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Docenti – Scelta 150 preferenze
con la nota n. 157048 del 9 luglio 2025 avente per oggetto: Anno scolastico 2025/2026 – Istruzioni e indicazioni operative in materia di supplenze al personale docente, educativo ed A.T.A. il MIM comunica la modalità e la tempistica per la scelta delle 150 preferenze (scuole, distretti, comuni, provincia): * per le supplenze annuali finalizzate alla nomina in ruolo (GPS I fascia sostegno o elenchi aggiuntivi ). Possono partecipare i docenti inseriti a pieno titolo nella GPS I fascia sostegno o elenchi aggiuntivi; i docenti  già di ruolo (che abbiano superato il periodo di prova al 01/09/2024 o prima). Ai sensi dell’articolo 2, comma 2, punto 3-quater, del decreto-legge 7 aprile 2025, n. 45, convertito con modificazione dalla legge 5 giugno 2025, n. 79, l’assegnazione di una delle sedi indicate nella domanda comporta l’obbligo di accettazione espressa entro 5 giorni o, comunque, entro il 1° settembre qualora l’assegnazione intervenga a decorrere dal 28 agosto. La mancata accettazione della sede entro il suddetto termine è considerata d’ufficio come rinuncia alla nomina e determina la decadenza dall’incarico conferito. * per le supplenze annuali o fino al termine delle attività didattiche (GAE e GPS posto comune e/o sostegno). La domanda deve essere presentata in modalità telematica dalle ore 10,00 del 17 luglio alle ore 14,00 del 30 luglio 2025 tramite Istanze on Line.
Assegnazioni provvisorie e utilizzazioni personale Doente-ATA-Educativo-IRC, a.s. 2025/26
Con la nota n. 159306 dell’11 luglio 2025 il MIM ha comunicato le date per la presentazione delle domande di assegnazione provvisoria e utilizzazione del personale docente, A.T.A., educativo e IRC. Il personale docente a tempo indeterminato dovrà presentare la domanda tramite Istanze On Line. I docenti assunti con contratto a tempo determinato ai sensi degli artt. 59, comma 4 e 9-bis D.L. 73/2021, dell’art. 5-ter D.L. 228/2021, dell’art.5, commi 5 e 6 D.L. 44/2023, e degli artt. 13, comma 2 e 18 bis, comma 4, del d.lgs. 59/2017 presenteranno istanza di utilizzazione e di assegnazione provvisoria (domanda cartacea) avvalendosi dell’apposito modulo di domanda pubblicato sul sito del MIM nella pagina “MOBILITÀ 2025-2026 – sezione Utilizzazioni e assegnazioni provvisorie”, secondo le modalità previste dal Codice dell’amministrazione digitale (es. posta elettronica certificata), all’Ufficio scolastico territorialmente competente. Le istanze di utilizzazione e di assegnazione provvisoria del personale educativo e degli insegnanti di religione cattolica saranno presentate (domanda cartacea) tramite il modulo di domanda pubblicato sul sito del MIM nella pagina “MOBILITÀ 2025-2026 – sezione Utilizzazioni e assegnazioni provvisorie” e dovranno essere prodotte, secondo le modalità previste dal Codice dell’amministrazione digitale (es. posta elettronica certificata), all’Ufficio scolastico territorialmente competente.  Il personale A.T.A. dovrà presentare la domanda cartacea dal 14 al 25 luglio 2025 avvalendosi del modello  pubblicato sul sito del MIM nella sezione Mobilità e secondo le modalità previste dal Codice dell’amministrazione digitale (es. posta elettronica certificata), all’Ufficio scolastico territorialmente competente. Il personale docente, educativo, IRC e personale ATA dovrà presentare la domanda dal 14 luglio al 25 luglio 2025, nelle modalità sopra descritte.
COMUNICATO CESP X GIORNATA NAZIONALE
La X Giornata Nazionale del Mondo che non c’è: nell’inferno c’è ancora speranza. Con il seminario del 3 luglio scorso, si è conclusa la X Giornata Nazionale del Mondo che non c’è, con la quale il CESP e la Rete delle scuole ristrette, nel decimo anniversario dell’istituzione della “Giornata nazionale del Mondo che non c’è”e della partecipazione al Festival dei Due Mondi di Spoleto, hanno dato il via alle iniziative che si svolgeranno per un intero anno e saranno tese a diffondere ulteriormente quei laboratori formativi e interattivi, messi in campo dal CESP e dalla Rete, in collaborazione con vari esperti, finalizzati a rendere le attività  trattamentali di recupero e risocializzazione, attive e concrete misure di accompagnamento dei detenuti verso (e oltre) il fine pena, nel rispetto della dignità delle persone detenute. Le due giornate formative (il CESP è Ente di formazione e aggiornamento, riconosciuto dal Ministero dell’Istruzione) sono iniziate il 2 luglio, quando le porte del carcere, come riporta anche Pietro Cuccaro su «umbriatv.com», si sono aperte per accogliere i numerosi partecipanti allo spettacolo della Compagnia #SIneNOmine“Senza Titolo. Manifesto del carcere Futurista”, per la regia di Giorgio Flamini, con i detenuti attori, cantanti, danzatori, drammaturghi, scenografi, costumisti, svoltosi all’interno della Casa di reclusione di Maiano-Spoleto. Nello spettacolo (al quale hanno partecipato oltre 700 persone entrate nei due giorni di programmazione dall’esterno) ai tratti dello storico movimento ripreso nel titolo, se ne sono sovrapposti altri. Mentre tre celle si aprivano e si chiudevano, simbolicamente e incessantemente, nel flusso continuo di detenuti attori che ne uscivano e vi entravano, altri sedevano su enormi sedie nere, a rappresentare tribunali, forche e troni disciplinari. Così, agli echi propri di un Manifesto futurista, ispirato dall’assedio di Adrianopoli durante la guerra bulgaro-turca, se ne sono uniti altri, quelli di un nuovo Manifesto del carcere futurista, ispirato, invece, dall’assedio del Carcere durante la guerra quotidiana della popolazione detenuta per la sopravvivenza. Un manifesto fatto di cultura, nuove prospettive, utopie che proprio a partire dal luogo simbolo dell’imperante distopia,come sottolineato nel coinvolgente monologo finale, ha voluto delineare la strada verso un auspicabile futuro, sottolineando come il teatro sia “un patto tra chi è dentro e chi è fuori” e sia capace di trasformare la persona che abbraccia un tale percorso riabilitativo, grazie alla bellezza che“resiste anche dove tutto sembra spento”. Come non cogliere l’appello:“Contaminate la giustizia con l’arte perché laddove nasce una scena può finire una condanna”? Il 3 luglio il programma è continuato con il seminario Cultura & Carcere “Dell’Inferno e delle Utopie nel mondo della liquidità”, coordinato da Anna Grazia Stammati, Presidente CESP: una giornata densa di riflessioni, approfondimenti e confronti sulla forma e sullo spazio che occupa oggi il carcere nella società e su quale è, o potrebbe essere, il suo futuro. Un incontro intenso e partecipato, svoltosi nella sede della Biblioteca comunale “Giosuè Carducci” di Spoleto. Partendo dalle analisi del sociologo Zygmunt Bauman, si sono posti a confronto due Modelli di Sorveglianza:quella di Bentham, così come ce l’ha consegnata Foucault, con il Panopticon, simbolo della modernità “solida” e del carcere come fabbrica di lavoro disciplinato, e quella americana, del carcere di sicurezza del Pelican Bay, così come l’analizza Bauman, quale modello post-panopticon, simbolo della Sorveglianza “liquida”e del carcere del nulla, futuro verso il quale rischiamo di proiettarci. Tutti i relatori presenti, dalla Direttrice della Casa di reclusione (Bernardina Di Mario),alla Rappresentante del Consiglio Nazionale Forense (Francesca Palma), dal Provveditore del PRAP Toscana-Umbria (Gloria Manzelli, presente su delega diretta del Capo Dipartimento, Stefano De Michele), al rappresentante della Regione (Tommaso Bori), dai Magistrati (Fabio Gianfilippi che ha portato il saluto della collega Magistrato Grazia Manganaro), alla Conferenza Nazionale dei Delegati dei Rettori per i Poli Penitenziari Universitari (Vincenza Pellegrino, Università di Pavia) e alla rappresentante AIB Umbria (Donatella Jank), dal Garante Nazionale delle persone private della libertà personale (avvocato Mario Serio del Collegio del Garante) agli avvocati (Francesco Damiano Pujia del Foro di Roma), hanno fornito un quadro preoccupante della situazione penitenziaria. Nonostante ciò,hanno richiamato l’importanza di continuare a dare forma e orientamento a uno sviluppo “culturale” in carcere e a procedere nella realizzazione di un’utopia necessaria.Il Presidente Emerito della Corte Costituzionale e già Ministro della Giustizia, Giovanni Maria Flick, si è soffermato in particolare sulle preoccupanti condizioni del sistema, il carcere, ha sottolineato (e poi ribadito nell’intervista  realizzata da Cuccaro per «umbriatv.com»), avrebbe potuto e dovuto migliorare in questi anni, mentre si è ulteriormente deteriorato e, cosa ancor più grave, al sovraffollamento si unisce il disinteresse per questa inumana situazione, disinteresse che in alcuni casi appare addirittura enfatizzato.  Così, invece di studiare rimedi e possibilità che agiscano sul fenomeno come tale, riducendo l’eccesso di ingressi in carcere e aumentando le uscite-che sono, invece, sempre più limitate, mentre in carcere dovrebbero entrare solo coloro che sono pericolosi per l’eccesso di aggressività-, prevale l’inerzia e la situazione si aggrava di anno in anno. Non si deve parlare di pena, ma di pene, ha aggiunto il Presidente, e occorre capire e far capire che ciò che si punisce è il reato commesso, non la persona. L’intera mattinata è stata attraversata dalla presenza attiva e dagli intensi interventi di ex detenuti, ora liberi, che continuano a interfacciarsi e colloquiare con il CESP e la Rete, dei quali si sentono parte: negli interventi hanno raccontato in prima persona, qual è la vera situazione nelle carceri, ma anche qual è la situazione che attende i detenuti quando rientrano sui propri territori di appartenenza, generalmente territori difficili, in cui degrado e disoccupazione non permettono un reale reinserimento, a meno di non essere stati adeguatamente supportati nel periodo di detenzione nell’acquisizione di competenze spendibili all’esterno e, una volta fuori, accompagnati nel reinserimento almeno nella prima fase di rientro. Accanto agli interventi degli “ex ospiti” delle carceri italiane, è stata letta un’articolata, intensa e forte lettera di due detenuti, indirizzata agli amici del Festival Dei Due Mondi di Spoleto “La cultura rendi sicuri, il carcere senza cultura è solo punizione”,nella quale è stata richiamata la necessità dell’applicazione del diritto all’accesso al patrimonio culturale della società, perché “In un Paese dove il dibattito sulla sicurezza si gioca spesso tra manganelli e telecamere, parlare di cultura in carcere, può sembrare un’eresia, eppure è tra le mura più dure dello Stato che la cultura dimostra tutta la sua forza rivoluzionaria, quella di trasformare, di restituire, di prevenire. La vera sicurezza penitenziaria, nasce dall’educazione, non dall’isolamento”. I lavori della mattina si sono conclusi con la donazione da parte della Regione Umbria, rappresentata dalla D.ssa Olimpia Bartolucci,Responsabile degli Archivi e Biblioteche, di quattro kit bibliografici – uno per ciascuno degli istituti penitenziari umbri -, del progetto «Nati per Leggere» (in atto dal 1999). I meravigliosi albi donati possono sostenere la genitorialità e far sì che il momento dell’incontro con i propri figli o nipoti sia facilitato e arricchito dalla lettura condivisa, che influisce positivamente sul loro sviluppo intellettivo, linguistico, emotivo e relazionale, con effetti significativi per tutta la vita adulta. Nel pomeriggio si sono svolte due tavole rotonde:una, coordinata da Luisa Marquardt (cattedra di Bibliografia e Biblioteconomia dell’Università Roma Tre) sulla costituzione di una rete tra le biblioteche nelle carceri umbre (il progetto è già in essere in vari istituti penitenziari del Piemonte, della Toscana e del Lazio), alla presenza della Responsabile degli Archivi e Biblioteche della Regione Umbria, dell’AIB – Osservatorio Lavoro (Patrizia Lùperi), della CNUPP (Teresa Consoli,Università di Catania), dei funzionari giuridico-pedagogici (Paolo Maddonni-CR Orvieto, Mattia Genovesi-CC Perugia, Sabrina Galanti- CR di Maiano-Spoleto), delle rappresentanti delle Biblioteche dei singoli territori su cui insistono i quattro istituti penitenziari (Donatella Jank, in sostituzione di Carla Cesarini-Perugia, Roberto Sasso-Orvieto, Gaia Rossetti-Spoleto,Franca Nesta-Terni), di ex detenuti che lavorano come operatori di biblioteca; l’altra,coordinata da Giovanni Mercurio (ICS-ETS) su Misure Alternative, art.21 e semilibertà, quali misure deflattive, ma non solo, alla presenza dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterno di Perugia (Gianvittorio Pula), del Garante regionale del Piemonte(Bruno Mellano), di docenti universitari (Francesco Gambino – Università di Macerata), di detenuti in art 21 ed ex detenuti che hanno avuto accesso alle Misure alternative. Dai tavoli è emersa la volontà di intervenire negli istituti penitenziari, sia attraverso le progettualità che il CESP- Rete delle scuole ristrette hanno messo in campo in questi anni, sia attraverso l’unione strategica con le associazioni di volontariato, in particolare nella costruzione di reti regionali per le biblioteche in carcere, come supporto concreto per far acquisire ai ristretti quelle capacità che permettano loro di essere assunti nelle biblioteche degli istituti penitenziari e, una volta fuori, di trovare lavoro qualificato, come operatori della cultura, nelle biblioteche (pubbliche o private) o nei musei e nei luoghi d’arte, ma anche di sapersi orientare, grazie all’acquisizione di competenze trasversali, nel mondo del lavoro, e di conoscere le opportunità che possono essere utilizzate al fine di un reale reinserimento in quella società con la quale, una volta entrati in carcere, hanno reciso ogni rapporto e nella quale rientrano dopo anni di detenzione. Al termine della giornata i partecipanti si sono lasciati con una serie di appuntamenti per il prossimo autunno, per approfondire quanto già definito nel seminario, esportando il Modello definito in Umbria per la realizzazione di una rete regionale per le biblioteche in carcere, anche in altre regioni (Piemonte e Campania le due principali regioni scelte per i prossimi interventi), ma anche per continuare la riflessione che si è aperta su come rendere operativa la norma già esistente sulle Misure Alternative, perché, come scritto in un articolo, nel n. 1/2025 di «Fuori classe. CarcerInrete. Rivista di varia umanità», se l’obiettivo è riabilitare persone che hanno violato le regole, appare paradossale che regole affermate nel gradimento disposto [normativo] a questo fine, siano violate. Anna Grazia Stammati (Presidente CESP)
Il CESP-Rete delle scuole ristrette al Festival dei Due Mondi di Spoleto (2-3 luglio)
Nel decimo anniversario della partecipazione del CESP- Rete delle scuole ristrette al Festival dei Due Mondi di Spoleto, il 2 e 3 luglio si svolgerà, presso la Casa di Reclusione di Maiano-Spoleto e presso Palazzo Mauri-Biblioteca Comunale “Giosuè Carducci” della città, la X Giornata Nazionale del Mondo che non c’è. Lo storico appuntamento (inserito nel prestigioso Programma del Festival dei Due Mondi- Progetti Speciali) si aprirà, il 2 luglio, con la partecipazione dei/delle docenti della Rete allo spettacolo “Senza Titolo. Manifesto del carcere Futurista”, per la regia di Giorgio Flamini, con i detenuti attori, cantanti, danzatori, drammaturghi, scenografi, costumisti della Compagnia #SIneNOmine, presso la Casa di reclusione di Maiano-Spoleto. Senza titolo abbraccia la complessità del contesto carcerario, e la messa in scena si immerge in più dimensioni: la realtà e il sogno, la costrizione e la libertà, la pena e la trasformazione, il pregiudizio e l’inclusione, sviluppando tre sequenze di dialoghi sul testo di Rinnegato, (detenuto da 32 anni). R. ci trasporta in un ring linguistico, in un tribunale mentale, in uno spazio dove la realtà si dissolve, i ruoli sono mutevoli, rappresentati da oggetti che incarnano sia armi che difese, e i personaggi si trovano in un eterno scambio di ruoli e prospettive. Il 3 luglio, presso la Biblioteca Comunale “Giosuè Carducci”, nel Palazzo Mauri di Spoleto, si svolgerà il seminario Cultura & Carcere “Dell’Inferno e Delle Utopie nel mondo della liquidità”, che si pone in continuità con lo spettacolo della Compagnia #SIneNOmine. La giornata sarà divisa in due parti: nella prima, dopo i saluti istituzionali, si partirà da una riflessione del sociologo Zygmunt Bauman ripresa dal libro Modus vivendi “In un momento in cui le forme sociali non riescono più a conservare a lungo la loro forma, si scompongono e si sciolgono più in fretta del tempo necessario a fargliene assumere una”, quale forma e spazio occupa oggi il carcere nella società e quale è il suo futuro? Al seminario parteciperanno istituzioni di livello nazionale e regionale/territoriale e, tra i relatori, si segnala il Presidente Emerito della Corte Costituzionale, già Ministro della Giustizia, Giovanni Maria Flick. Nella seconda parte saranno istituiti due Tavoli “operativi”: uno riguarderà il progetto Biblioteche innovative in carcere e la costruzione di una Rete in Umbria per attivarlo. Il progetto di biblioteche innovative in ambito penitenziario – collegate in rete con le biblioteche del territorio, delle Scuole e delle Università, strutturate per diventare poli culturali, oltre che per sviluppare nuove professionalità  è nato nella Casa Circondariale di Rebibbia a Roma, dalla collaborazione tra Luisa Marquardt (Università Roma Tre) e Anna Grazia Stammati (docente a Rebibbia, Presidente CESP). Condiviso dai/dalle docenti della Rete delle scuole ristrette, si basa su quanto previsto dall’Ordinamento Penitenziario e dal DPR 230 del 2000 e costituisce uno degli obiettivi del Programma nazionale 2022-2024 (“Innovazione sociale dei servizi di reinserimento delle persone in esecuzione penale: cultura, sviluppo e coesione sociale”) di Cassa delle Ammende, con cui si intende percorrere nuove strade di collaborazione interistituzionale e rafforzare i servizi per il reinserimento sociale delle persone in esecuzione penale. L’altro Tavolo di discussione Misure alternative, art. 21 e semilibertà, esaminerà gli strumenti previsti dall’ordinamento penitenziario per favorire il reinserimento sociale dei detenuti e degli internati e per alleggerire la pressione esistente negli istituti, derivante  dal sovraffollamento. Il carcere, infatti, non è l’unica forma di esecuzione di una pena e non dovrebbe essere neanche la principale. I dati riportati da Antigone sulla funzione deflattiva delle Misure alternative rispetto alla popolazione detenuta e la riduzione della recidiva, ci indicano, però, che queste tendono a procedere spesso lungo binari paralleli (quasi sempre in salita), ovvero i numeri della popolazione detenuta aumentano, in relazione all’applicazione delle Misure. L’unica eccezione registrata si è avuta tra il 2010 e il 2015, in seguito alla dichiarazione dello stato di emergenza per il sovraffollamento delle carceri nel 2010, e della sentenza Torreggiani, del 2013, che ha dichiarato illegale il sistema penitenziario italiano: poi, dal 2015 si è tornati all’aumento delle presenze in carcere. Ciononostante, il dato relativo alle revoche delle Misure alternative, soprattutto se consideriamo le revoche per la commissione di nuovi reati (pari allo 0,71%), permette di sostenere con forza l’idea della funzione di riduzione della recidiva in caso di condanna scontata in misura alternativa anziché in carcere.  Alle due giornate parteciperanno ex detenuti, oggi liberi, che in questi anni hanno seguito i percorsi del CESP- Rete delle scuole ristrette e, una volta usciti, da uomini liberi si sono reinseriti (o lo stanno facendo) e seguono i docenti della Rete, testimoni diretti che “il trattamento penitenziario non può prescindere dallo sviluppo culturale e che il reinserimento sociale delle persone in esecuzione penale è procedimento complesso che richiede una risposta multidimensionale e non è possibile senza un cambiamento culturale intra ed extra murale ( da “Lettera al CESP e alla Rete al Salone Internazionale del Libro di Torino”- Sonia Specchia- Direttore dell’Ufficio II del DAP, già Segretario Generale della Cassa delle Ammende ). Anna Grazia Stammati   Presidente CESP
Pace e democrazia in Turchia, libertà per Öcalan” 4 luglio 2025 (h.11), Sala Senato, P. Madama, Roma
Cari e care, desideriamo invitarVi alla Conferenza Stampa dal titolo: “Verso la pace e una società democratica in Turchia – Libertà per Abdullah Öcalan e tutti i detenuti politici” che si terrà Venerdì 4 luglio 2025, ore 11:00 presso la Sala Caduti di Nassirya – Piazza Madama, Senato della Repubblica, Roma L’iniziativa, promossa dal Sen. Giuseppe De Cristofaro , affronterà il ruolo chiave di Abdullah Öcalan nel percorso verso una soluzione pacifica della Questione Curda e l’urgenza di un impegno democratico e condiviso. Interverranno: * Piero Bernocchi, Portavoce Confederazione COBAS * Francesca Ghirra, Deputata AVS * Daniella Patti, Co-presidente Volt Italia * Giovanni Russo Spena, Portavoce Comitato Libertà per Öcalan * Yilmaz Orkan, Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia * Renato Franzitta, Esecutivo nazionale Confederazione COBAS Saluti istituzionali: Sen. Giuseppe De Cristofaro Modera: Simona Maggiorelli, Direttrice della rivista Left Per partecipare è necessario accreditarsi scrivendo a: segreteriapresidenzamisto@senato.it (obbligo di giacca e cravatta per gli uomini). L’evento sarà trasmesso anche in diretta streaming sul canale YouTube del Senato: https://www.youtube.com/@senatorepubblica Cordiali saluti, Yilmaz Orkan Direttore Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia— UIKI Onlus Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia Via Ricasoli 16, 00185 Roma, Italia Tel. : +39 06 69284904  Email : info.uikionlus@gmail.com  Web : www.uikionlus.org Facebook : UIKIOnlus Twitter : @UIKIOnlus Google + : 102888820591798560472 Skyp : uikionlus
Per una soluzione pacifica della Questione Curda: i COBAS nella Delegazione Internazionale a Istanbul (1-2 luglio 2025)
Alla Confederazione COBAS, con la presente ho il piacere di invitarVi a prendere parte a una delegazione internazionale che si riunirà a Istanbul nei giorni 1-2 luglio 2025, per una serie di incontri dedicati alla promozione di una soluzione pacifica e duratura della Questione Curda. Alla luce del ruolo storico e imprescindibile del Sig. Abdullah Öcalan in questo processo, riteniamo fondamentale che egli possa contribuire attivamente a una ripresa del dialogo. Il coinvolgimento di figure istituzionali della comunità internazionale può offrire un sostegno decisivo per la riattivazione del percorso di pace.In tale contesto, Vi invitiamo cordialmente a partecipare agli incontri previsti nell’ambito del programma allegato, che includono confronti con rappresentanti politici, giuridici e della società civile. Inoltre, desideriamo chiedere la vostra adesione ad una appello del Forum Europeo per la Pace e la Libertà legato allo stesso tema, che trovate in allegato. Restiamo a vostra disposizione per qualsiasi informazione aggiuntiva o esigenza logistica. Distinti Saluti, Yilmaz Orkan Direttore Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia UIKI Onlus Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia Caro Yilmaz, cari/e fratelli e sorelle curdi/e, in Italia e in Turchia, siamo onorati/e e lieti/e del vostro invito, al quale senza il minimo dubbio rispondiamo positivamente, sia per ciò che riguarda la delegazione, sia per l’adesione all’Appello del Forum Europeo, al quale potete aggiungere immediatamente la firma della Confederazione COBAS. In merito alla delegazione, saremo presenti a Istanbul con Piero Bernocchi, portavoce della Confederazione COBAS, Renato Franzitta dell’Esecutivo Nazionale della Confederazione e Domenico Ranieri sdell’Esecutivo nazionale COBAS Lavoro Privato. Arriveremo a Istanbul il 30 giugno con un volo Turkish e ripartiremo il 3 luglio. A presto, dunque, buon lavoro e un forte abbraccio a tutte/i voi Piero Bernocchi portavoce Confederazione COBAS
Il MIM ha pubblicato la nuova bozza rivista delle Indicazioni Nazionali 2025.Una prima lettura critica dei COBAS SCUOLA (1)
La bozza revisionata delle Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione, pubblicata l’11 giugno 2025 dal MIM e inviata al Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, nonostante il tentativo di ammorbidire diversi degli elementi più contestati presenti nella prima versione, ha mantenuto lo stesso impianto ideologico. Per la Storia, a nulla sono servite le autorevoli analisi degli esperti del settore, che ne avevano denunciato l’impianto italocentrico e occidentalista, con forti criticità nelle procedure costitutive dello statuto epistemico della storiografia e nei principi di una didattica storica innovativa. In Perché si studia la storia viene riaffermato il primato dell’Occidente, rappresentato come l’unica cultura che concepisce la storia come espressione dello spirito umano evolutivo, attribuendo alla Storia un ruolo dominante e una valenza politica nella formazione di una coscienza collettiva nazionale. Si ribadisce che ciò che nasce in Occidente si afferma solo poi nel resto del mondo. La cultura occidentale viene presentata come “intellettualmente padrona del mondo”, una superiorità che legittima asimmetrie di potere (colonialismo, razzismo culturale, imperialismo epistemico) e svaluta altre forme di sapere storico. Viene così sovvertito il senso che la scuola ha finora attribuito all’insegnamento della storia: lo spazio privilegiato per indagare passato e presente, avvicinare alunne/i a una visione plurale dell’umanità, fornire strumenti per confrontare e interpretare diverse realtà nel tempo e nello spazio, farne emergere somiglianze e differenze e sviluppare una riflessione critica sulla propria visione del mondo, utile anche a prevenire forme di razzismo e di pregiudizi etnici. Le competenze attese, al termine della Quinta di scuola primaria, sono sostanzialmente “conoscere e saper sintetizzare ed esporre” ma, sulla base della definizione data dall’EQF 2006, tali obiettivi non possono essere considerati tali (sigh!). Scompaiono l’organizzazione delle informazioni, l’individuazione di contemporaneità e delle relazioni tra gruppi umani, l’apertura alla storia contemporanea previste dalle Indicazioni del 2012. Gli obiettivi specifici di apprendimento, mal formulati, si conformano all’insegnamento fondato sulla triade “spiegazione dell’insegnante – studio individuale a casa – interrogazione di verifica”. Pagina dopo pagina, si studieranno le vicende storiche ridotte a una semplice e rassicurante storiella. Per esempio, l’obiettivo “Illustrare il valore dei documenti storici proposti dall’insegnante” assegna all’alunna/o un ruolo passivo, limitato alla spiegazione di materiali scelti dall’insegnante, escludendo autonomia, pensiero critico o costruzione attiva della conoscenza. La fonte storica è oggetto di contemplazione, non di indagine, è l’insegnante che seleziona i documenti e ne attribuisce un significato. Difatti, la Commissione sostiene che l’analisi critica delle fonti è un obiettivo irrealistico per ragazzi e bambini i quali possono approcciarsi alla storia solo nella dimensione narrativa. Chi ha lavorato sull’uso attivo di fonti diverse, facendole ricercare e utilizzare per ricostruire fenomeni storici, ha constatato sia la passione sviluppatasi verso la storia, sia l’acquisizione di una conoscenza realmente integrata in modo consapevole. Ma bambine/i e ragazze/i tornano a essere concepiti come contenitori vuoti che l’insegnante dovrà riempire per plasmarli fin da subito a sviluppare una rappresentazione del passato basata su valori nazionalistici. Basta leggere l’elenco delle conoscenze per le classi prima e seconda della Primaria: il racconto della nascita dell’Italia, Mameli e l’inno nazionale, poesie, canti e racconti del Risorgimento (Piccola vedetta lombarda, i martiri del Belfiore, le 5 Giornate di Milano, Anita Garibaldi, Salvo d’Acquisto, altri protagonisti di eroismo e di virtù civili nella Resistenza). Tali conoscenze, oltre a mirare alla costruzione di identità culturali nazionali con una presunta funzione integrativa (o di assimilazione?) per gli alunni con background migratorio, risultano inadeguate rispetto all’età degli alunni. Si tratta di contenuti che implicano concetti astratti, inadeguati alla comprensione nella fascia d’età cui sono destinati. D’altro canto, la Commissione che si è occupata della storia è composta esclusivamente da professori ordinari, da un ricercatore di Storia Contemporanea e da una docente di Istituto di Istruzione Superiore: esperti autorevoli, ma che sembrano non avere alcuna conoscenza della fase cognitiva in cui si trovano bambine/i di 6-7 anni.  La scelta di figure eroiche, la narrazione semplificata e la mitizzazione mirano a soffocare il pensiero critico e forse la Commissione ha deciso di iniziare a farlo il prima possibile. E visto il ripristino della calligrafia, dobbiamo forse aspettarci anche il ritorno degli abbecedari d’altri tempi tra i libri di testo? Magari con l’immagine della bandiera italiana alla lettera “B” e la scritta “bacio e difendo la mia bandiera”, proprio come accadeva durante il fascismo. I COBAS sostengono che nel prossimo anno scolastico i Collegi dei Docenti dovranno definire un Curricolo di Istituto che tuteli i principi della pedagogia attiva, centrata sul discente e orientata allo sviluppo di una didattica democratica e che sarà fondamentale optare per l’adozione alternativa ai libri di testo che con ogni probabilità si uniformeranno alle nuove Indicazioni. Bruna Sferra Esecutivo COBAS Scuola di Roma e Provincia
Indicazioni Nazionali 2025: i COBAS SCUOLA contestano idee e valori del nuovo documento (2)
In virtù del DPR 275/1999 sull’autonomia scolastica, oltre alla definizione delle discipline e degli orari, il Ministro stabilisce gli obiettivi generali del processo formativo e gli obiettivi specifici di apprendimento delle competenze. Il carattere prescrittivo degli obiettivi lascia però alle istituzioni scolastiche la possibilità di declinarli, contestualizzarli e arricchirli. Pur non normative, le Premesse culturali delle Indicazioni Nazionali rivestono un ruolo fondamentale poiché orientano l’intero impianto valoriale. Questo articolo propone un’analisi sul cambio di paradigma culturale in relazione ad alcuni aspetti: ruolo e rappresentazione della famiglia, disagio giovanile, identità e cittadinanza, alunne/i con background migratorio, concetto di libertà e principio di autorità. Altri temi verranno approfonditi in un successivo contributo. Una critica alla prima bozza riguardava il cambio del titolo del primo paragrafo, passato da Cultura, Scuola, Persona(come nelle Indicazioni 2007 e 2012) a Persona, scuola, famiglia. Il testo revisionato conferma l’inversione paradigmatica che, dalla cultura considerata fondamento della scuola e mezzo essenziale per la formazione della persona, si sposta sulla centralità della persona e sulle istituzioni scuola e famiglia che le ruotano attorno. La necessità di un “nuovo patto di alleanza” tra scuola e famiglia, senza il quale non si possano “raggiungere obiettivi educativi efficaci”, risulta in certa misura classista. Si dà per scontato un modello familiare stabile e collaborativo che non tiene conto della pluralità o della fragilità di molte situazioni contemporanee. La scuola, invece, ha il dovere costituzionale di colmare le disuguaglianze di partenza, offrendo a tutti gli studenti pari opportunità di apprendimento e di crescita, a prescindere dal contesto familiare. Legare la qualità dell’educazione alla presenza o meno di una famiglia “alleata” esclude chi ha più bisogno del sostegno della scuola. La condanna verso comportamenti vandalici e irrispettosi verso la scuola scarica in modo semplicistico la responsabilità educativa sulle famiglie, senza analizzare le cause profonde del disagio giovanile. Il documento evoca un generico “cedimento valoriale”, idealizzando l’istituzione scolastica e disconoscendo i limiti strutturali e sociali che la attraversano. Si moralizza il problema, anziché affrontarlo con strumenti culturali, pedagogici e inclusivi. L’assenza di un’analisi sulla complessità socioeconomica e culturale della società ha impedito agli estensori del documento di riconoscere il contesto reale in cui l’allieva/o cresce, finendo per veicolare un’idea di identità statica, disancorata dallo sviluppo della capacità di orientarsi in una comunità in continua trasformazione. Ciò trova conferma nell’obiettivo di competenza in materia di cittadinanza, “Riconoscere e rispettare le diverse identità, le tradizioni culturali e religiose in un’ottica di dialogo”, che implica solo la coesistenza delle differenze, ma trascura la possibilità educativa di costruire identità e appartenenze comuni. Nell’attuale società le identità , sia individuali che collettive, e le appartenenze sono plurali e mutevoli. Ridurre tutto alla diversità rischia di impedire la creazione di un tessuto condiviso di significati e valori, necessario per una cittadinanza realmente inclusiva. Secondo Todorov, “le identità culturali non sono solo nazionali, ne esistono anche altre, legate al gruppo d’età, al sesso, alla professione, all’ambiente sociale. Oggi dunque ognuno di noi ha già vissuto dentro di sé, sia pure in maniera diversa, questo incontro di culture: siamo tutti meticci”. Si invoca a “una mente flessibile, generosa, non narcisistica – per – pensare, insieme, identità e alterità”, ma la mente dovrebbe essere soprattutto aperta alla decostruzione di stereotipi e pregiudizi al fine di superare la dicotomia “noi/gli altri”, anche al fine di sostenere il percorso identitario di bambini e bambine con background migratorio, impegnati a trovare strategie adatte a gestire la loro ‘doppia appartenenza’. Per Bauman, “se il problema dell’identità moderno consisteva nel costruire una identità e mantenerla solida e stabile, il problema dell’identità postmoderno è innanzitutto quello di come evitare ogni tipo di fissazione e come lasciare aperte le possibilità”. La libertà resta valore fondante dell’Occidente, con il richiamo ad Atene, Roma e Gerusalemme. Pertanto, permane la miopia che ignora sia il peso storico di esclusione, gerarchie e autoritarismi, sia le diverse visioni di libertà fondate sulla responsabilità collettiva di altri contesti culturali. Nell’ambito dell’educazione alla libertà, si propongono modelli a carattere autoritario, fondati su regole comportamentali e disciplinari, limite e autorità: prima di poter agire liberamente, l’alunna/o deve essere educata/o all’obbedienza e all’autocontrollo. È una libertà intesa come rispetto dell’ordine e coesione sociale, e non come espressione critica e autodeterminata, che assume una valenza strumentale: giustifica restrizioni su tematiche progressiste (diritti civili, questioni di genere, intercultura) e veicola un orientamento ideologico che intreccia il rispetto a valori tradizionali di ordine, gerarchia e appartenenza. I COBAS ritengono che nel formulare il Curricolo di Istituto, il Collegio dei Docenti debba declinare gli obiettivi delle nuove Indicazioni alla luce dei valori che finora hanno ispirato la scuola democratica. Bruna Sferra Esecutivo COBAS Scuola di Roma e Provincia
I COBAS: dalla libertà dichiarata alla conformità imposta dalle Indicazioni Nazionali 2025 (3)
Come la prima, anche la seconda bozza delle Indicazioni Nazionali 2025 – pubblicata lo scorso 11 giugno – affida alla scuola il compito di sviluppare “l’autonomia dell’essere e la competenza del fare e dell’agire”. Un obiettivo che si traduce nel mandato educativo-didattico assegnato all’insegnante, tema centrale della riflessione pedagogica. La Commissione incaricata di redigere il documento ha beneficiato del contributo di pedagogisti/e che, impegnati nella ricerca, integrano l’interpretazione del proprio tempo e del suo sviluppo storico nella loro azione pedagogica. Ma, dalle Premesse culturali emerge una visione del mondo orientata, con finalità politiche che semplificano la complessità del presente e propongono un modello educativo fondato su valori normativi anacronistici. D’altro canto, la sezione sull’insegnamento della storia, veicolo della visione egemonica occidentale, conferma l’impianto ideologico del documento. Nei due paragrafi Libertà, cura di sé ed etica del rispetto e Scuola che educa alle relazioni, all’empatia e al rispetto della persona, sembra affiorare, più che un riferimento alla pedagogia attiva – solo accennata attraverso il principio dell’autogoverno – una ripresa di tratti della pedagogia romantica, integrata con l’etica del rispetto, in linea con le prospettive di autori come De Amicis, Pestalozzi, Fröbel. Si sottolinea l’importanza di un’etica del rispetto come base per un autentico scambio educativo e propone un lavoro preventivo a scuola, fondato su un’“educazione del cuore” che favorisca l’esperienza di sentimenti come la fiducia, l’empatia, la tenerezza, l’incanto, la gentilezza. Per chi conosce la storia della scuola, emerge il parallelismo con l’idea atemporale del “fanciullo tutto intuizione, fantasia, sentimento” contenuta nei Programmi del 1955, superata, a partire dai Programmi del 1985, da quella del bambino della ragione, orientato al futuro e, al contempo, profondamente coinvolto nell’esperienza concreta del proprio presente, capace di diventare cittadino libero, attivo e consapevole. Anche qui, la parte dedicata all’insegnamento della storia ci aiuta a delineare la rappresentazione dell’alunno/a del primo ciclocome soggetto ricettivo alla sola dimensione narrativa, senza capacità di analisi critica delle fonti. In modo coerente, l’impianto del testo, nonostante un richiamo all’educazione attiva, è dominato da un approccio normativo, in cui l’alunno/a è considerata/o parte di una comunità inclusiva solo a condizione che rispetti regole e limiti, e venga educato alla libertà attraverso la comprensione del principio di autorità. La conformità a un sistema predefinito di norme e doveri costituisce il principio guida della libertà, che, sebbene proclamata come valore centrale, viene di fatto regolata e delimitata da tale impianto normativo. È del tutto assente lo spazio educativo in cui il dissenso sia accolto come occasione di crescita e le regole possano essere discusse e rielaborate in modo dialogico. È una prospettiva tesa alla formazione di individui conformi, più inclini ad adattarsi che a trasformare. Anche il rispetto, evocato anche come “l’obiettivo di un’educazione finalizzata al riconoscimento e alla valorizzazione delle differenze di ciascuno”, viene utilizzato in modo non problematizzato: in questa seconda bozza, la specifica sulle “differenze di genere” presente nella prima versione viene sostituita da un generico richiamo alle Linee guida per l’Educazione civica sul rispetto verso la donna e sulle relazioni corrette. Si tratta di una formulazione normativa che, focalizzandosi sul comportamento corretto nelle relazioni, ignora le cause strutturali della disparità di genere e promuove una visione tradizionale e ‘naturale’ dei ruoli familiari e di genere. Affrontare il tema delle differenze di genere implicherebbe una critica alle costruzioni culturali, sociali e storiche che attribuiscono ruoli, aspettative e poteri differenti a uomini, donne e identità non binarie, nonché ai meccanismi di potere che generano disuguaglianze. Tale approccio trasformativo è in netto contrasto con l’impianto valoriale del documento, che privilegia la conformità al cambiamento. Per educare alle differenze, il rispetto da solo non basta, perché può tradursi in una tolleranza passiva priva di reale comprensione. La stessa “educazione del cuore”, premessa di “occasioni didattiche di esperienza di sentimenti basilari come la fiducia, l’empatia, la tenerezza, l’incanto, la gentilezza”, appare inadeguata ad affrontare la complessità dell’educazione alle differenze: sentimenti ed emozioni non sono né universali né affidabili come guida etica perché sono profondamente influenzati da contesti culturali, sociali e individuali. La cosiddetta “educazione del cuore” rischia di ridursi a racconti toccanti che fanno sentire la diversità, senza una reale decostruzione critica. Così, l’altro viene umanizzato solo attraverso la sofferenza, rafforzando una visione pietistica e caritatevole che tollera, ma non riconosce davvero, la sua soggettività e autonomia, perpetuando asimmetrie di potere. Educare alle differenze richiede processi cognitivi complessi, come l’analisi critica delle dinamiche di esclusione e la decostruzione di stereotipi, per sviluppare categorie più inclusive di identità e cittadinanza. Senza questa base razionale, rispetto ed empatia restano fragili e manipolabili. Ma un simile approccio risulta incompatibile con l’impianto del testo analizzato. Bruna Sferra Esecutivo COBAS Scuola di Roma e Provincia
A proposito del risultato dei 5 Referendum
Scrivevo il 10 maggio in una mail interna ai nostri Esecutivi nazionali a proposito dell’impostazione di una campagna elettorale COBAS a favore dei 5 SI’ ai quesiti referendari, che andasse oltre la semplice indicazione di voto: “E’ assurdo mettere a referendum le questioni del lavoro dipendente. A votare ci vanno quelli del padronato, del lavoro autonomo, i pensionati, i professionisti ecc. Non si può chiedere a tutte queste categorie, in genere  conflittuali o comunque non certo “paladine” del lavoro dipendente privato, di votare per difendere il lavoratore/trice privato/a dipendente. E’ un’assurdità teorica e politica, intrapresa da Landini solo per sperare di far crescere il suo ruolo politico di leader della “sinistra”, su cui sta puntando molto in vista della fine degli otto anni da segretario generale CGIL. L’unica possibilità di avvicinare il quorum era legato al referendum contro l’AD: annullato quello, non esiste la ben che minima possibilità di raggiungerlo. Per l’astensione lavoreranno non solo le forze governative ma anche gran parte delle categorie prima citate, e pure la Cisl e buona parte del PD che il Jobs Act lo volle e lo impose, oltre ai vari Renzi, Calenda ecc. Cosa che però non lascerà le cose come stanno, perchè il governo (e non solo) potrà proclamare a gran voce che il fallimento del referendum è il fallimento generale della sinistra politica e sindacale sui temi del lavoro, con un conseguente ulteriore passo indietro in materia di difesa dello stesso lavoro“. Tendevo in particolare a sottolineare che i referendum persi non sarebbero stati a costo zero, ma avrebbero fornito alla destra al governo un’arma formidabile per dimostrare la distanza siderale della sinistra dallo “spirito delle masse”, dalla maggioritaria coscienza popolare, dalla seppur vaga speranza e possibilità di governare a breve. Per la verità, pensavo che, visto l’impegno dispiegato dalla Cgil, dai partiti del centrosinistra e da una vasta intellettualità, con il corollario di tanti nomi famosi della letteratura, della musica e dello spettacolo cine e TV, la partecipazione avrebbe almeno superato un terzo dei potenziali votanti, insomma intorno al 35% più o meno. Ma di sicuro non mi aspettavo l’autogol più clamoroso dell’intera vicenda, che non riguarda affatto ciò che a me pareva, e pare, l’ovvietà, e cioè che non puoi far decidere le sorti dei lavoratori/trici dipendenti del settore privato a chi lavora in tutti altri luoghi e in situazioni ad essi conflittuali, o è coperto, più o meno, da una qualche pensione (cioè, appunto, i due terzi della popolazione), tanto più se i provvedimenti a cui ti opponi ora, li hai imposti ieri tu in un governo dell’epoca.  Mi riferisco invece al sorprendente, in negativo, risultato del referendum sulla cittadinanza, ove il dato più rilevante non è il 70% di astensione ma il fatto che di quel 30% dei votanti, più di un terzo ha votato contro il referendum, esprimendo chiaramente il “sentiment” di maggioranza, della serie “di migranti ne abbiamo più che a sufficienza“. Cosicché, l’aspetto più dirompente di quel voto è che a votare contro sono stati circa il 35% di quelli che sul resto hanno votato “a sinistra”, insomma, un terzo o più della base elettorale del centrosinistra. Non a caso la Lega, cioè la forza più aggressiva sull’argomento, ha gioito per questo risultato finanche più che per la grande astensione generale: perchè questa era prevedibile, ma l’altro risultato é andato ben oltre le loro speranze (in 60 anni di referendum non ricordo uno scarto così clamoroso tra il voto su un quesito e quelli su tutti gli altri). In generale, ancora una volta è emersa clamorosamente l’improvvisazione da “social”, il vivere, o sopravvivere, su trovate mediatiche e di immagine (di cui Schlein è al contempo la battistrada e il simbolo più eclatante) per mascherare la sostanziale fragilità politica e vaghezza programmatica della sinistra istituzionale , che in questa occasione ha seguito nel burrone Landini e i suoi sogni di gloria politici (coltivati fin da quando, come fresco segretario nazionale FIOM, cercava di sedurre disobbedienti e sinistra gruppettara per accreditarsi nel “movimento”come “er mejo politico de sinistra”), con una motivazione – che solo in queste ore emerge allo scoperto – davvero sciagurata. Risulta adesso che per Schlein il successo consistesse non nell’arrivare al 51% dei votanti ma nel portare a votare anche solo uno/a in più di quelli/e che alle ultime politiche nazionali avevano votato per il governo Meloni. Pensare, dopo una batosta del genere e con una procedura ultra-politicista (alle masse propongo un obiettivo “alto”, ma in mente ho una furbata che mi accrediti come l’unica alternativa a Meloni), di poter raccontare oggi ad un intero popolo una tale sciocchezza (n.b. se i voti referendari su alcuni temi fossero equivalenti al voto politico per il programma generale di un partito, ai tempi del divorzio e aborto Pannella doveva diventare presidente del Consiglio con un governo monocolore Radicale; e comunque in un voto politico i migranti pesano assai di più del Jobs Act e, ivi, i favorevoli son stati 9 milioni e non 14), ci fa capire ancor meglio perchè, purtroppo, Meloni e soci, a meno di cataclismi difficilmente prevedibili ora, arriveranno in tutta tranquillità a fine legislatura e, probabilmente, avranno il governo garantito anche per la prossima. Dico questo anche a beneficio di chi a suo tempo, nei nostri ambienti, non voleva il testo, per invitare a votare SI’, che alla fine abbiamo varato come Confederazione COBAS. Il quale, almeno, non solo segnalava le malefatte passate, su quei temi, e i danni pregressi provocati dai promotori dei referendum ma anche, e soprattutto, sottolineava il boomerang che poteva costituire il cercare di imporre la giustizia lavorativa per i dipendenti privati non con un ciclo di lotte aperte ma grazie al voto di una platea elettorale ove tali lavoratori/trici sono netta minoranza. Piero Bernocchi   portavoce Confederazione COBAS