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GERMANIA: “NON SIAMO CARNE DA CANNONE”, SCIOPERO STUDENTESCO CONTRO IL SERVIZIO MILITARE. IL BUNDESTAG APPROVA LA LEVA
Nuova giornata di sciopero contro il servizio militare da parte di studenti e studentesse tedeschi, mentre si votava nelle aule del Bundestag la riforma della leva del governo di Friedrich Merz. Approvata, nella tarda mattinata di venerdì, la leva militare che resta volontaria, ma tutti i giovani di sesso maschile tedeschi saranno obbligati a rispondere ai formulari dell’esercito e sottoporsi alla visita di leva. 323 sì, 272 no e una astensione. Contro il riarmo, la guerra e la militarizzazione della società, studenti-esse portano avanti uno sciopero storico, visto che normalmente gli istituti superiori non sono attraversati da un particolare attivismo e protagonismo. La nuova legge del Governo tedesco, però, è riuscita a mobilitare oltre 100 piazze oggi. Il collegamento dalla mobilitazione studentesca a Berli con Ivana, studentessa italiana in Germania e della rete Youth Struggle. Ascolta o scarica.
Il primo sciopero dei rider di Lieferando a Berlino
«Nessuno dei migranti che sono qui oggi vuole lavorare in nero, vogliamo tutti un lavoro legale!», dice il rider dal microfono. Di fronte a lui, più di centocinquanta tra colleghi e sostenitori.  È il 23 ottobre, e a Berlino i corrieri di Lieferando sono per la prima volta in sciopero. Il giorno è piovoso, ma pochi dei presenti se ne lamentano. Con quel tempo di solito si lavora, si fanno consegne. La piccola folla di rider si è radunata di fronte alla sede centrale dell’azienda, 18mila metri quadrati in un mega-campus di soli uffici costruito sulla riva della Sprea, nel quartiere di Kreuzberg. Tanti vengono dal sudest asiatico o dai paesi arabi, gli interventi si fanno in inglese o in tedesco, uno viene tradotto anche in pangiabi. > Lieferando è in Germania la più grande azienda nel settore del food delivery. > Fondata nel 2009 come start up proprio a Berlino, si è ingrandita negli anni > fagocitando concorrenti e passando varie volte di mano. Appartiene a Just Eat > Takeaway.com, una multinazioanle con sede in Olanda e attiva anche in Italia > con il nome di Just Eat. Sul mercato tedesco, l’azienda si contende i profitti > con diverse altre piattaforme delle consegne a domicilio. Un settore che in Germania negli ultimi cinque anni anni è più che raddoppiato, dai 3,47 miliardi di euro del 2019 ai 7,40 del 2024. Di questi, 720 milioni sono stati incassati da Lieferando. Eppure, nonostante gli affari vadano bene, l’azienda ha annunciato già da mesi un piano nazionale di licenziamenti di massa. “Ristrutturazione”, nel linguaggio neutro del comunicato pubblicato a luglio dal management – almeno duemila rider che perderanno il posto di lavoro, in quello più crudo della vita di tutti i giorni. Ma il timore è che i numeri alla fine saranno ben più alti e che i licenziamenti coinvolgeranno tutti i corrieri. Lieferando guadagna soprattutto dalle commissioni su ogni ordine, lasciando il grosso del lavoro di consegna agli stessi ristoranti. L’azienda punta quindi ad alleggerirsi di quel poco di forza lavoro che ha ancora tra le mani: vuole appaltarla a ditte esterne, così da rendere la logistica «più agile ed efficiente», ovvero più economica. Un sistema, questo degli appalti a terzi, che è prassi nel mondo della piattaforme e che per i rider significa un azzeramento dei diritti conquistati e garantiti dalla legge tedesca: nessun contratto, nessuna assicurazione sanitaria in caso di incidente, nessun contributo pensionistico versato, nessun giorno di vacanza, pagamenti a cottimo al di sotto del minimo salariale. Nella Germania delle regole, dello stato sociale e della legalità, questo buco nero di sfruttamento è sotto gli occhi di tutti. Un’inchiesta della televisione pubblica ARD andata in onda ad agosto era riuscita a documentare le condizioni di lavoro a Fleetlery, una delle ditte a cui le piattaforme di food delivery esternalizzano consegne e rider. Fleetlery funziona con una app, pagando 50 euro puoi entrare e cominciare subito a lavorare come corriere. Le comunicazioni vengono gestite in gruppi WhatsApp, non ci sono orari fissi o pause, chi non va online e non dà disponibilità viene semplicemente bloccato e non riceve più consegne. I pagamenti avvengono in contanti ogni due settimane, le buste con i soldi vengono consegnate negli angoli delle strade o dei parchi. CAPITALISMO DELLE PIATTAFORME E IL SISTEMA DI ANTICORPI TEDESCO Lo sciopero dei rider a Berlino è stato solo l’ultimo di una serie di mobilitazioni chiamate dal sindacato della gastronomia NGG contro Lieferando. Ad Amburgo, Francoforte, Darmstadt, Dortmund, Hannover, Göttingen, Braunschweig, Colonia, Stuttgart Bonn – in città tedesche grandi e piccole i rider hanno incrociato le braccia e sono scesi in strada. Oltre a protestare contro i recenti licenziamenti, la NGG chiede dal 2023 un miglioramento delle condizioni lavorative e un contratto di categoria che preveda almeno 15€ l’ora, contro l’attuale minimo salariale di 12,82€, ma l’azienda si è sempre rifiutata di sedersi al tavolo negoziale. A Berlino, parlamentari della Linke e dei Verdi e l’assessora per il lavoro della SPD hanno partecipato alla sciopero ed espresso solidarietà ai corrieri. Mentre la ministra federale del lavoro, la socialdemocratica Bärbel Bas, aveva incontrato già a settembre i rappresentanti dei rider, dicendosi preoccupata e promettendo misure rapide per contrastare l’illegalità, come più controlli. Che possa essere una soluzione, non è sicuro: le stesse ditte a cui viene appaltata la logistica sono spesso fondate usando prestanome, durano un paio di anni e, appena le autorità si fanno più pressanti, dichiarano insolvenza e svaniscono. > L’attenzione della ministra mostra però l’importanza della posta in gioco. È > da anni che il capitalismo delle piattaforme ha imposto rapporti di lavoro > sregolati, precari e autoritari. Il grado di sfruttamento, soprattutto delle > persone migranti, è altissimo. E la Germania non fa eccezione. Il report stilato per quest’anno dal progetto internazionale di ricerca Fairwork sulle condizioni lavorative in questo settore del mercato tedesco conferma lo scenario, riconoscendo addirittura un peggioramento dovuto proprio al sistema di esternalizzazione e appalti. In questa giungla di illegalità diffusa, Lieferando rappresentava almeno fino a poco tempo fa un’eccezione. Nonostante molti altri e gravi problemi (tracciamento dei rider, ore di lavoro non pagate, union busting), i contratti diretti a tempo indeterminato con l’azienda hanno dato negli ultimi anni respiro ai corrieri. di Fabio Angelelli I rider, in più di 20 città, sono riusciti a fondare consigli dei lavoratori – i Betriebsräte, organi elettivi di cogestione aziendale previsti dalla legge tedesca, indipendenti dal sindacato, attraverso cui i dipendenti possono aver voce su molti aspetti della propria vita lavorativa come turni, regole o sicurezza sul lavoro. I consigli sono, in Germania, uno dei perni tanto del diritto del lavoro quanto della lotta sul lavoro, ma necessitano appunto di condizioni contrattuali relativamente stabili e, soprattutto, chiare. Con il passaggio di Lieferando al modello degli appalti, la più importante azienda di food delivery si prepara a smantellare una delle ultime isole di legalità nell’economia tedesca delle piattaforme. Dopo, anche l’ultima foglia di fico sarà caduta. «I consigli dei lavoratori, i sindacati e in casi di dubbio le autorità di controllo dello stato costituiscono il sistema di anticorpi tedesco contro lo sfruttamento» – riconosce Veit Groß, segretario della NGG. «Ma il modello di appalti impedisce proprio l’organizzazione di lavoratori e lavoratrici, è come se il sistema immunitario non funzionasse, perché il corpo è già in partenza malato. In Germania non esiste nemmeno un ispettorato nazionale del lavoro come in Austria e in Polonia, una differenza che rende estremamente facile per queste ditte aggirare il diritto del lavoro tedesco», continua. L’unica possibilità è che la politica vieti del tutto il sistema di esternalizzazioni, come è già successo nel 2021 nel settore di produzione della carne. Questo chiede anche la NGG. L’anno scorso l’Unione Europea ha emanato una direttiva sul miglioramento delle condizioni di lavoro nelle piattaforme digitali che prevede, tra l’altro, l’obbligo di assunzione diretta dei rider. Nessuno degli stati membri l’ha finora recepita, la scadenza è alla fine del 2026. Il rischio, dice Groß, è quello della «metastasi»: che cioè anche altre aziende in altri settori utilizzino le stesse pratiche per togliere di mezzo i sindacati. AUTO-ORGANIZZAZIONE MIGRANTE: LIEFERANDO WORKERS COLLECTIVE Nel consiglio dei lavoratori di Lieferando a Berlino, in 15 dei 19 seggi siedono membri del Lieferando Workers Collective (LWC). Il collettivo, migrante e internazionale, è stato fondato nel 2021 da rider che provenivano da diverse esperienze di lotta, chi in altre aziende del food-delivery, chi nei movimenti sociali. Alcuni erano membri della NGG, altri no, e insieme si sono organizzati autonomamente, al di là delle strutture sindacali. Allora c’era ancora l’idea, nei sindacati tedeschi, che una forza lavoro migrante fosse difficilmente organizzabile. «Credo che fosse un senso di impotenza e anche una riluttanza ad accettare davvero questa novità», ricorda Moritz, tra i fondatori del collettivo. > Nel giro di un anno, il LWC ha indetto e vinto le elezioni del consiglio, > mostrando il contrario di quanto il sindacato credeva. Oggi, è un esempio di > come può funzionare in Germania l’organizzazione in settori di lavoro > migrante, precario e atomizzato. Oltre a sostenere le lotte dei corrieri che lavorano per altre aziende, a combattere dall’interno del consiglio le battaglie sulle concrete condizioni di lavoro a Lieferando, oltre a offrire consulenza legale, a tenere corsi di formazione, a promuovere il processo di sindacalizzazione, il collettivo ha lavorato molto sul creare un rapporto di fiducia quotidiano con colleghi e colleghe. «Da tempo stiamo cercando di avvicinarli a diverse forme di protesta», racconta Moritz. Ridurre la produttività, darsi malati, partecipare alle assemblee chiamate dal consiglio (che in Germania sono pagate come tempo di lavoro): «Questo è già uno sciopero, perché si smette di lavorare. Non dobbiamo aspettare il sindacato», spiega, «quello che importa è stimolare la conflittualità e la resistenza, abituarsi a pensare se lavorare per il capo o contro il capo». È a partire da questa base, frutto di un lungo e costante lavoro di base, che il LWC ha organizzato a Berlino la giornata di protesta della scorsa settimana chiamata dalla NGG, mobilitando con telefonate e messaggi WhatsApp a tappeto una forza lavoro che resta comunque frammentata, preparando striscioni, curandosi degli aspetti tecnici, dei social media, dei contatti con la stampa. L’obiettivo – attirare l’attenzione di media e politica – sembra essere riuscito. «Ma credo che il successo non vada misurato solo sul terreno delle conquiste all’interno dell’azienda – dice Moritz – Le lotte sul lavoro, i consigli dei lavoratori, i sindacati rappresentano e hanno rappresentato per i colleghi migranti un potenziale di integrazione e partecipazione incredibile. C’è chi ha imparato il tedesco, chi a parlare con i giornalisti, chi con i politici, e chi, piano piano, è riuscito a stabilizzare la propria vita». Come Samee, che viene dal Pakistan ed è laureato in ingegneria meccanica. È arrivato in Germania nel 2013, facendo poi richiesta di asilo. Lavora per Lieferando dal 2020, è uno dei volti del collettivo e da anni a Berlino sostiene le lotte delle persone della sua comunità nel settore delle consegne a domicilio. Da pochi giorni ha finalmente ottenuto la cittadinanza tedesca. «Le battaglie per le persone migranti sono battaglie che riguardano tutti. Dovremmo aver imparato dalla storia europea come funziona questo sistema: prendono di mira una minoranza, poi passano a un’altra, poi a un’altra ancora. Quando finiranno, arriveranno anche a voi». La copertina è di Fabio Angelelli SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Il primo sciopero dei rider di Lieferando a Berlino proviene da DINAMOpress.
Protesta di massa e movimento per la liberazione della Palestina a Berlino
I due anni di genocidio a Gaza si sono compiuti con la totale complicità della Germania: dalle istituzioni, ai mass-media, dalle università, alle imprese, il tutto nel totale silenzio della stragrande maggioranza della società. Un silenzio rotto solo a sprazzi, come quando a fine giugno, 60mila persone provenienti da diverse città si radunarono di fronte al Bundestag per chiedere la fine del genocidio e del sostegno militare tedesco a Israele. Una manifestazione organizzata dalla comunità palestinese, senza l’appoggio di partiti o organizzazioni non governative. A tre mesi di distanza e migliaia di vittime civili in più, qualcosa si è nuovamente mosso. Il 27 settembre, il centro di Berlino ha visto sfilare la più grande manifestazione di massa del Paese in solidarietà con la Palestina. 100mila persone hanno risposto alla chiamata nazionale di una decina di personaggi pubblici, membri di associazioni palestinesi, ma anche israeliani e tedeschi – giuristi, scrittori, sindacalisti, attori, musicisti, politici del partito di sinistra die Linke: Zusammen für Gaza, insieme per Gaza, per chiedere nuovamente di fermare il genocidio, l’invio di armi a Israele, l’occupazione illegale, la cacciata dei palestinesi dalla loro terra e per permettere l’ingresso di aiuti umanitari. Il corteo è partito da Alexanderplatz in direzione della Porta di Brandeburgo, ha continuato dritto sulla Straße des 17. Juni e raggiunto infine il palco del presidio All eyes on Gaza, dove si è tenuto un concerto organizzato anche da Amnesty International e Medico International. Dal palco, Based Said, educatore e attivista della comunità palestinese di Berlino, tra i promotori della giornata, ha parlato di un «momento storico”» di un modo «per rendere visibile la nostra resistenza», di «uno scudo contro il silenzio» ringraziando tutti coloro che dal primo giorno sono scesi in strada per protestare contro il genocidio. > «Quello che succede a Gaza non è una spirale di violenza, non è un dilemma. È > colonialismo nella sua forma peggiore. È la distruzione sistematica di un > popolo pietra dopo pietra, corpo dopo corpo, memoria dopo memoria. E il > governo tedesco è nel mezzo di questa distruzione, in ogni pietra, in ogni > vita». Un’altra promotrice, Imam Abu El Qomsan, ingegnera di origine gazawa con più di 80 parenti fatti a pezzi dalle bombe nella Striscia, ha ripercorso il filo che lega la Nakba al genocidio in corso: «Ogni generazione della mia famiglia è passata dalla stessa ferocia. Nessuna è stata risparmiata». «Impressionante», ha infine commentato a tarda serata la co-segretaria della Linke Ines Schwerdtner guardando al numero delle e dei partecipanti. Per la sinistra parlamentare tedesca, la manifestazione è stata la prima in solidarietà con la Palestina sostenuta e organizzata apertamente da alcuni vertici nazionali – non tutti. Sulla questione, il partito ha infatti una storia imbarazzante di tentennamenti, timide prese di posizione e tendenze sioniste. > In una risoluzione dell’ottobre 2024 in cui chiedeva un cessate il fuoco a > Gaza, il riconoscimento della Palestina e una soluzione a due Stati, la Linke > si affrettava a definire l’esistenza di Israele una «necessità storica», > conseguenza diretta dell’Olocausto. Ma i recenti successi elettorali, il boom di giovani iscritti e i volti nuovi in parlamento hanno anche acceso un conflitto interno che si sta ancora consumando, tanto alla base quanto ai piani alti. Nel maggio di quest’anno il congresso del partito ha adottato una definizione di antisemitismo meno rigida rispetto a quella vigente in Germania, una decisione presa comunque con una stretta maggioranza e criticata dall’altro co-segretario, Jan Van Aken. Pare che la stessa Schwerdtner, fischiata dalla folla in un discorso tenuto durante la manifestazione del 27 settembre, abbia finalmente per la prima volta usato la parola “genocidio”, scusandosi per il lungo silenzio del suo partito. Tuttavia, la presenza della Linke e di grandi ONG istituzionali come Amnesty ha diviso il movimento pro-Palestina, che da due anni a questa parte non ha invece mai smesso di scendere in strada al grido di “stop al genocidio”, subendo soprattutto a Berlino una repressione e criminalizzazione sistematiche. di Magdalena Vassilleva Nella sola capitale tedesca, dal 7 ottobre 2023 sono 10mila i casi relativi alla Palestina oggetto di indagine da parte di polizia, diverse centinaia finiti in tribunale, casi che includono la persecuzione della frase «dal fiume al mare Palestina sarà libera», simboli come il triangolo rosso e il pugno con la bandiera palestinese, arresti immotivati  durante le proteste con accuse poi di “resistenza” o “insulti  a pubblico ufficiale”, attività sui social media. Una parte del movimento ha riconosciuto il potenziale ruolo strategico nel partecipare alla protesta di massa per portare un chiaro messaggio anti-coloniale e anti-imperialistico. Un’altra parte ha invece fermamente condannato la manifestazione, indicendo quella autonoma United until total liberation – fight normalization, contro «il vago linguaggio umanitario e le condanne vuote» di istituzioni e organizzazioni non governative, in solidarietà con il  popolo palestinese e ogni sua forma di resistenza contro il genocidio, il colonialismo di insediamento e l’apartheid. Duemila manifestanti hanno percorso i quartieri di Kreuzberg e Neukölln, attraverso il cuore della comunità araba e turca, un corteo contraddistinto dalla sua “diversità”, e composto per la maggior parte della comunità marginalizzata araba e musulmana, da migranti e queer. > Due proteste contemporanee, a pochi chilometri di distanza l’una dall’altra, > ma distanti nelle realtà che hanno vissuto. Sono stati in totale 1800 gli > agenti impiegati nella giornata del 27 settembre, metà dei quali stanziati nei > quartieri arabi, nonostante i numeri incomparabilmente più bassi di > partecipanti al secondo corteo. I “buoni” da una parte, i “cattivi” dall’altra. In diretta dalla manifestazione di massa, la portavoce della polizia l’ha descritta come «pacifica», contando 30 fermi, di cui 20 per un’azione in cui sono state scritte con la vernice nomi di martiri palestinesi sull’asfalto. Il corteo United until total liberation è stato invece pesantemente sorvegliato e attaccato dalla polizia. Centinaia, come si è detto, gli agenti in tenuta antisommossa ad affiancare e filmare lungo i lati, decine i  furgoni della polizia alla testa e alla coda della manifestazione. L’intenzione era chiara: reprimere, criminalizzare, intimidire. Più volte e senza preavviso gli agenti si sono fatti strada tra i manifestanti a pugni e spintoni per effettuare arresti, immobilizzando e schiacciando persone a terra per poi brutalmente trascinarle via. Ad appena due ore dalla partenza e a neanche metà percorso la polizia ha infine sciolto il corteo  prendendo a pretesto per il lancio di un fumogeno. I manifestanti si sono rifiutati di abbandonare le strade e la violenza non ha fatto che crescere. Alla fine sono stati 52 gli arresti documentati. Diverse persone hanno riportato ferite e avuto bisogno di cure mediche, mentre sei sono state trattenute  e rilasciate solo nella notte. La maggior parte dei fermi sono stati effettuati con false accuse o senza alcuna accusa: nonostante diverse sentenze abbiano confermato che lo slogan «Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera» sia protetto dalla libertà di espressione, la polizia di Berlino continua a usarlo come pretesto per la repressione. di Magdalena Vassilleva Ma d’altra parte questa repressione è il segno di come un movimento organizzato, attivo e con chiari contenuti politici faccia paura: si tenta di dipingerlo come violento e criminale così da intimorire chi voglia parteciparvi e si prova a stroncarlo con punizioni esemplari (arresti violenti, perquisizioni di case, fogli di via e divieti di partecipare a manifestazioni, licenziamenti, censura) per fare in modo che altri desistano dal continuare. Eppure, nonostante tutti gli sforzi degli apparati tedeschi, questi ultimi due anni hanno dimostrato che molte delle persone scese in piazza per la Palestina ancora prima del 7 ottobre sono ancora lì, più determinate che mai. Le immagini e i filmati delle mobilitazioni dell’Italia fanno sognare in Germania, ma nessuno si aspetta che si possa  mai raggiungere un tale livello di conflitto sul suolo tedesco. Qui la legge vieta lo sciopero politico, consentendolo solo all’interno della contrattazione sindacale per il salario. Per questa ragione, scioperi generali organizzati dai sindacati per fermare il genocidio restano purtroppo solo un miraggio. Sindacati che, per di più, in Germania non nascondono la loro vicinanza a Israele: quest’anno la Confederazione dei Sindacati Tedeschi (DGB) ha festeggiato i 50 anni di cooperazione con l’Histadrut, la storica organizzazione sindacale del movimento sionista. Infine, anche i movimenti studenteschi per la Palestina, che hanno occupato aule ed edifici delle varie università, non sono riusciti a propagare la protesta tra gli altri studenti o il personale accademico. La solidarietà attiva per la Palestina nel concreto rimane nelle mani delle persone che fanno già parte di questo movimento. Molte più persone ora ne parlano, ma dopo la protesta di massa del 27 settembre ci si chiede quante di quelle 100mila persone torneranno semplicemente a vivere la propria quotidianità con la coscienza in pace per aver protestato una singola volta contro il genocidio a Gaza, e quante invece si aggregheranno al movimento in solidarietà con la Palestina. > I numeri e le masse fanno notizia e fanno sperare, ma una parata di persone e > cartelloni da Alexanderplatz a Großer Stern non riuscirà a scalfire il corso > della politica tedesca, se resterà una mobilitazione relegata a una sola > giornata. Giovedì 2 ottobre, il giorno dopo la cattura della Global Sumud Flottilla da parte dell’esercito israeliano, ad Alexanderplatz c’erano solo poche migliaia di partecipanti al presidio in solidarietà alla missione. «Dove sono quelle 100mila persone?», si chiedeva uno degli organizzatori. Verso la fine del presidio, i manifestanti hanno bloccato i binari del tram e la strada, rifiutandosi di lasciarela piazza. Diverse decine gli arresti, diversi i feriti, ma la protesta è continuata per un paio d’ore. C’è differenza tra fare una parata e prendersi quotidianamente le strade per la Palestina, con continui atti di disobbedienza. Disobbedienza contro la censura che vorrebbe impedire slogan come «gloria alla resistenza palestinese» e «dal fiume al mare la Palestina sarà libera», disobbedienza contro le assurde regole di piazza imposte dalla polizia, contro i divieti e gli scioglimenti arbitrari dei cortei. Disobbedire è al momento una delle azioni più concrete che si possa fare in Germania. Per una Palestina libera, dal fiume al mare. L’immagine di copertina è di Magdalena Vassilleva SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Protesta di massa e movimento per la liberazione della Palestina a Berlino proviene da DINAMOpress.
BERLINO PER GAZA
Grande manifestazione a Berlino «Insieme per Gaza», ovvero «contro il genocidio»: sono i due slogan del corteo che ha riunito a Berlino almeno 60 mila manifestanti non più disposti a sopportare la complicità del governo Cdu-Spd ai crimini di Nethanyahu. Finalmente nel paese dove la ragione di stato pro-Israele vale più della legge si è […]
Berlino – il Queer Pride che provoca
Non una sfilata, non una festa. Sabato 26 luglio, più di 20.000 corpi queer, trans, migranti e ribelli hanno invaso le strade di Kreuzberg per l’Internationalist Queer Pride (IQP). Una marea insubordinata ha trasformato la città in un palcoscenico di resistenza globale, scandendo un messaggio potente e inequivocabile: “No Pride in Genocide”. In netta rottura con l’organizzazione della CSD – il Christopher Street Day, evento promosso da media e dai partiti mainstream per celebrare l’orgoglio LGBTQIA+ e sostenere invece tra le righe il genocidio, l’apartheid e il capitalismo con una sfilata di carri sponsorizzati dalle grandi multinazionali – l’IQP ha scelto di attraversare le strade di Kreuzberg, con una forza straripante supportata dalla numerosa resistenza queer, trans e migrante. In questo quartiere a maggioranza musulmana e araba, l’Internationalist Queer Pride non ha chiesto diritti, ma reclamato giustizia, non ha cavalcato le prime pagine dei giornali tedeschi ma ha alimentato in maniera collettiva un’integrazione e un’intersezionalità delle lotte che dovrebbe essere la base del concetto di accettazione e convivenza. Questo Queer Pride sudato e comunitario ha dato, seppur sotto gli abituali attacchi violenti della polizia, una speranza a chi ancora crede sia possibile la distruzione dell’ipocrisia tedesca, soprattutto quando si parla di condanna al genocidio e di sostegno alla Palestina. Di Zaira Biagini CONTRO IL PINKWASHING E L’IMPERIALISMO Mascherarsi dietro una finta inclusività — selettiva, bianca e privilegiata — è il grande inganno delle istituzioni tedesche. Lo stesso Stato che si proclama paladino della diversità e della libertà, attacca quotidianamente il diritto all’espressione e alla manifestazione, soprattutto quando a parlare sono le comunità palestinesi. Berlino si vende come città “multiculturale”, mentre contribuisce attivamente al genocidio in corso a Gaza. Un paradosso grottesco: si celebra la tolleranza e l’inclusione, mentre si impone la Staatsräson – la “ragion di Stato” – come dogma indiscutibile, si gentrificano interi quartieri in nome del capitalismo e si zittiscono le voci dissidenti. In questo contesto, la retorica dell’integrazione serve solo a coprire l’esclusione sistematica di chi rifiuta di piegarsi al consenso imposto. > Anche quest’anno l’IQP ha intrecciato queste lotte, comunità e memorie in > un’unica, potente voce collettiva. Un corteo che non si è limitato a > celebrare, ma ha scelto di resistere, denunciare, costruire legami e visioni > comuni. In testa, il blocco palestinese seguito dalla resistenza Queer Curda, dal Bloque Latinoamericano al Disability Justice bloc, Queer anti-imperialist Asian, dall’Armenian bloc e dal Central and North Asia bloc. Presenti anche il Queer Vegan Liberation bloc, il Black Resistance, lə Sex Workers, lə Drag Queen e Kings, il blocco Queer Anarchico, Queer Afghanistan, Transfem bloc, il blocco Queer SWANA & Arab e, insieme a tuttə, lə Antifascistə. Un mosaico vivo, rumoroso, unitə. Un fronte Queer che rifiuta la narrazione dominante, respingendo ogni tentativo di pinkwashing e che, con voce ferma e corale, sostiene che nessuna liberazione è reale se si costruisce sui corpi altrui. Di Alessia Cocca Di Zaira Biagini LA REPRESSIONE PARLA CHIARO: IL NEMICO È CHI DENUNCIA La scusa del senso di colpa nazista non regge più. Neppure quella della difesa incondizionata a Israele può più essere ancora usata per giustificare l’indifendibile. Siamo ormai davanti a una piena complicità con il Sionismo, che si traduce in profitti militari, economici e vantaggi geopolitici costruiti sulla normalizzazione di un genocidio in corso, sistematicamente occultato dietro l’accusa strumentale di antisemitismo. La Berlino istituzionale ha paura di chi la costringe a guardarsi allo specchio. Il blocco palestinese anche questa volta non ha festeggiato sotto bandiere arcobaleno sponsorizzate Coca-Cola. Il blocco palestinese continua a non accontentarsi solamente di spazi sicuri in città, ma esige la fine dell’apartheid e la liberazione totale del proprio popolo, in ogni strada, in ogni angolo, senza pace, senza freni. Per questo continua a essere bersaglio della violenza di Stato ogni maledetto sabato. Il 26 luglio non è stato l’ennesimo evento da vetrina occidentale ma una dichiarazione di resistenza volontaria a ogni forma di oppressione di chi sostiene che non ci sono né orgoglio, né diritti, finché un popolo viene affamato e bombardato con la complicità dell’Europa. > In prima linea un messaggio chiaro: è urgente fermare il genocidio israeliano > a Gaza, senza perdere ulteriore tempo. La libertà è tale solo se condivisa. Le strade di Berlino hanno urlato forte e chiaro la loro estraneità alle decisioni della politica tedesca: dalle esportazioni di armi all’alleanza politica incondizionata con Israele, alle deportazioni, alle perquisizioni in casa di attivistə, alla criminalizzazione di chi osa essere solidale. L’IQP è stato solo l’ennesimo episodio in cui la Polizei berlinese ha messo in atto la sua brutalità senza fare sconti a nessunə. Corpi queer, anzianə, minorennə, disabilə, e nel paradosso anche chi indossava un triangolo rosa. Un simbolo nato dalla persecuzione nazista contro le persone queer, cucito sugli abiti dei prigionierə nei lager per marchiarlɜ come “deviantə”, che è stato riappropriato come segno di resistenza. E oggi, torna a essere criminalizzato e vietato, se di colore rosso, perché collegato ad Hamas. La banalità del male in questo paese delirante non è più una memoria del passato: è diventata prassi quotidiana. La Germania si conferma attrice diretta dell’oppressione e braccio operativo della violenza coloniale. Di Alessia Cocca LE STRADE SICURE LE FANNO I CORPI QUEER CHE LE ATTRAVERSANO Da Südstern fino a Kottbusser Tor, ogni blocco ha pulsato con la Palestina nel cuore. I cori risuonano tra i palazzi, gli striscioni si muovono sull’asfalto, i passi creano ritmo. È una marcia viva, quella linea di corpi che attraversa la città con determinazione. Ogni metro racconta una storia di resistenza, ogni volto porta con sé una verità che non si vuole più nascondere. Molte persone si chiedono cosa vuol dire partecipare a una manifestazione nel blocco palestinese? Vuol dire appartenere all’unico blocco che verrà caricato. L’invito è a scendere in strada e sentire sulla propria pelle quello che succede, quando la marcia viene spezzata. Quando la polizia entra nella manifestazione come sempre: senza permesso, senza rispetto, con violenza cieca. Un’irruzione brutale, che trasforma lo spazio comune in un teatro di repressione. Si muovono tra di noi, gomiti alti, pugni in faccia, togliendo ossigeno. Le telecamere puntano sui nostri volti, gocce di sudore sotto i caschi chiusi dei poliziotti, inzuppati nel caldo di luglio. Nascosti dietro corazze nere imbottite, si muovono come automi in un sistema dove la coscienza non entra, ma l’odio filtra e agisce. > Lo scopo è intimidire, fare male. Quando il corteo parte, con ore di ritardo, > è chiaro il gioco di potere: logorarci, isolarci, impaurirci. Il messaggio è > diretto: a Berlino non si deve parlare di Palestina. Non oggi, mai. Gli agenti agitano lo spray al peperoncino in aria come minaccia costante. Volano pugni, calci, mani sui nostri colli. Strappano gli striscioni, sequestrano le bandiere. Fanno a pezzi la bandiera del Progress Pride con la stessa arroganza con cui sui social si raccontano come una forza di polizia “inclusiva”. Una messinscena che la strada smaschera. La violenza è priva di senso, come quella dell’8 marzo, come quella di ogni weekend dove si scende in piazza per la Palestina. Corpi calpestatə come i diritti che rappresentano. Trattatə come oggetti da disperdere, da spezzare. Nessunə viene rispettatə. Volano bottiglie e palloncini di vernice che esplodono sulla strada e sulle divise. La tensione è alta. La nostra autodifesa è la presenza, la solidarietà, lo sguardo lucido, la voce unita. Tuttə sotto lo stesso canto: «Ganz Berlin hasst die Polizei». E sì, è così. Loro odiano noi e noi odiamo loro. * * * * Di Zaira Biagini Una storia lunga quanto un genocidio. Ci stringiamo in una catena umana, a mani nude, contro un sistema armato di guanti imbottiti di sabbia e disprezzo in nome di un antisemitismo strumentalizzato. Ci soffocano in silenzio, senza nemmeno poter urlare. Questa è la nostra marcia. Anche quando ci vogliono zittə, anche quando ci vogliono invisibili. Camminiamo finché ci bloccano a metà percorso. La demo viene interrotta prima della fine, “troppo violenta”, “troppo caotica”, “troppo”. Siamo sempre troppo. > Ma era esattamente questo l’obiettivo. Spezzarci, impedirci di arrivare. > Eppure ci riusciamo lo stesso. Se ci colpiscono, è perché diamo fastidio. Se > ci reprimono, è perché siamo scomodə. Le casse della polizia gracchiano: «Achtung, Achtung, hier spricht die Berliner Polizei» – e inizia l’ assurdo. Ti picchiano se sei sulla strada, se non stai sul marciapiede, se non obbedisci. Se sei in più di cinque, se indossi una kefiah, se sei Palestinese, se sei queer, se respiri. Ti menano, se ti esprimi, se esisti. Al termine della manifestazione si contano 65 arresti, tra cui minorennə, persone anziane e cinque membrə del gruppo organizzatore. Medicə e paramedicə hanno dovuto intervenire su numerosə manifestanti feritə dalle cariche della polizia, colpitə al volto, all’addome, ai reni e alla nuca, con conseguenze gravi: emorragie, perdita di coscienza e, in un caso, una sincope. Anche il personale medico è statə ripetutamente brutalizzatə mentre tentava di soccorrere lə feritə. Quando lo Stato fallisce nel garantire il diritto all’espressione e alla protesta, le persone non solo possono, ma devono proteggersi a vicenda. Ed è proprio questo che hanno fatto 20.000 corpi pieni di amore e rabbia: si sono presə cura l’unə dell’altrə, insieme. Questa è Berlino, questa è la Germania. Dove continueremo ad urlare: «There can be no Queer liberation without Palestinian liberation». L’immagine di copertina è di Alessia Cocca SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Berlino – il Queer Pride che provoca proviene da DINAMOpress.
Il vento rivoluzionario del Primo Maggio attraversa Berlino
Il Primo Maggio è tradizionalmente uno dei momenti salienti della lotta di classe e del movimento comunista in Germania e quest’anno è stato dimostrato dall’alto numero di partecipanti alla manifestazione rivoluzionaria berlinese. A livello nazionale, la partecipazione alla manifestazione è cresciuta. Come ogni anno, la marcia più grande si è svolta a Berlino, con oltre 30.000 partecipanti, in aumento rispetto allə 11.000 dell’anno precedente, e la seconda più grande ad Amburgo, con circa 10.000 manifestanti. Questo sviluppo positivo è visibile anche in città più piccole, come Norimberga e Stoccarda. Le organizzazioni impegnate nella lotta di classe hanno organizzato azioni per il 1° maggio in oltre 40 città tedesche. Hanno partecipato a manifestazioni serali il giorno prima del 1° maggio, alla tradizionale manifestazione della DGB (Confederazione dei Sindacati Tedeschi) e alla manifestazione rivoluzionaria. Come ogni anno, la DGB ha organizzato la mattina del 1° maggio oltre 420 manifestazioni con circa 310.000 partecipanti in tutta la Germania. Lo slogan di quest’anno è stato “Aumentare i salari, abbassare gli affitti, creare la pace”. La manifestazione rivoluzionaria del 1° maggio è iniziata con un concerto e un presidio, durante il quale la presunta ex-membra della RAF (Frazione dell’Armata Rossa) Daniela Klette ha rivolto dal carcere femminile di Vechta un saluto di solidarietà a tuttə lə oppressə e lə sfruttatə, sia in libertà che in clandestinità. Young Struggle LA MANIFESTAZIONE È STATA UNA PROTESTA ANCHE CONTRO LA GUERRA E IL CAPITALE E HA ESPRESSO SOLIDARIETÀ CON LA PALESTINA E CON LƏ ANTIFASCISTƏ PERSEGUITATƏ I temi che hanno animato la manifestazione rivoluzionaria del 1° maggio di quest’anno sono stati i piani di militarizzazione e riarmo del governo, i conseguenti tagli, il coinvolgimento tedesco nel genocidio a Gaza, la solidarietà con lə antifascistə perseguitatə e imprigionatə, in particolare con quellə coinvoltə nei fatti di Budapest. Gli slogan “Free Maja” o “Free Zaid” hanno accompagnato la manifestazione. A Düsseldorf il consolato ungherese è stato bersagliato con sacchetti di vernice durante la marcia di protesta. In Ungheria, lə antifascistə come Maja sono sotto processo e altrə sono minacciatə di estradizione. Anche la violenza omicida della polizia commessa contro Lorenz, un giovane nero di 21 anni assassinato il 20 aprile a Oldenburg, è stata ripetutamente denunciata con discorsi, cartelli e striscioni. ALTRE STRATEGIE DI REPRESSIONE DELLA POLIZIA Sebbene durante la manifestazione del 1° maggio siano stati ripetutamente utilizzati fumogeni e fuochi d’artificio, il cui utilizzo è vietato in Germania, e siano stati urlati slogan criminalizzati in Germania, come “From the river to the sea, Palestine will be free” (Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera), la presenza e la violenza della polizia sono state contenute, fatta eccezione per l’attacco violento allə manifestanti del blocco Palestina. Tuttavia, il comportamento apparentemente pacifico della polizia durante la manifestazione è stato smentito dagli eventi avvenuti a seguito: un attacco brutale e illegale contro giovani e organizzazioni rivoluzionarie, che sono statə deliberatamente attaccatə e trattenutə dalla polizia in un centro di quartiere di Berlino-Neukölln mentre lasciavano la manifestazione. Intorno alle 22:00, la polizia ha forzato l’ingresso al primo piano del centro di quartiere, ma è stata costretta a indietreggiare lungo le scale in seguito alla rapida reazione dellə compagnə. Successivamente, la polizia ha utilizzato spray al peperoncino all’interno dell’edificio. Lə manifestanti sono quindi riuscitə a far uscire la polizia dalla tromba delle scale fino in strada, dove nel frattempo si era riunita una manifestazione di solidarietà. In totale, quattro compagnə sono statə arrestatə e successivamente detenutə nella GESA (centro di detenzione temporanea), da dove sono statə rilasciatə dopo due ore. Anche a Lipsia si sono verificati attacchi aggressivi della polizia contro lə partecipanti. Sono stati effettuati arresti di singolə manifestanti mente lasciavano una festa di quartiere, organizzata in seguito alla manifestazione. Tra le altre cose, alcunə minorenni sono statə picchiatə dalla polizia fino a perdere i sensi. Possiamo notare chiaramente come la strategia della polizia in relazione al 1° maggio sia cambiata a partire dallo scorso anno. La polizia tende a non intervenire quasi mai durante la manifestazione per diffondere un’immagine pacifica e non violenta del Primo Maggio, ma insegue singole organizzazioni e manifestanti in un secondo momento per attaccarlə, picchiarlə e arrestarlə lontano dall’occhio pubblico. Nonostante i brutali attacchi della polizia, la manifestazione rivoluzionaria del 1° maggio a Berlino è stata un successo, con una massiccia partecipazione di diverse organizzazioni impegnate nella lotta di classe. Il successo della mobilitazione, come dimostra l’aumento dellə partecipanti di quest’anno, è indicativo della crescente opposizione alla guerra e della solidarietà con la Palestina e lə antifascistə perseguitatə e imprigionatə. Allo stesso tempo, è stata denunciata la brutalità della violenza poliziesca, recentemente scatenata dall’omicidio di Lorenz. Young Struggle > Come giovani rivoluzionariə di Young Struggle, Zora e Pride Rebellion siamo > scesə in piazza con le seguenti rivendicazioni: stop alle deportazioni, guerra > alla guerra ovunque e lotta per l’autodeterminazione. Nel 2024, sotto il governo SPD-Grüne-FDP, erano già state effettuate oltre 20.000 deportazioni in tutto il Paese, un aumento significativo rispetto agli anni precedenti. UN SALTO DI QUALITÀ Nei giorni scorsi, il cristiano-democratico Friedrich Merz è stato nominato come nuovo Cancelliere e, non appena entrato in carica, ha promesso di respingere lə richiedenti asilo alle frontiere tedesche. Inoltre, lo scorso mese quattro membri del movimento palestinese sono statə minacciatə di deportazione per il loro lavoro politico e di solidarietà con la Palestina, sebbene tre di loro siano cittadinə dell’UE e nessun di loro abbia ancora avuto un processo o delle condanne. Due giovani palestinesi sono già stati deportati in Grecia negli ultimi mesi. Inoltre, il nuovo governo composto da SPD, CDU e CSU prevede di investire più denaro pubblico nell’industria bellica, nella Bundeswehr (forze armate tedesche), nella reintroduzione del servizio militare obbligatorio e di tagliare i fondi destinati a settori come l’istruzione e i benefici sociali. Ecco perché noi giovani diciamo chiaramente che vogliamo un futuro e non vogliamo morire nelle loro guerre per i loro interessi imperialistici. Durante la campagna elettorale, la CDU/CSU ha annunciato anche l’intenzione di abolire la Selbstbestimmungsgesetz (legge sull’autodeterminazione), in vigore da meno di un anno. Nonostante le numerose lacune, la legge sull’autodeterminazione è un passo importante per le persone trans e per il loro potere di decidere della propria identità ed è per questo che ci batteremo affinché non venga abolita. Per quanto riguarda il Primo Maggio, vediamo, in futuro, la necessita di unire maggiormente il movimento delle forze rivoluzionarie. Costruendo un movimento rivoluzionario di massa, avremo la possibilità di realizzare queste rivendicazioni e di organizzare una manifestazione del Primo Maggio ancora più grande l’anno prossimo. Nello spirito militante del 1° maggio, ogni giorno è un 1° maggio per noi rivoluzionariə: un giorno di lotta di classe internazionale del proletariato! Immagini di copertina e nell’articolo a cura di Young Struggle SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. Vi chiediamo di donare tramite paypal direttamente sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo Il vento rivoluzionario del Primo Maggio attraversa Berlino proviene da DINAMOpress.
GERMANIA: PER L’INTELLIGENCE AFD È “UN PARTITO DI ESTREMA DESTRA E XENOFOBO PERICOLOSO PER LA DEMOCRAZIA”. IL COMMENTO DI ELIA ROSATI
Dopo tre anni di indagini su programmi, dichiarazioni e iniziative di Alternative für Deutschland i servizi segreti interni tedeschi definiscono ufficialmente l’organizzazione come un “partito di estrema destra che viola la dignità umana”. Secondo un corposo rapporto di più di mille pagine, Afd rappresenta un pericolo per la democrazia. È la prima volta che l’Ufficio della protezione della Costituzione (BfV) mette nero su bianco la chiara natura islamofoba, antisemita e razzista del partito guidato da Alice Weidel. “Le posizioni xenofobe rappresentate sono discriminatorie nei confronti dei tedeschi di origini straniere. Afd mira a escludere precisi gruppi di popolazione dalla partecipazione paritaria nella società, sottoponendoli a una disparità di trattamento incostituzionale”, si legge nella relazione dell’Ufficio di intelligence. Questo – chiariscono da Berlino – non comporta in automatico la messa al bando del partito, anche se questo provvedimento non può essere escluso. AfD alle ultime elezioni ha conquistato più di dieci milioni di voti e quasi il 21% in parlamento. Su Radio Onda d’Urto il commento di Elia Rosati, attento osservatore dei movimenti di estrema destra europei, storico e nostro collaboratore. Con Elia Rosati parliamo anche del Remigration Summit che è atteso a Milano il prossimo 17 maggio: i temi del summit sono infatti sovrapponibili a quelli portati avanti da AfD.  Ascolta o scarica.