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Tryzub e svastica, esiste un uso “neutrale” dei simboli politici nella storia?
A maggio 2023, scrissi un articolo dal titolo Tryzub, lo stemma nazista dell’Ucraina. Un articolo che aveva lo scopo fornire gli elementi basici per capire quanto quel simbolo, spacciato per nazionale (come se fosse per noi il tricolore), in realtà ha ben poco di neutrale, ma ha un’origine antica che affonda le sue radici tra paganesimo e cristianesimo per poi essere usato per tutto il Novecento da movimenti ed organizzazioni nazisti, collaborazioniste naziste ed in seguito da gruppi sia politici sia paramilitari di stampo neonazista. Ebbene questo breve articolo, che tutti potete leggere, è stato accusato recentemente di avere “un’impostazione che appare più vicina a una narrazione propagandistica che a un’analisi storica equilibrata”. Il tatuaggio di Carlo Calenda (da X) Secondo chi ha commentato alla nostra redazione, il tridente indossato dal presidente Zelensky (esaltato recentemente da Pina Picierno e tatuato da Carlo Calenda) “il riferimento è alla sovranità e all’identità storica ucraina, non a gruppi estremisti”. Se “è vero che dagli anni ‘30 in avanti il simbolo è stato occasionalmente strumentalizzato da minoranze di estrema destra, ma ciò accade ovunque: croci, bandiere nazionali e persino simboli religiosi sono stati usati da estremisti senza perdere il loro significato originario” – si afferma. Lo scritto prosegue affermando che “indossare il tridente significa esibire un simbolo nazionale e non un marchio ideologico. Equipararlo al nazismo significa delegittimare la simbologia statale dell’Ucraina e contribuire a diffondere una narrativa propagandistica oltre che omettere come nasce e come si diffonde questo simbolo. È giusto condannare l’uso improprio del tryzub da parte di estremisti, ma è altrettanto necessario riconoscerne la natura storica e costituzionale”. Questo importante commento, mi ha permesso di sviluppare una riflessione che non avevo mai elaborato prima d’ora su tutti quei simboli religiosi, spirituali od esoterici che immancabilmente finiscono per essere strumentalizzati ed usati da gruppi politici connotati in precisi contesti culturali, il cui uso strumentale di questi simboli impedisce di fatto un uso neutrale di questi simboli. Il tryzub ha origini medievali, legato alla dinastia di Volodymyr il Grande (X secolo), e divenne emblema dei principi Rjurikidi, dominante a partire dall’862 d.C. La riduzione dell’uso del tryzub iniziò a metà dell’XI secolo, quando cessò di essere coniato sulle monete della Rus’ di Kiev. Il periodo dell’oblio del tryzub durò dalla metà del XIII secolo fino alla fine del XVIII secolo, quando furono trovate le prime monete della Rus’ di Kiev con questo segno. I tentativi di analizzare il tryzub iniziarono all’inizio del XIX secolo e il termine “tryzub” fu usato per la prima volta dallo storico russo Nikolaj Karamzin nella sua opera del 1815 Storia dello Stato russo. Il suo significato si perde nella notte dei tempi. Secondo lo storico ucraino Volodymyr Sičyns’kyj (V. S. Sičyns’kyj, Український тризуб і прапор, Winnipeg, 1953, p. 24.) poteva rappresentare in modo stilizzato o una colomba “simbolo dello Spirito Santo”, o fiore, o un candeliere, o un “kuša” (simbolo di arco e freccia usato come segno del magistrato di Kiev nei secoli XVI-XVIII), o una runa, o un vessillo, o la testa (estremità) della mazza o dello scettro del principe, o una corona (come simbolo del potere nei secoli XVI-XVII), o la parola “volontà”, o il simbolo del fulmine. Quest’ultimi risultano improbabili perché si riferiscono a periodi in cui è documentato il suo disuso. Lo storico del XIX secolo Bernhard Karl von Koehne affermò che il tryzub rappresentava uno dei corvi Huginn e Muninn del dio norreno Odino presente nello stendardo del corvo (O. F. Belov e G. I. Šapovalov, Український Тризуб. Історія дослідження та історичний реконструкт, Zaporižžja, Дике поле, 2008.). Huginn e Muninn viaggiano per il mondo portando notizie e informazioni al loro padrone. Odino li fa uscire all’alba per raccogliere informazioni e ritornano alla sera, siedono sulle spalle del dio e gli sussurrano le notizie nelle orecchie. È da questi corvi che deriva l’epiteto dio-corvo che rappresenta Odino. La tradizione, riconosciuta anche dall’articolo 20 comma 4 della Costituzione ucraina, vuole che il tryzub sia lo stemma del principe Volodymyr il Grande: “Articolo 20§4. L’elemento principale del grande stemma di Stato dell’Ucraina è il segno dello Stato principesco di Volodymyr il Grande (piccolo stemma di Stato dell’Ucraina).” Nel dicembre 1917 fu riadottato dalla nascente Repubblica Popolare Ucraina (che durò pochi mesi) come stemma ufficiale nazionale. E’ proprio in questo frangente che il tryzub inizia ad assumere un significato politico in seno al nascente nazionalismo ucraino. La Repubblica Popolare Ucraina, inizialmente di ispirazione sovietica ed anti-zarista, ben presto assiste ad uno scontro interno tra nazionalisti e i comitati filo-sovietici. Nella Russia rivoluzionaria di quei convulsi momenti si apre una stagione di possibilità e prospettive per il nazionalismo ucraino che persegue apertamente gli obiettivi di una autonomia territoriale e di una riorganizzazione dello stato russo. Prende corpo l’opzione indipendentista, fino a quel momento coltivata solo da frange politiche minoritarie. Le pretese della Rada ucraina vengono prima fortemente contestate dalle 4 regioni tradizionalmente non Ucraine per composizione etnica ovvero quella di Kharkov, di Kherson, la Crimea e la regione di Dnepropetrovsk dove gli intellettuali di estrazione russa di queste regioni insorgono contro le pretese di ucrainizzazione di territori non ucraini. Il 9 agosto , dopo un violento dibattito fra nazionalisti e i rappresentanti dei soviet, la Rada approva una risoluzione sulle Istruzioni nella quale si prende atto delle decisioni del governo centrale ma al tempo stesso si insite sulla necessità dell’ampliamento dell’autonomia e delle competenze del segretariato con un cenno finale alla convocazione di una «Assemblea costituente ucraina», da affiancare a quella pan-russa. Il 12 agosto si apre a Mosca la conferenza di Stato, organizzata dal nuovo governo rivoluzionario alla quale i delegati del segretariato ucraini, pur invitati, decidono di non partecipare. Si apre da questo punto in poi un confronto anche serrato fra nazionalisti ucraini, Soviet ucraini e comitato centrale ucraino che porterà conseguenze fino allo scontro armato. La Rivoluzione sovietica dell’ottobre 1917 e la vittoria dell’Armata Rossa su quella Bianca nei furiosi scontri che si avranno in quel periodo, metterà fine all’esperimento ucraino che nella sostanza non avrà mai una vera consistenza politica anche per gli scontri interni alla stessa Rada e soprattutto per la mancanza di un vero sostegno popolare. È proprio da questo momento in poi che il tryzub assumerà un significato storico che rispecchia il suo significato politico di oggi: simbolo del nascente nazionalismo ucraino. Il tryzub, in seguito assume fortemente un carattere politico nel 1929, in funzione anti-sovietica, come simbolo dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini (OUN), un partito politico nazionalista e fascista che nel giugno 1941, sotto la guida di Stephan Bandera, annunciò la creazione di uno Stato ucraino indipendente nella regione che era sotto il controllo della Germania nazista, sostenendo i piani espansionistici nazisti, giurando fedeltà ad Adolf Hitler e rendendosi responsabile del massacro di 100.000 civili polacchi ed ebrei attraverso il suo braccio armato, l’Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA). Quindi il Tryzub non è stato un simbolo occasionalmente strumentalizzato da minoranze di estrema destra, ma è diventato un simbolo – contestualmente a ciò che è accaduto – dell’etnonazionalismo ucraino. Non solo sappiamo che i movimenti neonazisti ucraini, dal 2014, hanno utilizzato più volte questo simbolo, ma sappiamo che è stato ed è l’emblema principale delle più importanti e influenti organizzazioni dell’estrema destra ucraina, sia storica sia contemporanea (vedi articolo). Nel maggio 2022 lo Stemma dell’Unità (del battaglione Azov), che faceva riferimento al Wolfsangel, è stato sostituito dal tryzub stilizzato, formato da tre spade d’oro: quindi il tryzub è anche simbolo del Battaglione mercenario paramilitare di stampo neonazista responsabile di pulizia etnica dal 2014, documentate dall’OCSE e da Amnesty International. Non si tratta di un “uso improprio del tryzub da parte di estremisti”, ma si tratta dell’uso del tryzub che viene fatto fin dal 1929 dai neonazisti ucraini, esattamente come oggi i neonazisti europei usano la svastica perchè si è configurata storicamente come simbolo nazista fin dall’estate 1920. L’articolo 20 della Costituzione ucraina, adottata il 28 giugno 1996, riconosce il tryzub – con la risoluzione “Sull’emblema di Stato dell’Ucraina” – come “l’elemento principale del grande emblema di Stato dell’Ucraina” in quanto “simbolo dello Stato Principesco di Volodymyr il Grande”. E’ tipico di Stati etnonazionalisti introdurre legalmente simboli che rimandano all’ideale su cui si fondano. Vedasi Israele con la Stella di David, simbolo religioso ebraico. Come hanno suggerito importanti analisti, è giusto e altrettanto necessario riconoscere che il tryzub in Ucraina non avrebbe natura costituzionale se non avesse il suo significato storico legato al patriottismo e il suo significato ideologico legato all’etnonazionalismo ucraino. Il tryzub è ora, contestualmente, un simbolo nazista che viene usato da partiti, movimenti e battaglioni paramilitari di estrema destra ucraini in rappresentanza del patriottismo, della loro identità nazionale e dell’etnonazionalismo ucraino in opposizione a tutto ciò che lo rinnega. Quando il tryzub viene indossato dal presidente Zelensky fa riferimento sicuramente al patriottismo e all’identità nazionale ucraina non slegata dall’etnonazionalismo ucraino, oltre a schiacciare l’occhio a tutti quei battaglioni paramilitari di stampo neonazista (Azov, Aidar, Donbass e molti altri…) che sono stati assimilati nell’Esercito Nazionale Ucraino. Azov per esempio fu inquadrato l’11 novembre 2014 nella Guardia Nazionale dell’Ucraina, il corpo di gendarmeria nazionale ucraina e forza militare interna sotto la giurisdizione del Ministero degli Affari Interni, quindi del governo. Ho abbastanza memoria per ricordare che il Battaglione Azov fu fondato nel febbraio 2014 come unità paramilitare di volontari di orientamento neonazista, guidati dal militare e politico suprematista bianco Andrіj Bіlec’kyj, che ne fu primo comandante. Andrіj Bіlec’kyj, dal novembre 2014 al luglio 2019, è stato membro del Parlamento ucraino per l’Unione Ucraina di Patrioti – UKROP e, ora, oltre a guidare il partito politico d’estrema destra Corpo Nazionale (di stampo neo-nazista fondato nel 2016 da lui stesso), è pure comandante del 3º Corpo d’Armata dell’Esercito Ucraino. Esempi di questo tipo sono molteplici e non starò ad elencarli per mancanza di tempo, però credo che sia ingenuo pensare che l’esibizione del tryzub sia un simbolo di solo patriottismo ed identità nazionale. Quindi si può dichiarare che Zelensky sia vicino a movimenti neonazisti. Inoltre non dimentichiamoci che dopo l’inizio dell’invasione russa del 2022, Zelensky ha dichiarato la legge marziale e mobilitato le Forze Armate dell’Ucraina. Legge marziale significa che i pieni poteri sono in mano al governo, vige il divieto di svolgere le elezioni parlamentari e vengono emanati provvedimenti che sospendono temporaneamente le leggi ordinarie per introdurre regole e misure speciali in condizioni di eccezionalità, come la guerra. Quindi definire Zelensky come “vicino ai gruppi d’estrema destra” non è assolutamente retorica propagandistica, in quanto lui stesso si definisce “nazionalista” e a capo di un “governo nazionalista”, quindi non può risultare nemmeno “offensivo”. In Ucraina, i movimenti e i partiti d’estrema destra sono tutt’altro che marginali. Partiti “minoritari” d’estrema destra sono stati la manovalanza della Strage di Odessa del 2 maggio 2014, ed hanno avuto importanti ruoli di governo sotto la presidenza di Poroschenko. Molti dei loro membri attivi hanno intrapreso carriera militare (essendo prima paramilitari di battaglioni volontari) e politica. Il fatto che alle elezioni 2019 i partiti di estrema destra non hanno ottenuto alcun seggio non vuol dire nulla (non erano affiliati a coalizioni importanti), poichè il loro obiettivo l’hanno già ottenuto: infiltrarsi negli apparati di Stato, sia civile sia militare. Non esiste un uso “neutrale” e decontestualizzato dei simboli, i quali – nella storia – vengono da sempre utilizzati in memoria di qualcosa o addirittura strumentalizzati allo scopo di utilizzarli per altri scopi, acquisendo altri significati contestualizzati in un preciso periodo o momento storico. Da appassionato di filosofie orientali, specialmente buddhismo e induismo come esempio lampante mi sovviene la svastica (dal sanscrito “swastika”, che nella scrittura devanagari si scrive स्वास्तिक ), antico e millenario simbolo religioso – utilizzato fin dal Neolitico – da sempre concepito come simbolo universale di buona fortuna e benessere in culture antiche dell’India e dell’Estremo Oriente, simboleggiando il moto del Sole, i punti cardinali o la prosperità. Lo swastika si può trovare nei graffiti rupestri in ValCamonica, nel cristianesimo antico come antico simbolo della Croce di Gesù, si può trovare nelle popolazioni mesopotamiche e si può trovare con diversi significati anche nell’Islam e nell’ebraismo. Nel buddhismo lo swastika rappresenta il sigillo della mente-cuore dei Buddha (i “risvegliati”, o “illuminati”), capace di comprendere tutte le cose (non è un caso trovarla incisa su grandi statue dei Buddha). Nell’induismo simboleggia al contempo i Quattro Veda, i corrispondenti quattro volti di Brahmā (il Dio supremo creatore di tutto e presente in tutte le cose) e i portali solari o i portali lunari, oltre ad avere diversi significati in base a come sono rivolti i rebbi (così 卐 o così 卍). La grande satguru del Sahaja Yoga, Shri Mataji Nirmala Devi, spiegava come lo swastika fosse la rappresentazione del Mooladhara chakra, ovvero il primo chakra, rappresentando le quattro dimensioni della consapevolezza, e il punto di incontro con la quinta dimensione, oltre che ad essere la sorgente della Kundalini. Non a caso la parola chakra significa ‘ruota’, o anche ‘rotazione’, che puó essere in senso orario o anti-orario. Lo swastika, riprendendo i quattro petali del Mooladhara, rappresenta dunque – in base alla direzione della rotazione – “costruzione o distruzione”, se non addirittura la ruota del Dharma stesso. Nel giainismo invece, lo swastika rappresenta i Quattro Regni nei quali un’anima è soggetta al saṃsāra, il ciclo delle vite e delle morti, e può rinascere se non ha raggiunto l’illuminazione e non si è ancora liberata dalla sofferenza terrena dei desideri effimeri. Nonostante tutto ciò, come sappiamo bene, lo swastika fu adottato dai nazisti nel XX secolo, che lo associarono – a causa della risignificazione esoterica che ne fece la destra spiritualista da Julius Evola in poi – alla loro ideologia razzista. Venne chiamata hakenkreuz (“croce uncinata”, in italiano “la svastica”), trasformandola nel simbolo del nazionalsocialismo. La sua odierna notorietà è legata alla sua adozione durante il primo dopoguerra da parte del Partito Nazionalsocialista Tedesco e, successivamente, per l’apposizione sulla bandiera della Germania nazista. In Occidente, dopo la Seconda Guerra Mondiale fino ad oggi – a meno che non venga usata in contesti ben specifici come i templi induisti, buddhisti e nelle sale di meditazione di Sahaja Yoga – chi usa la svastica in contesti pubblici o manifestazioni politiche, non lo fa per augurare benessere e prosperità o per motivi spirituali, ma in ricordo di una determinata storia politica, il nazionalsocialismo tedesco, se non per inneggiare al neonazismo in alcune manifestazioni. Partendo dal fatto che non si capisce quale spazio abbia la narrazione propagandistica e quali siano le omissioni in questa riflessione, io credo che ogni sociologo politico, sociologo delle religioni e studioso di simbologia religiosa potrebbe convenire su quanto detto. In molti parlano oggi – con fare paternalistico – di svolgere un buon lavoro di “fact-checking” prima di pubblicare articoli, studi, libri e lavori di qualunque tipo. Interessante è che lo dicano agli altri, avendo la presunzione di essere nel “giusto” come se nessun “superficialismo” possa intaccarli. Io ritengo che prima di voler fare un “fact-checking” si debba essere a conoscenza di certi dettagli ed importanti distinguo concettuali, altrimenti è razionalmente impossibile condurre un virtuoso “fact-checking”. Prima di voler fare un fact-checking è importante conoscere i fatti: come puoi decidere se i fatti raccontati sono veri o falsi se prima non li si conosce? Spesso e volentieri è importante fare un “contro-factcheking” molto più accurato attraverso analisi e informazioni vere ma che non spesso i media mainstream sono soliti pubblicare. Per questo esistono i libri di storia. Lorenzo Poli
STOP RWM
La RWM vuole aumentare la sua produzione di esplosivi e ordigni da guerra nel suo stabilimento di Domusnovs-Iglesias, ma ha bisogno dell’approvazione della Giunta della Regione Sardegna. Producono bombe per aereo, mine marine, proiettili di artiglieria e persino i micidiali droni killer israeliani; il loro mortifero business alimenta i peggiori teatri di guerra del pianeta: Palestina, Yemen, Ucraina, Kurdistan … Affermano di voler salvare il Sulcis dalla crisi ma hanno appena 102 dipendenti veri, il resto è manodopera precaria, fornita da agenzie interinali, che viene sistematicamente scaricata non appena la richiesta di ordigni cala. Il business delle armi è purtroppo cresciuto con le recenti guerre. La RWM ha avuto bisogno di ampliare il suo stabilimento, rapidamente e senza tanti scrupoli, perciò nel 2017 ha dichiarato, falsamente, di non fabbricare esplosivi, confidando nella credulità dei funzionari pubblici, evidentemente ben disposti nei suoi confronti. Un tribunale ha ristabilito la verità: il Consiglio di Stato, a novembre 2021, ha annullato le licenze edilizie concesse per ampliare la fabbrica RWM, senza una preventiva Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), obbligatoria per gli stabilimenti ad elevato rischio di incidente che producono esplosivi. L’azienda non si è però rassegnata a demolire le opere abusive e ha ottenuto dalla Regione di effettuare una Valutazione di Impatto ambientale a lavori terminati (una VIA ex-post). Nel corso della VIA ex-post, la RWM ha però fornito documentazione parziale e incompleta, minimizzando gli impatti. Ciò nonostante sono emerse gravi violazioni della normativa di protezione dell’ambiente, della sicurezza e della salute umana. Tanto per fare qualche esempio: gli ampliamenti sono stati realizzati anche in aree a rischio idrogeologico molto elevato, dove vige il divieto assoluto di edificazione, e sono stati sistematicamente violati i vincoli paesaggistici presenti, senza neppure il parere obbligatorio e vincolante della Soprintendenza … L’istruttoria per la VIA ex-post ora è terminata, manca solo la decisione finale della Giunta regionale e della sua Presidenza. Il giudizio finale quindi non potrà che essere NEGATIVO. Il tempo stringe, il TAR della Sardegna ha stabilito che la decisione deve arrivare entro la metà di Dicembre. Chiediamo quindi alla Presidente Todde e alla sua amministrazione di non fare l’ennesimo favore a chi produce ordigni di morte, e di non cedere alle indebite pressioni governative. È ora di esprimere un chiaro parere NEGATIVO per l’impatto ambientale dell’ampliamento RWM. NESSUNA AUTORIZZAZIONE A CHI LUCRA SULLA GUERRA E LA PREPARA, DEVASTANDO L’AMBIENTE VALUTAZIONE NEGATIVA SUBITO PER L’IMPATTO AMBIENTALE DELL’AMPLIAMENTO DELLA FABBRICA RWM GIOVEDì 4 DICEMBRE 2025 dalle ore 10:00 alle ore 18:00 Presidio, tutto il giorno di fronte alla Presidenza regionale in viale Trento 69 Cagliari. Redazione Sardigna
La fiaccola della pace si accende ad Alife (Caserta)
Caserta, La Fiaccola della Pace chiude il decennale ricordando con tre scuole i caduti del bombardamento di Alife ed il genocidio nei paesi in guerra Proprio nel comune di Alife, in provincia di Caserta, da dove 10 anni or sono partì la mobilitazione: non si poteva concludere meglio la manifestazione di chiusura del decennale della Fiaccola della Pace, con l’adesione e la partecipazione attiva dei tre Istituti scolastici, ovvero con quelle scuole con cui, a partire dall’Istituto Comprensivo, a cui poi si aggiunse l’ IPIA e a seguire l’Industriale “G. Caso” (quando la Fiaccola fece tappa a Piedimonte Matese), prese vita questo percorso, che poi nel corso degli anni si è esteso in tutta la provincia, regione e fuori regione. A suggello del rinnovato impegno è stato siglato e rinnovato il “Patto di impegno per l’educazione della Scuola di Pace” con il quale all’IC di Alife guidato dalla Dirigente Angela Faraone, all’ISISS Matese guidato da Bernarda De Girolamo e all’IIS “De Franchis” guidato dalla Dirigente Maddalena Di Cerbo, è stata consegnata la nomina di “Scuola di Pace”. A seguire, la consegna del Passaporto della “Fiaccola della Pace” a chiusura del decennale. Anche all’amministrazione comunale – presente ufficialmente con l’Assessora Anna Maria Morelli delegata del Sindaco Fernando De Felice (presente anche la consigliera Elisa Di Caprio) e con lei presente il capogruppo di minoranza Enzo Guadagno – al momento della consegna dell’attestato, è stato chiesto di apporre la firma perché si impegni a promuovere una “Politica di Pace” aderendo al progetto “Città per la Pace”. La manifestazione ha visto la partecipazione attiva dei citati tre istituti scolastici. La Fiaccola della Pace è stata consegnata dalla Presidente del Movimento internazionale per la Pace Agnese Ginocchio, alla presenza dell’Amministrazione e del Presidente dell’ANCR Combattenti e Reduci, Lino Diana, ai rappresentanti delle tre scuole durante le tre soste: nella prima, avvenuta in Piazza della Liberazione, è stata consegnata all’alunno rappresentante delle classi Vi e Vi di Via Gramsci dell’IC di Alife, Marcellino Biondo; durante la seconda, il passaggio di consegna è avvenuto con l’alunno rappresentante d’Istituto e delle classi 4Bi, 4Ac e 5 Aen dell’ISISS Matese Samuele Gaudio; nella terza, infine,  il passaggio di consegna è stato presso Porta Fiume al rappresentante di tutte le classi dell’IIS “De Franchis”. Durante la consegna e i passaggi di consegna della Fiaccola nelle tre soste, sono state espresse le seguenti intenzioni, la prima in P.zza della Liberazione: “Per i bambini di Gaza, Ucraina, Sudan, Congo, Somalia, Myanmar, e le vittime di tutte le guerre. Cessino i conflitti”; durante la seconda in P.zza Termini, sul luogo dove avvenne il bombardamento durante la seconda guerra mondiale che seminò la morte di 80 concittadini: “Nel ricordo di tutte le vittime cadute nel bombardamento di Alife del 13 Ottobre 1943”. In questo luogo gli alunni dell’IC di Alife hanno declamato anche una bellissima poesia sulla Pace. Infine la terza a Porta Fiume si è conclusa con il tema della manifestazione: “La Pace non è un concetto neutro, è un atto di responsabilità, di coraggio e di memoria”. Presso il Giardino della Pace, del Creato e della Memoria “G. Strada e T. Sarti- G. Falcone e P. Borsellino”, poi, dov’è terminata la manifestazione, si sono tenuti tutti gli interventi degli alunni delle tre scuole partecipanti, il saluto delle Istituzioni e delle Dirigenti scolastiche Angela Faraone (IC Alife), Bernarda De Girolamo (delegata della Dirigente, prof.ssa Giovanna Mizzoni), Maddalena Di Cerbo (delegata della Dirigente Alessandra Scolaro). La Dirigente scolastica Angela Faraone, ha ricordato l’importanza dell’esercizio educativo scolastico attraverso la promozione di attività e percorsi che facilitino linguaggi e atteggiamenti di dialogo, sottolineando il valore del “Coraggio della Pace”, evidenziando che “ci vuole più coraggio nel fare la Pace che la guerra” poiché la Pace richiede responsabilità, lavoro perseverante e impegno. La prof.ssa Giovanna Mizzoni (delegata della DS De Girolamo), ha ricordato che i messaggi e le riflessioni degli alunni non devono esaurirsi con la giornata odierna, ma vanno ricordati e applicati ogni giorno con le azioni, quindi occorre farne tesoro e coltivare la cultura della Pace. La prof.ssa Alessandra Scolaro (delegata della DS Di Cerbo), ha evidenziato l’impegno della scuola su queste tematiche dimostrato più volte, con la fattiva partecipazione alla manifestazione odierna e con altre attività scolastiche in prosieguo del percorso. L’Assessore Morelli ha portato i saluti dell’Amministrazione ricordando l’importanza di educare ai valori della nonviolenza e comunicando piena disponibilità del Comune ad appoggiare tutte le iniziative proposte dal Movimento per la Pace. Il capogruppo di minoranza Enzo Guadagno, ha ricordato agli alunni il significato di questo luogo dove dimora l’Albero della Pace dedicato a quanti persero la vita durante le guerre, richiamando alla memoria gli eventi tragici accaduti proprio nella Città di Alife. Sulle sue parole anche il presidente ANCN Lino Diana, ha rilevato l’importanza del coltivare sempre l’esercizio della memoria quale antidoto alla guerra. “L’esercizio della memoria serve ora più che mai per preservare le giovani generazioni da un futuro di guerra. Eventi tragici, morti e massacri continuano a colpire molti paesi in guerra, non possiamo fare finta di nulla e girarci dall’altra parte, occorre partire dall’esercizio educativo, la scuola può davvero fare e dare tanto per la causa di Pace”. Ha ricordato la presidente del Movimento per la Pace, la quale ancora una volta ha espresso riconoscenza e ringraziato la Dirigente Faraone dell’IC di Alife e le docenti ISISS e IIS, con gli alunni tutti, e ringraziato anche l’amministrazione ed il presidente ANCR Combattenti e Reduci con cui collaborano da anni. Presente anche l’Associazione Musulmani matesina con l’Imam Moustafà Lattaf, il quale, nell’esprimere profondo dolore per la morte di tanti innocenti, ha ricordato l’importanza del dialogo quale strada per costruire la Pace e che non gli uomini, ma solo Dio può togliere la vita. Gli alunni delle classi VI e V di Via Gramsci dell’IC di Alife hanno realizzato disegni e simboli della Pace portati durante la manifestazione, declamato una poesia sulla Pace (in P. Termini), letto riflessioni seguite dal canto Imagine di John Lennon (seguendo l’interpretazione di Matilde Donati). I ragazzi sono stati preparati dalle docenti delle rispettive classi: Cercone Luciana, Meola Angelina, Farina Gisella; Cirioli Cecilia, Santabarbara Antonella; Vitelli Fausta, Carlone Angelica, Pacelli Monica, Navarretta Maria Grazia; Offreda Patrizia, Ottaviano Luisa, Farina Rita Angela, Carullo Stefania, Damasco Carmela e Mastrangelo Maria Antonietta, che li hanno anche accompagnati. Gli alunni dell’ISISS classi 4Bi, 4Ac e 5Aen hanno declamato dei pensieri sull’importanza di fare Pace ogni giorno, ricordando citazioni di noti testimoni di Pace; essi sono stati preparati dalle docenti: Monte Morena, Antonella Capuano, Giovanna Mizzoni e Carolina Tartaglia (le ultime 2 hanno anche accompagnato gli alunni). Gli alunni dell’IIS “De Franchis” (dalle classi prime alle quinte) invece, hanno realizzato dei bellissimi cartelloni coi i quali hanno voluto ricordare il genocidio in corso a Gaza, le guerre e le repressioni in Congo, Sudan, Myanmar. Su un grosso lenzuolo bianco si leggeva in grande la parola Pace a sua volta sormontata dall’arcobaleno, a significare che solo la Pace potrà salvare l’umanità. Le riflessioni che sono seguite hanno sviluppato ed approfondito il tema della giornata. Gli alunni sono stati preparati dalle e dai docenti: Giuseppina Rao, Alessandra Scolaro, Antonella Pelosi, Antonio Di Stadio. A conclusione del decennale di questa storica mobilitazione e in occasione della Giornata mondiale dell’olivo ricorrente proprio in questi giorni, alle tre scuole partecipanti, il Movimento internazionale per la Pace III Millennio, ha consegnato “l’Olivo della Pace” collegato al tema dell’Albero della Pace, affinché gli alunni di ciascuna scuola coltivino e custodiscano la Pace ogni giorno con le loro azioni. A Gino Ponsillo vice Presidente del Movimento Internazionale per la Pace, è stato affidato il non facile compito di moderatore della giornata. Un sentito ringraziamento alla Polizia Municipale di Alife, guidata dal Comandante Sergio Fusco, al quale è stato consegnato un attestato di ringraziamento, per il servizio ordine e sicurezza. Attestato di ringraziamento anche all’ANCR e all’Imam Moustafà Lattaf. Una giornata importante per Alife, un messaggio di speranza per i giovani in cerca di riferimenti. Anche il cielo ne ha dato dimostrazione, andando a illuminare con un raggio di sole, che ha squarciato le nubi per riversarsi sul Giardino della Pace, i volti degli alunni mentre declamavano messaggi di Pace. Segui la luce di quella Fiaccola, mantienila sempre accesa, coltiva la memoria. È la luce che dona speranza, vita, riportando colore e gioia in un mondo deserto dove la sfiducia, il pessimismo e la dispersione dei valori sembra prendere il sopravvento nel cuore dei giovani. Segui quella luce per dare una svolta alla tua vita…è la speranza che nulla è perduto, ma tutto si vince con la Pace se si abbraccia questa causa. Una pagina di storia della Pace si aggiunge alla storia di questa cittadina nel cuore del Parco Regionale del Matese, riportata sul “Segnavia madre del percorso della Fiaccola della Pace” posizionato proprio in questo luogo della memoria. “Beati i Costruttori di Pace”. Redazione Italia
Le nostre aziende marchigiane siano eccellenze di vita, non di morte
A Porto S. Elpidio il presidio del 28 novembre contro la Finanziaria di guerra Uscendo al casello A14 di Porto S. Elpidio, ci si imbatte subito in una grande rotatoria sponsorizzata da Lori Blu. Il marchio marchigiano della calzatura di lusso, ha infatti la sua sede proprio a qualche centinaio di metri dalla rotatoria. Lori Blu è una delle aziende marchigiane che concorrono a fare l’export di questa regione in Israele, e si trova a un centinaio di metri in linea d’aria dallo stabilimento della Civitanavi Systems-Honeywell, che invece ha proprio forti legami industriali con Israele, e grandi clienti nel settore aerospaziale e militare; componenti Civitavavi Systems-Honeywell sono stati trovati in armamenti impiegati nei bombardamenti su Gaza. É di fronte ai cancelli di questa impresa che dal 2024 è stata assorbita nel gruppo statunitense Honeywell, che nel giorno dello sciopero generale “Contro la Finanziaria di Guerra”, indetto dall’USB, si è tenuto il presidio nonviolento del “Coordinamento Marche per la Palestina” e “Sumud Centro Culturale Palestinese”. “Blocchiamo tutto per cambiare tutto – lo slogan del presidio – Vogliamo più soldi per l’istruzione e la salute e non per le armi. Vogliamo che le nostre aziende siano eccellenze di vita, non di morte. Per una vita dignitosa e libera dall’oppressione delle guerre, per la giustizia sociale. Per la Palestina, per la libertà di tutti”. Ad Ancona per le vie del centro, alle stesse ore, il corteo dei Centri Sociali Marche e degli Studenti autorganizzati. Non è la prima volta che nelle Marche, parafrasando un motto maoista, si marcia divisi, ma poi non si colpisce uniti. Visto il tema dello sciopero generale del 28 novembre, sarebbe stato più significativo convergere tutti davanti l’azienda di componentistica elettronica civile e militare della provincia fermana. Qui a Porto S. Elpidio, un centinaio di persone si è piazzato all’ingresso della Civitanavi Systems dalle 5.30 del mattino, quando era ancora notte e faceva piuttosto freddo, per cercare di far desistere i dipendenti dall’entrare in azienda per il primo turno lavorativo. Ad aspettarli, un imponente schieramento di forze dell’ordine, con le quali si sono creati alcuni momenti di tensione. “Quando sono entrati gli operai per l’inizio del turno distribuiti sui due cancelli, l’ingresso della fabbrica e quello delle merci – racconta uno degli attivisti – una ventina di operai e operaie hanno preso i volantini e si sono fermati ad ascoltare le ragioni dello sciopero. Poi sono stati fatti entrare, e la tensione si è alzata un po’. Verso le 7:30 la polizia si è schierata in forza, è arrivata anche la celere e si sono presentate persone che volevano entrare, tra cui l’amministratore delegato dell’azienda, Andrea Pizzarulli. Ci siamo un po’ compattati per volantinare con l’intenzione di dare un messaggio, chiedendo agli operai di scioperare; la polizia è intervenuta portandoci via di peso, e poi noi siamo ritornati sul davanti di nuovo e ci hanno spostato nuovamente. L’unico nostro obiettivo era di comunicare con i lavoratori, ma siamo stati più volte spintonati, e alla fine i lavoratori sono dovuti entrare accompagnati dalla polizia che li scortava. Però da parte nostra, poi si vede anche nei video, non c’è stata nessuna violenza, nessun impedimento fisico, ma semplicemente la volontà sì di dare un volantino a tutti e di comunicare le nostre ragioni. Poi dalle nove, finito questo secondo ingresso di operai ed operaie, abbiamo iniziato il presidio con gli interventi dal microfono”. Durante il presidio, diversi attivisti hanno stazionato lungo la strada all’interno della zona industriale, piuttosto trafficata, invitando gli automobilisti a rallentare per ricevere un volantino; molti si sono fermati, alcuni transitando hanno approvato quello che stava accadendo con colpi di clacson. Il presidio si è sciolto senza alcuna tensione dopo le 14, terminata l’entrata in turno dei dipendenti, scortati all’ingresso dalla polizia. Molti gli interventi che si sono alternati all’open mic, come quello dello scrittore e reporter marchigiano Angelo Ferracuti, che ha letto “Il loro grido è la mia voce- poesie da Gaza”, ricordando come la poesia sia lingua universale, che per i poeti palestinesi è anche testimonianza. Poi si sono avvicendati Francesco Bracciani di USB; Patrizia Zaccarelli di BDS Marche; Ammar Amadneh del Centro Culturale Palestinese Sumud; Giusy Montanini del Comitato ‘5 luglio’ di Fermo (in memoria dell’omicidio razzista di Emmanuel Chidi Nambi nel 2016); Arianna Buda, Vittorio Sergi e Dennis Pietroni di Marche per la Palestina; l’ottantaduenne professoressa Rosa Saltarin. Anche a chi scrive, è stato chiesto di fare un intervento, come segno solidale tra il lavoro di libera informazione di Pressenza e le lotte di questi territori. Proprio le inchieste di Pressenza, quella di Stefano Bertoldi sui militari IDF in vacanza nelle Marche, e quella sui rapporti economici delle imprese della regione con Israele, hanno aperto uno spaccato  finora del tutto sottaciuto; inchieste che molto probabilmente hanno grattato per ora solo la crosta di dinamiche più consolidate e profonde. Abbiamo verificato proprio in questi giorni che un altro importante e storico gruppo industriale che fa export ed è presente in Israele è IGuzzini di Recanati, leader internazionale dell’illuminazione; dal 2019 acquisito totalmente dal gruppo svedese Fagerhult AB. Ma nelle Marche tutto è atavicamente ovattato, prudente, timoroso; a partire dal sistema dell’informazione. Testimonianza curiosa di questo è proprio il racconto della manifestazione del 28 novembre di una testata online locale, in cui viene raccontato il fatto senza mai citare espressamente la Civitanavi Systems e farla intravedere nella gallery fotografica. Tutto, questo, molto marchigiano.       Leonardo Animali
Inaugurato il Centro Donna a Pianura. Ferrante: “Serve un cambio di mentalità per fermare la violenza”
Inaugurato questa mattina il Centro Donna di Pianura, un luogo dedicato all’ascolto, al sostegno e alla tutela delle donne. L’apertura del centro, finanziato dal Comune di Napoli e attivato in collaborazione con le cooperative sociali Xenia e Adesia, rappresenta un passo concreto nella lotta contro la violenza di genere e nella promozione delle pari opportunità. All’inaugurazione è intervenuta l’assessora alle Pari Opportunità Emanuela Ferrante, che ha preso parte anche a un incontro di sensibilizzazione e confronto per sostenere e promuovere la cultura del rispetto. Durante l’incontro sono intervenute Maria Carillo, presidente di Xenia, ed Elena Giorgia Carrucola, di Adesia, che hanno illustrato il ruolo delle realtà sociali nella costruzione di reti di supporto. La coordinatrice del Centro Donna, Luciana Sullo, ha presentato il progetto e le attività già avviate, mentre la psicologa Francesca Diffidenti ha condiviso riflessioni sulle esperienze raccolte nei gruppi di ascolto. Momento centrale è stata la proiezione del video con le testimonianze delle donne che hanno scelto di raccontare la loro storia, segno di coraggio e speranza. “È un luogo di incontro accogliente e aperto, a cui tutte le donne possono accedere per trascorrere momenti di serenità e di svago – ha sottolineato l’assessora alle Pari Opportunità Emanuela Ferrante – c’è la possibilità di fare sport, tenere colloqui con avvocati e psicologi, ma soprattutto le donne possono venire qui per dedicarsi del tempo, stare insieme e conoscersi. È molto importante per questa Amministrazione – ha concluso Ferrante – perché significa iniziare a cambiare cultura e mentalità e fare un piccolo passo verso quella rivoluzione culturale ancora necessaria per eliminare completamente il fenomeno della violenza sulle donne”. Redazione Napoli
Il saluto musicale di Roger Waters allo sciopero generale del 28 novembre
USB ed il CALP ringraziano Roger Waters per il sostegno allo sciopero generale del 28 novembre: il musicista inglese ha inviato ai portuali di Genova un video saluto musicale, visibile sui canali social del CALP e di USB nazionale. 28 e 29 novembre vogliamo fermare la finanziaria di guerra del Governo Meloni, che impoverisce la popolazione per puntare sul riarmo, bloccare i rapporti con lo stato israeliano che compie un genocidio in Palestina, rimettere al centro le vere priorità del paese: i salari, fermi da 30 anni, le pensioni, i servizi pubblici ed i diritti sociali. La giornata di sciopero si articolerà su decine di piazze in tutta Italia: a Genova saranno presenti ospiti internazionali come Greta Thumberg e Francesca Albanese mentre a Roma è prevista una manifestazione a Piazza Montecitorio per votare la finanziaria del popolo, ma le mobilitazioni riguarderanno tutti i principali centri del Paese.  Il 29 novembre una grande manifestazione nazionale partirà da Porta San Paolo: fermiamo l’economia del riarmo e del genocidio. Qui il video saluto di Roger Waters sui nostri social: https://www.instagram.com/reel/DRjYrPxjJ-_/?utm_source=ig_web_copy_link&igsh=MzRlODBiNWFlZA== Unione Sindacale di Base
XR alla sede Rai di Torino: “Sleghiamo l’informazione”
Questa mattina, martedì 25 novembre, Extinction Rebellion ha bloccato l’ingresso delle redazioni.  La protesta si è svolta non a caso oggi, giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Una decina di donne si sono legate tra loro con corde rosa, verdi e nere e si sono coperte la bocca con scotch nero. Stando a quanto emerge dal rapporto dell’Osservatorio Step, i media italiani nel raccontare i femminicidi utilizzano ancora termini come “raptus” – anche se in misura minore negli ultimi anni – e prediligono l’empatia nei confronti del carnefice e la spettacolarizzazione nei casi di stupro e violenza sessuale. La scelta delle parole influenza la percezione del pubblico, e la mancanza di linguaggio e narrazione adeguata nei media emerge anche nel campo ambientale, come sottolinea il rapporto annuale dell’Osservatorio Pavia: un ultimo esempio è l’ondata di calore di giugno, quando meno di un quarto dei servizi nei tg serali citava la crisi climatica come causa del fenomeno. E l’utilizzo selettivo delle parole nei media italiani e occidentali è stato evidenziato negli ultimi due anni proprio nel raccontare il massacro a Gaza, dalla scelta di non utilizzare la parola “genocidio” nonostante la Corte Internazionale di Giustizia ne evidenziasse il rischio concreto già a inizio 2024, al doppio standard narrativo tra “ostaggi” israeliani e “prigionieri” palestinesi. L’Italia è al 49esimo posto nella classifica sulla libertà di stampa, il dato peggiore in Europa occidentale: le intimidazioni a giornalisti sono cresciute del 78% nel 2025 e ai dati si aggiungono i casi di spionaggio ai danni di due giornalisti di Fanpage, Ciro Pellegrino e Francesco Cancellato, e l’attentato a Sigfrido Ranucci, giornalista e conduttore di Report.  In quanto emittente pubblica, la nomina dei vertici RAI dipende dal governo, dinamica che secondo l’Osservatorio del Pluralismo dei Media “ha evidenti conseguenze sulla linea editoriale, con una tendenza a evitare critiche al governo in carica e, in alcuni casi, a enfatizzare le posizioni delle forze politiche al potere”. “Occupiamo l’entrata della Rai perché invece che svolgere il suo compito di informare correttamente la popolazione propone delle narrazioni distorte – ha spiegato Elsa di Extinction Rebellion – Questo avviene sui temi dei femminicidi, della crisi ecoclimatica e del genocidio a Gaza, temi profondamenti intrecciati come i nastri con cui ci siamo legate. Temi segnati dalla più grande delle violenze: il silenzio. La Rai è sempre più un emittente di stato utilizzato ai fini propagandistici. Ma essere emittente pubblico significa avere un’enorme responsabilità, perché la democrazia si basa su informazione libera e corretta. E questo significa anche e soprattutto chiedere conto a chi ci governa delle politiche che sta portanto avanti. Vogliamo un’informazione libera e critica, che smascheri le narrative distorte, invece di alimentarle. Un’informazione capace di responsabilizzare i cittadini e chi detiene il potere, che dia voce alle vittime, invece di proteggere i carnefici. Un’informazione in cui verità e giustizia siano centrali, e in cui la violenza non sia mai normalizzata”. Maddalena Brunasti
Memoria, voce e resistenza: le donne afghane nella Biblioteca sociale “La Casa di Francesca”
Napoli-Barra, 24 novembre 2025 – In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne La memoria non è solo ricordo: è voce che resiste al silenzio, è ponte tra vite lontane, è responsabilità. A Barra, periferia orientale di Napoli, questa voce si è trasformata in un incontro pubblico, in un’esperienza condivisa e in un ascolto reciproco. Non in un’aula istituzionale, ma in una biblioteca sociale nata per custodire storie e restituire dignità: La Casa di Francesca. Uno spazio speciale, perché nato dal dolore trasformato in impegno civile. Lo hanno fondato due insegnanti in pensione, Mariarosaria Izzo e Matteo Speraddio, per dare continuità all’idea della figlia Francesca, scomparsa dieci anni fa. Francesca immaginava una biblioteca come luogo capace di accogliere, di ascoltare, di mettere in relazione. Non come servizio, ma come presenza. Oggi quello spazio è realtà: libero, aperto, abitato da bambini, studenti, famiglie, migranti, cittadini del quartiere in cerca di un luogo dove sentirsi parte. Il 24 novembre, proprio in questa biblioteca, si è tenuto l’incontro pubblico “Dialogo con Conny Del Monaco sulla condizione delle donne afghane”. A moderare, Matteo Speraddio. Non una presentazione formale, ma un dialogo che ha trasformato una tesi universitaria in strumento collettivo, vivo, civile. Conny Del Monaco ha presentato alcuni passaggi del suo lavoro di laurea, “Donne Afghane tra resistenza e memoria: i racconti di Homeira Qaderi e Fawzia Koofi”, discusso all’Università Federico II di Napoli. Una tesi che non nasce solo da studio, ma da un’urgenza: restituire spazio a voci che non hanno spazio; far emergere vite raccontate dall’esilio che, senza narrazione, rischiano di essere dimenticate. Protagoniste dei memoir analizzati sono due donne afghane: Homeira Qaderi, autrice di Dancing in the Mosque, e Fawzia Koofi, autrice di The Favored Daughter e prima vicepresidente del Parlamento afghano. Entrambe hanno scritto in inglese, non per allontanarsi dalla propria cultura, ma per renderla visibile al mondo. La scrittura diventa per loro un modo per attraversare i confini e opporsi alla cancellazione. Nei loro testi, non si racconta solo l’oppressione, ma anche la contraddizione. Quando i talebani presero il potere negli anni ’90, molti li accolsero come portatori di ordine dopo il caos della guerra civile. Solo in seguito emerse che quell’ordine si fondava su rigide restrizioni, soprattutto per le donne: istruzione vietata, lavoro e movimento limitati, parola negata nello spazio pubblico. Ma anche in quel contesto alcune donne resistettero. Qaderi, appena tredicenne, organizzava scuole clandestine per bambine. Koofi, contro ogni aspettativa familiare e sociale, portava la propria voce fino al Parlamento. Per entrambe, scrivere è diventato un modo per non scomparire. Un punto centrale affrontato durante l’incontro riguarda l’origine dell’oppressione. Non è la religione, ha spiegato Conny, ma una tradizione culturale patriarcale che usa la religione come giustificazione. Esiste infatti un femminismo islamico che interpreta i testi sacri come luogo di dignità, giustizia e responsabilità reciproca, e non come strumento di subordinazione. Da questo sono nate domande e riflessioni, non solo per comprendere meglio la condizione delle donne afghane, ma per misurare quanto siamo disposti a riconoscere quelle storie come parte della nostra storia. Quanto siamo disposti a considerarle presenti, e non lontane. L’incontro non si è limitato a trasmettere informazioni, ma ha sollecitato un modo diverso di stare dentro le storie: non solo ascoltarle, ma farsene carico. Non soltanto comprenderle, ma riconoscerle. Luoghi come La Casa di Francesca ricordano che la cultura non è un ornamento ma un gesto di responsabilità. Mettere in circolo storie, ascoltarle, riconoscerle significa restituire volto e dignità a chi rischia di essere dimenticato. Non basta leggerle: bisogna farle vivere. Lucia Montanaro
“La popolazione italiana e il consenso sessuale e l’educazione affettiva”
L’indagine effettuata da IPSOS per Amnesty International Italia mostra una crescita significativa della consapevolezza sulla violenza di genere. Basata su 800 interviste a un campione rappresentativo di persone tra i 18 e i 75 anni, mostra che l’89% di loro ritiene che la violenza contro le donne sia diffusa e sette su dieci percepiscono un aumento del fenomeno negli ultimi anni, con una preoccupazione più marcata tra le donne. A fronte di un dato ISTAT che indica 32 donne su 100 come vittime, almeno una volta nella vita, di molestie o violenze a sfondo sessuale, la rilevazione IPSOS basata su 800 interviste a un campione rappresentativo di persone tra i 18 e i 75 anni ne rileva in media 49: una sovrastima che riflette il livello elevato di allarme percepito. Nonostante questo clima, emergono segnali culturali incoraggianti: la maggioranza rifiuta i principali miti che minimizzano la violenza sessuale, come l’idea che il comportamento o l’abbigliamento della sopravvissuta “favoriscano” attenzioni indesiderate, o che serva resistenza fisica per definire la violenza. Permangono però minoranze significative che attribuiscono ancora parziale responsabilità alle sopravvissute o considerano alcune circostanze – flirt, uso di alcol, orari notturni – come elementi che renderebbero la violenza “più comprensibile”. Queste giustificazioni risultano più frequenti tra gli uomini.   Il report LA POPOLAZIONE ITALIANA E IL CONSENSO SESSUALE E L’EDUCAZIONE AFFETTIVA in formato digitale (file pdf) è disponibile nella pagina ad hoc sul sito di Amnesty International Italia: Indagine Ipsos: cresce la consapevolezza sulla violenza di genere / 25.11.2025  Amnesty International
…ma i potenti riposerebbero più sicuri senza di noi…
Il pianto delle persone anziane è senza speranza, ha sempre in sé qualcosa di irrimediabile e definitivo. Oggi Ines (Nonna Ines per tutti coloro che ne hanno conosciuto la dolce, gentile determinazione) piange, silenziosamente, appoggiata al muro della sua casa espropriata dal TAV e in procinto di demolizione. Quel pianto sommesso mi riporta a vent’anni fa e rivedo l’anziana eremita scesa col suo crocifisso dalla grotta sui monti di Oulx, fiduciosa che la fede avrebbe aperto il muro delle truppe antisommossa schierate a sbarrare la strada verso le ceneri del presidio NO TAV di Venaus. Ma anche la religione è inefficace davanti ai grandi, brutali profitti. Le file degli armati si serrano minacciose e la donna non può che andarsene piangendo di dolore e di delusione, col crocifisso stretto tra le mani. Oggi a San Giuliano sono arrivati in forze mezzi meccanici, funzionari TAV, poliziotti, digos. E’ il giorno della presa di possesso definitiva, che dà il via libera alla demolizione delle case espropriate. Hanno convocato i proprietari: un atto puramente formale, per colorare di legalità quello che è totale arbitrio e sopruso. Ines arriva accompagnata da figli e nipoti. Cammina piano, a fatica, un po’ per gli anni un po’ perché fa male varcare per l’ultima volta quel cancello, ripercorrere il sentiero lastricato che conduce alla porta di casa, dove si è vissuta tutta la vita, si sono visti crescere i propri figli. I funzionari hanno fretta: quello che per i proprietari è un doloroso addio, per loro non è che una banale formalità da evadere il più rapidamente possibile. Ma Ines si attarda, presa dai ricordi. Poi raccoglie qualche seme delle ‘belle di notte’ che resistono in quello che fu il giardino, fa un mazzo di bulbi di narciso da portare con sé. Il funzionario ritorna a sollecitare, impaziente: è ora di andarsene! Non c’è più tempo! Per la casa non c’è futuro. Non basterà a salvarla neanche il murale di Blu che, dalla facciata rivolta ad oriente, continua a cantare resistenza. Murale Blu sulla casa di Nonna Ines | Foto Nicoletta Dosio Nella villetta vicina, i lavori di demolizione sono già cominciati. Bracci meccanici sradicano finestre e ringhiere. Dall’interno giungono colpi sordi, schianti di pareti. Stretti ai muri del lato sud, aspettano immobili il giardino dei cactus, la grande agave, il rosaio che regala alla tristezza del giorno i suoi ultimi fiori. Ma sulla strada si è formato un gruppetto con bandiere: sono le donne e gli uomini del Movimento NO TAV. Come sempre, si parte e si torna insieme. E la lotta continua. Nicoletta Dosio Giorgio Mancuso