Contrasto alla guerra ibrida: il/la docente addestratore/trice per la guerra cognitiva
Il 17 novembre 2025 si è riunito il Consiglio Supremo di Difesa presieduto dal
presidente della Repubblica Sergio Mattarella cui hanno partecipato, tra gli
altri, il ministro della Difesa Crosetto e la prima ministra Meloni. In uno
scenario in cui la narrazione ossessiva che tira acqua al mulino dei fautore dei
degli investimenti in difesa in particolare nella cyber-security non poteva
mancare il ruolo dell’istituzione scolastica implicata in prima persona nella
formazione dei futuri “combattenti” civili contro la disinformazione e gli
attacchi informatici, ovvero la cosiddetta guerra ibrida.
Il paradosso, per chi non si accontenta di credere ingenuamente che il nostro
paese, così come l’Occidente – per non parlare nello specifico degli USA dove
Trump ha con schiettezza ribattezzato il Dipartimento della Difesa in
“Dipartimento della Guerra” – siano tendenzialmente portati unicamente alla
difesa, è che sono proprio gli esperti, i consulenti o i militari informatici,
di queste istituzioni a creare dei sistemi d’arma digitali, per l’AI o per gli
attacchi informatici.
Quindi sono gli stessi che, mentre agiscono proattivamente nella guerra ibrida,
per esempio con campagne di disinformazione, potendo contare su mass media
genuflessi al 48 posto su scala mondiale, a pretendere poi di avere una società
che sappia decifrarle e poi contrastarle. Da qui il ruolo della scuola, l’enfasi
nauseante nei confronti dell’intelligenza artificiale, l’urgenza (indotta) di
studiarla, dominarla ma in cattiva fede perché il tutto si svolgerebbe nel
quadro delle grandi piattaforme proprietarie, delle grandi big-tech che grazie
al Covid hanno ormai messo radici profonde in tutte le scuole e nelle menti di
chi le governa.
Nel cosiddetto “Non-paper sul contrasto alla guerra ibrida”, l’ex-rappresentante
di armi Crosetto, indica le seguenti linee-guida affinché la società tutta, a
partire ovviamente dai più giovani, possa essere “resiliente”, all’interno dei
futuri scenari da guerra ibrida:
1. Alfabetizzazione digitale: Le scuole dovrebbero, secondo il report,
promuovere programmi di alfabetizzazione digitale per educare gli studenti a
riconoscere e contrastare la disinformazione. Questo include il
fact-checking diffuso e lo sviluppo del pensiero critico che quando lo si
rivendicava in senso lato in ogni campo del sapere, veniva in tutti i modi
osteggiato dalla standardizzazione impressa, prima di tutto dall’INVALSI ma
oggi, essendo inquadrato in una simbologia bellicistica, in una situazione
emergenziale, riacquista tutto il suol valore, potremmo dire a giusto
titolo, “strategico”.
2. Formazione alla resilienza informativa: È necessario, si dice, che le scuole
integrino nei loro curricula progetti educativi mirati a sensibilizzare gli
studenti sui rischi della manipolazione informativa e sull’importanza di
proteggere i valori democratici. Premesso che il concetto di democrazia, in
Italia, andrebbe rimesso seriamente in discussione ma il concetto stesso di
“resilienza”, oggi tanto di moda e preferito a quello forse troppo
antagonista di “resistenza”, comporta la capacità di diventare, al momento
opportuno in qualche modo insensibili, assuefatti, al bombardamento
informativo nel momento in cui già lo si classifica, a priori come
“disinformazione”: se si parla, appunto, di guerra ibrida e al suo interno
del ruolo via via crescente della disinformazione, il rischio è che tutto
ciò che viene da un potenziale “nemico” sia per definizione falso, mentre
tutto ciò che rappresenta la narrazione, interna, prodotta dal nostro paese
maglia nera della libertà di stampa, sia invece corrispondente alla verità.
Da qui, alla costruzione, nei rispettivi paesi, del “nemico”, il passo è
intuitivamente molto breve oltre che preparare il terreno a future imprese
belliche.
3. Collaborazione con attori pubblici e privati: Le scuole potrebbero essere
coinvolte in iniziative di co-regolamentazione dello spazio digitale,
lavorando con autorità di regolazione e aziende tecnologiche per definire
regole condivise: in prospettiva, quindi, non si esclude che nelle scuole
arrivino esperti informatici, militari che mettono mano alle reti per
renderle più “sicure” ma potendo così entrare, di fatto, in ogni singolo
computer o smartphone, collegato in rete.
4. Educazione civica: Il documento sottolinea l’importanza di investire in
programmi di educazione civica per aumentare la consapevolezza dei
cittadini, inclusi gli studenti, sulle minacce ibride e sulla necessità di
proteggere la democrazia. Si dà quindi per scontato ancora una volta che la
nostra sia una democrazia e che l’educazione civica passi anche attraverso
una preparazione, appunto, alla guerra ibrida: insomma si dovrebbe insegnare
ai ragazzi ad essere sempre sul piede di guerra, a discernere bene tra le
varie informazioni, per poi schierarsi, ovviamente dalla parte “giusta”.
5. Coinvolgimento dei militari: qui entriamo nel vivo di ciò che contrastiamo
da sempre implicitamente ed esplicitamente, in modo strutturato, da circa
quattro anni con l’Osservatorio. I militari non vengono chiaramente
menzionati come possibili messaggeri di questa narrazione all’interno delle
scuole. Tuttavia, il documento fa riferimento esplicito alla necessità di
una “collaborazione tra istituzioni civili e militari” per rafforzare la
resilienza sociale, il che potrebbe includere attività educative congiunte.
In sintesi, le scuole dovrebbero adottare programmi che favoriscano la
consapevolezza digitale, la resilienza informativa e la protezione dei
cosiddetti valori democratici, collaborando con istituzioni e aziende per
affrontare le minacce ibride: insomma si entrerebbe nello spirito di un campus
di addestramento para-militare.
In generale nel documento emerge chiaramente il ruolo del corpo docente in
quanto chiamato a svolgere un ruolo cruciale nella formazione degli studenti per
contrastare le minacce ibride. In particolare, riassumendo:
1. Promozione del pensiero critico: I professori dovrebbero educare gli
studenti a sviluppare capacità di analisi critica, aiutandoli a distinguere
tra informazioni vere e false, e a riconoscere le campagne di
disinformazione. Si confonde quindi il pensiero critico, ovvero la capacità
di analizzare i fenomeni, da diversi punti di vista e nella loro
complessità, valutando i pro e i contro delle azioni sociali, i vantaggi o
svantaggi degli attori in campo, con la capacità di discernere tra “vero” o
“falso”. Siamo insomma agli antipodi rispetto ad una visione formativa e
molto contigui ad una addestrativa.
2. Alfabetizzazione digitale: I docenti saranno fondamentali nell’insegnare
agli studenti le competenze digitali necessarie per navigare in modo sicuro
e consapevole nello spazio digitale, inclusa la capacità di verificare le
fonti e identificare contenuti manipolativi. D’altro canto, questo approccio
dovrebbe ispirare il corpo docente a prescindere da una possibile guerra
ibrida: enfatizzarlo e ricordarlo in modo così ridondante non è certo
rassicurante ma come è accaduto storicamente in ogni periodo prebellico è
funzionale a mantenere la popolazione in uno stato di pre-allerta e di
perenne emergenza
3. Educazione civica: Si dice che “i professori avranno il compito di
sensibilizzare gli studenti sui valori democratici, sulla coesione sociale e
sull’importanza di proteggere le istituzioni democratiche dalle interferenze
esterne”. Quindi, in poche e semplici parole è riassunto il filo conduttore
del nuovo approccio pedagogico della scuola italiana: Non si studia più la
storia le istituzioni le lotte partigiane ho il tema dei diritti dell’uomo o
della libertà di informazione nell’intento di migliorare il nostro apparato
istituzionale ma in un’ottica prettamente difensiva e per di più non contro
un nemico interno ma dichiaratamente esterno
4. Collaborazione con esperti: I docenti potrebbero collaborare con esperti di
sicurezza informatica, fact-checking e disinformazione per integrare nei
programmi scolastici contenuti specifici relativi alla guerra ibrida e alle
minacce cibernetiche. D’altro La scuola è già fertilizzata da anni ed
abituata alla presenza di poliziotti in divisa armati impegnata a trattare
temi come il cyber-bullismo.
In conclusione, si vuole che i professori abbiano un ruolo centrale nel
preparare le nuove generazioni a fronteggiare le “sfide” della guerra ibrida,
attraverso l’educazione e la sensibilizzazione su temi di sicurezza digitale,
disinformazione e resilienza democratica: si vuole un pensiero più o meno
critico ma certamente ed efficacemente ben allenato a stanare le fake-news.
Vero-falso, nero-bianco, amico-nemico: questo è, quindi, il nuovo codice binario
da seguire, perfettamente in linea con l’era digitale.
Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle
università