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Come si può parlare di guerra e pace nelle scuole? Cominciamo da una Semantica di Pace
PUBBLICATO SULLA RIVISTA LA LANTERNA IL 15 LUGLIO 2025 PUBBLICATO SU WWW.AGORASOFIA.COM IL 16 LUGLIO 2025 Affermare al giorno d’oggi che non ci sia abbastanza clamore intorno ai temi della guerra e della pace potrebbe risultare completamente fuori contesto, dal momento che quasi quotidianamente si viene letteralmente bombardati, sia attraverso i maggiori media mainstream sia attraverso i canali social, da immagini e notizie relative a conflitti armati in corso e a proteste che cercano, in nome di un qualche richiamo al pacifismo, di contestare quella barbarie. Una simile sovraesposizione alla guerra e alla pace, tuttavia, necessita di uno sfondo di comprensione, di un contesto significativo in cui inserire i fatti, di una ermeneutica scevra da condizionamenti e prese di posizione preventive. Quel contesto storicamente imparziale e logicamente argomentato non può che essere costruito nelle scuole, cioè nei luoghi deputati all’insegnamento di orizzonti simbolici caratterizzati dalla solidarietà, dalla cooperazione, dall’accoglienza e non dal mero apprendimento di procedure, competenze tecniche e posture flessibili in linea con il mercato del lavoro. Ma, se così stanno le cose, se nelle scuole ancora insegnano docenti in carne e ossa che progettano la didattica, che adottano una sorta di immaginazione utopistica per prevedere delle finalità per il loro insegnamento, allora la loro responsabilità è totale in riferimento al bagaglio di valori che si viene a determinare nella realtà a partire dai contesti educativi. Ora, prendendo come riferimento l’universo simbolico che è scaturito dalle parole degli studenti e delle studentesse che sono intervenuti/e nelle varie occasioni in cui abbiamo portato in pubblico o nelle scuole le questioni denunciate dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, possiamo affermare con qualche grado di certezza che essi/esse già mostrano in maniera altamente preoccupante una sorta di normalizzazione della guerra e una preoccupante rassegnazione davanti al fatto che si tratterebbe di un fenomeno necessario nello sviluppo storico. La sovraesposizione mediatica a immagini di guerra e il coinvolgimento politico del nostro Paese in vari scenari bellici con annessa legittimazione mediatica ha generato, in sostanza, un’idea della guerra come tratto ineluttabile, connaturato all’umanità e alla quale non serve opporsi. Dai loro discorsi sembra quasi che sia stata riesumata una sorta di impostazione ideologica riconducibile al filosofo tedesco Hegel, il quale tendeva a rimarcare verso i primi dell’Ottocento, nell’apoteosi della boria della cultura tedesca, l’idea che la guerra fosse lo strumento naturale per l’evoluzione degli Stati. Davanti a questa condizione piuttosto diffusa, a questo mondo dato per scontato da parte dei/delle più giovani, forse sarebbe il caso di mettere da parte, per il momento, la critica del reale, l’analisi delle circostanze per cui ci sono le guerre attuali, in Palestina come in Ucraina e negli altri cinquantasei scenari mondiali. Se non altro, forse emerge la necessità, quantomeno, di affiancare a quelle analisi geopolitiche un lavoro più profondo di tipo antropologico, o addirittura ontologico, sulla guerra come destino dell’umanità e portare nelle scuole una concreta proposta didattica di pace, che ragioni storicamente e logicamente sulla necessità di ricorrere in maniera obbligata al conflitto armato per la risoluzione delle controversie nazionali o internazionali.   E tutto ciò, ovviamente, sempre con il dubbio che parlare di guerra, come di violenza e di male assoluto, nelle scuole possa essere, paradossalmente, un modo per portare all’attenzione degli studenti e delle studentesse un tema che, invece di rimanere fuori dalla storia, riesca ancora inspiegabilmente, in un clima di irrazionalismo diffuso, ad affascinare le giovani generazioni in cerca, forse, di affermazione, di riscatto, di macabra attrazione nei confronti del deprecabile pur di salire alla ribalta e ottenere notorietà. Davanti ad un simile scenario assiologico riteniamo che studiare la Pace come tema e, di conseguenza, insegnare la pace come argomento specifico sia necessario. Si tratta di un assunto che deriva da un inconfutabile dato storico, giacché dopo ogni guerra inizia il periodo di ricostruzione e di pacificazione, che spesso è anche più lungo della occorrenza della guerra, ma evidentemente il nostro gusto per l’orrido, per il torbido, sopravanza quello per la bellezza, che senza alcun dubbio viene distrutta durante la guerra. Ci siamo mai chiesti come mai nei manuali di storia in uso nelle scuole all’interno dei capitoli l’accento venga posto, con dovizia di particolari, sulla follia della guerra? Come mai ci sono ricercatori e storici che conoscono ogni dettaglio militare e decidono di corredare i nostri manuali di paragrafi interi su tecniche di guerra, materiale bellico utilizzato e scoperte militari devastanti per l’umanità? Il fatto che gli studenti e le studentesse conoscano i minimi dettagli sulle vicende di guerra obbedisce solo ad una esigenza informativa? Qual è la ricaduta educativa della sovrabbondanza di un lessico costellato di semantica di guerra e violenza? E ancora, come mai si parla di Prima, Seconda Guerra mondiale e non di Prima, Seconda Pace mondiale, che pure sono esistite, ma non godono di una consistenza ontologica prima che semantica? Sarà mai che questo eccesso di conoscenza e di ricerca inerente al tema della guerra e delle sue peculiarità sia funzionale, malgrado l’esimio lavoro degli storici di professione, alla sua normalizzazione, alla sua presenza costante all’interno dell’universo delle possibilità umane di gestione dei conflitti? Insomma, a noi pare che la sproporzione tra una “semantica di guerra” e una “semantica di pace” all’interno dei progetti educativi e dei programmi scolastici in generale, almeno dalle scuole secondarie di primo grado in poi, sia abbastanza evidente. Tutto ciò determina, in qualche modo, la costruzione di un universo simbolico nelle menti degli studenti e delle studentesse che dà consistenza ontologica alla guerra e non alla pace, mentre quest’ultima viene, nella migliore delle ipotesi, ritenuta un’appendice momentanea dell’urgenza distruttiva della guerra, percepita come connaturata all’essere umano. In realtà, non solo sappiamo con chiarezza dalla storia, dall’antropologia, dalla sociologia e dalla psicologia, che le cose non stanno proprio così, cioè che la guerra irrompe nella storia in un momento preciso, vale a dire quando le popolazioni sono diventate stanziali e si è pensato di cominciare a occupare la terra e dichiararla di proprietà esclusiva secondo una prima forma di appropriazione indebita ante litteram. Ma ciò che sappiamo con altrettanta certezza è che vi è una galassia sconfinata di studi, di teorie, di pratiche della pace, perlopiù coltivata dai Centri Studi, associazioni, circoli culturali, organizzazioni non governative, che, però, non trova dignità accademica, non trova investimenti, a differenza della galassia degli studi e delle pratiche di guerra, che incontrano gli interessi di industrie belliche che fatturano miliardi. Ad ogni modo, la semantica della pace va coltivata a partire dal lessico che utilizziamo quotidianamente. Come educatori ed educatrici che assumono l’impegno politico e civico di presentarsi come “docenti pacefondai”, si può avviare una grande rivoluzione lessicale con un piccolo sforzo consapevole orientato alla smilitarizzazione del linguaggio: mai più militanti, ma attiviste/i; mai più concentramento, ma incontro; mai più in trincea o in prima linea, ma a disposizione. Si tratta di una piccola e costante attenzione lessicale che porta con sé una più grande rivoluzione semantica, di senso, un cambiamento di prospettiva che genera nuovi orizzonti di nonviolenza, che è quello di cui la scuola e l’umanità hanno bisogno e su cui don Tonino Bello ci ammoniva tempo fa: «Smilitarizziamo il linguaggio, spesso così intriso di assurde categorie belliche, che dà l’impressione di un agghiacciante bollettino di guerra. Preserviamo i nostri ragazzi, che hanno sempre più come principale referente lo schermo televisivo, dalle trasfusioni di violenza che essi metabolizzano paurosamente» (A. Bello, Convivialità delle differenze Meridiana, Molfetta 2006, p. 51). Michele Lucivero, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
Wumingfoundation.com: Rimozione forzata. Cinque anni dal lockdown e (fingere di) non sentirli
DI STEFANIA CONSIGLIERE E CRISTINA ZAVARONI PUBBLICATO SU WWW.WUMINGFOUNDATION.COM L’11 LUGLIO 2025 Ospitiamo con piacere sul nostro sito l’interessante articolo scritto da Stefania Consigliere e Cristina Zavaroni pubblicato su Wumingfoundation.com l’11 luglio 2025 in cui, tra le altre cose, viene ribadito quanto l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università denuncia da due anni a questa parte, vale a dire un pericolosissimo processo di occupazione degli spazi del sapere e della formazione da parte delle Forze Armate e di strutture di controllo. «Concludiamo in modo volutamente telegrafico con il più inquietante fra tutti i fenomeni elencati: impiantata quando la metafora della guerra al virus si è tradotta nella realtà di un generale a capo della campagna vaccinale, la militarizzazione prosegue imperterrita sulle strade, nelle scuole e nelle università, e scandisce il passo di marcia verso un conflitto che pochi, oggi, pensano ancora evitabile. E infatti ora ci dicono che è bene prepararsi al peggio mettendo in borsetta una power bank e un mazzo di carte...continua a leggere su www.wumingfoundation.com.
Altraeconomia.it: “Nessun progetto funzionale alla cultura di guerra dovrebbe entrare a scuola”
«Secondo Antonio Mazzeo, insegnante, giornalista e tra i fondatori dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, “lo spettro delle attività conferma che il processo di militarizzazione delle scuole italiane è oggi un fenomeno onnicomprensivo”
Dinamopress.it: Sessualità, scuola e nazione: politiche globali dell’obbedienza
DI MONICA PASQUINO PUBBLICATO SU WWW.DINAMOPRESS.IT L’8 LUGLIO 2025 Ospitiamo con piacere sul nostro sito l’interessante articolo scritto da Monica Pasquino, pubblicato su Dinamopress.it l’8 luglio 2025 in cui viene ribadito quanto l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università denuncia da due anni a questa parte, vale a dire un pericolosissimo processo di occupazione degli spazi del sapere e della formazione da parte delle Forze Armate e di strutture di controllo. «Negli ultimi anni, l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha documentato decine di episodi in cui l’Esercito entra nelle scuole attraverso cerimonie, attività pseudo-formative ed esercitazioni promosse in accordo con il Ministero dell’Istruzione e il Ministero della Difesa. Si diffonde così una “cultura della difesa” che normalizza la presenza militare nei percorsi educativi. Basta farsi un giro nella gallery fotografica dell’Osservatorio per farsene un’idea…continua a leggere su www.dinamopress.it.
Controllo e censura nelle scuole italiane: segnali evidenti di fascismo eterno
I segnali, abbastanza diffusi e premonitori, erano evidenti già prima, così come i segnali di un fascismo latente erano già manifesti prima nel 1922 nel suprematismo bianco, nel colonialismo muscolare, nel meccanismo repressivo delle opposizioni, nel razzismo biologico. Tuttavia, quei segnali divennero con il passare del tempo sempre più chiari e inconfutabili, ma anche condivisi dalla popolazione intera, intortata ad arte dall’apparato informativo di sistema e da quello scolastico, che lasciavano sempre meno spazio al pensiero critico e divergente. Analogamente, al giorno d’oggi diventa palese e incontrovertibile il diffuso processo di controllo dell’operato e dell’universo simbolico che si costruisce nelle scuole pubbliche, nonostante questo sia stato messo opportunamente al riparo dalla nostra Costituzione mediante il principio ella libertà educativa e del pluralismo culturale, che non richiedono di prestare giuramenti nei confronti di una qualche ideologia totalitaria, tirannica e antidemocratica. Questa premessa potrebbe essere anche sufficiente per trasmettere, da docenti ed educatori, la nostra preoccupazione relativamente al clima che da qualche tempo si vive nelle scuole, un clima che provammo a documentare in uno dei momenti più cupi della nostra storia[1], cioè durante le prove tecniche di regime, ma allora c’era la pandemia e l’emergenza sanitaria imponeva di mettere davanti a tutto, anche davanti alla libertà soggettiva di trattamento sanitario, l’interesse collettivo e così con lo slogan di “sorvegliare e pulire” obbedimmo, ci vaccinammo e tornammo a scuola come soldatini, “armati” di disinfettanti, a sanzionare comportamenti che violassero la regola del distanziamento sociale, umano e fisico. Ma la nostra preoccupazione si è acuita qualche tempo fa, quando un editore poco coraggioso, il bolognese Zanichelli, non ha avuto nulla da eccepire davanti alle intimidazioni del Governo, che ha segnalato l’anomalia in un suo manuale e lui prontamente è ricorso alla sostituzione, al macero, alla rimozione della pagina incriminata. Noi lo abbiamo segnalato su ROARS e poche altre testate hanno avuto l’avventatezza di rilanciare la denuncia. E, tuttavia, questa pratica di intervenire negli affari della scuola mediante circolari commemorative su ricorrenze imbarazzanti, come quelle sulla celebrazione del 4 novembre, con correzioni revisionistiche, come quelle sulle Foibe, intimidazioni diffuse e sanzioni ad personam, come nel caso di Christian Raimo, sta diventando una pratica abituale. E, allora, come dice Luciano Canfora, in questi casi «è legittimo allarmarsi quando si osservano repliche di quei comportamenti: intimidire l’opposizione con accuse inverosimili, intimidire singoli oppositori con raffiche di querele, metter sotto accusa o delegittimare gli organi di controllo, demonizzare i governi precedenti ventilando “commissioni d’inchiesta” a getto continuo, monopolizzare l’informazione (pronta, per parte sua, all’autocensura), progettare di stravolgere l’ordinamento costituzionale. È un sistema di controllo che potrebbe definirsi “reazionarismo capillare di massa”, facente perno su ceti medi impoveriti, antipolitici e vagamente xenofobi»[2]. Certo, ciò che intendiamo segnalare è che questa volta, a differenza del bolognese Zanichelli, il barese Alessandro Laterza, erede di una storica tradizione antifascista che risale nientedimeno che alla collaborazione con Benedetto Croce, non si è lasciato intimidire e ha sostenuto il lavoro dei suoi autori e delle sue autrici Caterina Ciccopiedi, Valentina Colombi, Carlo Greppi e Marco Meotto, storiche di professione, ricercatrici e docenti, dichiarando «Senza ricamarci troppo: siamo nell’anticamera della censura e della violazione di non so quanti articoli della Costituzione».  Ora, se nel caso del manuale di Zanichelli ad essere contestato dal Governo era un passaggio in cui l’ONG Human Rights Watch riferiva di una maggiore disposizione all’accoglienza nell’impianto legislativo del Governo Conte rispetto a quello precedente sotto il dicastero di Matteo Salvini, in quest’ultimo caso è abbastanza curioso il motivo del contendere con intento intimidatorio. Ciò che si contesta, infatti, da parte della deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli nel volume di storia per il V anno dei Licei, Trame del tempo, è l’attribuzione di una sorta di continuità tra il fascismo e il partito al governo, la cui direzione è affidata a Giorgia Meloni, cioè lo stesso partito al quale la deputata Montaruli, che chiede ispezioni e accertamenti presso l’Associazione Italiana Editori, appartiene. Insomma, ha davvero del ridicolo questa evidenza autoaccusatoria, se non fosse tragica dal momento che il soggetto dal quale promana è chiaramente incapace di comprendere l’autogol commesso. Basterebbe pensarci un attimo per mettere a nudo il cortocircuito logico e politico in cui si è cacciata l’onorevole. Se, infatti, l’arguta parlamentare si fosse limitata a denunciare l’estraneità del partito guidato da Giorgia Meloni da retaggi fascisti, circostanza ovviamente improbabile giacché viene sbandierata dalla stessa Presidente del Consiglio dei ministri[3], avrebbe semplicemente smentito gli autori e si sarebbe automaticamente collocata lungo una linea difensiva autoassolutoria conforme allo scopo della denuncia a mezzo stampa. E, invece, al contrario, cosa fa l’onorevole Montaruli? Si spertica nell’intimidire in maniera fascistoide degli storici, i quali hanno avuto l’ardire di rilevare il retaggio fascista di soggetti politici che, del resto, rimangono incapaci di dichiararsi antifascisti. Insomma, se intimidisci degli storici per ciò che scrivono; se richiedi che il loro lavoro venga ispezionato, non si sa a quale titolo, dall’Associazione Nazionale Editori; se chiedi che venga svolta una interrogazione parlamentare sul loro operato, è chiaro che si tratta di un atteggiamento fascistoide, rispondente ad alcune di quelle caratteristiche di cui ci parlava Umberto Eco,nel suo Il fascismo eterno[4], in particolare quando il semiologo tra i punti fondamentali dell’Ur-fascismo citava l’avversione nei confronti di qualsiasi critica e la paura della differenza. Ecco, tutti questi segnali andrebbero pur sempre collocati, non dimentichiamolo, all’interno del quadro tracciato dalle nuove Indicazioni Nazionali per il curricolo della Scuola dell’infanzia e Scuole del Primo ciclo di istruzione, proprio quelle in cui la storia subiva un forte arretramento interpretativo di marca chiaramente colonialistica, circostanza, del resto, ampiamente criticata dagli storici e, in particolare, dalla Società Italiana di Didattica della Storia. Non a caso, proprio su questo tema, in un Convegno CESP a Palermo dal titolo Edward W. Said, la cultura dell’anti-colonialismo e la sua presenza nella scuola italiana avevamo provato ad indagare tra la manualistica in dotazione nelle scuole superiori quale fosse quella più incline ad un approccio inclusivo e meno occidentalista e il risultato era assolutamente favorevole a Caterina Ciccopiedi, Valentina Colombi, Carlo Greppi, Marco Meotto, Trame del tempo, Laterza, Roma-Bari, seguito da Andrea Giardina, Giovanni Sabbatucci, Vittorio Vidotto, I mondi della storia, Laterza, Roma-Bari e da pochi altri[5]. Che i tempi siano quantomeno tenebrosi è, dunque, piuttosto chiaro. Se poi a tutto ciò ci aggiungiamo il culto della morte e l’ideologia della guerra, che comporta la lotta contro il pacifismo, giacché «Il pacifismo è allora collusione con il nemico, il pacifismo è cattivo perché la vita è una guerra permanente»[6] con conseguente militarizzazione delle scuole (Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università), allora non si capisce davvero di cosa debba dolersene l’onorevole Montaruli per questa conclamata continuità storica e politica del Governo Meloni, il più a destra della storia italiana repubblicana, con l’Ur-fascismo. Eppure, proprio dalla storia passata noi docenti ed educatori qualcosa l’abbiamo imparata, cioè abbiamo compreso il ruolo determinante dei professionisti della formazione nel costruire coscienze critiche non solo mediante discorsi e argomentazioni, ma anche attraverso azioni concrete, come il boicottaggio, ad esempio, vale a dire la scelta consapevole di un manuale più indipendente piuttosto che un altro più disposto ad obbedire e prono a sostituire, a censurare, a cassare dietro indicazione del Ministero. Insomma, a fronte di storici, storiche ed editori coraggiosi occorrerebbe altrettanto coraggio da parte della classe docente, per non rischiare di finire come le rane bollite. DI MICHELE LUCIVERO PUBBLICATO SU WWW.PRESSENZA.COM IL 2 LUGLIO 2025 -------------------------------------------------------------------------------- [1] Ci permettiamo di rimandare a M. Lucivero, A. Petracca, Scuola pubblica e società (in)civile, Aracne, Roma 2023. [2] L. Canfora, Il fascismo non è mai morto, Dedalo, Bari 2024. [3] Il 23 ottobre 2022 nel discorso di investitura alle Camere, la Presidente Giorgia Meloni afferma: «Vengo da una storia politica che è stata spesso relegata ai margini della storia repubblicana». Opportunamente lo storico Luciano Canfora, egli stesso querelato per diffamazione aggravata ai danni della presidente del consiglio Giorgia Meloni (querela poi ritirata con conseguente dichiarazione di non luogo a procedere ad parte del Tribunale di Bari nei confronti dell’imputato), argomenta che quella storia “relegata al margine” è proprio la storia neofascista del Movimento Sociale Italiano, cfr. L. Canfora, Il fascismo non è mai morto, cit., p. 60-61. [4] U. Eco, Il fascismo eterno, La nave di Teseo, Milano 2019. [5] Cfr. https://cobasscuolapalermo.com/edward-w-said-la-cultura-dellanti-colonialismo-e-la-sua-presenza-nella-scuola-italiana/ per i video del Convegno e la presentazione analitica della manualistica. [6] U. Eco, Il fascismo eterno, cit., p. 42.
Intervista a Francesco Schettino su Radio Onda d’Urto su spese militari: l’economista cita l’Osservatorio
Francesco Schettino, docente di economia all’Università “Luigi Vanvitelli” di Napoli nel commento che vi proponiamo, basato su analisi qualitative dell’ultima scelta della NATO sugli investimenti in armi fino al 5%del PIL delle singola nazioni, cita esplicitamente l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. Nell’intervista ai microfoni di Radio Onda d’Urto (clicca qui per ascoltare sul sito) possiamo ascoltare questo passaggio: «C’è chi fa analisi sulla militarizzazione come il lavoro pregevole dell’Osservatorio – spiega Schettino – che ci mette in guardia su questo fenomeno, ma mi chiedo se i genitori dei compagni di scuola dei miei figli e in generale nella società c’è questa consapevolezza che saranno loro ad essere obbligatati ad indossare una divisa».
SerenoRegis.org: La coscienza dice NO alla guerra
DI ANGELA DOGLIOTTI PUBBLICATO SU WWW.SERENOREGIS.ORG IL 19 GIUGNO 2025 Ospitiamo con piacere sul nostro sito l’interessante articolo scritto da Angela Dogliotti, pubblicato su Sereno Regis.org il 19 giugno 2025 in cui viene ribadito quanto l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università denuncia da due anni a questa parte, vale a dire un pericolosissimo processo di occupazione degli spazi del sapere e della formazione da parte delle Forze Armate e di strutture di controllo. «Dobbiamo perciò anche  ampliare il nostro impegno nello sviluppo di una cultura di pace, sostenendo il lavoro che la Scuola per la pace  e l’Osservatorio contro la militarizzazione della scuola e dell’Università stanno svolgendo in modo egregio, con  mozioni, prese di posizione e manifestazioni a livello sia di Istituto, sia di territorio…continua a leggere su www.serenoregis.org.
Fanpage.it: Come il Governo e il ministro Crosetto promuovono la ‘cultura della Difesa’ per portarci verso la guerra
DI CHRISTIAN RAIMO PUBBLICATO SU WWW.FANPAGE.IT IL 23 GIUGNO 2025 Ospitiamo con piacere sul nostro sito l’interessante articolo scritto da Christian Raimo, pubblicato su Fanpage.it il 23 giugno 2025 in cui viene ribadito quanto l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università denuncia da due anni a questa parte, vale a dire un pericolosissimo processo di occupazione degli spazi del sapere e della formazione da parte delle Forze Armate e di strutture di controllo. «Insomma, la cultura della difesa può essere facilmente sovrapponibile al senso costituzionale. Questa sostituzione ormai spesso accade anche nelle scuole. Gli episodi segnalati dall’Osservatorio contro la militarizzazione nelle scuole sono sempre più frequenti. Antonio Mazzeo, il coordinatore, ha provato a riconoscere anche le ragioni di questa diffusione della pedagogia militarista...continua a leggere su www.fanpage.it.
Il crimine del silenzio e la lezione del Rojava
Ci sarà un giorno nel quale si racconterà come in questo tempo di orrori, svuotamento della democrazia, sfascio del diritto internazionale, si è aperta una crepa con la straordinaria scelta di disarmo e scioglimento del PKK. Insieme all’esperienza confederalista e di autogoverno promossa dalle comunità kurde, a cominciare dal Rojava, il rifiuto della logica delle armi è un grido potentissimo che dovremmo imparare a riconoscere. Un appuntamento prezioso a Roma. «L’esempio di Rojava per il futuro della democrazia in Siria» è il titolo dell’iniziativa che si terrà mercoledì 18 giugno dalle 11,30 a Roma, presso la Sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro, piazza Capranica 72. Con la moderazione di Marina Forti, i saluti del senatore Tino Magni e l’introduzione di Gianni Tognoni, Giacinto Bisogni, Domenico Gallo, Khaled Issa, Ezio Menzione, Yilmaz Orkan, Barbara Spinelli discuteranno attorno alla sentenza emessa dal Tribunale Permanente dei Popoli riunitosi in febbraio a Bruxelles nella sua 54ª sessione su Rojava vs. Turchia. Le accuse rivolte al presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan, a suoi attuali e passati ministri e a responsabili militari e dell’intelligence, esaminate nel corso della sessione, riguardavano un lungo elenco di crimini commessi dal 2018 e in particolare il crimine di aggressione con gli interventi militari illegali turchi in Siria tra il 2018 e il 2024, contro la volontà delle autorità siriane e dell’amministrazione autonoma del Rojava; crimini contro l’umanità, con pratiche di pulizia etnica, di sfollamento forzato e di deportazione, detenzioni illegali e tortura; crimini di guerra, con l’uccisione mirata di civili e il bombardamento indiscriminato della popolazione; la cancellazione culturale e religiosa; il saccheggio e la distruzione ambientale. Il Tribunale, di cui è segretario generale Gianni Tognoni, ha concluso riconoscendo la responsabilità degli imputati per le accuse e i fatti contestati. Naturalmente tale sentenza, su cui riferiranno mercoledì i relatori – alcuni dei quali sono stati membri della giuria che ha ricostruito e valutato i crimini perpetrati nel corso del tempo dalle autorità politiche e militari turche –, è particolarmente importante non tanto per impossibili effetti giuridici capaci di incrinare la «cultura istituzionalizzata dell’impunità e gli ostacoli strutturali e giuridici alla giustizia e all’accertamento delle responsabilità per i crimini internazionali» quanto per le autorevoli e argomentate sollecitazioni politiche che contiene, tanto più in un momento in cui l’impunità, l’aggressione a stati sovrani, il terrorismo di Stato, i massacri di civili inermi, i crimini di guerra e contro l’umanità, le pratiche di pulizia etnica sino al genocidio si sono imposte come quotidianità a Gaza e in tutto il Medio Oriente grazie anche alle complicità, attive e passive, con il governo di Israele da parte dell’intero occidente, Stati Uniti e Unione Europea per primi. Il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP), erede del Tribunale Internazionale Contro i Crimini di Guerra, noto come Tribunale Russell e attivo negli anni Sessanta del secolo scorso, è stato fondato da Lelio Basso e ha come missione l’ascolto dei popoli e la promozione del rispetto dei diritti umani, accertandone le violazioni ed esaminandone le cause, documentando i crimini e denunciandone gli autori presso l’opinione pubblica mondiale. Suo obiettivo dichiarato è anche, seguendo Jean-Paul Sartre, di contrastare il “crimine del silenzio”. Un crimine che accompagna sempre, essendone talvolta l’indispensabile premessa, tutti quelli su cui il Tribunale, ai sensi del proprio statuto, dichiara la propria competenza: genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra, crimini ecologici, crimini economici, crimini di sistema, rivolgendo dunque la propria attenzione anche ai crimini di stati e di imprese, a rimarcare un’idea di un altro diritto e di una giustizia priva di soggezioni e reticenze, alternativi a quel diritto del più forte che, da ultimo, sta mostrando il suo sanguinoso e orrendo volto non più celato da ipocrisie. La caccia ai migranti e le deportazioni in corso negli Stati Uniti di Trump, ad esempio, sono tristemente eloquenti, e lo stesso avviene in Europa; se prima la violazione dei diritti umani era occultata, ora è sbandierata come fonte del consenso. A questi riguardi, sono esemplari dell’impostazione del TPP la sentenza sulle Imprese transnazionali nei paesi dell’Africa subsahariana (2016-2018), quella sul Salario dignitoso per le donne lavoratrici dell’industria dell’abbigliamento in Asia (2009-2015), quella sulle Imprese minerarie canadesi in America Latina (2014), quella su La UE e le imprese transnazionali in America Latina: politiche, strumenti e attori complici delle violazioni dei diritti dei popoli (2006-2010) o quella su Le Politiche del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale I (1988) e le tante altre, per arrivare alla fondamentale sessione su La conquista dell’America e il diritto internazionale (1992). Un diritto internazionale di cui l’aggressione e occupazione della Striscia di Gaza e lo sterminio dei palestinesi in corso da parte di Israele hanno finito di rendere manifesta l’impotenza, i limiti e l’ipocrisia. Il TPP conclude il proprio pronunciamento sul Rojava e sulle responsabilità impunite della Turchia affermando che «l’imperativo per coloro che ascoltano è agire, portare i messaggi trasmessi nelle nostre raccomandazioni a coloro che hanno il potere di metterli in pratica. In questo modo, le prove prodotte dal TPP in questa sessione potrebbero diventare uno strumento di informazione e di coscienza per tutte le società civili amanti della pace». Interlocutrici sono, dunque e appunto, quelle società civili che anche in questi mesi si stanno mobilitando dal basso, in modo spontaneo e molecolare, mentre governi e decisori nazionali e sovranazionali occidentali collaborano ai crimini dello Stato e del governo d’Israele. Esattamente come in precedenza avevano fatto per quelli dello Stato e del governo turco nei confronti del Rojava e delle popolazioni kurde. La difesa dei diritti umani e la salvaguardia della Comunità Autonoma del Rojava, così come la più complessiva questione kurda, dovranno ora inevitabilmente confrontarsi con il nuovo disordine mondiale. Uno scenario conflittuale e distruttivo che va configurandosi negli ultimi anni a seguito dell’affermarsi in diversi paesi di governi improntati a un populismo aggressivo, sino al neoimperialismo tecnofeudale della nuova amministrazione statunitense, a quello reclinante e reattivo della Federazione Russa, a quello virulento ed espansivo della Turchia di Erdoğan, resi maggiormente pericolosi da un’Unione Europea preda di tecnocrazie, sovranismi e lobby belliciste, incapace di identità, autonomia e visione. Successivamente alla sessione del TPP di Bruxelles si sono determinati nuovi e significativi avvenimenti: la caduta del regime di Assad in Siria e la riapertura del processo di pace tra il popolo kurdo e il regime turco, propiziata e resa possibile dall’interno del carcere nel quale è detenuto da oltre un quarto di secolo in condizioni di duro isolamento il leader del PKK Abdullah Öcalan, il Mandela del nostro tempo, per dirla con il filosofo Slavoj Žižek. Dopo la distruzione di Gaza, l’espansionismo e l’interventismo bellico israeliano in Cisgiordania, in Libano, nella stessa Siria, nello Yemen e ora in Iran – accompagnato e reso possibile dall’impunità assicurata dalle complicità e cointeressenze statunitensi, europee (e italiane) e dal crimine del silenzio – hanno determinato un quadro in rapidissima evoluzione e di grandissima preoccupazione. Rispetto al quale la proposta e posizione kurda, il disarmo e lo scioglimento del PKK costituiscono uno dei pochi segnali in controtendenza, così come il modello confederalista e di autogoverno – e la sua implementazione in Rojava – rappresentano non un’astrazione o una posizione ideologica ma una proposta, concreta e credibile, fondamentale di fronte allo sfascio e allo svuotamento della democrazia e del diritto internazionale in corso nell’intero occidente e al moto inerziale verso la guerra mondiale che stanno producendo. Parafrasando il titolo dell’evento che si terrà mercoledì a Roma (è possibile partecipare scrivendo entro martedì a: segreteriapresidenzamisto@senato.it), l’esperienza e la realtà del Rojava costituiscono dunque un prezioso esempio per il futuro della democrazia non solo in Siria ma in tutto il mondo. Rompere il silenzio sul Rojava è allora una necessità vitale e un motivo di speranza per tutti. Mai come ora ce n’è impellente bisogno. Di Sergio Segio Il crimine del silenzio e la lezione del Rojava L'articolo Il crimine del silenzio e la lezione del Rojava proviene da Retekurdistan.it.
Comune-info.net: Maledetti i costruttori di morte
DI PAOLO CACCIARI PUBBLICATO SU WWW.COMUNE-INFO.NET IL 27 OTTOBRE 2024 Ospitiamo con piacere sul nostro sito l’interessante articolo scritto da Paolo Cacciari, pubblicato su Comune-info.net il 27 ottobre 2024 in cui viene ribadito quanto l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università denuncia da due anni a questa parte, vale a dire un pericolosissimo processo di occupazione degli spazi del sapere e della formazione da parte delle Forze Armate e di strutture di controllo. «Si chiude così il cerchio della militarizzazione della società in nome della sicurezza e dello sviluppo tecnologico. E si capisce anche quale sia l’interesse di industrie come Leonardo ad entrare nelle università e i militari nelle scuole…continua a leggere su www.comune-info.net.