a7A
CONVEGNO CESP VIAREGGIO NUOVE INDICAZIONI 26 NOVEMBRE PROGRAMMA E DOMANDA DI
ESONERODownload
La Cgil rifiuta l’Appello all’unità con il suo sciopero del 12 dicembre: quindi, il sindacalismo di base conferma quello del 28 novembre
Il nostro Appello per uno sciopero unitario non è stato ascoltato: purtroppo
oggi la Cgil ha confermato la convocazione di uno sciopero il 12 dicembre, che
di fatto si contrappone a quello da tempo convocato da vari sindacati di base
per il 28 novembre, dividendo colpevolmente quello che il 3 ottobre aveva
unito. Dopo i due milioni in piazza il 3 ottobre, in occasione dello sciopero
nazionale più unitario di sempre, abbiamo fatto tutto il possibile per
convincere la Cgil che contro la Finanziaria del governo Meloni bisognasse di
nuovo “fare come il 3 ottobre”, proponendo una nuova data comune. L’unità
d’azione del 3 ottobre tra sindacati di base e Cgil, mai accaduta in quaranta
anni di vita dei COBAS e del sindacalismo di base, aveva costituito il
moltiplicatore delle presenze in piazza, e ottenuto un’enorme ”eccedenza” di
presenze, ben oltre il classico lavoro dipendente sindacalizzato. Doveva essere
evidente a tutti/e che, per costruire lo sciopero generale contro la Finanziaria
del governo Meloni – con al centro, oltre alla difesa del popolo palestinese, le
tematiche del lavoro, dei servizi pubblici e sociali, del salario, del
precariato, delle pensioni, della scuola, sanità ecc. – non si dovesse
retrocedere dall’unità del 3 ottobre. Abbiamo dunque lanciato un Appello a “fare
come il 3 ottobre” che ha riscosso un larghissimo consenso, sia tra i
lavoratori/trici sia nelle aree sociali mobilitatesi il 3, che richiedevano un
nuovo sciopero unitario: e a tale Appello altri ne sono seguiti da parte di
varie aree politiche, sindacali e sociali e anche tra tante RSU, militanti e
iscritti/e della stessa Cgil. Ma, purtroppo, la Cgil si è mostrata sorda agli
Appelli, rifiutando di trovare insieme una data unitaria e per giunta
scegliendone una, il 12 dicembre, fuori tempo massimo rispetto all’iter della
Finanziaria e a un passo dalle feste di Natale.
Oltretutto, la Cgil va a questo sciopero in perfetta solitudine, essendosi rotta
di fatto, dopo oltre 70 anni, la “Triplice”, ossia la stretta alleanza con Cisl
e Uil. Al punto che a molti commentatori appare inspiegabile la volontà di “fare
da soli” e in particolare il rifiuto della “mano tesa” offerta da un
sindacalismo di base che, pure, in questi decenni ha dovuto subire il peso
schiacciante del monopolio sindacale imposto in Italia da Cgil, Cisl e Uil,
dovendo superare una marea di ostacoli alla propria piena agibilità sindacale,
assai spesso a cause di leggi e norme imposte dai sindacati “rappresentativi”.
Ma la spiegazione è che la Cgil non ha mai digerito la nascita del sindacalismo
di base, che riteneva fenomeno di breve durata, e non ha mai voluto accettare e
riconoscere l’esistenza di qualcosa di consistente, “alla sua sinistra”: e la
fuga odierna da un’unità, così ampiamente invocata, conferma quanto sia
difficile invertire questa tendenza “storica”.
A rimanere fortemente deluse saranno soprattutto le centinaia di migliaia di
persone, e non solo attivisti/e, che in questi giorni hanno creduto alla
possibilità di un nuovo sciopero generale unitario, quelle numerose aree
sociali, movimenti, reti e associazioni, dove operano congiuntamente militanti
Cgil e dei sindacati di base, che avrebbero partecipato con rinnovato entusiasmo
a manifestazioni unitarie in un’unica giornata: entusiasmo che potrebbe
“raffreddarsi” dovendosi dividere tra date e cortei separati. Comunque, pur
pienamente consapevoli del netto passo indietro che la Cgil impone al grande
movimento palesatosi nelle ultime settimane, ci auguriamo che almeno vengano
premiate le spinte unitarie emerse dal sindacalismo di base e non raccolte dalla
Cgil, garantendo il miglior successo allo sciopero e alle manifestazioni
territoriali (che verranno comunicate nei prossimi giorni) del 28 novembre.
Piero Bernocchi portavoce Confederazione COBAS
Non ci sarà lo sciopero unitario, la Cgil ne convoca un altro il 12 dicembre: intervista a Piero Bernocchi
Dopo la grande mobilitazione unitaria del 3 ottobre, i sindacati scendono in
piazza divisi per protestare contro la manovra 2026 del governo Meloni. Si va
verso due giornate di sciopero generale nazionale del settore pubblico e
privato, il 28 novembre e il 12 dicembre.
Piero Bernocchi, portavoce della Confederazione Cobas, a Fanpage.it: “Questa
divisione segna un passo indietro rispetto al 3 ottobre”.
A cura di Annalisa Cangemi
Si va verso due giornate di sciopero generale nazionale contro la manovra 2026,
che coinvolgeranno tutte le categorie del settore pubblico e privato. Il primo
sciopero, convocato dall’Usb, a cui aderiscono anche Cobas, Cub, Adl, Clap, Sgb,
Sial, si svolgerà il 28 novembre. Il secondo sciopero generale non è stato
ancora proclamato ufficialmente, ma la Cgil lo scorso 31 ottobre ha sottoposto
la data del 12 dicembre alla Commissione di garanzia, che ha dato già il suo ok.
Per l’ufficializzazione della giornata di sciopero generale si dovrà attendere
comunque domani, 7 novembre, quando si terrà l’assemblea delle delegate e dei
delegati ‘Democrazia al lavoro’ a Firenze, alla quale parteciperà anche il
segretario Maurizio Landini. Lo scorso 3 ottobre i sindacati avevano scioperato
uniti: Cgil, Usb, Cub, Sgb, Cobas, Cib Unicobas, Cobas Sardegna si sono
mobilitati a sostegno di Gaza e dell’iniziativa della Global Sumud Flotilla. Il
Garante per gli scioperi ha successivamente annunciato l’apertura di un
procedimento di valutazione nei confronti delle sigle sindacali, per aver
indetto la mobilitazione senza il mancato preavviso di dieci giorni, previsto
dalla legge 146/90, e ha ritenuto inconferente il richiamo da parte delle
organizzazioni all’articolo 2, comma 7, che prevede la possibilità di effettuare
scioperi senza preavviso solo “nei casi di astensione dal lavoro in difesa
dell’ordine costituzionale, o di protesta per gravi eventi lesivi
dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori”. Secondo le sigle sindacali la
situazione di pericolo in cui si trovava al Global Sumud Flotilla, bloccata da
Israele, giustificava il ricorso all’articolo 2 della legge.
In quel momento è stata la guerra a Gaza a portare in piazza nello stesso
momento tutte le sigle sindacali, una situazione senza precedenti, che mai si
era verificata dalla nascita del sindacalismo di base, circa 40 anni fa. Ma la
Palestina e il no alla guerra non possono fare da collante anche questa volta. I
sindacati scenderanno di nuovo in piazza contro la legge di Bilancio, ma non
protesteranno in modo unitario, anche se le rivendicazioni sono praticamente
identiche: aumento di salari e pensioni, maggiori investimenti su scuola e
sanità, contrasto della precarietà, sostegno alle politiche industriali. Stesse
piattaforme, dal punto di vista dei contenuti, ma date separate.
L’appello dei Cobas per uno sciopero generale unitario è caduto nel vuoto. I
Cobas hanno provato nei giorni scorsi a lanciare un appello per uno sciopero
generale unitario, per ripetere il blocco del 3 ottobre, con due milioni di
persone in piazza. Un primo appello è stato lanciato lo scorso 29 ottobre. Nel
testo, che inizia con l’invito “Facciamo come il 3 ottobre!”, si legge:
“Nostra convinzione è che quella unità d’azione, che centinaia di migliaia di
militanti/attivisti ci chiedevano da anni, abbia costituito il moltiplicatore
delle presenze, che in media sono state al di sopra di ogni altra partecipazione
a scioperi del passato. Le due ulteriori novità sono state: a) a differenza di
quel che succede di solito negli scioperi “tradizionali” , la gran parte degli
scioperanti è andata a manifestare; b) si è realizzata un”eccedenza’ di
presenze, ben oltre il classico lavoro dipendente sindacalizzato: in generale,
nei cortei gli spezzoni “sociali” sono stati anche più numerosi e partecipati di
quelli delle strutture sindacali “tradizionali”. Ci pare indubbio che tutto
questo si sia realizzato per essere riusciti, per la prima volta in quasi 40
anni, a mettere in campo, unito, tutto il sindacalismo ‘di sinistra’”.
Due giorni dopo però, nonostante l’appello, la Cgil si è mossa in autonomia,
indicando appunto alla Commissione di Garanzia la data del 12 dicembre, che
domani potrebbe essere formalizzata. A questo punto i Cobas sono tornati a
chiedere ieri l’organizzazione di uno sciopero unitario, che possa vedere Cgil e
sindacati di base insieme in piazza contro la legge di Bilancio. Secondo i
Cobas, in occasione di uno sciopero generale contro la Finanziaria del governo
Meloni – che non può avere come unico elemento trainante la Palestina, ma che
deve tenere dentro le tematiche del lavoro delle pensioni, della scuola e della
sanità – non è possibile “retrocedere dall’unità del 3 ottobre”.
L’organizzazione sindacale guidata da Landini ha però rifiutato l’offerta. In
considerazione del fatto che la Cgil sembra orientata ormai sulla data del 12
dicembre, e non sembra essere intenzionata ad aderire alla data del 28 novembre
lanciata da Usb, i Cobas hanno provato a proporre una terza data alternativa,
revocando i due scioperi già convocati, individuando un’unica data intermedia
tra quelle già indette, per evitare una divisione che risulterebbe dannosa e
incomprensibile a coloro che hanno partecipato alla mobilitazione del 3 ottobre.
“Il 3 ottobre è accaduto un fatto senza precedenti: la gran parte di quelli che
hanno scioperato sono andati in piazza. Addirittura è andato in piazza qualcuno
che non ha scioperato. E questo si è verificato per certi versi anche il 22
settembre” ha detto a Fanpage.it Piero Bernocchi, portavoce della Confederazione
Cobas. “Normalmente il rapporto tra scioperanti è manifestanti è di dieci a uno,
cioè dieci scioperano e uno va in piazza. E invece questa enorme partecipazione
ha decretato il successo dello sciopero nazionale del 3 ottobre.
Il secondo fenomeno che abbiamo riscontrato è stata la partecipazione le aree
‘sociali’, cioè quelle persone che non fanno parte del lavoro dipendente
classico, ovviamente con una forte presenza studentesca e giovanile, che sono
scese in piazza anche trainate dall’effetto unitario, senza il quale quel
risultato non si sarebbe avuto. Tutto questo è chiaro anche alla Cgil, che in
questo momento ha anche un altro problema: non esiste più la “la Triplice”, cioè
la confederazione dei tre sindacati Cgil, Cisl e Uil che dalla metà degli anni
Cinquanta in poi ha sempre operato insieme. Hanno rotto, difficile dire chi ha
rotto con chi. Ma basta guardare il rinnovo contrattuale del comparto
Istruzione, che è stato firmato da Cisl e Uil, ma non dalla Cgil”, ha aggiunto
il portavoce sindacale.
“Quindi il 12 dicembre la Cgil rischia parecchio andando da sola, non avendo
accettato una proposta unitaria offerta da noi”, secondo Bernocchi. “Di questa
separazione non verremo accusati noi. I risultati, che saranno sicuramente più
ridotti, rispetto al 3 ottobre, danneggeranno più loro che noi. Tra l’altro
indicheranno una data, dopo il nostro sciopero generale del 28 novembre, a due
settimane da Natale, quando ormai la partita della manovra sarà praticamente
chiusa. Da quando siamo nati, la Cgil ha fatto sistematicamente come se noi non
esistessimo, nella migliore tradizione comunista, che di solito nega coloro che
si trovano a sinistra. Difficile invertire all’improvviso questa tendenza. Forse
servirebbe una forte pressione interna, che non mi pare di individuare. A
rimanere deluse saranno soprattutto le centinaia di migliaia di persone che sono
scese in piazza, che avevano creduto nello sciopero generale unitario dello
scorso 3 ottobre. Questa divisione segna un passo indietro”.
Nonostante queste sollecitazioni, la Cgil sembra ormai decisa ad andare da sola,
confermando il secondo sciopero generale e formalizzando la data al termine
dell’assemblea di domani. L’idea della Cgil è quella di proseguire la protesta
per contrastare la legge di Bilancio, ammesso che ci siano ancora margini di
modifica in Parlamento. In una nota si legge che l’obiettivo delle prossime
decisioni che verranno prese è “dare continuità alla mobilitazione avviata e
proseguire l’impegno della Cgil su tutti i temi che l’hanno vista protagonista
nelle piazze e nei luoghi di lavoro nelle ultime settimane”. Considerati i
paletti da rispettare, i dieci giorni di preavviso richiesti dalla legge 46, e
la “rarefazione oggettiva”, cioè l’insieme di norme che impongono un intervallo
minimo tra le azioni di sciopero per garantire la continuità del servizio
pubblico essenziale, calendario alla mano la data del 12 appare come quella più
probabile.
I COBAS: non sostituendo i collaboratori scolastici assenti si mette a rischio sicurezza e diritto allo studio
Ci sono pervenute numerose segnalazioni da parte di collaboratori scolastici di
diverse istituzioni scolastiche. Tutte denunciano una criticità sempre più
diffusa: la mancata sostituzione, attraverso supplenze brevi, dei colleghi
assenti per malattia, permessi o altri legittimi motivi. Si tratta di una prassi
che, purtroppo, non si limita più alle assenze di un solo giorno, per le quali
già in passato le scuole tendevano a non procedere con la nomina di supplenti,
ma si protrae anche per periodi più lunghi, talvolta di diverse settimane. Una
situazione che mette in seria difficoltà l’intero sistema di funzionamento delle
scuole, con ripercussioni dirette sulla sicurezza, sull’igiene e sulla
sorveglianza quotidiana degli alunni.
L’organico attualmente assegnato alle istituzioni scolastiche per il profilo dei
collaboratori scolastici risulta assolutamente insufficiente a garantire, in
modo continuativo, i livelli minimi di sorveglianza e sicurezza richiesti dalla
normativa. Le scuole si trovano costrette a redistribuire il personale presente,
riducendo o eliminando temporaneamente servizi fondamentali come la
sorveglianza, la pulizia e l’igiene dei locali scolastici, l’assistenza agli
alunni con disabilità. A ciò si aggiungono le fisiologiche assenze per malattia
o altre. Come tutti i lavoratori, anche i collaboratori scolastici usufruiscono,
con pieno diritto, delle tutele previste dalla legge, inclusi i permessi
garantiti dalla L. 104/1992 per l’assistenza a familiari con disabilità grave. A
questi si somma il personale con mansioni ridotte per motivi di salute, che non
può essere impiegato in tutte le attività ordinarie di servizio. Il risultato è
un quadro complesso in cui il carico di lavoro grava su un numero sempre più
ristretto di persone, costrette spesso a coprire più plessi scolastici.
Occorre ricordare che il divieto di sostituzione del personale appartenente al
profilo di collaboratore scolastico è stato superato dalla nota MIUR n. 2116 del
30 settembre 2025. Tale disposizione consente ai dirigenti scolastici
di derogare al divieto e di stipulare contratti di supplenza breve esaltuaria,
fin dal primo giorno di assenza del personale. Pertanto, è prioritario garantire
l’incolumità e la sicurezza degli alunni, assicurando la necessaria assistenza a
quelli diversamente abili e preservando il corretto funzionamento del servizio
scolastico. La nota, infatti, specifica che in caso di mancata sostituzione si
verrebbero a creare “necessità obiettive non procrastinabili, improrogabili e
non diversamente rimediabili”, tali da rendere impossibile garantire le
condizioni minime di sicurezza e da compromettere, in modo determinante,
il diritto allo studio costituzionalmente garantito.
Nonostante la chiarezza delle indicazioni ministeriali, molti dirigenti
scolastici continuano a negare la possibilità di nominare supplenti nei primi 7
giorni di assenza dei collaboratori scolastici, richiamando il presunto rischio
di un “danno erariale” per lo Stato. Questa giustificazione, divenuta ormai una
sorta di “formula magica” ripetuta automaticamente, viene utilizzata per
giustificare scelte organizzative per scaricare sui lavoratori la carenza di
risorse. In realtà, la citata nota n. 2116 chiarisce inequivocabilmente che non
sussiste alcun danno erariale qualora la supplenza venga disposta per garantire
la sicurezza e l’incolumità degli alunni, la pulizia degli ambienti e la
regolare erogazione del servizio. Anzi, il mancato intervento potrebbe
configurare una responsabilità per omissione, in quanto la scuola non avrebbe
assicurato il rispetto delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e
sull’assistenza agli alunni con disabilità.
Le scuole non possono funzionare regolarmente senza la piena operatività dei
collaboratori scolastici. I collaboratori scolastici sono fondamentali nella
vita quotidiana degli istituti in quanto garantiscono l’apertura e la chiusura
dei locali, la pulizia e l’igiene degli ambienti, la sorveglianza durante
l’ingresso, la ricreazione, l’uscita e l’assistenza agli alunni con disabilità.
Pensare di poter “risparmiare” su queste figure significa ignorare la funzione
che esse svolgono all’interno della comunità scolastica. Alla luce di quanto
sopra, invitiamo i dirigenti scolastici a procedere alla sostituzione dei
collaboratori scolastici assenti fin dal primo giorno, nel pieno rispetto delle
norme e nell’interesse primario degli alunni e dei lavoratori. È necessario che
ogni decisione organizzativa sia orientata non al mero contenimento della spesa,
ma alla tutela dell’incolumità, della sicurezza e dell’inclusione. La scuola non
può essere considerata un luogo in cui si fanno economie. Il presunto risparmio
di bilancio non può mai prevalere sul diritto allo studio e sull’inclusione
scolastica, valori fondamentali sanciti dalla Costituzione e ribaditi più volte
dalla Corte Costituzionale.
È tempo che le istituzioni scolastiche e l’amministrazione centrale riconoscano
in modo concreto il ruolo imprescindibile dei collaboratori scolastici nel
garantire la qualità e la sicurezza della Scuola. La loro presenza quotidiana è
la prima garanzia di funzionamento della scuola pubblica. Chiediamo, quindi, che
si ponga fine a prassi amministrative distorte e che si applichino correttamente
le disposizioni vigenti, assicurando sostituzioni tempestive e adeguate. Solo
così una scuola può definirsi davvero inclusiva, sicura e rispettosa dei
diritti di tutti i lavoratori/trici e alunni/e.
Domenico Montuori Esecutivo Nazionale COBAS Scuola
Stella Maris – Le ombre di una sentenza che condanna gli operatori ma assolve i livelli apicali
Il 4 novembre scorso il Tribunale di Pisa ha emesso la sentenza sui
maltrattamenti nei confronti delle persone disabili ospitate nella struttura
Stella Maris di Montalto di Fauglia.
Così, dopo un lungo ed estenuante percorso processuale che ha visto Famiglie ed
Associazioni seguire l’iter giudiziario, senza perdere nessuna della sue
delicate e dolorose fasi, è stata riconosciuta la responsabilità penale di dieci
operatori (ma non dei medici della struttura) per i maltrattamenti perpetrati
ai danni degli ospiti della Stella Maris e la stessa Fondazione è stata ritenuta
civilmente (ma non penalmente) responsabile.
Le pene inflitte vanno dai quattro mesi ai quattro anni di reclusione e
l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici con la condanna al pagamento
dei danni a favore delle parti civili.
La sentenza lascia insoddisfatte le Famiglie delle persone abusate e maltrattate
e delle Associazioni più attente e vicine ai familiari, tra cui il Telefono
Viola, che ha seguito il processo ed è stato concretamente rappresentato
dall’avvocato Gioacchino Di Palma in tutte le sue fasi, perché hanno ravvisato,
nella mancata condanna dei medici interni alla struttura, una torsione delle
responsabilità penali e civili di tutte e tutti coloro che hanno in affidamento
persone fragili e non solo dell’anello più “debole” della struttura in cui sono
“ristrette”.
Non a caso, infatti, dopo la pubblicazione della sentenza la Fondazione IRCCS
Stella Maris ha fatto pervenire alla stampa un comunicato in cui si esprime
soddisfazione per il riconoscimento della completa estraneità dei medici
responsabili del Centro Riabilitativo di Montalto di Fauglia, assolti insieme al
direttore sanitario.
Il Telefono Viola esprime vicinanza e solidarietà ai familiari delle vittime
degli abusi, comprendendone delusione, amarezza e sconforto per una giustizia
che ancora una volta, nei casi di abusi psichiatrici, non ascolta la voce dei
più deboli, ma proprio per questo, in un momento di generale arretramento nella
difesa dei diritti di tutte le persone private della libertà personale invita a
mantenere alta l’attenzione partecipando alle attività delle associazioni e
affiancandole.
Con il Centro Ascolto e gli operatori volontari che ne fanno parte, il Telefono
Viola, da parte sua , continua a svolgere attività di tutela e supporto per
tutti coloro che si rivolgono all’Associazione, raccogliendo le innumerevoli
denunce che quotidianamente vengono rappresentate.
Anna Grazia Stammati (Presidente Telefono Viola)
Purtroppo la Cgil ha convocato un altro sciopero generale per il 12 dicembre. Ma come COBAS insistiamo: confluiamo in un unico sciopero contro la Finanziaria
Dopo i due milioni di presenze in piazza il 3 ottobre, in occasione dello
sciopero nazionale più unitario di sempre, abbiamo maturato la ferma convinzione
che contro la Finanziaria del governo Meloni bisognasse di nuovo “fare come il 3
ottobre”. I fatti ci sembrano inconfutabili: quella unità d’azione tra sindacati
di base e Cgil, mai accaduta da quando, circa 40 anni fa, nacque il sindacalismo
di base, e che centinaia di migliaia di militanti/attivisti ci chiedevano da
anni, ha costituito il moltiplicatore delle presenze in piazza il 3 ottobre, che
in media sono state al di sopra di ogni altra partecipazione a scioperi del
passato. E in particolare, ovunque si è realizzata un’”eccedenza” di presenze,
ben oltre il classico lavoro dipendente sindacalizzato: in generale, nei cortei
gli spezzoni “sociali” sono stati anche più numerosi e partecipati di quelli
delle strutture sindacali “tradizionali”. La conclusione che ne abbiamo tratto
per costruire lo sciopero generale contro la Finanziaria del governo Meloni –
che non potrà avere come unico elemento trainante la Palestina, ma che dovrà
dare grande rilievo anche alle tematiche del lavoro, dei servizi pubblici e
sociali, del salario, del precariato, delle pensioni, della scuola, sanità ecc.
– è che esso non può e non deve retrocedere dall’unità del 3 ottobre.
Abbiamo dunque lanciato un Appello a “fare come il 3 ottobre” che ha riscosso un
larghissimo consenso, oltre che tra i lavoratori/trici, nelle aree sociali
ampiamente mobilitatesi il 3, che richiedono “uno sciopero di tutti/e e per
tutti/e”, che non venga frammentato su più scioperi e più manifestazioni, da
realizzare scegliendo la stessa giornata con manifestazioni unitarie, e
preferibilmente usando la data che era già in campo, il 28 novembre. Ma,
purtroppo, leggiamo sul sito della Commissione di garanzia che, pur non avendolo
ancora annunciato ufficialmente, la Cgil ha convocato invece un altro sciopero
generale per il 12 dicembre.
Ciò malgrado, come COBAS insistiamo, sicuri di interpretare la volontà della
stragrande maggioranza di chi ha scioperato e manifestato unitariamente il 3
ottobre. E proponiamo a Cgil e sindacati di base di revocare gli scioperi che
abbiamo già convocato e confluire in un’unica data intermedia tra quelle già
indette, evitando una divisione dannosissima e incomprensibile per tutti/e
coloro che il 3 ottobre hanno garantito una partecipazione di piazza senza
precedenti. Tante aree sociali, movimenti, reti e associazioni, dove operano
congiuntamente militanti Cgil e dei sindacati di base, parteciperebbero da
protagonisti e molto volentieri a manifestazioni unitarie in un’unica giornata;
mentre, se dovessero dividersi tra date e cortei separati, si sentirebbero ben
meno motivati ad impegnarsi per la miglior riuscita della giornata. E il
risultato, altamente negativo, sarebbe che con lo straordinario 3 ottobre
verrebbero confrontati gli scioperi separati, di proporzioni inevitabilmente
minori, con conseguenti valutazioni brutalmente critiche che ricadrebbero su chi
non avesse voluto o saputo “fare come il 3 ottobre”.
Confederazione COBAS
La piattaforma COBAS per lo sciopero nella Scuola, all’interno dello sciopero generale della Confederazione COBAS del 28 novembre
Il 28 novembre la Confederazione COBAS ha convocato lo sciopero generale
dell’intera giornata per tutti i settori del lavoro pubblico e privato. I COBAS
Scuola, che fanno parte della Confederazione COBAS, promuovono lo sciopero di
tutti gli ordini di Scuola sulla base di questa piattaforma.
Recupero del potere d’acquisto del personale scolastico del 30%
Negli ultimi 30 anni, il potere d’acquisto dei lavoratori/trici della scuola si
è ridotto di circa il 30%, a causa di contratti scaduti, aumenti retributivi
irrisori e un’inflazione galoppante che ha eroso i salari reali. Questa perdita
si è tradotta in una svalutazione materiale e simbolica della funzione
educativa, in un impoverimento delle condizioni di vita di docenti e ATA. Il
recupero del 30% del potere d’acquisto è una necessità di giustizia e dignità
sociale. La qualità dell’istruzione dipende anche dal riconoscimento economico
di chi quotidianamente costruisce il sapere e le relazioni.
Per docenti ed ATA pensione corrispondente all’ultimo stipendio e in età
compatibile con un lavoro gravoso e usurante – No al Fondo Espero e al silenzio
-assenso
Il personale scolastico merita una pensione corrispondente all’ultimo stipendio.
Il Fondo Espero, promosso e amministrato dai sindacati “rappresentativi” e
dall’amministrazione, rappresenta un modello inaccettabile di privatizzazione
strisciante della previdenza pubblica, così comeè inaccettabile il meccanismo
liberticida del silenzio- assenso per i neo assunti. È necessario
invece destinare risorse pubbliche per rafforzare il sistema previdenziale,
garantendo un’uscita dal lavoro a un’età compatibile con la fatica fisica e
psicologica che l’insegnamento e i compiti ausiliari comportano (lavori gravosi
e usuranti).
Assunzione su tutti i posti disponibili e ripristino del “doppio canale” per
eliminare il precariato
Il precariato nella scuola italiana è una ferita aperta che dura da decenni. Più
di 200.000docenti e ATA vivono in una condizione di instabilità cronica,
passando da un contratto all’altro, spesso lontani da casa, privi di continuità
didattica e di tutele. Questa situazione non solo penalizza i lavoratori/trici,
ma danneggia la qualità dell’insegnamento e la continuità educativa. È
necessario assumere “in ruolo” su tutti i posti vacanti edisponibili in
organico, procedendo a stabilizzazioni immediate tramite procedure snelle e
trasparenti e ripristinando il “doppio canale”.
Ruolo unico docenti dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di secondo grado
La frammentazione della professione docente in una molteplicità di ruoli e
contratti differenziati ha creato disuguaglianze ingiustificate e un
indebolimento complessivo della categoria. La proposta di un ruolo unico dei
docenti, che comprenda l’intero arco dell’istruzione statale, dall’infanzia alla
scuola secondaria di secondo grado, intende riconoscere la natura unitaria della
funzione docente. L’insegnamento, pur con le specificità dei diversi ordini e
gradi, è fondato sulla medesima finalità educativa e formativa. Il ruolo unico
permetterebbe di superare disparità contrattuali e percorsi di carriera
disomogenei, favorendo una retribuzione equa e commisurata alla professionalità.
No alla “riforma a pezzi” della scuola di Valditara ( tecnici e professionali
quadriennali- Made in Italy – tutor e orientatore- docenti incentivati- riforma
degli organi collegiali)
Seppur diviso in provvedimenti specifici, si tratta di un disegno complessivo
che punta a completare l’aziendalizzazione della scuola tramite la
differenziazione e gerarchizzazione dei docenti e la subordinazione degli organi
collegiali al dirigente-manager, asservendo la scuola pubblica alle scelte
imprenditoriali che privilegiano lavoratori precari, a basso costo e
dequalificati.
Classi con un massimo di 20 alunni, e 15 in presenza di alunni con disabilità
La qualità dell’istruzione passa anche attraverso le condizioni materiali in cui
si apprende e si insegna. Classi sovraffollate con oltre 25 o 30 alunni/e
impediscono un lavoro didattico efficace, aumentano lo stress dei docenti,
riducono l’attenzione verso i singoli e l’inclusione. Va fissato per legge
un numero massimo di 20 alunni/e per classe, che scenda a 15 in presenza di
alunni/e con disabilità: è un investimento per la qualità, la sicurezza,
l’inclusione e per la salute psico-fisica del personale e degli
studenti/tesse. Ridurre il numero degli alunni/e significa anche creare nuovi
posti di lavoro, migliorare la relazione educativa e consentire una didattica
realmente individualizzata.
No alle Indicazioni Nazionali 2025
E’ un documento fortemente ideologico, intriso di nazionalismo e retorica, che
utilizza la “personalizzazione” e la “valorizzazione dei talenti” come strumenti
di selezione classista L’obiettivo politico è costruire nel tempo l’egemonia
politico-culturale della destra. Denunciamo in particolare l’ossessione
identitaria e occidentalista, evidente soprattutto nell’impostazione
dell’insegnamento della storia, e la deriva autoritaria che attraversa l’intero
impianto, in contrasto con l’idea di una scuola attiva, democratica, pluralista
e aperta. In tale direzione è’ un segnale grave che il MIM abbia recentemente
censurato un corso di formazione sull’educazione alla pace.
No all’Autonomia differenziata
L’AD non garantisce i servizi essenziali e i diritti civili e sociali su tutto
il territorio nazionale, frammenta scuola e sanità creando disuguaglianze
nell’offerta formativa, nei diritti sociali, in particolare nei diritti
all’istruzione e alla salute della popolazione.
COBAS Scuola
Ennesimo contratto-miseria per docenti ed ATA
Aumenti del 6% di contro ad un’inflazione triennale del 14,8%, mentre i salari
hanno perso il 30% in 30 anni
Il 5 novembre è stato firmato il Contratto nazionale del comparto Istruzione e
Ricerca per il triennio 2022-2024 da parte dei sindacati “rappresentativi” del
settore, con l’eccezione della FLC CGIL che questa volta non ha firmato. Anche
stavolta i sindacati firmatari hanno enfatizzato gli aumentistipendiali che, al
contrario, non solo non compensano minimamente il forte calo del valore dei
salari accumulato negli ultimi decenni (-30% in 30 anni), ma sono anche ben
lontani dal coprire l’inflazione dell’ultimo triennio: in media gli aumenti sono
del 6% ma l’inflazione del triennio è stata del 14,8%, con una perdita ulteriore
in percentuale di più dell’8%.Il risultato è che gli stipendi di insegnanti e
personale ATA, già tra i più bassi d’Europa, arretrano ulteriormente, e non di
poco, mentre il costo della vita continua a crescere.
Insomma, la retribuzione reale di docenti e ATA continua a diminuire sempre più.
Si tratta di una tendenza strutturale, che penalizza la capacità del sistema
scolastico di valorizzare il personale docente e quello ATA, e di metterlo nelle
migliori condizioni per lavorare efficacemente. D’altra parte, questo rinnovo
non affronta nessuna delle emergenze della scuola pubblica come la precarietà,
l’aumento insostenibile dei carichi di lavoro, l’elevata età dei docenti ed ATA
a causa del continuo innalzamento dell’età pensionabile, oltre, appunto, a
retribuzioni sempre più misere. Docenti ed ATA continuano ad essere trattati
come manodopera marginale, indispensabile per il funzionamento quotidiano delle
scuole ma priva di qualsiasi vero riconoscimento economico e professionale.
Con il contratto viene erogato un emolumento “una tantum” di 111 euro per i
docenti e 277 euro per il personale ATA. L’emolumento sarà riconosciuto soltanto
a chi era in servizio nell’anno scolastico 2023/24 e a condizione che il
rapporto di lavoro sia iniziato entro il 31/12/2023 e non sia cessato
anticipatamente. Anche questo contratto non prevede la Retribuzione
Professionale Docenti (RPD) per i docenti destinatari di un contratto breve e
saltuario, anche se fino al termine delle lezioni. Anche al personale ATA
destinatario di una supplenza breve e saltuaria non viene riconosciuto il
Compenso Individuale Accessorio (CIA). La giurisprudenza ha già sancito che tale
esclusione viola il principio di parità di trattamento tra lavoratori/trici che
svolgono le stesse funzioni, ma il contratto firmato ignora di fatto tali
pronunce. Il risultato è un contenzioso permanente che costringe migliaia di
lavoratori/trici a ricorrere ai tribunali per ottenere il riconoscimento di
diritti elementari: ricorsi che continueremo a promuovere e sostenere.
Un ulteriore grande nodo irrisolto riguarda la rappresentanza sindacale. La
firma del contratto da parte della maggioranza delle sigle “rappresentative”
mostra la persistente forza del modello concertativo, a danno dei
lavoratori/trici. La logica del “meglio poco che niente”, evocata per
giustificare accordi pessimi, alimenta un circolo vizioso di compromessi al
ribasso: è un sistema che serve a mantenere la “pace sociale”, non a tutelare i
diritti dei lavoratori/trici. Le sigle che hanno firmato questo contratto, come
quelle che hanno sottoscritto i precedenti, accettano ancora una volta di
barattare il consenso governativo e la loro visibilità con l’interesse reale di
chi rappresentano.
Come COBAS denunciamo, oramai da quasi quaranta anni, questa complicità e
rivendichiamo un sindacalismo di base capace di dire no a un modello di scuola
che si regge sull’abuso, sulla precarietà e sull’erosione costante degli
stipendi/salari. Sosteniamo con forza un modello contrattuale trasparente e
partecipato, che valorizzi pienamente il ruolo dei docenti e ATA. Per noi, un
vero contratto deve partire da principi irrinunciabili come il recupero
integrale del potere d’acquisto, parità di trattamento tra personale stabile e
precario, riduzione dei carichi di lavoro, riconoscimento del ruolo del
personale docente e ATA, stabilizzazione di tutti i lavoratori precari. Serve un
massiccio investimento strutturale nella scuola pubblica e in chi la fa
funzionare. La scuola pubblica non può essere terreno delle politiche di
risparmio e precarizzazione del governo di turno. Essa è un bene comune, e come
tale va difesa, a cominciare da chi ogni giorno garantisce la formazione, il
pensiero critico, il diritto allo studio e la sicurezza dei futuri cittadini/e.
Di fronte a questo ennesimo “contratto-miseria” non basta l’indignazione, serve
la mobilitazione, a partire dalla partecipazione dei docenti e ATA allo sciopero
generale convocato dai COBAS e da altri sindacati di base per il 28
novembre, nella cui piattaforma, per quel che riguarda la scuola, gli obiettivi
qui indicati assumono una priorità programmatica rilevante. Ed è decisivo che i
docenti e gli ATA in sciopero il 28 novembre partecipino in massa alle
manifestazioni territoriali che verranno comunicate nei prossimi giorni.
COBAS Scuola