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“SIRIA DIVISA, VERITÀ OSCURATE: SUWAYDA E IL RITORNO DEI MASSACRI”: IL PUNTO DELLA SITUAZIONE NEL PAESE CON DAVIDE GRASSO
Per commentare i fatti recenti che riguardano la Siria e il Medio oriente abbiamo intervistato Davide Grasso, ricercatore in Sociologia politica al dipartimento di Culture, politica e società dell’Università di Torino e nostro collaboratore. Nei giorni scorsi, ha pubblicato un articolo su MicroMega a commento degli scontri e dei massacri a Suwayda, città a maggioranza drusa nel sud della Siria, e dei bombardamenti israeliani che hanno colpito a due passi dai palazzi governativi a Damasco. “I fatti di Suwayda – scrive Davide Grasso – sono tanto più gravi, se osservati da occidente, poiché si inseriscono in un contesto di piena legittimazione statunitense ed europea alle forze che continuano a commettere questi crimini in Siria. Rappresentano l’ennesimo monito ai mezzi d’informazione e al pubblico italiani a non occuparsi di Siria unicamente in presenza di episodi di violenza, poiché questi ultimi risultano incomprensibili se l’informazione non segue l’evoluzione del paese in modo costante”. Proprio per questo gli abbiamo chiesto innanzitutto di inquadrare la situazione generale attuale nel Paese, prima di addentrarci in diverse questioni particolari. Tra le questioni specifiche che abbiamo approfondito insieme al nostro collaboratore, siamo partiti dalle divisioni interne all’arcipelago islamista di cui fa parte Hayat Tahrir al Sham, il gruppo guidato da colui che a dicembre 2024 si è proclamato presidente, Ahmad Al-Sharaa. All’interno del fronte jihadista ci sono visioni diverse sulla Siria che verrà. Al-Sharaa ha dato dei segnali piuttosto chiari su quale sia la sua: Davide Grasso, nell’articolo e nell’intervista su Radio Onda d’Urto, ricorda la partecipazione di Al Sharaa al World Economic Forum di Davos, gli accordi per la ricostruzione o la costruzione di infrastrutture già siglati con diverse imprese turche, del Golfo, europee e statunitensi, la stretta di mano con Donald Trump. Una parte dei militanti jihadisti di Hts ha già dato vita a una scissione, passando all’opposizione. Anche in questo contesto si sono sviluppati gli scontri e i massacri sulla costa siriana a dicembre e in primavera, nelle aree popolate dalla popolazione alawita, e nel sud, nella città drusa di Suwayda, in queste settimane. Durante gli scontri e le violenze a Suwayda, l’esercito israeliano ha bombardato la stessa città a maggioranza drusa, la città di Dar’a e il cuore della capitale siriana Damasco. In contemporanea, a Baku, Azerbaigian, si stavano però tenendo colloqui tra il governo siriano e quello israeliano. Usa, Turchia e monarchie del Golfo, Arabia Saudita in particolare, cercano una mediazione che – di fatto – porti anche la “nuova Siria” nell’orbita degli “accordi di Abramo”. A Davide Grasso abbiamo chiesto perché – a suo avviso – Israele bombarda la Siria mentre sta discutendo con Damasco di questa “normalizzazione” dei rapporti. Nell’intervista, guardiamo infine all’altra sponda dell’Eufrate: l’Amministrazione autonoma democratica della Siria del nord e dell’est ha celebrato nei giorni scorsi, il 19 luglio, il 13esimo anniversario della rivoluzione e l’inizio dell’autogoverno secondo il modello del confederalismo democratico. In questa fase sembra godere di una certa stabilità interna e soltanto pochi mesi fa ha dato prova della propria capacità di autodifesa, di difendersi dagli attacchi e tentativi di invasione, con la resistenza alla Diga di Tishreen, vicino Kobane. Anche l’Amministrazione autonoma, così come le altre organizzazioni che fanno riferimento alle idee del leader del Pkk Abdullah Ocalan, ha deciso di aderire all’Appello per la pace e la società democratica e relativo processo di pace. Lo scorso marzo, ha firmato un cessate il fuoco con Damasco, un memorandum d’intesa in diversi punti sui quali trovare un accordo tramite il negoziato tuttora in corso. Nelle ultime settimane ci sono stati diversi incontri, con la mediazione in particolare di inviati statunitensi e francesi. La nostra intervista a Davide Grasso, ricercatore in Sociologia politica al dipartimento di Culture, politica e società dell’Università di Torino e nostro collaboratore. Ascolta o scarica.
KCK E PJAK CURDO-IRANIANO: “QUESTA È UNA GUERRA TRA INTERESSI E POTERI CONTRASTANTI, NON UNA GUERRA DI LIBERAZIONE PER POPOLI E NAZIONI”
L’Iran è uno dei quattro stati-nazione tra i quali, dal trattato di Losanna del 1923, è diviso il Kurdistan storico. Venerdì 13 giugno 2025, subito dopo l’inizio dei bombardamenti israeliani, il KCK, l’Unione delle comunità del Kurdistan, organizzazione ombrello delle realtà locali che in Medio oriente e non solo si organizzano secondo il modello del confederalismo democratico, ha pubblicato un comunicato dal titolo “Attraverso la guerra non si può raggiungere nessuna soluzione”. “Condanniamo questa guerra che ha causato molti danni alla popolazione. Tutti devono rendersi conto che la guerra non è un metodo per sviluppare alcuna soluzione. Le politiche di guerra devono essere abbandonate”, si legge nel comunicato del KCK. “È una realtà comprovata – prosegue il documento – che con il concetto di Stato nazionale unitario della modernità capitalista e con l’avidità di potere, autorità ed egemonia, è impossibile stabilire una vita pacifica in Medio Oriente, che è sempre stato un giardino variopinto di diritti, credenze e culture”. “Ribadiamo – conclude il consiglio esecutivo del KCK – che la soluzione ai problemi del Medio Oriente può essere raggiunta solo attraverso la modernità democratica e il concetto di ‘nazione democratica’ proposto dal leader del popolo curdo Abdullah Ocalan”. In Rojhilat, cioè il Kurdistan iraniano, è presente un’organizzazione che fa riferimento al KCK e alle idee di Abdullah Ocalan: il PJAK, Partito per la vita libera del Kurdistan. Anche il PJAK ha diffuso un messaggio rivolto al popolo dell’Iran e in particolare alla regione curdo-iraniana. Il titolo e il senso del comunicato è “Il futuro dell’Iran dipende dalla lotta democratica, non dalla guerra”. Il messaggio diffuso nelle ore successive ai bombardamenti dal PJAK, Partito per la vita libera del Kurdistan, organizzazione attiva nel Rojhilat, Kurdistan iraniano, dichiara invece che “Questa è una guerra di potere e di interessi contrastanti, non una guerra di liberazione per popoli e nazioni” e che “il popolo iraniano non dovrebbe essere costretto a scegliere tra la guerra e l’accettazione di un regime dittatoriale”. Per questo, dice il documento, “Il Partito per la vita libera del Kurdistan, che si oppone all’imposizione della guerra al popolo iraniano, sottolinea il principio della lotta democratica”. Poi, invita la società del Kurdistan iraniano all’autogoverno, alla solidarietà e al mutuo soccorso per far fronte alla situazione di guerra, occuparsi dei feriti e di tutto quello che può servire. Per comprendere meglio cosa accade nel Kurdistan iraniano e soprattutto qual è la posizione e l’approccio indicati dal movimento di liberazione curdo e dal Pjak abbiamo intervistato Jacopo Bindi, dell’Accademia della Modernità Democratica, struttura che si occupa di diffondere al di là del Medio oriente il paradigma della modernità democratica sviluppato da Abdullah Ocalan. Ascolta o scarica. “Difendiamo l’approccio politico della ‘terza via’ in Medio Oriente, al di fuori delle strutture di potere esistenti“, ha dichiarato Zegrus Enderyarî, funzionario per le relazioni estere del PJAK (Qui le dichiarazioni). Il portavoce del partito curdo-iraniano ha poi aggiunto: “Non siamo parte della guerra, né vogliamo rendere i nostri popoli parte di questi conflitti. La soluzione sta nell’instaurazione di una vita democratica per tutti i popoli. Proponiamo una vita comune, un’autonomia democratica e una governance locale per tutte le comunità etniche e religiose in Iran, non solo per il popolo curdo”. “I curdi in Iran rivendicano i loro diritti fondamentali. Non sono ‘separatisti’ come sostiene il regime”, ha dichiarato invece Peyman Viyan, co-presidente del PJAK (Qui le dichiarazioni integrali). L’esponente del partito di guerriglia curdo-iraniano ha poi spiegato: “Il popolo più organizzato e attento in Iran attualmente è quello curdo. Alcune forze hanno cercato di usare la resistenza ‘Jin, Jiyan, Azadî’ per i propri interessi. Tuttavia, noi abbiamo agito con molta cautela e abbiamo mostrato la nostra posizione in modo chiaro. Con il loro paradigma libertario, i curdi pensano in termini più ampi e chiedono i loro diritti fondamentali. Lotteremo per i nostri diritti a prescindere dalle condizioni. Siamo a favore di un’amministrazione condivisa che possa essere discussa e formulata, non di un conflitto. Allo stesso tempo, manteniamo l’autodifesa e possediamo il potere politico e organizzativo. Non rinunceremo alla nostra identità e ai nostri diritti”.    
La Conferenza per l’unità curda nella nuova Siria
A Qamishlo, nel cuore vivo del Rojava, là dove la guerra continua a incidere cicatrici profonde, il popolo curdo è tornato a tracciare la rotta del proprio futuro. Il 26 aprile 2025, donne e uomini provenienti dalle diverse anime della Siria del Nord-Est, dalla diaspora e dai territori martoriati del Medio Oriente, si sono ritrovati per dare forma a un passaggio che potrebbe segnare un nuovo inizio. La Conferenza per l’unità curda (The Rojava Kurdish Unity and Common Stance Conference) non è stata semplicemente un’assemblea politica, ma la manifestazione concreta di una volontà collettiva che non ha mai smesso di cercare spazi di espressione. Un tentativo consapevole e determinato di rispondere a una lunga stagione di disgregazione con una proposta di convergenza e di visione condivisa. L’incontro ha rappresentato anche uno dei primi e più significativi appuntamenti politici successivi al crollo del regime siriano avvenuto l’8 dicembre 2024: un evento spartiacque, che ha aperto scenari inediti ma anche nuove responsabilità per tutte le componenti sociali e politiche del paese. In un territorio devastato da decenni di repressione e sfollamenti forzati, hanno preso la parola movimenti sociali, attiviste e attivisti indipendenti, organizzazioni del movimento delle donne e formazioni politiche, uniti dalla consapevolezza che, in questo momento cruciale di transizione, il popolo curdo deve farsi trovare pronto, con una voce unitaria e una prospettiva politica autonoma. Un incontro, dunque, che affonda le sue radici nell’esperienza rivoluzionaria del Rojava e nel corpo vivo di una collettività che si fa voce, reclamando il diritto all’esistenza e alla partecipazione nella nuova geografia politica della Siria. I lavori sono stati inaugurati da un intervento del comandante generale delle Forze Democratiche Siriane, Mazloum Abdi, che ha richiamato l’attenzione sull’appello per la pace lanciato da Abdullah Öcalan il 27 febbraio scorso, definendolo un passaggio cruciale per rafforzare la coesione interna. Abdi ha ribadito l’impegno delle SDF a sostenere ogni iniziativa orientata alla costruzione di una piattaforma condivisa, ispirata ai principi di convivenza democratica, giustizia e autodeterminazione. In un contesto segnato da divisioni storiche e da persistenti incertezze, ha invitato le forze politiche e sociali curde a superare le logiche di frammentazione e a convergere verso una visione comune. In questo contesto, trovano spazio anche voci indipendenti, come quella di Bakthiar, medico originario di Kobane e presente alla conferenza. Lo abbiamo intervistato nei giorni successivi all’evento e ci ha descritto con chiarezza la necessità di un nuovo paradigma istituzionale, capace di rispecchiare la complessità sociale e culturale della Siria: «La decentralizzazione è la soluzione migliore per il futuro della Siria, considerando la sua struttura sociale, fatta di nazionalità, confessioni, religioni ed etnie. Tutti ne sono consapevoli, ma sembra che questo obiettivo richieda ancora del tempo per essere realizzato». Il crollo del regime baathista ha rappresentato una frattura irreversibile nella storia siriana, aprendo uno spazio politico che per decenni era stato soffocato dalla repressione delle differenze. In questo scenario, il popolo curdo ha colto la possibilità di affermare la propria soggettività storica, come anche di contribuire a un nuovo ordine democratico per il paese. La conferenza ha rilanciato con forza una visione della Siria fondata sul riconoscimento costituzionale della pluralità: un assetto in cui l’identità curda sia pienamente riconosciuta come elemento strutturale di una convivenza equa e duratura. Continua Bakthiar: «I Curdi hanno da sempre avuto una presenza in Siria, in particolare sul piano politico. Nel corso dell’ultimo secolo di vita politica siriana, più di un presidente è stato di origine curda. Solo durante l’epoca baathista tutte le componenti furono escluse dalla vita politica e in modo particolare i Curdi. Le sfide che il movimento curdo si trova ad affrontare non si limitano al contesto siriano, ma coinvolgono anche le potenze regionali, i Paesi confinanti, i loro interessi, la fobia per una presunta spartizione del territorio e le preoccupazioni legate alla sicurezza nazionale. I Curdi, come ogni altra forza attiva in Siria, non perdono di vista l’evoluzione del quadro politico. Esiste un ampio ventaglio di partiti e movimenti e il dissenso tra posizioni diverse è del tutto naturale. Tuttavia, alla luce degli eventi che hanno scosso la Siria e del crollo del regime, per il movimento curdo è emersa con chiarezza la necessità di modulare le proprie strategie e di riconoscere il valore dell’unità, tanto nella composizione interna quanto nell’elaborazione politica. Questa evoluzione è il risultato dell’impegno portato avanti dalle diverse componenti curde e dei loro sforzi per incidere in modo concreto sulla leadership attiva nel contesto siriano». Tra i contributi alla conferenza, sono emersi appelli convergenti sull’importanza dell’unità e del dialogo. Massoud Barzani, leader del Partito Democratico del Kurdistan in Iraq, ha ribadito il sostegno a soluzioni pacifiche e diplomatiche, esortando le forze curde a fare dell’unità un obiettivo politico concreto. Un messaggio è giunto anche dal Consiglio Esecutivo dell’Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK), che ha indicato nell’unità nazionale lo strumento più efficace per contrastare pressioni esterne e divisioni interne, spesso sfruttate dalle potenze occupanti. A sua volta, il Partito dell’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK) ha sottolineato il valore strategico della convergenza tra forze politiche curde, pur nella diversità delle posizioni, come base imprescindibile per costruire un percorso condiviso e credibile. Una prospettiva, questa, che trova riscontro anche nelle parole di Bakhtiar: «Gli sforzi di Masoud Barzani e il processo di pace in Turchia con Abdullah Öcalan hanno avuto un ruolo positivo nel successo di questo percorso. La presenza di delegazioni e messaggi da parte dei partiti curdi ne rappresenta, naturalmente, la prova più evidente». Riflettendo sugli esiti dell’incontro, Bakthiar ha sottolineato l’importanza del nuovo corso intrapreso: «Uno dei risultati più importanti della recente conferenza è stata la formazione di una delegazione curda congiunta, comprendente tutte le forze politiche e le personalità indipendenti, incaricata di negoziare con il governo centrale di Damasco. Si tratta di un’evoluzione estremamente significativa e positiva, destinata ad avere un impatto favorevole sul futuro della regione». A conclusione della conferenza, il documento finale approvato a Qamishlo traccia una proposta politica articolata, che combina rivendicazioni storiche con una visione inclusiva per il futuro della Siria e restituisce l’immagine nitida di un progetto politico fondato sul pluralismo e sull’esigenza di una profonda trasformazione sociale. La partecipazione ampia e visibile delle organizzazioni del movimento delle donne ha ribadito come la questione della parità di genere attraversi ogni livello del dibattito curdo, definendo una pratica politica in cui l’autodeterminazione si intreccia a una riformulazione radicale dei rapporti di potere. In Rojava, la liberazione delle donne non rappresenta un segmento separato, ma il centro propulsivo di un immaginario condiviso. Su questo sfondo si misurano oggi tensioni interne e minacce esterne. La frammentazione politica resta una vulnerabilità aperta, mentre all’esterno i segnali di ostilità si moltiplicano. La Turchia ha ribadito la propria decisa opposizione a qualsiasi forma di riconoscimento politico o istituzionale dell’identità curda nel contesto siriano. Coerente con questa linea, il leader del Partito del Movimento Nazionalista (MHP), Devlet Bahçeli, ha rivolto dure critiche alla conferenza di Qamishlo, accusandola di rappresentare una minaccia all’integrità territoriale della Siria. Nel frattempo il governo siriano difende strenuamente la propria architettura centralista. Non si è fatta attendere, infatti, la reazione di Damasco che, già il 27 aprile, ha accusato le SDF di aver violato l’accordo nazionale siglato il 10 marzo con la presidenza transitoria, riaccendendo le tensioni sul futuro assetto istituzionale del Paese. Nel mirino del governo, il sostegno riaffermato durante la conferenza a un modello di governance decentralizzato e pluralista promosso dall’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est, che la presidenza siriana ha definito una minaccia all’unità nazionale e un tentativo unilaterale di imporre nuovi equilibri nel Nord-Est del Paese. In questo equilibrio fragile, l’unità delle forze curde si configura come uno strumento essenziale per affermare legittimità politica, consolidare una rappresentanza autonoma e opporsi all’isolamento e alla cancellazione. La sfida, oggi, consiste nel rafforzare una voce politica autonoma, radicata nell’esperienza rivoluzionaria e capace di aprire orizzonti di democrazia condivisa e farsi spazio in un processo di transizione incerto, ma ancora aperto a scenari di trasformazione reale. Tutte le immagini presenti nell’articolo mostrano la Conferenza per l’unità curda del 26 aprile e sono state fornite da Rojava Information Center SOSTIENI, DIFENDI, DIFFONDI DINAMOPRESS Per sostenere Dinamopress abbiamo attivato una nuova raccolta fondi diretta. 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