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EX-ILVA: PROSEGUE LA MOBILITAZIONE OPERAIA. AGGIORNAMENTI DA TARANTO E GENOVA
Mentre il ministro Urso dovrà rispondere in Parlamento a diverse interrogazioni, sia su Iveco che Ilva, nelle strade prosegue la lotta degli operai dell’ex-Ilva contro la dismissione ipotizzata dal Governo per marzo. Ieri, 2 dicembre 2025, a Genova i lavoratori di Ilva, – insieme a delegazioni solidali di Ansaldo, Fincantieri e Leonardo – hanno occupato aeroporto e autostrada. Oggi prosegue il presidio permanente, con assemblee e blocchi. Domani, 4 dicembre, sciopero di tutto il comparto metalmeccanico del territorio in solidarietà agli operai dell’ex-Ilva. Su Radio Onda d’Urto il collegamento telefonico con Stefano Bonazzi della Fiom-Cgil di Genova. Ascolta o scarica. A Taranto, da ieri, è sciopero a oltranza. Lavoratori e delegati sindacali – confederali e di Usb – hanno continuato con i presidi dentro e fuori lo stabilimento, oltre che lungo l’attigua statale 100, la Taranto-Bari, con traffico interrotto e deviato. Stamattina, 3 dicembre, bloccata pure la statale 106 e nell’area imprese del siderurgico, dopo che l’azienda dell’appalto Semat Sud ha annunciato la chiusura e 220 licenziamenti. Il Consiglio di fabbrica, insieme ai lavoratori, ha annunciato l’intensificazione delle iniziative di lotta fino alla convocazione di un tavolo unico a Palazzo Chigi per nord e sud e al ritiro del piano Urso. Dai blocchi attorno all’ex Ilva di Taranto, su Radio Onda d’Urto è intervenuto Francesco Rizzo, coordinatore dell’Usb locale. Ascolta o scarica.
‘Basta complicità. Sanzioni subito’: il programma di GMTG per la Giornata Internazionale di Solidarietà con il Popolo Palestinese
Comunicato n° 251125 di Global Movement To Gaza | Delegazione Italiana In occasione della Giornata Internazionale di Solidarietà con il Popolo Palestinese, il 29 novembre, il Global Movement to Gaza annuncia mobilitazioni e manifestazioni pacifiche coordinate in almeno 13 città di tre continenti – Europa, Africa e Americhe: Berlino, Parigi, Barcellona, Madrid, Oslo, Vienna, Varsavia, Lussemburgo, Città del Capo, Washington DC, Città del Messico, San Paolo,… Milano e Roma. A Roma un duplice appuntamento: * alle ore 10:30 presso l’Aula Magna di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre, dove ci sarà un evento che vedrà la partecipazione, tra gli altri, della portavoce italiana GMTG e Global Sumud Flotilla Maria Elena Delia, e della relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati Francesca Albanese, oltre ad altre personalità della società civile e della cultura; * alle ore 13:00 al Parco Schuster il concentramento per poi confluire a Piazza di Porta San Paolo (Piramide) nella manifestazione nazionale di solidarietà con il popolo palestinese. Queste mobilitazioni mirano a denunciare e chiedere conto alle istituzioni dell’UE e i governi nazionali, i cui legami politici, militari ed economici con Israele contribuiscono a sostenere il genocidio in corso a Gaza, dove intere famiglie sono state cancellate e le infrastrutture vitali sistematicamente distrutte. L’uso della forza letale prosegue sotto la copertura di un’etichetta diplomatica: centinaia di persone sono state uccise e quasi un migliaio ferite in violazioni documentate del cessate il fuoco da parte di Israele da quando il cosiddetto “piano di pace” è formalmente entrato in vigore. Allo stesso tempo, le consegne di aiuti restano ben al di sotto del necessario: solo un sesto di quanto promesso entra a Gaza, lasciando ampie fasce della popolazione dipendenti da distribuzioni sporadiche e costrette a vivere in una carenza cronica di cibo, medicine, carburante e acqua potabile. In questo contesto, la prosecuzione delle esportazioni di armi, il mantenimento in vigore dell’Accordo di associazione UE–Israele e le fitte reti di commercio, ricerca e cooperazione in materia di sicurezza, tanto nel settore pubblico quanto in quello privato, forniscono un sostegno materiale a un regime costruito su razzismo sistematico, danni massicci ai civili e impunità strutturale. Il Global Movement to Gaza invita i cittadini a unirsi alle mobilitazioni del 29 novembre per consegnare un insieme conciso di richieste ai leader dell’UE e ai governi nazionali: * sospensione totale dell’Accordo di associazione UE–Israele; * immediato embargo sulle armi e sulla cooperazione militare con Israele; * sanzioni mirate contro i responsabili diretti e i complici di crimini di guerra, inclusi crimini contro l’umanità, genocidio e pulizia etnica in Palestina; * sospensione della cooperazione istituzionale con le istituzioni israeliane complici nei settori dell’accademia, dello sport e della cultura; * riaffermazione del primato del diritto internazionale e della sua applicazione universale, con le istituzioni dell’UE e gli Stati membri chiamati a rispettare i propri obblighi giuridici, allineando tutti gli accordi, i finanziamenti e le forme di cooperazione al diritto internazionale umanitario e ai diritti umani, invece di proteggere le violazioni e premiare l’impunità. Poiché i canali esistenti non sono riusciti a garantire un soccorso sufficiente e i governi hanno fallito nel rispettare il diritto internazionale, riaffermiamo che missioni come la Global Sumud Flotilla – e simili iniziative della società civile per rompere l’assedio e aprire corridoi umanitari permanenti – non sono opzionali o meramente simboliche, ma necessarie. Redazione Italia
Gaza, la speranza cammina sulle nostre gambe
La risoluzione 2803 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite rappresenta una vittoria della diplomazia americana in nome della legge del più forte. Il 17 novembre 2025 a New York, Russia e Cina si sono astenute, pur avendo la possibilità di bloccare la risoluzione con il veto, un diritto riservato a cinque potenze: USA, Francia, Gran Bretagna, Russia e Cina. Ho letto la risoluzione. La condanna di Gaza si nasconde nell’ambiguità della visione generale. Il Board of peace, il sedicente Consiglio di Pace guidato da Trump, governerà sulla striscia martoriata coadiuvato da una forza internazionale di “stabilizzazione”, che avrà il compito di disarmare i palestinesi. O meglio distruggere Hamas. Senza tenere conto che lo stesso Trump, quando annunciò il piano del Pentagono, disse espressamente che Hamas era già un movimento decapitato, ma evidentemente gli israeliani non la pensano come il Pentagono, e hanno già manifestato con uccisioni indiscriminate la loro espressa volontà genocidiaria, anche dopo la presunta tregua. Il governo di Netanyahu considera infatti tutti i palestinesi come terroristi, comprese le donne e i bambini. La risoluzione ONU rischia di diventare una copertura formale per “finire il lavoro”. Sembra che il mondo abbia abbandonato i palestinesi al loro destino. Ovviamente conviene a tutti fare finta di niente e continuare con la politica degli struzzi, che mettono la testa sotto la sabbia per non guardare quello che succede ogni giorno a Gaza. Una timida espressione del diritto all’autodeterminazione dei palestinesi appare nella risoluzione, ma serve solo per ottenere l’astensione di Russia e Cina e la connivenza dei Paesi arabi. Come si può pensare che un’amministrazione di fatto coloniale della striscia possa riportare la pace? Non serve piuttosto come copertura formale per il genocidio? Spero di sbagliarmi… In teoria, al punto 8 della risoluzione, si stabilisce una scadenza al 31 dicembre 2027. Immaginiamo una forza di stabilizzazione (ISF) che non riesca a domare i ribelli entro quella data: risulta evidente che rimarrà con gli scarponi sul terreno a fare il suo lavoro con il mandato ONU o a quel punto anche senza; non ci andranno i caschi blu delle Nazioni Unite, ma questa forza sarà costruita per compiacere Israele, non per fermare il genocidio, per il quale nella risoluzione non viene sprecata neanche una parola, come se non esistesse. Ovviamente nessuno si azzarda a prevedere il futuro, che potrebbe essere molto diverso dalle mie legittime paure. Le forze militari israeliani (IDF) si impegnano a ritirarsi solo dopo la completa distruzione dei nemici, come se non bastasse quel deserto che affonda nell’indifferenza globale e che viene chiamato pace. Saranno addestrate anche forze di polizia palestinesi e ci sarà anche un comitato tecnico palestinese; sembra davvero una beffa a uso e consumo degli ipocriti, con un ruolo subalterno dei palestinesi. Meditate, gente, se questa è una pace. La speranza però vive ancora nell’animo delle persone comuni che a milioni sono scese in piazza a manifestare il proprio dissenso contro i governi complici o incapaci. La speranza era in mare a sfidare il blocco criminale agli aiuti umanitari con le Flotille. La speranza anima ogni giorno le persone che non si lasciano imbrogliare da una pace finta. Continueremo a protestare per avere una pace vera per i palestinesi martirizzati e per tutti i popoli martoriati dalle guerre. Rayman
Roma, assemblea nazionale Contro i re e le loro guerre, per la convergenza e l’inclusione
Sabato 15 novembre centinaia di militanti provenienti da tutta Italia si sono riuniti in un’aula troppo piccola dell’Università la Sapienza, a Roma, allo scopo di rilanciare il movimento oceanico sceso in piazza dal 22 settembre all’8 ottobre in solidarietà con la Global Sumud Flotilla, con la Freedom Flotilla e con la decennale lotta del popolo palestinese. L’assemblea, ispirata nel nome al No Kings Day che il 18 ottobre ha visto manifestare 7 milioni di americani contro l’autoritarismo di Trump, è stata organizzata da centinaia di realtà sociali, dalla Rete No Dl Sicurezza al Global Movement to Gaza, dalla CGIL alla campagna Stop Rearm Europe, fino alla Rete No Bavaglio e ad Assopace Palestina. Foto di Luciano Cerasa Decine gli interventi in presenza (tra gli altri Luisa Morgantini, i lavoratori della ex Gkn, Marco Bersani, membri degli equipaggi di mare e di terra delle Flotille, Maia Issa del Movimento Studenti Palestinesi) e a distanza. Marica Di Pietro di A Sud si collega da Belém, in Brasile, dove si stanno svolgendo la COP30 e il Vertice dei Popoli, un giovane obiettore di coscienza della rete Mesarvot parla da Tel Aviv e Arab Barghouti, il figlio più giovane del leader palestinese Marwan Barghouti in un videomessaggio ringrazia per il sostegno al popolo palestinese e annuncia che il 29 novembre si rilancerà la campagna per la liberazione del padre e di tutti i prigionieri palestinesi. Maya Issa del Movimento Studenti Palestinesi https://pressingweb.altervista.org/ In diversi interventi si propone che la manifestazione nazionale del 29 novembre diventi un appuntamento fondamentale della convergenza dei vari movimenti che costituiscono questo movimento composito per la caduta del governo, per fermare la corsa al riarmo e alla guerra e per costruire dal basso un altro mondo radicalmente diverso e ancora possibile. E’ necessario attraversare tutte le iniziative, cercando unità e convergenza al di là delle sigle che le promuovono: gli scioperi generali del 28 novembre (USB) e 12 dicembre (CGIL) la manifestazione di Nonunadimeno contro la violenza di genere il 22 novembre a Roma e il 25 a livello locale, quella del 23 novembre contro la transfobia e la manifestazione a Bologna il 21 novembre contro la partita di pallacanestro con la squadra di Israele. La rappresentante di Magistratura Democratica chiede di attivare una mobilitazione per il No al referendum sulla separazione delle carriere, che intende smembrare il CSM e mettere la mordacchia all’autonomia della magistratura, lasciando campo libero allo strapotere dispotico e antidemocratico dell’esecutivo. Al termine dell’assemblea i partecipanti si uniscono al Climate Pride, convocato per difendere l’ambiente e il clima, per chiedere una vera transizione ecologica, per promuovere la pace e opporsi all’oppressione del popolo palestinese. Foto di Mauro Zanella Mauro Carlo Zanella
Romania. Migliaia in piazza contro l’austerity del governo “europeista”
Migliaia di manifestanti hanno marciato mercoledi nelle strade di Bucarest, per chiedere salari più alti, misure per frenare l’inflazione e riduzioni fiscali per i lavoratori, mentre il governo romeno continua a perseguire l’austerità per affrontare l’ampio deficit di bilancio del Paese e mantenere i vincoli di bilancio con l’Unione Europea. […] L'articolo Romania. Migliaia in piazza contro l’austerity del governo “europeista” su Contropiano.
La frontiera-prigione d’Europa e l’accordo Meloni-Rama sul CPR in Albania
Lo scorso sabato, 1 novembre, si è svolta a Tirana il coordinamento transnazionale “Network Against Migrant Detention” ha organizzato la manifestazione contro l’accordo Rama-Meloni e quello che rischia di diventare il “modello Albania”. L’ondata securitaria che sta attraversando l’Europa ha creato le condizioni per un’ulteriore avanzata nel processo di esternalizzazione delle frontiere. Questo caso riguarda le procedure di rimpatrio delle persone in transito, che il Parlamento Europeo è prossimo a discutere nel “return regulation” nei mesi a venire. È infatti prevista per giugno 2026 l’implementazione del “Nuovo Patto su Migrazione e Asilo”. Così mentre l’estrema destra si compatta dietro lo slogan “Remigration”, l’Italia non smentisce il proprio collaudato ruolo di apripista di modelli autoritari. Nonostante le ambiguità rispetto alle normative europee il governo Meloni ha iniziato la costruzione dei Centri nella periferica provincia di Lezha subito dopo l’accordo di novembre 2023.  Si tratta di un pericoloso precedente che potrebbe fungere da battistrada per le future politiche migratorie. Difatti già il governo del Regno Unito e della Danimarca avevano similmente vagliato l’ipotesi di inviare le persone migranti in Rwanda. Recentemente Keir Starmer in un incontro bilaterale in Albania avrebbe espresso l’interesse a candidarsi per la costruzione di “Return Hubs”. Edi Rama ha però consigliato di considerare altre nazioni della regione, evidenziando la peculiarità dei rapporti con l’Italia. In più occasioni ha infatti sottolineato il legame storico tra i due paesi, descritto come vicinanza culturale e amicizia, espressioni diplomatiche che potremmo tradurre con “coloniale”, considerando l’occupazione militare fascista che nel 1939 la rese protettorato italiano e il ruolo di sfera d’influenza economica che ha continuato a rivestire. > Lo scambio di favori politici tra i due leader risulta evidente anche nella > decisione di far partire simbolicamente le biciclette del giro d’Italia da una > prima tappa albanese. Tra l’altro proprio a due giorni delle elezioni governative che hanno portato alla quarta rielezione di Rama. Sappiamo bene quanto lo sport, condito di retorica del prestigio nazionale, possa giocare un ruolo di primo piano per ottenere consenso popolare. Già nel dicembre dello scorso anno a Tirana sfilò una manifestazione. Attivistx della diaspora albanese hanno costruito le basi per questa campagna fin dal 2023, connettendo associazioni e collettivi per la libertà di movimento italiani e realtà albanesi come MESDHE, che si occupa di inclusione sociale e diritti umani. Dei presidi pubblici davanti alla Corte Costituzionale di Tirana hanno denunciato l’irregolarità dell’accordo su vari livelli. Scavalcamento di funzioni del primo ministro albanese sul presidente della Repubblica, cessione di sovranità territoriale, l’assenza di direttive europee in materia. Per questi motivi 33 ONG tra balcani occidentali, Albania e Italia hanno fatto appello alla Corte di giustizia dell’Unione Europea (CGUE), che l’ha però respinto con riferimento a ragioni formali. Il giurista Endri Shabani, co-fondatore del movimento anti-corruzione Nisma Thurje, ha paragonato la detenzione nei CPR, dove le persone spesso non sanno neppure in quale nazione sono state deportate, al sequestro di persona. I due Centri, posizionati nel nord dell’Albania, verso il confine con il Montenegro, sono rispettivamente un hotspot, a Shëngjin, progettato per identificazione e screening e il CPR di Gjadër. Per la parte del centro destinato al trattamento dei richiedenti asilo sono previsti 880 posti. La capienza del CPR è invece di 144 posti e 20 sono dedicati al carcere. Un non-luogo sperduto tra le montagne, in un territorio che appare vuoto e desolato. In mezzo alle rocce spiccano alte mura di cemento sormontate da filo spintato, sbarre di metallo circondano pile di asettici container. Un pugno dritto in faccia per chi avesse mai creduto alla retorica di un’Europa dei diritti, nata sulle macerie di una storia di regimi che appartiene al passato, chiusa, superata. di Davide Viganò Si sono già verificati casi di autolesionismo grave. La morte di Hamid Badoui, va anche imputata a questo luogo. Infatti gli ultimi mesi della sua vita li ha spesi tra arresti e deportazione. Prima nel carcere di Torino, poi nel CPR di Bari, il trasferimento a Gjadër in Albania e infine di nuovo nel carcere di Torino. Le sviluppano così patologie psichiche causate dal trauma. Un intero sistema dal carattere patogeno conclamato. L’isolamento appare come strategia per abbattere il morale e scoraggiare l’eventualità che nuovi viaggi della speranza vengano prossimamente tentati. La marcia di sabato è partita dalla centrale Piazza Skenderbej. Circa 150 partecipanti, prevalentemente italianx, albanesi e da altri paesi europei, si sono direttx verso l’ambasciata italiana al grido “shame on you”. Poi agli uffici UE e infine all’ufficio del primo ministro, intonando cori in varie lingue tra cui: «Marveshje illegale, resistenza globale» (accordo illegale) e «Make the fortress europe fall». Spostandoci in bus di 60 km direzione nord, abbiamo raggiunto la città di Lezha, sotto la cui amministrazione rientrano anche le località dei due centri. Un passaggio a Lezha era importante in quanto il sindaco ha mostrato totale complicità e favorito la disinformazione, fino ad avviare una campagna razzista a colpi di meme sui social. La provincia è caratterizzata da un’economia molto fragile e i Centri sono stati presentati come un’occasione di lavoro per la comunità, offrendo inoltre stipendi sopra la media della regione. Insieme a due volontarie, Besmira Lekaj, coordinatrice del centro giovani dell’associazione Hana (Hand to Hand against Nation Apathy) ci ha ospitato in sede per descriverci il tessuto sociale locale e raccontarci del loro operato. Occupandosi di sensibilizzazione e promozione della cittadinanza attiva ricoprono un ruolo fondamentale. Il contesto è complesso e l’unica critica all’accordo mosso dal principale partito di opposizione (Partito Democratico d’Albania) ha riguardato la minaccia che l’arrivo di presunti predatori sessuali stranieri avrebbe rappresentato per la comunità. Hanno descritto la società albanese come ancora fortemente segnata dal retaggio del vecchio regime. > Il partito di governo attualmente in carica (Partito Socialista per lo > Sviluppo) è l’erede diretto della dittatura (Partito del Lavoro d’Albania), > poi ristrutturato, cambiando anche nome, ma mantenendo parzialmente apparati > centrali e strutture territoriali. Curioso notare la retorica antifascista di cui ancora oggi fa sfoggio Rama, in veste propagandistica e di orgoglio nazionale, in parallelo alla completa sudditanza verso i vecchi padroni coloniali, facendo appello a un fantomatico debito con il popolo italiano, per l’accoglienza offerta agli emigrati albanesi. Ma chi più dei cittadini e delle cittadine albanesi stesse sa cosa hanno significato in Italia due decenni di campagne razziste dei media e di politici xenofobi? Di gommoni, tragedie in mare, deportazioni e suicidi nelle celle. Mentre ormai calava la sera è stato infine raggiunto il CPR di Gjadër, dove i/le solidali hanno tentato di rompere l’isolamento forzato portando le proprie voci alle 24 persone attualmente detenute. Il presidio davanti all’ingresso ha commemorato le quarantasette vittime dei CPR italiani leggendone i nomi. Le voci hanno riecheggiato nel nulla che avvolge il lager, rimbalzando sull’indifferente polizia albanese, l’arrogante polizia italiana, la loro camionetta blu, riconoscibile fin da dietro le sbarre. Fino a ricevere come unico segnale di contatto, in risposta a dei cori, il ghigno beffardo di qualche guardia. Domenica 2 le iniziative si sono concluse con un’assemblea plenaria all’Università di Tirana dal titolo: «L’Europa è ancora il nostro sogno?». * * di Davida Viganò Diversi panel tematici, dibattiti e il rilancio della campagna. A questa due giorni di iniziative sono mancate delle attiviste di “Mediterranea Bologna” a causa di un’azione di protesta contro l’espulsione di due cittadini albanesi. Avevano infatti notato che la polizia stava usando proprio il volo Ryanair su cui si erano imbarcate. Hanno tentato di sensibilizzare l’equipaggio, per poi rifiutarsi di rimanere a bordo, opponendosi alla normalizzazione dell’uso di voli civili per i rimpatri. La denuncia dell’illegittimità di questo accordo continuerà a gran voce. Risulterà molto importante quanto la Corte di giustizia UE sancirà in merito alle procedure previste dall’accordo rispetto all’adesione con l’attuale diritto comunitario. La magistratura italiana ha in molti casi respinto la convalida del trattenimento a Gjadër. Sono già stati impiegati 670 milioni di euro per il quinquennio 2024-2028. Il progetto originale sarebbe quello di portare in questi Centri le persone in transito intercettate in mare dalle autorità italiane e avviare da lì le procedure di richiesta di asilo, elaborarle e poi procedere con i rimpatri del caso. La previsione è di trattenere le persone per 24 ore nell’hotspot ed entro i 28 giorni nel CPR. Tempistiche che hanno sollevato forti dubbi di fattibilità. Una sentenza della Corte di giustizia europea ha impedito la pratica di detenzione fuori dai confini UE, dove non possono esserne garantiti gli standard normativi, spingendo a ridimensionare le modalità di utilizzo dei Centri. Ma il portavoce della Commissione Europea per gli Affari interni, Markus Lammert, ha affermato che se rispettate le condizioni del diritto UE, “in principio” il protocollo, seguendo rigorose condizioni, potrebbe essere conforme. D’altronde basta fare una legge per legalizzare la violazioni dei diritti umani, per non considerarla più come tale, seguendo rinnovati standard etici. Proprio come i valori possono rivelarsi effimeri e subalterni a delicati equilibri di forza tra tendenze politiche. Sarà quindi una battaglia combattuta su vari piani: giuridico e culturale in primis. Si tratta probabilmente dell’inizio di un nuovo paradigma repressivo con cui toccherà fare i conti sul lungo periodo. La copertina è di Davide Viganò SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress si può donare sul nostro conto bancario, Dinamo Aps Banca Etica IT60Y0501803200000016790388 tutti i fondi verranno utilizzati per sostenere direttamente il progetto: pagare il sito, supportare i e le redattrici, comprare il materiale di cui abbiamo bisogno L'articolo La frontiera-prigione d’Europa e l’accordo Meloni-Rama sul CPR in Albania proviene da DINAMOpress.
Tutte le piazze del 4 novembre con l’Osservatorio per dire “Il 4 novembre non è la nostra festa”
Il 4 novembre non è la nostra festa! Contro la militarizzazione della cultura, contro il riarmo e le politiche di guerra, per sostenere la Palestina. Costruiamo l’alternativa Pubblichiamo l’elenco delle piazze di tutta Italia in cui il 4 novembre si svolgeranno presidi e manifestazioni per frenare l’avanzata militaristica nella società civile e, in particolare, nella scuola e nelle università. 1. PALERMO, corteo da piazza Croci a piazza Massimo alle ore 17:00 2. CATANIA, corteo da piazza Dante (sacrario caduti guerra mondiali) a piazza Stesicoro, 17:00  3. CAGLIARI, presidio p.zza Gramsci (parco delle Rimembranze) ore 16 4. BARI, presidio in Piazza Prefettura, ore 16   5. NAPOLI, presidio p.zza Dante 15:30 6. TERNI, presidio Piazza della Repubblica dalle ore 18 7. ROMA, presidio MINISTERO ISTRUZIONE- MIM ore 16:00 8. VITERBO, presidio Università San Carlo, Piano Scarano dalle ore 16:30 9. PISA, conferenza stampa davati USP via Pascoli alle ore 15:00 e presidio p,zza Garibaldi alle 18:00 10. LIVORNO, corteo p.zza della Vittoria (a piazza Cavour) 17:00 11. MASSA CARRARA, presidio davanti USP- via Pascoli, ore 15:00 12. LA SPEZIA, presidio in Piazza Palestina Libera (ex Piazza Chiodo) ore 18 13. GENOVA, presidio Rettorato via Balbi 5, ore 17:30   14. BOLOGNA 1) Piazza Scaravilli (di fronte Rettorato Unibo) dalle 14:30 alle 16:30; 2) Giardino dei Pioppi, Borgo Panigale 17:00 15. PIOMBINO, manifestazione p.zza Cappelletti 17:00 16. BRESCIA, presidio p.zza Paolo IV dalle ore 18 17. TORINO, presidio davanti USR alle 14:30   18. TRENTO, presidio p.zza Pasi, ore 16:00 19. MILANO, presidio Piazza Gaza (ex piazza della Scala) 18:00 20. VERONA, presidio p.zza San Nicolò 14:30 21. SIENA, flash mob davanti USR Piazza Matteotti 17:30 22. BISCEGLIE, presidio p.zza San Francesco 18:00 23. FANO, manifestazione p.zza Amiani ore 18:30 Elenco in aggiornamento… Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Genocidio palestinese e dissenso in Italia: le piazze per la Palestina sono scenario di repressione?
Dal boicottaggio dei consumi alle manifestazioni di piazza: cresce in Italia il movimento di solidarietà con il popolo palestinese, mentre si moltiplicano episodi di repressione e dibattiti sulla libertà di espressione. Nel nostro paese stiamo assistendo a imponenti manifestazioni contro l’occupazione israeliana e il genocidio palestinese, attraverso l’attraversamento fisico dello spazio pubblico (presidi di piazza e cortei nelle strade) e anche mediante altri strumenti, come il boicottaggio dei consumi e delle strutture considerate coinvolte nelle violazioni dei diritti umani. Il tema “Palestina” attraversa le nostre coscienze: a partire da un moto di empatia umana, le posizioni di tante e tanti diventano politiche, poiché non piangiamo solo le persone uccise e, soprattutto, i tanti bambini, ma iniziamo a reclamare giustizia per il popolo palestinese e rispetto del diritto internazionale. Il che, tradotto in parole semplici, significa condannare l’intero progetto sionista e le azioni atroci che gli organi governativi che oggi lo portano avanti stanno perpetrando ai danni del popolo palestinese. Forse non sempre si è consapevoli di questo, ma è di questo che si tratta: quando scendiamo in piazza per la Palestina oppure acquistiamo Gaza Cola invece di Coca-Cola, lo facciamo per condannare il genocidio ma anche, necessariamente, per combatterne i presupposti. Vi è un nesso storico tra ciò che è accaduto cento anni fa con l’insediamento dei primi coloni attraverso il “primo aliyah”, “il primo ritorno”, cioè l’immigrazione dei primi coloni sionisti che avvenne tra il 1882 e il 1903, portando migliaia di ebrei in Palestina, e ciò che accade oggi con il colonialismo di insediamento iniziato nel 1948 in Cisgiordania, che ha portato sempre più persone a comprimersi dentro lo spazio della Striscia di Gaza per sfuggire all’apartheid e alla violenta sottrazione delle terre e del diritto di abitarle in modo dignitoso e sicuro. Senza infilarci in complicate ricostruzioni storiche, salta all’occhio che il fulcro della questione sia sempre la terra: la terra dei padri ma, soprattutto, la terra dei figli e per i figli. Il sionismo getta le basi per un’economia giorno dopo giorno sempre più fiorente, fuori e dentro Israele, e sempre più strettamente legata, purtroppo, anche alle operazioni militari. Uno sviluppo basato su un modello di investimento neoliberale, che ha consentito alle aziende israeliane di diventare dei colossi mondiali in alcuni settori; un esempio eclatante è il caso di TEVA, azienda farmaceutica che più volte ha dimostrato di non attenersi ad alcuna regola di controllo sulla produzione dei farmaci né sul divieto di fare cartello per imporre i propri prodotti al mercato. Il suo profilo etico (per quanto dichiarino i suoi siti ufficiali) è ampiamente compromesso dalle sanzioni dell’Unione Europea, che nell’ottobre del 2024 l’ha multata per 462 milioni di euro per concorrenza sleale e abuso di posizione dominante. Inoltre, di recente, la multinazionale sembra essere coinvolta, insieme ad altre realtà, in gravissime azioni contrarie al codice etico sanitario: “Rapporti inquietanti suggeriscono che il Ministero della Salute israeliano avrebbe permesso a grandi aziende farmaceutiche nazionali di testare prodotti sui prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Questa affermazione, fatta dalla professoressa Nadera Shalhoub-Kevorkian e da Mohammad Baraka, capo dell’Alto Comitato di Follow-up per gli Arabi in Israele, solleva serie preoccupazioni etiche. Nel 1997, l’ex politica israeliana Dalia Itzik riferì che oltre 5.000 test erano stati eseguiti su questi prigionieri. Inoltre, storicamente, le autorità israeliane restituiscono sempre con grande ritardo i corpi dei prigionieri deceduti e questo alimenterebbe i sospetti di sperimentazioni mediche.” Fonte: BDS Italia. TEVA, ancora, effettua forniture dirette all’esercito israeliano e finanzia campagne di immagine a sostegno delle azioni belliche a Gaza. Per tutti questi motivi, BDS, il movimento globale per i diritti del popolo palestinese, è attivo da vari anni con una campagna massiva contro TEVA. A tal proposito è bene precisare cosa dice BDS: il boicottaggio combatte la complicità, non l’appartenenza. Può sembrare una precisazione banale, ma è meglio non dare spazio ad equivoci. È necessario farlo perché il terreno si fa sempre più scivoloso. In Italia, il 6 agosto scorso, è stato presentato un disegno di legge (S.1627, cosiddetto disegno di legge “Gasparri”) che si ispira, con molta approssimazione, alla definizione di antisemitismo adottata dalla “International Holocaust Remembrance Alliance” il 26 maggio 2016: “L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei. Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso gli ebrei o i non ebrei e/o alle loro proprietà, verso istituzioni comunitarie ebraiche ed edifici utilizzati per il culto.” Ma l’aspetto innovativo portato nella proposta è un salto, quasi un volo pindarico, di associazione dell’antisemitismo all’antisionismo, nesso che (ci correggano i giuristi) non esiste nel testo della definizione adottata da IHRA. Le domande sono tante. Chi scrive immagina che, tra le persone giuste che attraversano le comunità ebraiche europee e tra le componenti sane della società israeliana, vi sia ampio dibattito per capire come la definizione dell’IHRA possa e debba essere aggiornata alla luce delle recenti accuse mosse dalla Corte Penale di Giustizia e degli avvenimenti storici. Lo testimonia il fatto che il noto storico israeliano Ilan Pappé ha pubblicato un libro che si chiama La fine di Israele e che delinea proprio come la spaccatura interna rispetto al progetto sionista sarà la motivazione del suo annientamento. I fatti sembrano confermare questa visione dello studioso, che forse, ad alcuni, era potuta sembrare poco fondata poiché proiettata in un futuro troppo lontano. È di oggi la notizia della presenza in piazza a Gerusalemme di “una massiccia protesta che ha scosso la città, con la partecipazione di circa duecentomila ebrei ultraortodossi che hanno protestato contro la leva obbligatoria nell’esercito israeliano. Lo riporta il quotidiano Ynet, sottolineando il grande impatto della protesta che ha coinvolto una fetta significativa della comunità haredi locale. La manifestazione, denominata la ‘Marcia di un milione di uomini’, ha purtroppo registrato un tragico incidente: la morte di un ragazzo di 15 anni.” Altro quesito: è necessario un rafforzamento dei dispositivi di legge che puniscono l’antisemitismo nel nostro paese, in tutte le sue forme? Sì, certamente. Purtroppo, la scarsa o distorta conoscenza dei fatti storici porta tutt’oggi ancora troppe persone ad avere una percezione strisciante degli ebrei, considerati, nel pensiero di molti, come entità lobbistica. È ovvio che tale percezione, come tutte le azioni da essa generate, vada contrastata duramente. Ma allo stesso modo, se vogliamo restare in una posizione di correttezza etica e di efficacia giuridica, sono necessarie condanne di tutti i tipi di razzismo ben radicati nel nostro paese: vale per il razzismo anti-nero, l’antiziganismo, l’islamofobia, il razzismo antipalestinese, per tutti i giudizi negativi preconcetti basati su stereotipi riguardo a un gruppo etnico o razziale. Se la vediamo da questa prospettiva, individuando nell’antisionismo, d’emblée, una moderna manifestazione di antisemitismo, il progetto di legge pare promuovere una criminalizzazione del dissenso contro Israele, colpendo anche chi protesta per il riconoscimento dei diritti dei palestinesi e per l’affermazione della giustizia internazionale. È così? C’è chi, nel mondo dei giuristi democratici, solleva dubbi di incostituzionalità qualora la proposta venisse approvata dalle Camere. E ancora, la proposta si alimenta della deriva reazionaria che una sempre più poderosa parte della società civile sta denunciando, con particolare riguardo al modo con cui le forze dell’ordine agiscono nei confronti degli attivisti e delle attiviste per la Palestina? Fatto sta che, in tutta la penisola, da Milano a Torino, poi a Roma e infine a Napoli, si sono registrati episodi di violenza delle forze dell’ordine contro gli attivisti. Nel capoluogo partenopeo, in particolare, a seguito di una contestazione alla presenza di TEVA alla fiera PharmaExpò alla Mostra d’Oltremare, ci sono stati tre arresti. Dalle ricostruzioni della dinamica, effettuate grazie ai tanti video condivisi da parte di persone presenti, anche non direttamente coinvolte nella protesta, vi sarebbe stato un accanimento di alcuni agenti della Polizia e della Guardia di Finanza, che hanno accerchiato un gruppetto di venti attivisti che si stavano pacificamente avviando all’uscita dalla Mostra, dopo aver aperto uno striscione, minacciandoli e malmenandoli. Dopo tre giorni di detenzione, i fermi sono stati annullati senza che venisse convalidata la richiesta di arresti domiciliari mossa dal PM: solo obbligo di firma per gli attivisti, secondo il GIP. Una mitigazione della pena dovuta all’accertamento degli eventi che presenta una verità più vicina alla versione dei manifestanti che a quella della Questura? I fatti andranno accertati nelle sedi opportune. È però lecita una domanda: c’è reale possibilità di manifestare per una causa giusta come l’immediata sospensione della pulizia etnica dei palestinesi? Oppure, quando si toccano obiettivi sensibili economici (quelli che, tra l’altro, ha individuato la rapporteur delle Nazioni Unite per il popolo palestinese, Francesca Albanese, nei suoi due ultimi rapporti come base per le complicità con il genocidio “ongoing” da parte di imprese presenti in sessantatré Stati, tra cui l’Italia), si rischia di impattare con forme di repressione? * Storia degli insediamenti israeliani in Palestina – Vatican News * Colonialismo e apartheid in Israele – BDS Italia * Proteste in Israele: circa 200mila ultraortodossi in piazza, morto un ragazzo – Alanews * Disegno di legge S.1627 – Senato della Repubblica * DDL “antisemitismo”: il piano Gasparri tra università e propaganda – Domani * Napoli: fermi e abusi della polizia durante la protesta contro l’azienda israeliana TEVA – SiCobas * Scarcerati gli attivisti per la Palestina arrestati a Napoli – Rai News Campania * Rapporto ONU sul genocidio palestinese – Il Fatto Quotidiano   Nives Monda
Convegno | Anni di guerra: menzogne, verità, scintille – di Effimera
Ricordiamo che Effimera.org ha organizzato per il 15 novembre prossimo, al C.S. Cantiere a Milano, Viale Monterosa, 84, un convegno dal titolo: ANNI DI GUERRA: MENZOGNE, VERITÀ, SCINTILLE. L’incontro si terrà a partire dalle 10 sino alle 19. Ecco gli interventi in programma, con le tempistiche relative. È prevista la possibilità di partecipare anche [...]
Guerra alla Guerra! Blocchiamo Tutto!
Quando abbiamo lanciato la proposta di un percorso unitario che avesse come ispirazione la costruzione di un processo contro la guerra e per la fine del genocidio in Palestina le condizioni in cui lo abbiamo fatto erano molto diverse.  Quest’estate, la necessità di fare un tentativo di ricomposizione che vedesse […] L'articolo Guerra alla Guerra! Blocchiamo Tutto! su Contropiano.