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SERBIA: “NUOVA E RADICATA FASE DELLA DISOBBEDIENZA CIVILE DELLA PIAZZA”, REPRESSA DURAMENTE NEL FINE SETTIMANA. L’ANALISI DI GIORGIO FRUSCIONE
In Serbia la polizia è intervenuta durante la notte tra domenica e lunedì per togliere una serie di blocchi stradali a Belgrado e in numerose altre località del paese. I blocchi erano stati attuati dagli studenti e studentesse in agitazione che protestavano contro l’arresto di decine di loro colleghi nel corso degli scontri di piazza al termine della manifestazione antigovernativa di sabato 28 giugno nella capitale, che ha provocato decine di feriti e almeno 77 arresti. Contro di loro annunciate “dure punizioni” dal presidente conservatore Aleksandar Vučić, alleato di ferro di Mosca, che con il ministro degli esteri Lavrov minaccia: “l’Occidente non intervenga sostenendo l’ennesima rivoluzione colorata”. L’intervista con Giorgio Fruscione, ricercatore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI). Ascolta o scarica
Serbia: Vučić rafforza l’alleanza con Putin
Nonostante gli avvertimenti dell’UE il presidente serbo Aleksandar Vučić ha deciso di recarsi a Mosca per partecipare alle celebrazioni della Giornata della Vittoria, in occasione degli 80 anni di sconfitta del nazifascismo. Fallito il tentativo di incontrare il presidente americano Donald Trump in Florida qualche giorno prima, l’ipotesi di mancare anche la visita a Mosca non era contemplabile, tanto più alla luce del motivo principale della sua trasferta moscovita ventilato da molti: rafforzare l’immagine di alleato russo del presidente serbo. Vučić sembra quindi essere convinto del fatto che per ora l’unica mossa a disposizione dell’UE sia la sospensione dei negoziati di adesione, già congelati a causa del rifiuto del presidente serbo di aderire alle sanzioni occidentali contro Mosca, e in forte stallo anche a causa dei mancati miglioramenti nel processo di normalizzazione delle relazioni con il Kosovo. Vučić deve avere anche pensato che la maggior parte dei cittadini serbi, e in particolare la sua base elettorale, non si curi troppo delle ripercussioni in arrivo da Bruxelles. Forse il presidente serbo dà per scontato che nonostante il suo ammiccamento a Mosca l’UE non adotterà misure radicali come il congelamento dei fondi o degli investimenti dell’unione. Da sempre fautore del doppiogiochismo, con un piede in Europa e lo sguardo verso Mosca, il presidente serbo vola da Putin sperando che le potenze europee continuino a mantenere relazioni pragmatiche e a concludere vantaggiosi accordi bilaterali (come la vendita degli aerei da combattimento Rafale da parte della Francia di Emmanuel Macron o il potenziale sfruttamento del litio per alimentare la transizione elettrica dell’industria automobilistica tedesca). Tuttavia, il fatto che Vučić sia stato l’unico leader europeo presente alla parata di Mosca insieme al primo ministro slovacco Robert Fico, rischia di apparire una provocazione troppo grande perché Bruxelles possa fingere di nulla, tanto più ora che i 21 maratoneti serbi sono giunti al Parlamento europeo per portare la loro lotta alle istituzioni del vecchio continente, sempre più consapevole di quanto sia necessario agire in Serbia per cambiare lo status delle cose. Dopo sei mesi di blokade, un governo caduto, università occupate, risse in parlamento, manifestazioni gigantesche, maratone e biciclettate a Bruxelles e Strasburgo, sembra che sia rimasto solo il presidente serbo l’unico a non capire quanto la sua leadership sia corrosiva per il paese che si ostina a guidare. Ma Vučić capisce benissimo, solo non vuole mollare la poltrona. Ed è proprio questa sua ostinazione che l’ha spinto ad azzardare tanto, volando a Mosca: Vučić pare convinto che l’integrazione della Serbia all’UE non sia più una leva politica necessaria per garantire la continuità del suo potere. Gli ultimi sei mesi di avvenimenti nel suo paese hanno infatti rivelato la vera natura del suo regime e l’inconsistenza del suo filo-europeismo. Vučić vuole solo una cosa: continuare ad essere Vučić. E per farlo deve boicottare le riforme dello Stato di diritto e della libertà dei media richieste dall’UE per il processo di integrazione, altrimenti il monopolio del potere sarebbe messo a repentaglio. Esemplificativa di questa strategia è la questione della creazione di un organismo indipendente per la regolamentazione dei media audiovisivi (REM), una delle richieste principali di Bruxelles. Se Vučić accettasse, la presa del governo sui media diventerebbe troppo debole, e questo è un elemento che il regime non è disposto ad accettare. Vučić sa anche che non può contare sul sostegno dell’UE per reprimere le proteste interne o applicare misure repressive contro i cittadini. In tal senso l’appoggio di Mosca e Pechino risulta essere fondamentale. La retorica anti-occidentale e le risposte dell’UE La Russia ha nuovamente dimostrato la propria solidarietà al fratello serbo quando i suoi servizi segreti, su richiesta delle autorità di Vučić, hanno pubblicato un rapporto secondo cui alla maxi-protesta del 15 marzo a Belgrado nessuna arma proibita (il cannone sonico) è stata utilizzata, nonostante le testimonianze di centinaia di cittadini affermassero il contrario. La visita a Mosca è quindi accompagnata da un inevitabile rafforzamento della retorica antioccidentale, come espresso da Vučić stesso nella Piazza Rossa in merito alle ingiustizie dell’Occidente nei confronti della Serbia, dalle guerre degli anni Novanta alle attuali pressioni per imporre sanzioni alla Russia. Dopo aver sfilato accanto a Putin, sono in molti a credere che Vučić abbia oltrepassato il limite e non sia più nella posizione di aprire nuovi capitoli di negoziati a tempo indeterminato. Oltre a ribadire gli impegni di Belgrado verso l’Europa, la Commissione europea ha espresso un “profondo rammarico” per la presenza di Vučić a Mosca, presenza che “legittima l’aggressione della Russia contro l’Ucraina”. I Socialisti e Democratici europei si spingono oltre e chiedono una rivalutazione dei negoziati di adesione con Belgrado. L’eurodeputato croato Tonino Picula, relatore per la Serbia al Parlamento europeo, ritiene che questa visita rappresenti un “chiaro allineamento con Putin”, dal momento che la politica di Vučić “congela” il cammino del paese verso l’UE. Dal primo novembre 2024 la Serbia è percorsa da una movimento di protesta senza precedenti, che è diventato una vera e propria rivendicazione nazionale e transnazionale, investendo anche altri paesi della regione che appoggiano la lotta alla corruzione e chiedono il rispetto dello stato di diritto. Come sostengono da mesi gli attivisti, la lotta non riguarda più soltanto la Serbia, ma interessa l’impegno di tutta Europa per la democrazia, la giustizia e la dignità. Per ora le reazioni di Bruxelles sono state molto blande. Per ottenere quanto richiesto da buona parte della popolazione serba in protesta da sei mesi è essenziale il sostegno dell’Unione Europea. Gli unici che sembrano averlo capito davvero sono ancora una volta gli studenti serbi. E ancora una volta è tutto nelle loro mani. East Journal
La lunga strada verso il cambiamento: le proteste in Serbia tra speranza e stanchezza
Dopo la grande protesta del 15 marzo, che da un lato ha portato catarsi e dall’altro delusione, le manifestazioni in tutta la Serbia sono continuate su una scala relativamente simile. Le grandi azioni studentesche sono diventate meno frequenti, ad eccezione di un gruppo che ha percorso 1.300 km in bicicletta da Novi Sad a Strasburgo – un atto che metà dell’opinione pubblica ha visto come eroico, mentre i sostenitori di proteste più radicali lo hanno liquidato come una carnevalata. A prescindere da questi sentimenti, i sondaggi mostrano che oltre il 60% dei cittadini sostiene la protesta. Crescono intanto le aspettative di un’articolazione politica, anche se non è ancora chiaro quale forma assumerà. Si è sicuramente manifestata una certa stanchezza, ma questo non è necessariamente un male. Si tratta solo di una domanda che è diventata sempre più frequente nelle ultime settimane: E adesso? Il nuovo “governo della vendetta” Nel frattempo, è stato formato un nuovo governo sotto la guida del professor Dr. Đuro Macut, una figura nominalmente apartitica, ma in nrealtà con chiari legami con il regime. Tuttavia, la nomina più controversa è stata quella a Ministro dell’Istruzione di Dejan Vuk Stanković – meglio conosciuto come analista filo-governativo, alle prese con accuse di molestie sessuali. Piuttosto che offrire soluzioni, il nuovo gabinetto sembra progettato per reprimere il dissenso. Gli attacchi alle figure accademiche sono culminati nell’interrogatorio del rettore dell’Università di Belgrado da parte della polizia, in seguito alle accuse del gruppo “Studenti che vogliono imparare” per presunto abuso d’ufficio. Il rettore ha anche incontrato il nuovo Primo Ministro, ma ha dichiarato che mancava chiaramente la volontà politica di risolvere la crisi. Allora, come si può risolvere questa situazione che dura da sei mesi (o tredici anni?)? Aumentare la pressione: il blocco delle emittenti pubbliche Alcuni analisti ritengono che solo uno sciopero generale abbinato a mezzi di comunicazione liberi possa davvero fare pressione sul regime. In questo contesto, la questione della Radio Televisione della Serbia (RTS) è diventata centrale. Dal 14 aprile gli studenti hanno bloccato la RTS, chiedendo un concorso pubblico per selezionare i membri dell’Organismo di regolamentazione dei media elettronici (REM), come previsto dalla legge ma ripetutamente ignorato. Il blocco è terminato dopo 14 giorni, quando la Commissione parlamentare per la cultura e l’informazione ha finalmente annunciato un concorso per l’elezione dei membri del REM, dopo quasi sei mesi di inattività istituzionale. La RTS, pur essendo un’emittente pubblica, è stata a lungo un importante pilastro della propaganda governativa: “Nessun regime nella storia moderna della Serbia ha fatto così tanto affidamento sulla costruzione di un’immagine che non ha nulla a che fare con la realtà”, afferma il professore di sociologia Dalibor Petrović, aggiungendo che “il regime sa che se perde la battaglia per la narrazione, perderà anche tutte le altre, ed è per questo che ora ricorre a imitazioni scadenti delle azioni degli studenti”. Ecco perché la liberazione della RTS è un passo fondamentale per garantire che un giorno le elezioni – che prima o poi si terranno – possano essere considerate legittime. Un momento del blocco della televisione pubblica. Foto di Gavrilo Andrić Percorsi di risoluzione: “Questo è l’ultimo treno per il cambiamento” Mentre il governo organizza contro-manifestazioni, contro-studenti, contro-camminatori, trova contro-professori e diffonde contro-propaganda attraverso i suoi contro-media, gli studenti rimangono fermi nelle loro richieste originarie, anche se ciò significa perdere un anno accademico. Ma il mantenimento dello status quo non mette a rischio solo un anno? La situazione attuale potrebbe mettere in pericolo anche lo stesso movimento studentesco e portare all’esaurimento? È tempo di uno sciopero generale, di un governo esperto di transizione? È tempo di elezioni anticipate? Sciopero generale e governo di transizione Nonostante il fallimento di due tentativi di sciopero generale, gli studenti sono convinti che esso rimanga la forma di pressione più efficace. Uno di quelli che hanno partecipato alla marcia fino a Strasburgo sottolinea che gli studenti non vogliono solo il sostegno, ma l’impegno attivo di altri cittadini: “A volte sembra che la gente dica: ‘Ok, c’è una protesta, mi presenterò come se fosse una fiera. Farò qualcosa, sosterrò gli studenti, ammirerò la loro lotta e basta. Poi tornerò nella mia zona di comfort mentre gli studenti lotteranno per me”. Credo che sia giunto il momento di smetterla. Solleviamoci a livello nazionale e facciamo la cosa giusta dopo decenni e decenni di errori”. Tuttavia, uno sciopero generale potrebbe essere difficile da realizzare, in parte perché un terzo dei membri del sindacato appartiene al partito SNS al potere. Allo stesso modo, l’opzione di un governo di transizione composto da esperti appare lontana, poiché le autorità al potere – un fattore essenziale in questo processo – non mostrano alcuna volontà di percorrere questa strada. Convocazione di elezioni anticipate La convocazione di elezioni anticipate è molto probabilmente il prossimo passo, ma ci sono grossi problemi con le liste elettorali, la manipolazione e l’acquisto di voti. Tuttavia, il 25 aprile, l’assemblea della Facoltà di Scienze Tecniche ha votato a favore della richiesta di indire elezioni parlamentari anticipate, proponendo agli studenti coinvolti nel blocco di compilare una lista elettorale indipendente. È stata anche avanzata la proposta di creare un Fronte sociale, un’ampia rete di gruppi che sostengono gli studenti e combattono la corruzione. Le reazioni delle autorità suggeriscono che considerano questa proposta una minaccia reale ed è certo che, anche nel caso di un maggiore controllo, ci saranno tentativi di manipolare il voto in vari modi. Un altro ostacolo è l’avversione degli studenti per i partiti politici, risultato di anni di tattiche di regime. Essi ritengono che qualsiasi futuro governo o lista elettorale da loro sostenuta debba includere membri senza affiliazioni partitiche pregresse – un’idea che, per quanto nobile, sembra utopistica nell’attuale realtà politica. A questo proposito, lo scrittore e attivista Vladimir Arsenijević afferma: “Un anello mancante fondamentale in tutto questo è il contatto diretto con i veri attori politici. Che piaccia o no, gli unici che possono incanalare l’energia scatenata dagli studenti, e poi sostenuta da vari gruppi sociali, attraverso gli strumenti istituzionali sono i partiti politici. Senza di essi, non ci può essere alcun cambiamento. Tranne, forse, uno puramente rivoluzionario per il quale, direi, nessuno è pronto”. Raduno dei cittadini. Foto di Stefan Kostić Pluralismo di opinioni e ascesa della destra Mentre cittadini e studenti cercano di trovare la soluzione migliore alla crisi, le tensioni ideologiche stanno diventando più visibili all’interno degli stessi gruppi di protesta. Sebbene le loro richieste formali siano ideologicamente neutre, le ultime settimane hanno messo a fuoco le differenze di valore sottostanti. A proposito di valori, Arsenijević avverte che mentre le proteste si bloccavano, i gruppi di estrema destra hanno sfruttato la pausa, infiltrandosi nei raduni sotto la bandiera dell’unità. “Ora vediamo ogni sorta di simboli iper-ortodossi, insegne cetniche, nostalgie territoriali imperialiste, slogan sul recupero del Kosovo, bandiere e simboli russi – mentre allo stesso tempo c’è una forte e tacita censura di altri simboli”. Sembra esserci un’aspettativa di tolleranza e comprensione da parte della sinistra: “Molti cittadini sembrano credere che questo sia un sacrificio che vale la pena fare, perché presumibilmente nulla è peggiore del regime di Aleksandar Vučić, nemmeno questo sincretismo revisionista o il sogno di un’utopia nazionalista post-Vučić in cui tutti i serbi vivono insieme felici e contenti”. Ciò solleva la questione di come cittadini così divisi possano trovare un terreno comune nel “giorno dopo”. Può un movimento sostenere il pluralismo interno senza un chiaro quadro di valori? Oppure è giunto il momento di tracciare linee chiare tra coloro che lottano per il cambiamento democratico e coloro che cercano un nuovo autoritarismo? E adesso? Tra sogni di libertà e realtà “Ogni nazione ha il governo che si merita. Non possiamo limitarci a parlare di quanto siano insensate le azioni del regime. Ognuno di noi deve dire: non lo accetto”, afferma Miodrag Zec, professore di economia in pensione, aggiungendo che l’esito finale dipende da ognuno di noi. Qualunque sia la strada da seguire, è chiaro che la soluzione non è a portata di mano, ma richiede la decisione quotidiana e persistente di non accettare l’ingiustizia. Isidora Cerić, laureata in filologia, sottolinea che la forza del movimento studentesco sta nell’organizzazione orizzontale, nella perseveranza e nella mancanza di desiderio di soluzioni preconfezionate. La loro pazienza non è una debolezza, ma una decisione consapevole di non impegnarsi in meccanismi che hanno fallito più volte con i cittadini: “In una società in cui ogni forza politica si misura in base ai numeri, alla portata, all’intensità e ai risultati immediati, questo tipo di resistenza sembra improduttivo. Ma forse è proprio questo il suo vero valore: rifiutarsi di giocare al gioco della produttività”. E così, anche se il cammino da percorrere è incerto, forse la vera risposta non sta nel quando o nel come, ma nella quotidiana domanda: Lo accetto? Perché dalla risposta dipende se il sogno di libertà si sposterà un giorno dagli anfiteatri studenteschi alle istituzioni statali e alla vita quotidiana di tutti i cittadini. E nel frattempo, tutto ciò che possiamo sperare è una perseveranza radicale. Foto di Gavrilo Andrić, Lav Boka, Stefan Kostić Dijana Knežević