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Riflessione sul patto di fiducia tra Stato e cittadini, a partire da una triste sentenza
Pubblichiamo di seguito la riflessione che la giurista Rosanna Pierleoni ha scritto per Pressenza Italia come commento alla vicenda della famiglia anglo-australiana che vive nel bosco in Abruzzo. Un riflessione intrisa di umanesimo che fornisce un parere critico ed esplicativo da parte di una persona competente in materia. Di pochi giorni fa l’ordinanza del Tribunale per i minorenni dell’Aquila che sta portando sul fronte popolare tanto malcontento e che sta avviando, forse per la prima volta, una dolorosa ma inevitabile riflessione sull’articolato sistema che regola la sottrazione di minori nel nostro Paese. Credo sia importante lasciare che questo tema abbia dignità di tema pubblico, perché si tratta di prassi che toccano il rapporto di potere tra Stato e cittadini, e delineano i confini della potestà sui minori: magistratura e assistenti sociali da un lato, le famiglie dall’altro. È altresì importante, a mio avviso, che il tema venga trattato nel rispetto delle parti, delle visioni, e della immane sofferenza dei bambini e delle famiglie coinvolte, che sono all’incirca 35.000 ogni anno, cifre in aumento ogni anno. Il discorso nasce con quella che viene definita a livello mediatico “la famiglia nel bosco”, una famiglia che ha scelto di vivere nella casa di proprietà, nel verde, a 10 km dal centro abitato a Palmoli, in Abruzzo, e di garantirsi sostentamento in modo autonomo. La miccia che ha innescato un discorso controverso e appassionato nel nostro Paese, forse perché ogni rimosso cerca prima o poi l’espediente per uscire fuori. E questa è una ferita del nostro apparato giuridico e democratico troppo grave perché noi si possa continuare a tenerla nascosta o quale unico appannaggio di qualche associazione e qualche – poco partecipata – manifestazione dei parenti dei bambini. È giunto il momento che società civile e istituzioni si facciano carico di questo peso e diano qualche risposta concreta. Alle tante critiche mosse a coloro che prendono le parti della famiglia ricordo che il buon cittadino è colui che si impegna, si interessa alle cose della 𝑝𝑜𝑙𝑖𝑠, chiede conto, perché tirerà fuori la parte migliore di chi lo governa, che è un uomo come noi e – in quanto tale – è soggetto ai richiami più limpidi e a quelli più oscuri della mente. Un atteggiamento servile, pigro, fanatico, stimolerà sempre il volto peggiore del potere. Dunque, a mio avviso, non bisogna temere di esprimere il proprio giudizio. Inoltre, è verissimo che gli organi di magistratura devono essere liberi nel loro operato, ma allo stesso tempo il nostro sistema tollera molto bene la critica pubblica, no? Facciamone buon uso, senza mai trascendere in comportamenti violenti e persecutori verso i singoli. I fatti: la famiglia ha uno stile di vita che si discosta dalla media per una scelta personale, coerente e ragionata, nonché condivisa dai due genitori. Ha elettricità tramite fotovoltaico, usa la rete per videochiamare i parenti e per lavoro o per guardare qualche documentario, ha il riscaldamento tramite camino e stufa termica (essendo soli 40 mq c’è una temperatura media molto alta in inverno, sui 21/22 gradi), ha un bagno a secco esterno, ha una casa che a detta dei giornalisti con cui ho parlato personalmente e dei vicini è dignitosa e ben tenuta. I bambini conoscono due lingue e hanno molte competenze pratiche, dal cucito, alla cura dell’orto, dal riuso di materiali, alla costruzione di piccoli oggetti; consumano cibo dell’orto autoprodotto e altro cibo reperito una volta a settimana in città. I bambini sono abituati a partecipare attivamente al benessere e alle incombenze familiari. Fanno equitazione con il cavallo di famiglia, sotto la guida della madre che è istruttrice di equitazione. Hanno rapporti quotidiani con altri animali. Sono curati da medici di fiducia; sono sani. Sono seguiti con istruzione domiciliare. Intrattengono relazioni costanti con persone del vicinato, adulti e bambini. Vanno in biblioteca spesso. Viene loro letta una fiaba ogni sera nel letto. Nel provvedimento si parla – solo in riferimento alla bimba di 8 anni, dacché i gemelli ne hanno ancora sei – di un ritardo nel far pervenire alla scuola statale l’attestazione dell’istruzione impartita: una falla burocratica dunque, rientrata presto. Tutto qua. Secondo il Ministero dell’Istruzione e del Merito, risulta regolarmente espletato l’obbligo scolastico (ANSA, 24 novembre 2025). Interroga come una faccenda risolvibile con poco approfondimento sia stata inserita quale motivazione nell’ordinanza di allontanamento. Si parla poi di condizioni abitative non idonee in quanto l’abitazione non avrebbe i requisiti di agibilità e non rispetterebbe la normativa antisismica. Anche se la documentazione del geometra e dell’ingegnere che attestano l’assenza di lesioni strutturali non fosse considerata valida, questa mi sembra una motivazione non sufficiente se prendiamo in esame le condizioni edilizie e antisismiche di oltre metà degli istituti scolastici italiani (con bambini rimasti seppelliti sotto le macerie mentre erano tra i banchi di scuola), ma anche di alloggi per gli studenti universitari, case popolari, case private abusive, soluzioni abitative precarie assegnate dopo calamità varie. Basti poi pensare agli scandali legati agli abusi o a mancate regolarità di tipo edilizio da cui sono scaturiti danno e morte, come ad esempio nel famoso caso di Rigopiano o della Casa dello Studente a L’Aquila, solo per restare in Abruzzo. Affinché i cittadini non vivano questa motivazione come faziosa e la sentenza in modo persecutorio è importante limare il divario tra quanto si esige dai cittadini e quanto le istituzioni fanno a loro volta. Nella sentenza si propone poi una dottrina pedagogica secondo cui i bambini versavano in condizioni di isolamento e su come questo li avrebbe esposti tra qualche anno a rischi relazionali seri, facendo loro maturare condotte aggressive, tra cui il bullismo. Si fa coincidere il bisogno di socialità unicamente con la frequenza scolastica, nonostante il nostro ordinamento preveda l’istruzione parentale, considerandola dunque adeguata. Inoltre si prendono in esame non dei danni certi e attuali, ma dei danni prevedibili e futuri. Si ipotizza, rendendo questa ipotesi una certezza, che questi bambini matureranno condotte aggressive. Nella mia esperienza come mediatrice familiare nelle scuole ho potuto vedere come i casi di bullismo siano in continua crescita. Dobbiamo dunque considerare che il modello educativo dominante, condiviso dalla maggior parte degli italiani, non sia molto migliore in tal senso. Sottrarremo allora i bambini anche a tutti quei nuclei familiari che hanno ragazzi con problemi di bullismo, e a tutti coloro i cui figli trascorrono molte ore chiusi in casa davanti a internet? Ricordiamo che la sindrome da ritiro sociale “hikikomori” è in continuo aumento nella nostra società. Se questo non accade dobbiamo ritenere che la dottrina pedagogica a fondamento dell’ordinanza sia ideologicamente orientata: essa ritiene un sistema educativo idoneo, anche se causa ritiro sociale e violenza, e l’altro non idoneo, nonostante non ci siano prove attuali che dimostrino la sua idoneità a creare simili condotte. Ma anche se questo rischio di socialità ridotta fosse reale, non si può in alcun modo immaginare di intervenire allontanando forzatamente il minore dal proprio nucleo familiare, impedendo il rapporto con il padre e una relazione normale e libera con la madre, che ricordiamo si trova nella medesima struttura impossibilitata a vederli liberamente: quella con i genitori è la relazione primaria per sperimentare l’alterità. In alcun modo la frequentazione dei propri pari può essere considerata in alternativa al rapporto con i genitori, da cui i figli, soprattutto nei primi anni di vita, traggono sicurezza, protezione, senso di appartenenza, riconoscimento. Nella sentenza si parla poi di come questi bambini abbiano un ritardo rispetto ai bambini della loro età. Viene introdotto un concetto di “metro”: qual è insomma il metro di questo paragone se noi abbiamo bambini, e persino adulti, che non conoscono affatto la propria lingua, che sono abituati a ripetere slogan anziché chiedersi il perché delle cose, che hanno perso ogni forma di sapere, mestiere, conoscenza, sia di tipo letterario artistico che di tipo manuale? L’ordinanza spiega anche che la decisione sia maturata perché la famiglia avrebbe danneggiato i bambini esponendoli a livello mediatico nel programma “Le Iene”. Si fa qui riferimento a delle normative internazionali che prevedono la tutela della privacy. Stupisce un uso così improprio delle fonti indicate: queste norme tutelano da violazioni della privacy compiute da terzi che siano in conflitto di interessi con gli interessati. Vi si potrebbe ricorrere, quindi, per proteggere e risarcire la famiglia dalla vergognosa esposizione mediatica del loro caso, ma su questo mi sembra che ben poco sia stato fatto. La famiglia aveva un atteggiamento piuttosto riservato, non essendo nemmeno presente sui social: dobbiamo presumere abbiamo partecipato alla trasmissione per avere quell’ascolto che dalle istituzioni non riuscivano ad avere, per dimostrare agli italiani di essere in grado di curare i loro figli, perché avevano il terrore di perderli. Ma in alcun modo possiamo immaginare che volessero danneggiare i propri figli, come emerge dall’ordinanza. Che dire allora di tutti quei genitori che fanno uso intensivo dei social, condividendo foto e spezzoni della vita dei propri figli, e ancor di più di coloro che traggono da questa attività seguiti professionali, vendite, introiti di diverso genere? Si tratta di famiglie di “influencer” sotto gli occhi di tutti, a cui non risulta siano mai stati sottratti i figli. A questi si aggiungono tutti quei minori che aprono illegalmente account e ne fanno un uso quanto meno improprio, evidentemente senza adeguato controllo dei genitori. Vi chiedo: che ruolo dà la nostra società alla diversità, non a parole, nei fatti? Simili condotte mediatiche e giudiziarie sono pericolosamente prossime alla vera e propria persecuzione delle minoranze. Questi provvedimenti sembrano fare continuo riferimento a un concetto di “norma”, che come sappiamo nelle varie epoche ha sempre generato violenza e oscenità. Quali sono il ruolo del diritto e della psicologia nel farci comprendere un simile concetto, in che modo possono aiutarci a non farcene schiacciare? Urge una riforma urgente e radicale dell’intero sistema di sottrazione di minore in Italia. I casi di allontanamento devono essere di extrema ratio perché nessuna casa famiglia né famiglia affidataria potrà mai garantire quel senso di appartenenza che il bambino sperimenta con le proprie radici. Il legame con i genitori va preservato ad ogni costo, fatti salvi casi estremi di violenza non risolvibili e non gestibili altrimenti ove non vi sia neppure l’aiuto di altri familiari. In tutti gli altri casi, nonostante il rilievo di alcune criticità, lo Stato deve aiutare in ogni modo il nucleo familiare a farcela in autonomia. Inoltre, le decisioni di allontanamento devono essere riviste ciclicamente e in tempi brevi e mai si dovrebbe venire a sapere di genitori che per anni non riescono più ad avere un contatto che sia uno con i loro figli o che non sappiano neppure dove siano stati destinati. Sono certa che qualora le istituzioni iniziassero un cammino di risanamento di questo strappo, istituendo commissioni esterne e professionisti indipendenti; qualora facessero marcia indietro su alcune valutazioni parziali o superficiali, e attribuissero le responsabilità laddove rinvenute, il patto di fiducia tra Stato e cittadini tornerà a saldarsi e il malcontento popolare scemerà automaticamente e i cittadini acquisiranno nuova fiducia per digerire quei casi comunque dolorosi, ma residuali, di allontanamento. Qualora questo non accadesse il patto di fiducia già gravemente compromesso non potrà che spezzarsi una volta per tutte. Nonostante tutto, ho fiducia.   ROSANNA PIERLEONI Rosanna Pierleoni nasce nel 1984 ad Avezzano. Dopo il liceo classico, consegue la laurea magistrale in giurisprudenza all’Università Tor Vergata di Roma. Completa poi tre master interdisciplinari che le forniscono competenze psico-educative e giuridiche nell’ambito dei minori e della famiglia, con abilitazione alla mediazione familiare e alla consulenza specialistica. È autrice di un saggio sull’adozione internazionale e di diversi romanzi.   Redazione Italia
Caso Palmoli, lo Stato interviene con la violenza istituzionale laddove non serve
Il Tribunale per i Minorenni de L’Aquila, riunito nella Camera di Consiglio alla presenza della Presidente Cecilia Angrisano, del Giudice relatore Roberto Ferrari e dei Giudici onorari Simone Giovarrusscio e Alida Gabriela Alvaro, visti gli atti del procedimento relativo ai minori “figli di TREVALLION NATHAN e BIRMINGHAM CATHERINE”, ha emanato un’ordinanza dichiarando: “[….] In considerazione delle gravi e pregiudizievoli violazioni dei diritti dei figli all’integrità fisica e psichica, all’assistenza materiale e morale, alla vita di relazione e alla riservatezza, i genitori vanno sospesi dalla responsabilità genitoriale. E’ inoltre necessario ordinare l’allontanamento dei minori dall’abitazione familiare, in considerazione del pericolo per l’integrità fisica derivante dalla condizione abitativa, nonché dal rifiuto da parte dei genitori di consentire le verifiche e i trattamenti sanitari obbligatori per legge. E’ infatti dimostrato dalle vicende occorse che il mero conferimento al Servizio Sociale affidatario di poteri diretti al compimento degli atti sanitari non è sufficiente ad assicurare l’esecuzione degli stessi, essendo necessario conferire all’affidatario la effettiva custodia dei minori. Va per il resto confermato il provvedimento di affidamento esclusivo al Servizio Sociale adottato in fase cautelare. Il Servizio Sociale è inoltre incaricato di disciplinare la frequentazione tra genitori e figli, con modalità idonee a prevenire il rischio di sottrazione. In sede di esecuzione dell’allontanamento il Servizio Sociale è autorizzato a richiedere l’assistenza della forza pubblica…” Nel primo quadrimestre 2025 in Italia sono “scomparsi” 4600 minori, però il Tribunale dei minori de L’Aquila, e purtroppo non è il solo, si accaniscono contro una delle poche famiglie felici e sane. Gli ispettori facciano una profonda, molto profonda ispezione, che di marcio ne troveranno fino allo schifo in tutta la penisola. Il 21 novembre, l’Associazione Nazionali Magistrati (ANM) ha dichiarato: “Riteniamo inopportuno ogni tentativo di strumentalizzazione di casi che, per la loro particolarità, suscitano l’attenzione dei cittadini e dei media, ricordando che la delicatissima materia nell’ambito della quale operano i colleghi in servizio presso le Procure e i Tribunali per i Minori merita rispetto e attenzione”. Così la Giunta Anm dell’Aquila sul provvedimento emesso a tutela dei tre minori della famiglia che vive nei boschi in provincia di Chieti. “In particolare, sorprendono – si legge in una nota – le parole del ministro Salvini, che ha ritenuto ‘vergognoso’ l’intervento dello Stato ‘nel merito dell’educazione privata’”. https://www.ilcentro.it/chieti/famiglia-nel-bosco-lassociazione-magistrati-tutelati-i-minori-sono-stati-valutati-elementi-oggettivi-qi8lt4lg E hai voglia te adesso, l’ANM che si straccia le vesti, a gridare al lupo al lupo, e a chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati. Perché ha davvero ben poco senso dichiarare solidarietà alla giudice che ha emesso un’ordinanza per allontanare dalla propria famiglia, tre bambini, felici, istruiti, e ben accuditi, se prima non si entra nel merito delle motivazioni di questa sentenza, che a quanto pare risulta piena di inesattezze, di affermazioni del tutto sbagliate, già rigettate documenti alla mano dall’avvocato di questa famiglia. E nemmeno ci si può appellare alla nota frase “bisogna aver fiducia nella magistratura” oppure che comunque le cose verranno poi chiarire in appello. Perché per intanto si è fatto un danno enorme, alle vite di 5 persone, e un trauma a 3 bambini letteralmente strappati via da coloro che li avevano indubbiamente cresciuti con amore, con impegno, in un contesto sereno, in cui i bambini appaiono sempre visibilmente felici, sani, curati. Un’azione, quella del tribunale dei minori,  che quanto meno appare di una leggerezza tale che sa di vera e propria ingiustizia, e che a seguito della quale, c’è stato un vero e proprio moto popolare di sdegno. Sono volati insulti, come ad esempio “Tribunale di vermi”, fra le migliaia uno dei più lievi. Prevedibile, e in un certo senso dovuta almeno a livello istituzionale, la nota espressa dalla giunta esecutiva dell’ANM de L’Aquila: dove si esprime, «apprensione» per «la campagna d’odio mediatico scatenata nei confronti della presidente del Tribunale per i minorenni, Cecilia Angrisano, bersaglio di ingiurie e di intimidazioni». E fin qui tutto dovuto in un certo senso. Ma all’interno della stessa nota, l’ANM fa a mio parere uno sbaglio di valutazione enorme e grossolano, l’associazione dei magistrati esprime «stupore» e «rammarico» nel constatare che, «in un clima così esasperato, i rappresentanti del governo insistano nell’attività di delegittimazione dell’Autorità Giurisdizionale». Non comprendendo però, che è vero che i rappresentanti di governo fanno il loro show cavalcando la notizia, così da ottenere consensi, ma che è ancora più vero che la disaffezione popolare verso le istituzioni è ormai enorme, che un solco profondo è stato scavato, che, nella stragrande maggioranza delle persone, la percezione generale nutrita verso lo Stato, le istituzioni e chiunque le rappresenti, in questo momento è al minimo storico, con un sentimento di forte rabbia e insofferenza, che attraversa sempre più ampie frange del Paese , con una sensazione di scollatura sempre più incolmabile. Uno Stato e delle istituzioni che non sanno più minimamente dare risposte ai bisogni generali della gente, uno Stato che non interviene dove c’è bisogno di intervenire, e interviene invece in modo pesante, violento e oppressivo verso quella parte della popolazione che lavora, che contribuisce quotidianamente con il proprio operato e con fatica, a mantenere in piedi quel poco di buono che c’è rimasto in questo Paese, ormai devastato nelle fondamenta, oppure uno Stato che tramite le sue istituzioni si accanisce  verso chi tenta di portare avanti la propria vita, con amore e con rispetto, facendo scelte differenti, che forse possono apparire lontane dalle scelte della maggioranza delle persone, ma che non per questo sono meno degne di rispetto, anzi, e che sicuramente non nuocciono a nessuno, né producono danni, tanto meno ai loro figli, accuditi comunque con cura e amore. A differenza invece di intere schiere di bambini, ragazzi, e adolescenti, sempre più abbandonati a loro stessi, pur essendo inseriti in ambienti “civilizzati” e vivendo nelle città, pur frequentando le scuole e stando in appartamenti con bagno in casa, ma che sono sempre più attanagliati dal vuoto, istruiti alla violenza, alla mancanza di ogni forma di empatia, oppure mossi da modelli vuoti, con tendenze narcisistiche ed estremamente egoiste, modelli nefasti che promuovono solo il successo personale basato su un’immagine costruita, totalmente insostenibile, molto sofferente. Stiamo parlando di migliaia di ragazzi che vivono in mezzo alla folla, ma sono attanagliati dalla solitudine interiore, dalla mancanza di riferimenti positivi, molti di questi immersi in situazioni di vero e proprio degrado e miseria umana, in contesti di violenza. A tutto questo le istituzioni non riescono più a dare nessuna risposta costruttiva, il distacco fra Stato e popolazione in dei casi è diventato siderale, ma a livello statale si interviene però pesantemente, con una durezza e una violenza inaudite, non solo dove non serve, ma addirittura si interviene con crudeltà dove persone di buona volontà si siano organizzate per dare risposte costruttive, e alternative, per l’appunto proprio quelle dove lo Stato e le sue istituzioni hanno totalmente fallito. Ovvio poi che si alimenti il clima già esasperato, se le istituzioni sono occupate e amministrate da persone che hanno smarrito non solo il senso delle cose, e della loro funzione, ma anche il buon senso, e dove sempre più spesso, persino un barlume di umanità, di compassione, di empatia, sono rarità introvabili. Un rappresentante della magistratura ha detto: “certo non si attendeva una reazione pubblica così vasta e, spesso, in totale disaccordo con la decisone mossa dal Tribunale per i minorenni dell’Aquila”, tribunale che ha disposto l’allontanamento urgente di tre bambini appartenenti alla famiglia Trevallion-Birmingham, residente in un’abitazione situata nei boschi di Palmoli, in provincia di Chieti. Cosa ci si aspettava? Che la popolazione vi dicesse: “Bravi!!! Fate pure! Continuate così!” In un contesto devastato del Paese, e in cui nello specifico parlando di bambini e di decisioni dei tribunali dei minori, attraverso cui, in soli 10 anni dal 2014 al 2025, siamo passati dai 20.000 ai 44.000 bambini, per cui si è disposto l’allontanamento dalle famiglie, con affidamento a strutture e contesti che ad oggi muovono circa 1 miliardo di euro. E visto il contesto in particolare di quanto successo con questa famiglia a Palmoli, come si fa a non sposare quanto dichiarato dall’avvocato Giovanni Angelucci, legale della famiglia, che ha annunciato ricorso alla Corte d’Appello dell’Aquila entro i termini di legge, sostenendo non solo che l’ordinanza contenga “numerose inesattezze” per non dire scempiaggini, ma affermando a ragione rivolgendosi al Tribunale de L’Aquila che: “Sono andati in cortocircuito”. Questo come minimo se vogliamo pensare bene, poi ci sono aspetti ben peggiori a pensar male, che andrebbero quanto meno indagati, proprio nell’ambito delle decisioni dei tribunali dei minori che gettano pesanti ombre sulla liceità di migliaia di allontanamenti dei minori dalle proprie famiglie, che sembrano quantomeno eccessivi, ingiusti, lesivi, e in cambio invece, il non intervento assoluto in situazioni di vero e proprio degrado, di miseria umana, in contesti di reale violenza e disumanizzazione, e persino di sfruttamento minorile per finalità criminali, che sono presenti sul nostro territorio, e che non interessano solo le famiglie in povertà materiale, ma che si trovano anche in contesti di famiglie benestanti, che vedono ragazzi annoiati, sempre più alienati, con modelli di comportamento violenti, tossici, dannosi per loro stessi e per gli altri. In questo contento generale, specie coloro che occupano posizioni di rilievo istituzionale, ancora prima di esprimere rammarico, dovrebbero fare un bagno di umiltà, ritrovare se mai lo hanno avuto, senso critico e autocritico, e forse per comprendere meglio il clima generale, potrebbe essere di aiuto ricordare un vecchio detto popolare che recita: “Il pesce puzza sempre dalla testa”. Luca Cellini
Gaza. L’ONU approva la risoluzione statunitense. Contrari palestinesi e Israele
Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato la risoluzione presentata dagli Stati Uniti su Gaza basata sul Piano Trump. Il testo è stato modificato più volte durante i negoziati, è passato con 13 voti a favore e l’astensione di Cina e Russia. Con il piano viene autorizzata una forza militare internazionale di “stabilizzazione” per la […] L'articolo Gaza. L’ONU approva la risoluzione statunitense. Contrari palestinesi e Israele su Contropiano.
La crisi nel cuore dell’impero. Da New York a noi
Prese le misure agli svarioni della “sinistra”, vediamo un attimo cosa sta succedendo tra gli opinionisti mainstream alle prese con New York che sarebbe caduta in mano al “socialismo islamico”. O come altro volete chiamare il “fenomeno Mamdani”… Semplice: è il panico totale. Qui in genere si va – specularmente […] L'articolo La crisi nel cuore dell’impero. Da New York a noi su Contropiano.
“Libertà del mercato” o liberi dal bisogno
E’ abbastanza difficile – ne converrete – informare e spiegare l’evoluzione del mondo con un piccolo giornale tenuto su da forze molto limitate. Diventa perciò a volte utile, per sintetizzare al massimo quel che vogliamo mettere in luce, destrutturare analisi prodotte dall’informazione mainstream che fanno i conti con la brutale […] L'articolo “Libertà del mercato” o liberi dal bisogno su Contropiano.
VERONA: A UN ANNO DALL’OMICIDIO DI STATO, TRASMISSIONE SPECIALE “PER NON DIMENTICARE MOUSSA DIARRA”
Speciale Moussa Diarra, per non dimenticarlo, per chiedere verità e giustizia (30 minuti). Ascolta o scarica 364 giorni dopo l’omicidio Diarra, un migliaio di persone hanno risposto all’appello della comunità maliana e del Comitato verità e giustizia: si sono ritrovate a Verona questo sabato 18 ottobre e hanno sfilato in una manifestazione partecipata e sentita, per ricordare Moussa e le altre vittime del razzismo dello Stato. Moussa Diarra è stato ucciso il 20 ottobre del 2024 da un agente della polfer alla stazione ferroviaria di Porta Nuova, una violenza inaccettabile la cui dinamica rimane non chiara. “Perché non sono stati utilizzati mezzi alternativi all’uso della pistola? Perché nessuno è intervenuto per rispondere al disagio psicologico che Moussa stava esternando, dopo anni di difficoltà dovute ad un tortuoso percorso di migrazione?” Sono queste alcune delle tante domande alle quali si pretende una risposta. A un anno dall’omicidio il corpo di Moussa è ancora a disposizione dell’autorità giudiziaria, poiché le indagini sono ancora in corso. La mamma, i fratelli e le sorelle lo stanno aspettando in Mali per poterlo piangere e seppellire. Al grido di “Verità e giustizia per Moussa”, la Verona migliore ha portato in piazza dignità, memoria e determinazione, chiedendo giustizia per tutti coloro che non possono più parlare. Moussa Diarra era nato in un villaggio nei pressi di Djidian, a circa 200 km dalla capitale del Mali, Bamako. Ancora minorenne, aveva lasciato la famiglia e deciso di raggiungere l’Europa. Aveva attraversato il deserto, era stato rinchiuso in un lager per migranti in Libia, poi attraversato il Mediterraneo, spedito nel centro di accoglienza di Costagrande, in provincia di Verona, poi chiuso a causa della pessima gestione. Moussa lavorava sfruttato nei campi e viveva in alloggi precari. Aveva trovato casa al Ghibellin Fuggiasco, struttura occupata per tre anni da attiviste e attivisti veronesi e nella quale vivevano oltre 40 persone. Anche a causa delle lungaggini burocratiche, fatte di documenti che non arrivano mai, Moussa aveva probabilmente sviluppato un malessere psicologico. La mattina del 20 ottobre di un anno fa’ vagava per la zona della stazione Porta Nuova di Verona, ha sbattuto i pugni sulle vetrine dei negozi, brandiva forse un piccolo coltello da cucina. Per questo, il poliziotto della polfer, per fermare la rabbia di Moussa, ha deciso di sparare direttamente al cuore. Alla manifestazione di sabato per Moussa Diarra erano presenti il fratello di Moussa, Djemagan, il Presidente dell’Alto Consiglio dei Maliani d’Italia Mahamoud Idrissa Boune e il Presidente della comunità maliana veronese Ousmane Ibrahim Diallo. In trasferta a Verona anche la signora Djenabou, madre di Moussa Baldé e il fratello Thierno, a rappresentare le troppe vittime di un sistema escludente, razzista e violento. La storia di Moussa Baldé ha infatti molte affinità con quella di Moussa Diarra. Baldé era nato in Guinea, attraversato il nordafrica e il Mediterraneo, poi finito nel cosiddetto sistema dell’accoglienza. Aveva subito una grave aggressione da parte di tre uomini a Ventimiglia, trovato con i documenti non in regola, quindi raggiunto dall’ordine di espulsione e rinchiuso nel CPR di Torino. Nel lager di Stato Moussa Baldé subisce altre violenze, poi una mattina viene ritrovato morto, in una cella dove era stato lasciato solo, in isolamento. Aveva 20 anni. I nomi delle troppe altre vittime del razzismo di questo paese sono stati scritti su alcuni cartelli depositati in un’aiuola di piazzale XXV aprile. In quel luogo è stato installato un nuovo memoriale per Moussa, dopo che per un anno fiori e foto posti davanti all’ingresso della stazione sono stati regolarmente danneggiati o rimossi. Lo speciale “Moussa Diarra, per non dimenticarlo” contiene le voci registrate durate la manifestazione del 18 ottobre 2025 a Verona: Djemagan Diarra, Mahamoud Idrissa Boune, Ousmane Ibrahim Diallo, La Marie Claire, Djenabou Baldé, Thierno Baldé, Alessia Toffalini e Giovanna.  
Il calice velenoso del riconoscimento: un’arma a doppio taglio per la Palestina
In passato, ero piuttosto scettico riguardo al riconoscimento della Palestina, poiché sembrava che coloro che erano impegnati nella conversazione si riferissero solo a parti della Cisgiordania e della Striscia di Gaza come Stato di Palestina, e a un governo autonomo da parte di un organismo come l’Autorità Palestinese, senza un’adeguata […] L'articolo Il calice velenoso del riconoscimento: un’arma a doppio taglio per la Palestina su Contropiano.
Un maggiordomo si aggira per le stanze della Farnesina
Lunedì 22 settembre l’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite potrebbe votare la nascita dello Stato di Palestina. Non ci sono conferme che si metta ai voti una dichiarazione vincolante, dopo che il 12 settembre l’Assemblea ha votato una dichiarazione che chiedeva “passi concreti” per la cosiddetta “soluzione a due Stati”. […] L'articolo Un maggiordomo si aggira per le stanze della Farnesina su Contropiano.
Acciaierie d’Italia: se lo stato ci mette i soldi serve il controllo pubblico e la nazionalizzazione
Le notizie di oggi confermano che per Acciaierie d’Italia restano in corsa soltanto Jindal e Bedrock, mentre Baku Steel si è ritirata, e che il Governo sta predisponendo una maxi-garanzia pubblica tra 800 milioni e 1 miliardo di euro per coprire i costi della transizione e agevolare l’ingresso dei privati. […] L'articolo Acciaierie d’Italia: se lo stato ci mette i soldi serve il controllo pubblico e la nazionalizzazione su Contropiano.
Solidarietà “terrorista”
In attesa di sapere se la Global Sumud Flotilla sarà intercettata dall’esercito israeliano perché definita “terrorista” dal sionismo oscurantista, proponiamo la ripubblicazione di un articolo del 1988 scritto per la rivista “La Contraddizione”, intitolato “Palestina / Imperialismo” in cui si curò una cronologia dell’imperialismo, e non solo. Per chi ancora […] L'articolo Solidarietà “terrorista” su Contropiano.