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Che ci fanno i soldati israeliani nelle scuole del Chiapas?
-------------------------------------------------------------------------------- Pubblichiamo in italiano un reportage del giornalista indipendente Témoris Grecko realizzato a partire da una denuncia del Comité Acción Palestina Chiapas di San Cristóbal de Las Casas riguardo la presenza di veterani di guerra israeliani nelle scuole elementari del Chiapas. Questi giovani (tutti ex soldati) entrano nelle scuole pubbliche locali attraverso una associazione di “volontari” chiamata in inglese “Heroes for life” e più esplicitamente in ebraico “Combattenti senza frontiere” con il fine dichiarato di “dare un’altra immagine al mondo delle IDF”. La loro presenza, intercettata, denunciata e respinta dai collettivi e dal sindacato dei maestri (CNTE) di San Cristóbal, è inquietante e apre a molte altre domande: “In quanti posti sono andati questi finti volontari a fare propaganda sionista prima di essere scoperti e denunciati in Chiapas?”; “Che ci fanno realmente in Messico (e in altre parti del mondo) questi soldati vincolati alle forze speciali?”; “Il governo messicano è informato e quindi complice delle infiltrazioni di quest’associazione?” La traduzione di questo reportage di Témoris Grecko (con la collaborazione di Leonardo Toledo) è un contributo al lavoro di contro-inchiesta dei compagni e delle compagne dei collettivi locali in appoggio alla resistenza palestinese e una denuncia dei lunghi tentacoli del sionismo in tutto il mondo. [Nodo solidale] -------------------------------------------------------------------------------- Veterani di guerra israeliani, in Messico e in paesi dell’America, Asia e Africa, usano bambini in situazione di vulnerabilità per fare propaganda sionista Leggi l’articolo originale in spagnolo – artículo original en español La storia è molto bella, dal punto di vista dei loro simpatizzanti. Dopo aver abbandonato la vita militare e fatto ritorno a quella civile, Gili Cohen, Yair Attias e Boaz Malkieli, tre amici poco più che ventenni, si rendono conto che i “poveri del Terzo Mondo” affrontano problemi molto gravi, e che migliaia di loro connazionali stanno viaggiando in quei paesi e potrebbero darsi da fare per aiutarli. Per questo motivo, nel 2013 decidono di creare un’associazione umanitaria, che chiamano in inglese “Heroes for Life” (“Eroi per la Vita”), la quale canalizza i vacanzieri come volontari verso scuole in una ventina di paesi, dalla Thailandia al Guatemala, per insegnare ai bambini a parlare inglese e istruirli in materie come scienze, musica, igiene personale e tecniche di combattimento Krav Magá. In Messico, ad esempio, iniziano ad operare nel 2017, con il sostegno finanziario e logistico dell’impresa di sicurezza Maguén Group (il cui direttore esecutivo, Zvi Michaeli, è membro del consiglio di “Heroes for Life”) e del governo israeliano, in collaborazione con il municipio Miguel Hidalgo della capitale nazionale (il consigliere del PAN, Raúl Paredes, li ha descritti, in una delle loro attività del 2023, come “giovani molto entusiasti, con un grande cuore e un profondo desiderio di aiutare bambine e bambini nei quartieri vulnerabili”). Ora, nel maggio 2025, oltre che a Città del Messico, operano anche nelle scuole elementari della colonia 31 de Marzo, nella città di San Cristóbal de las Casas, nello stato meridionale del Chiapas (la prima denuncia è stata lanciata da Acción Palestina Chiapas). «Questo è un progetto con il potenziale di trasformare Israele in un impero dell’aiuto umanitario, senza spendere neanche uno shekel (la moneta israeliana)», ha detto a Esti Pelet, del portale messicano Enlace Judío, il leader dei fondatori, il capitano (della riserva) Gili Cohen, il quale ha espresso il proprio fastidio per il fatto che Israele compaia, insieme a Iran e Pakistan, nella lista dei paesi con l’impatto più negativo al mondo, secondo la BBC. «Lottiamo per una buona reputazione del nostro paese», ha continuato. «Io ho servito nell’esercito israeliano per otto anni e ho visto che i nostri soldati sono i più morali del mondo. Voglio che questi giovani mostrino al mondo il loro vero volto. Quei ragazzi che lavorano come volontari in un orfanotrofio in India sono gli stessi combattenti che vengono condannati nel mondo». Guerrieri Senza Confini L’altra storia è quella che non viene raccontata. È probabile che buona parte di chi sta leggendo questo reportage abbia visto una o più stagioni della serie Fauda, che tratta di un’unità militare mista’arvim (in ebraico: מסתערבים, “arabizzati”) specializzata nell’infiltrarsi in aree urbane palestinesi, mascherando i propri soldati da civili palestinesi. Utilizzano veicoli civili modificati e padroneggiano la lingua araba per confondersi con la popolazione locale mentre svolgono missioni ad alto rischio in Cisgiordania, come sequestri e omicidi. La crudele strage di presunti “colpevoli” e di innocenti, come danni collaterali, è la costante sullo schermo. I creatori di Fauda, Lior Raz e Avi Issacharoff, sono esperti in materia perché hanno fatto parte essi stessi della più famosa unità mista’arvim, la brigata Duvdevan. Anche i tre amici poco più che ventenni che vogliono aiutare i bambini poveri del Terzo Mondo hanno fatto parte di questa esperienza. Lì sono diventati commilitoni. Non solo per svolgere il servizio militare: il capitano Gili Cohen ha dedicato otto anni della sua giovinezza a travestirsi da palestinese per ucciderli. Convinti che Israele stia facendo le cose nel modo migliore, perché il proprio esercito è, come dice il primo ministro Netanyahu, “l’esercito più morale del mondo”, arrivano al punto che le “delegazioni” dei loro “Eroi per la Vita” vengono battezzate con i nomi di soldati morti in combattimento mentre distruggevano Gaza, in diverse guerre. Prima nell’operazione Margine Protettivo del 2014, in cui sono state uccise 2.251 persone, tra cui 551 bambini e 299 donne; e più di 11.000 feriti (dal lato israeliano, sono morti 66 soldati e cinque civili, incluso un bambino). E ora, nell’operazione Spade di Ferro, che è in corso con un genocidio: la missione in Chiapas si chiama Yotam Ben Best, che ha fatto parte anch’egli della brigata Duvdevan e, quando è morto in combattimento con miliziani palestinesi il 7 ottobre 2023, era comandante dell’“unità fantasma” delle operazioni speciali. Per questo hanno nominato presidente del consiglio della loro organizzazione il generale Elyezer Shkedi, noto per l’abbattimento di due aerei durante l’invasione israeliana del Libano. Da qui deriva anche il vero nome del gruppo, in ebraico, לוחמים ללא גבולות, che significa “Guerrieri senza Confini”. Quando si sono resi conto che in alcuni paesi non era ben visto l’arrivo di soldati israeliani che avevano ucciso palestinesi, presentandosi come guerrieri senza confini, hanno iniziato a cambiare nome nelle altre lingue. Nel 2016, Enlace Judío spiega che in inglese preferivano chiamarsi “Lottatori per la Vita”. Ma poiché nemmeno questo ha funzionato, hanno adottato il nome attuale, sempre in inglese: “Heroes for Life” ovvero eroi per la vita. Un programma di hasbarà “molto redditizio” A 18 anni, i giovani israeliani iniziano il servizio militare obbligatorio, durante il quale l’esercito prende il controllo delle loro vite per 36 mesi gli uomini, o 24 le donne. Questo include, in molti casi, operazioni di combattimento in cui maltrattano, feriscono o uccidono palestinesi, inclusi bambini e donne. Durante questo periodo, ricevono uno stipendio mensile di circa 200 dollari e benefici come sconti sui trasporti pubblici, spettacoli e altri servizi. Al termine, ricevono un’indennità economica nota come “sussidio di liberazione”, il cui ammontare varia in base alla durata del servizio, al tipo di ruolo svolto (per esempio, i combattenti ricevono un po’ di più) e ad altri fattori, ma solitamente è di diverse migliaia di shekel (equivalente a centinaia o migliaia di dollari). Con questa somma, più i risparmi accumulati, possono intraprendere il tradizionale tiyul shelach (viaggio dopo il servizio militare). Ogni anno, circa 40.000 veterani di guerra israeliani partono per viaggiare in America Latina, Africa e Asia. Questa è la dimensione potenziale della forza di hasbarà (propaganda pro-Israele) individuata dal capitano Gili Cohen. «L’idea era di utilizzare i backpackers come infrastruttura necessaria per svolgere lavoro umanitario “blu e bianco” mostrando al mondo il vero Israele», ha detto a Enlace Judío. «Volevamo creare un dibattito diverso su Israele. Volevamo fare una buona opera ebraica, e allo stesso tempo fare hasbarà per il paese, ma in modo diverso». Attraverso i social media, annunciano i loro progetti, che possono svolgersi in popolazioni di Etiopia, India o Argentina, per formare un “gruppo che si offre come volontario in uno dei quartieri più degradati della città, generalmente nelle scuole dove insegnano di tutto”. “Uno degli aspetti unici del programma è che è così redditizio”, sottolinea Enlace Judío. “Dato che fa parte del viaggio dei giovani all’estero, in nessun caso è necessario acquistare loro i biglietti aerei”. L’organizzazione “deve solo fornire loro alloggio e cibo per due settimane e mezza. Di conseguenza, con appena 11.000 dollari possono inviare una delegazione di circa 35 giovani israeliani altamente motivati a lavorare nei quartieri poveri di Mumbai”. “La direzione della scuola, gli insegnanti, i genitori e i bambini sono molto consapevoli che i volontari sono israeliani, perché portano una bandiera israeliana sulla manica della camicia e, sulla schiena, il nome di un soldato caduto nell’operazione Margine Protettivo, che dà il nome alla loro delegazione”. Tra le motivazioni dei volontari — ha aggiunto il portale di notizie — c’è il fatto che sono “soldati appena congedati che hanno visto la natura etica delle FDI (l’esercito israeliano), a differenza di quanto spesso viene presentato dai media internazionali, e vogliono mostrare al mondo un altro volto dei soldati delle FDI”. Con questo modello così redditizio sia dal punto di vista economico che politico, aspirano a crescere: attualmente inviano 16 delegazioni all’anno, ma “entro la fine del 2030 l’organizzazione invierà 30 missioni umanitarie a 30 paesi in via di sviluppo ogni anno”, perciò, dicono sul loro sito web, “sarà conosciuta da tutti i veterani delle Forze di Difesa Israeliane (FDI) e posizionerà Israele come leader mondiale nell’aiuto umanitario. Come parte dell’organizzazione degli ex membri dell’associazione, migliaia di laureati saranno reclutati”. -------------------------------------------------------------------------------- L'articolo Che ci fanno i soldati israeliani nelle scuole del Chiapas? proviene da Comune-info.
Quel deserto chiamato pace
Si vis pacem para bellum: se vuoi la pace prepara la guerra. La pace di chi la persegue in questo modo non è altro che guerra. In questa sequenza: riarmo, guerra, vittoria, imposizione delle proprie condizioni al nemico vinto, oppure sterminio. Anche questo è uno dei tanti modi di chiamare la pace: Solitudinem faciunt, pacem appellant (Tacito),  fanno un deserto e lo chiamano pace. Questo modo di perseguire la pace si chiama anche deterrenza: armarsi fino ai denti per essere più forti del “nemico”, il quale si armerà anche lui di più per sentirsi più forte: una spirale senza fine. O meglio, con una fine scontata: la guerra, la messa alla prova delle armi di cui ci si è dotati. Deterrenza, lo dice la parola, significa tenere a bada il nemico con il terrore. Gli Stati che promuovono o praticano questa “dottrina” sono, per forza di cose, terroristi: usano le armi per terrorizzare il nemico e costruiscono un mondo fondato sul reciproco terrore. L’altro “terrorismo”, quello messo al bando dagli Stati, ne è solo una parziale imitazione. L’unica vera deterrenza dovrebbe essere l’orrore per quello che è già successo: la Shoah, Hiroshima. “E’ successo, potrebbe succedere di nuovo!”. Sta succedendo. La pace perseguita preparando la guerra la stiamo vivendo: innanzitutto con lo spostamento di risorse dal welfare alle armi, violando quello che fino a poco fa era la linea rossa invalicabile per tutti gli Stati dell’Unione Europea: finanziare il welfare a debito. Contando sul fatto che chi “ha dichiarato guerra all’Europa” (la Russia, per Readiness 2030, documento approvato dal Parlamento Europeo), prima di attaccarci aspetterà comunque che noi si sia pronti. Anche la deterrenza ha le sue regole… Ma c’è di peggio: il clima asfissiante di ostilità, bellicosità, paura, insicurezza, militarismo promosso per sostenere quei preparativi, dove si ritrovano tutti gli stereotipi di una retorica grottesca che la guerra in Ucraina ha riportato in auge: gloria, eroismo, valore, onore, sacrificio, tutto ovviamente ricondotto all’ambito militare. Un’aggressività e uno spirito di competizione, un disprezzo per “il nemico” che mette fuori gioco ogni desiderio e aspirazione alla solidarietà, alla fratellanza, alla sorellanza, alla cooperazione, alla condivisione. Ma il risultato è l’abbandono definitivo della lotta per il clima, degli obiettivi del vertice di Parigi, della conversione ecologica, del green deal – o di quello che ne era rimasto dopo il suo spolpamento – del rispetto e della cura quotidiana del proprio territorio. Perché la guerra è un’aggressione diretta non solo contro “il nemico”, ma anche, e soprattutto, contro le basi stesse della nostra esistenza: l’integrità del pianeta, la sua e la nostra vita. La pace, invece, quella vera, quella che tutti vorrebbero, soprattutto dopo aver sperimentato la guerra – come dimostra il reclutamento dei soldati in Ucraina, passato in pochi anni da uno slancio generoso e volontario a una caccia feroce, ma, pur sapendone poco, il rifiuto di arruolarsi non è certo minore in Russia – la pace vera è il contrario di tutto ciò che il “prepararsi alla guerra” trascina con sé. E’ innanzitutto pace con la Terra, con il suolo, l’aria, le acque, la “natura”, l’insieme di tutte le cose di cui anche noi siamo fatti. E dentro questo approccio, che è vero amore di sé inteso come amore della vita e di tutto ciò e di tutti coloro che ne partecipano, c’è posto per tutto ciò che ne costituisce gli ingredienti indispensabili e che la guerra risucchia nel suo vortice: l’umiltà di chi si riconosce parte di un tutto, la solidarietà (che una volta si chiamava internazionalismo proletario), la condivisione, la fratellanza e la sorellanza, la cura di sé e del prossimo attraverso cooperazione, lotta contro le diseguaglianze, rispetto delle differenze. E poi bellezza, cultura, istruzione, talento, salute, casa, mobilità, tempo da dedicare a figli e figlie, mogli e mariti, genitori e nonni, compagni e compagne, amici e amiche. Ci troviamo nel bel mezzo di uno scontro di civiltà: non tra capitalismo e comunismo o tra progresso e stagnazione, non tra illuminismo e oscurantismo o tra Cristianesimo e Islam e meno che mai tra Occidente e Oriente o tra democrazia e autocrazie, bensì tra civiltà della cura e cultura della distruzione. Bisogna saper ripartire da qui, dagli “elementari”. La pace di chi la persegue con le “armi della pace” è invece la valorizzazione di ciò che accomuna avversari e contendenti e la messa al bando non delle differenze, ma di ciò che esclude, di ciò che contrappone. E’ il potenziamento delle mediazioni, della diplomazia, della cooperazione, la creazione di corpi di pace: una strumentazione che richiederebbe almeno tante risorse quante ne vengono oggi dissipate per produrre o comprare armi. Guido Viale
Bari, intere scolaresche al Villaggio Esercito per propaganda di guerra
Come è accaduto a Roma, a Firenze, a Gioia del Colle e in tutte le città in cui si mette in scena questa muscolosa prova di forza, con annessa retorica sulla difesa, sull’aiuto delle forze armate in caso di emergenza, sulle “missioni di pace” dell’esercito in giro per il mondo, anche in questo caso sono le maestre, senza alcuna vergogna, a Bari a condurre gli alunni e le alunne al Villaggio Esercito a contatto con carri armati, elicotteri da guerra, droni e cani artificiali da guerra. E ancora una volta, come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ci interroghiamo sul valore pedagogico e didattico di queste visite; ci chiediamo come sia possibile farsi incantare da attrazioni come il veicolo blindato Centauro2, il VTMM Ordo, l’elicottero AH129 Mangusta, un simulatore di volo e numerosi assetti EOD (Explosive Ordinance Disposal). Assistiamo ancora una vola imbelli e disarmati a questo assedio nelle nostre città, addirittura di quattro giorni a Bari, in cui si cerca di convincere i bambini e le bambine che le forze armate portino la pace, mentre, invece, bisognerebbe raccontare ai/alle più giovani di tutte le volte che l’esercito è intervenuto, senza l’egida dell’ONU, ma in seno all’alleanza più guerrafondaia mai esistita, cioè la NATO, per destabilizzare e rovesciare regimi, seminando morte ovunque. Del resto, in un momento storico che vede il riarmo dell’Europa per compiacere l’alleato americano contro la presunta minaccia costituita dalla Russia e dallo jihadismo islamico; in un contesto che legittima la violenza perpetrata dal nostro alleato Israele contro la popolazione civile palestinese, falcidiata da quello che si palesa sotto gli occhi di tutti e tutte come un genocidio; in uno scenario che prevede per questi ragazzi e queste ragazze il ritorno della leva obbligatoria per ingaggiare nuovi conflitti (come abbiamo spiegato qui), portare i bambini e la bambine a giocare e divertirsi con gli strumenti di guerra e di morte rasenta non solo la beffa, ma l’idiozia di adulti e di insegnanti che diventano complici dell’erosione del futuro dei giovani, abbandonandoli ad un destino di distruzione totale. Come Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università restiamo basiti e spaventate davanti alle foto di maestre che sorridono mentre si sta scrivendo la pagina più brutta della loro scuola. Chiediamo, pertanto, ai genitori di opporsi a queste iniziative, essi ne hanno facoltà e per questo l’Osservatorio ha messo a disposizione una serie di mozioni all’interno del Vademecum contro la militarizazione. In fondo, non ha detto il ministro Giuseppe Valditara che occorre il consenso dei genitori per determinate iniziative scolastiche? Ebbene, cominciamo proprio con l’opporci come docenti, come genitori e come studenti e studentesse a tutte le iniziative di propaganda bellica e a tutte le retoriche occidentaliste che cercano di costruire il nemico per le guerre che ingaggeremo domani. Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università