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MIGRANTI: SEI MILITARI A PROCESSO PER IL NAUFRAGIO DI CUTRO. L’ACCUSA È DI NAUFRAGIO COLPOSO E OMICIDIO COLPOSO PLURIMO
Sono stati rinviati a giudizio i sei militari, quattro della Guardia di finanza e due della Guardia costiera, indagati per il naufragio del barcone a Steccato di Cutro, in cui, la notte del 26 febbraio del 2023, morirono 94 migranti, 35 dei quali minorenni e diversi dispersi. Il prossimo 14 gennaio, quando inizierà il processo di primo grado che dovrà accertare le eventuali responsabilità di sei militari italiani per il tragico affondamento del caicco Summer Love a Steccato, ai militari vengono contestati i reati di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo in relazione alla mancata attivazione del Sar, il Piano per la ricerca ed il salvataggio in mare. Ai microfoni di Radio Onda d’Urto, Laura Marmorale, presidente di Mediterranea Saving Human. Ascolta o scarica.
Rapporto di Medici Senza Frontiere denuncia violenze e blocchi all’azione salvavita nel Mediterraneo
La rimozione orchestrata delle navi di ricerca e soccorso, come la Geo Barents, dal Mediterraneo centrale toglie un’ancora di salvezza per i sopravvissuti in fuga dalle orrende violenze in Libia. È la denuncia di Medici Senza Frontiere (MSF) pubblicata oggi nel rapporto “Manovre mortali: ostruzionismo e violenza nel Mediterraneo Centrale”, che contiene dati operativi e medici, oltre a testimonianze di sopravvissuti raccolte a bordo della Geo Barents tra il 2023 e il 2024. Il rapporto descrive come, dopo più di due anni di attività con leggi e politiche italiane restrittive, in particolare il decreto Piantedosi e la pratica di assegnazioni di porti lontani, la capacità delle navi di ricerca e soccorso di fornire assistenza salvavita sia stata gravemente limitata, costringendo MSF a cessare le operazioni della Geo Barents a dicembre scorso. MSF chiede alle autorità italiane di smettere di ostacolare le operazioni di salvataggio in mare e di imporre sanzioni alle navi di ricerca e soccorso delle ONG. Invita, inoltre, l’UE e i suoi Stati membri a sospendere immediatamente il sostegno finanziario e materiale alla Guardia Costiera libica (LCG) e a smettere di incentivare intenzionalmente i rimpatri forzati di persone in Libia. “Le testimonianze, i dati e le prove raccolte in questi anni dimostrano la collusione dell’Italia e dell’UE con la LCG e altri attori armati nell’effettuare intercettazioni che riportano forzatamente le persone ad un giro di estorsioni e abusi” afferma Juan Matias Gil, responsabile per le attività di ricerca e il soccorso in mare di MSF. Se nel 2023 MSF ha assistito a incidenti che coinvolgevano operatori libici durante il 38% delle rotazioni della Geo Barents, questa percentuale è salita al 65% nel 2024. Nel 2023 e 2024 MSF ha documentato 30 intercettazioni confermate o sospette di imbarcazioni di migranti da parte di navi libiche. A causa delle restrizioni, il numero di persone soccorse dalla Geo Barents è diminuito drasticamente da 4.646 nel 2023 fino 2.278 nel 2024. Nonostante ciò, è aumentato del 14% il numero complessivo dei ricoveri medici, in particolare quelli urgenti, dimostrando che una percentuale notevolmente più elevata di persone soccorse era in uno stato critico e necessitava di cure specialistiche salvavita a terra. “Il decreto Piantedosi è un meccanismo strutturato e istituzionalizzato senza precedenti per bloccare le attività di ricerca e salvataggio di persone in pericolo” aggiunge Gil di MSF. “L’impatto di queste sanzioni è peggiorato nel corso degli anni e la capacità di salvataggio della nostra nave è stata significativamente ridotta e compromessa”. Secondo i dati medici di MSF, nel 2024, tutti i 124 pazienti visitati dal team di psicologi sulla Geo Barents hanno riferito di aver subito violenze fisiche e/o psicologiche durante il viaggio, e metà di questi pazienti hanno identificato la detenzione come luogo principale in cui hanno avuto luogo gli abusi. Il rapporto riporta anche le testimonianze di persone che sono riuscite a fuggire dalla Libia, documentando le violente intercettazioni subite in mare e il ritorno forzato in Libia, come parte del più ampio sforzo di esternalizzazione per impedire gli arrivi in Europa. “Abbiamo trascorso 5 ore di navigazione in mare, finché non siamo stati catturati da un’imbarcazione libica. Ci hanno tenuti a bordo per circa 53 ore mentre continuavano a cercare altre imbarcazioni. Non ci hanno dato né cibo né acqua, né ci hanno permesso di usare il bagno, abbiamo dovuto urinarci addosso. Mio fratello era così spaventato perché aveva perso la sensibilità delle gambe e non poteva muoversi per tanto tempo, piangeva e vomitava. Da allora soffre di incontinenza. Li abbiamo pregati di riportarci indietro, vomitavamo, eravamo disidratati, ma non hanno mai avuto pietà di noi. Mangiavano pesce, bevevano, ma non ci hanno mai dato nulla. Solo a un certo punto hanno avuto pietà di mia figlia e le hanno dato un pacchetto di biscotti, che è stata l’unica cosa che abbiamo mangiato in quei giorni” racconta una donna siriana salvata dalla Geo Barents nel febbraio del 2024. MSF nel Mediterraneo centrale  MSF è presente nel Mediterraneo centrale con attività di ricerca e soccorso dal 2015, lavorando su 8 diverse imbarcazioni, da sola o in collaborazione con altre ONG, e salvando più di 94.000 persone. I team di MSF a bordo della Geo Barents, attiva da giugno 2021 a dicembre 2024, hanno soccorso 12.675 persone, concluso 190 operazioni, recuperato i corpi di 24 persone, organizzato l’evacuazione medica di 18 persone e assistito la nascita di un bambino. Dall’entrata in vigore del Decreto Piantedosi, la Geo Barents è stata sanzionata 4 volte, per un totale di 160 giorni di detenzione forzata. Tra dicembre 2022 e dicembre 2024, le misure restrittive hanno inoltre imposto alla Geo Barents di percorrere altri 64.966 chilometri e di trascorrere altri 163 giorni in mare per raggiungere porti lontani del nord Italia per lo sbarco dei sopravvissuti dopo il salvataggio, anziché nei vicini porti della Sicilia.   Medecins sans Frontieres
Ci rimangono pratiche di vita non addomesticabili
Siamo tutti allenatori dopo la partita persa. Ma una cosa non possiamo fare: far finta di non vedere i gol subiti. Il risultato finale non è modificabile. Da quello, non ti schiodi, e il mondo non si è fermato, nemmeno durante quei novanta minuti nei quali “tutto poteva cambiare”. Non è l’apocalisse, perché innanzitutto nell’apocalisse ci eravamo già prima. Le immagini di Los Angeles con i Marines, mentre noi discutevamo del quorum, sono provvidenziali. La radicalità dello scontro in atto non viene meno, nonostante si abbia ancora la sensazione di poter utilizzare una matita per prendere decisioni collettive che incidono sulla nostra vita, di milioni di persone. Il referendum e i suoi esiti potranno servire ad analisi di vario tipo. Tutte giuste, tutte insufficienti ancora. Una cosa però salta agli occhi: il risultato sul quesito della cittadinanza. Se si fosse raggiunto il quorum, avrebbe vinto il NO. E nel mentre scorrono ancora le immagini di Los Angeles. Le battaglie di minoranza, sono spesso quelle più utili, perché proiettate in avanti. Dentro quel NO, espresso trasversalmente da destra a sinistra, da dentro le fabbriche e dagli uffici del centro, dalle periferie fino ai Parioli, c’è Los Angeles. Siamo pronti alla guerra civile? Siamo pronti a quelle bandiere del Messico, dell’Argentina, del Perù, che sventolano nel cuore delle città santuario attaccate dalla guardia nazionale? Per capire che niente sarà meno che radicale in questo scorcio di tempo, bisogna forse rendersi conto anche della radicale “autonomia” dell’impatto, per niente comodo per noi che lo abbiamo visto arrivare da tempo. Che effetto fa l’intervista della dottoressa di Gaza, con l’unico figlio superstite dopo lo sterminio della sua famiglia, trasmessa ieri al tg1? Fuori solo gli occhi, le mani guantate per poter accarezzare un figlio maschio. Siamo pronti dunque? Dalla nostra rimangono le pratiche di vita, unico approccio sensato ad una radicalità non addomesticabile con le matite e X sulle schede. Se ci crediamo davvero che l’unico modo per affrontare la guerra civile imposta dall’alto, è praticare il suo sabotaggio attraverso atti concreti, dal soccorso in mare alla protezione dei fuggiaschi che rischiano di finire in un lager, dalla costruzione di una accoglienza non autorizzata, alla sperimentazione concreta della convivenza in nuove alleanze sociali, allora facciamolo. Continuiamo a farlo, meglio e di più. Sentendoci minoranza come siamo, ma non per questo minoritari e passivi. Le maggioranze passive saranno quelle che la guerra civile la subiranno in maniera tremenda, da spazzarli via. Redazione Italia
Tutti i modi per fermare la nave Madleen della Freedom Flotilla
Seawatch segnala che “la nave Madleen della Freedom Flotilla ha ricevuto tramite Frontex una richiesta di aiuto per un’imbarcazione in pericolo con a bordo persone migranti. Anche la milizia libica Tariq Ben Zeyad ha raggiunto l’imbarcazione, con l’intento di catturare le persone e riportarle in Libia. È evidente che la Tariq Ben Zeyad sia stata anch’essa allertata da Frontex, che ha così favorito il respingimento illegale. Quattro persone sono riuscite a fuggire buttandosi in acqua raggiungendo la Madleen, mentre le restanti sono state catturate per essere riportate in Libia. La Guardia Costiera greca deve intervenire immediatamente per fermare il respingimento e trasbordare le persone soccorse, per permettere alla Madleen di continuare la sua navigazione verso Gaza.” A questo punto viene da chiedersi se non si tratti di una strategia con diversi, diabolici obiettivi: bloccare o almeno ritardare il viaggio verso Gaza segnalando barche di migranti in difficoltà, spingere la nave verso l’Africa, con il rischio di violenze da parte della cosiddetta Guardia Costiera libica da noi finanziata e magari anche indagare l’equipaggio per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, o salvataggi multipli, come viene fatto di continuo con le Ong del soccorso in mare. Redazione Italia
MIGRANTI: ALLA SEA WATCH 5 ASSEGNATO IL PORTO PIÙ LONTANO. “FAR SOFFRIRE LE PERSONE SEMBRA ESSERE L’UNICO SCOPO DELLE AUTORITÀ ITALIANE”
La nave Sea-Watch 5 ha portato a termine il salvataggio di 190 persone in due distinte operazioni nel Mediterraneo centrale tra l’8 e il 9 maggio 2025. Dopo i soccorsi, l’imbarcazione aveva ricevuto dalle autorità italiane l’assegnazione del porto di Civitavecchia, scalo molto lontano dalle posizioni in cui si sono svolte le operazioni di soccorso in mare, soprattutto se si considerano le condizioni delle persone soccorse, stremate dal viaggio e dai molti giorni passati in mare oltre che dalla permanenza su una nave che, pur attrezzata per il soccorso marittimo, non è pensata per il trasporto prolungato di persone. Per questo attiviste e attivisti hanno chiesto l’assegnazione di un porto sicuro più vicino. In tutta risposta, lo stato italiano ha assegnato un porto ancora più lontano: Marina di Carrara, aggiungendo altri 240 km di navigazione verso nord. “Sembra che l’unico scopo delle autorità italiane sia, oltre a tenerci lontano dai luoghi di soccorso, far soffrire di più le persone, costringerle a ulteriori sofferenze oltre a quelle che hanno già vissuto”. Lo afferma microfoni di Radio Onda d’Urto Luca Faenzi, di Sea-Watch Italia. Ascolta o scarica.
10 anni di attività SOS Humanity
Riceviamo e pubblichiamo da SOS Humanity Berlino, 5 maggio 2025: Da 10 anni l’organizzazione di ricerca e soccorso SOS Humanity salva le persone in movimento in pericolo nel mare Mediterraneo. In occasione del suo anniversario, fa un bilancio e critica il fatto che l’UE e i suoi Stati membri non abbiano ancora istituito un programma europeo di ricerca e soccorso. Dalla sua fondazione, all’inizio del maggio 2025, SOS Humanity ha osservato una regressione politicamente motivata dei diritti umani, del diritto internazionale e dei valori europei nel Mediterraneo. Un rapporto pubblicato e presentato oggi, “Frontiere di (In)umanità”, si concentra sulla crescente esternalizzazione della gestione delle frontiere europee alla Libia e alla Tunisia. SOS Humanity ha registrato le drammatiche conseguenze per coloro che fuggono attraverso il Mediterraneo in numerose testimonianze di sopravvissuti. Le esperienze di coloro che cercano protezione sono in contrasto con le misure di isolamento annunciate dal nuovo governo tedesco, che l’organizzazione critica. Friedrich Merz, che domani presterà giuramento come Cancelliere federale, ha dichiarato nel luglio 2020, alla luce delle decine di migliaia di morti nel Mediterraneo: “Il soccorso in mare è un compito dello Stato e non può essere lasciato solo alle organizzazioni non governative”. Secondo i media, Merz ha dichiarato che i politici non devono sottrarsi alla loro responsabilità umanitaria e devono cercare soluzioni sostenibili e a lungo termine.* Sin dalla fondazione dell’organizzazione nel 2015, SOS Humanity chiede che l’UE e i suoi Stati membri si assumano la responsabilità delle operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale. “Nell’accordo di coalizione non c’è una sola parola sulla ricerca e soccorso – né sulla responsabilità degli Stati, né su un programma di salvataggio europeo, né sul sostegno alle iniziative della società civile”, critica Till Rummenhohl, direttore generale di SOS Humanity. “La crisi umanitaria in corso alle porte dell’Europa, indotta dalla politica, viene deliberatamente ignorata, con conseguenze mortali. La Germania non è solo uno spettatore, ma un co-creatore attivo di una politica europea di isolamento ed esternalizzazione. I soccorsi vengono ostacolati e le persone in cerca di protezione vengono sistematicamente respinte in situazioni di pericolo di vita”. ll fondatore di SOS Humanity, Klaus Vogel, sugli inizi della ricerca e del soccorso non governativo nel Mediterraneo nel 2015, dichiara: “La nostra speranza allora era di poter scuotere i governi europei con una grande nave di soccorso e convincerli a umanizzare la politica migratoria e a riprendere le attività di ricerca e soccorso. Da allora abbiamo salvato migliaia di persone esauste, ferite e disperate”, racconta il capitano e storico. La nostra aspettativa di convincere i governi europei a considerare i rifugiati come esseri umani e a riconoscere il loro salvataggio nel Mediterraneo come un dovere naturale dell’Europa non è stata soddisfatta”. L’organizzazione è stata fondata il 4 maggio 2015 come SOS Mediterranee Germany da Klaus Vogel, ha cambiato nome in SOS Humanity nel gennaio 2022 e ha salvato un totale di oltre 38.500 persone nel Mediterraneo in un decennio. In questi dieci anni, l’UE ha speso 242 milioni di euro per esternalizzare la gestione delle frontiere sul confine esterno meridionale dell’UE. È quanto documenta un rapporto pubblicato oggi da SOS Humanity dal titolo “Frontiere di (In)umanità”. L’autore e collaboratore di SOS Humanity, Sasha Ockenden: “Le 64 testimonianze oculari che abbiamo registrato a bordo della nostra nave di soccorso e pubblicate nel nuovo rapporto documentano le conseguenze di questa politica: migliaia di violazioni dei diritti umani, sfruttamento, violenza e morte. Anche di bambini. Non solo è profondamente disumano, ma un programma di ricerca e soccorso dell’UE sarebbe anche più efficace dal punto di vista dei costi”. L’equipaggio di Humanity 1 ha salvato 68 persone in pericolo in mare la notte del 1° maggio. Oggi saranno portate a terra nel porto di La Spezia, nell’Italia settentrionale, a quasi cinque giorni di viaggio dal luogo del salvataggio. Redazione Italia